Commissione Ue, parte il toto-nomi in Italia. Ma prima va chiusa la partita dei ‘Top Jobs’

La partita europea entra già nel vivo. Chiuse le urne e completati i conteggi, il negoziato sembra avviato sulla linea di una possibile riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Ue, ma stavolta la maggioranza potrebbe allargarsi a Verdi e Ecr, quanto meno a nuclei della famiglia dei Conservatori europei. Dunque, anche la composizione della squadra di governo continentale potrebbe essere più ‘larga’ del previsto, nonostante le iniziali ritrosie dei Socialisti. Prima, però, vanno definiti i cosiddetti ‘Top Jobs‘, ovvero i ruoli di vertice: Presidenza di Commissione e Consiglio, alto rappresentante per la politica estera, per intenderci. L’Italia può dire la sua, forte del fatto che l’esecutivo – uno dei pochi nel Vecchio continente – non ha subito contraccolpi dal voto, anzi ne esce rafforzato, in particolar modo la premier, Giorgia Meloni.

Non sarà una fase facile, né veloce anche se i rumors sono indirizzati verso la soluzione dei negoziati entro il 18 luglio. In questo lasso di tempo dovranno essere scelte anche le figure dei commissari con la relativa assegnazione delle varie deleghe. Ed è qui che si fa più calda la situazione nel nostro Paese. L’Italia vorrebbe un ‘ministero’ di peso: le voci di corridoio dei palazzi della politica suggeriscono di tenere d’occhio le deleghe alla Concorrenza (sarebbe il vero obiettivo di Meloni), ma anche l’Agricoltura, il Mercato interno o addirittura l’Energia, che potrebbe chiudere il cerchio di quel Piano Mattei su cui Palazzo Chigi sta puntando molte delle sue fiches di politica estera. Difficile, ma non fantascienza, che al nostro Paese venga assegnata la Difesa, mentre potrebbe rivelarsi un boomerang accettare eventualmente la delega agli Affari interni, che in pancia porta la delicata questione dei flussi migratori, storicamente divisivo in Europa.

Una volta deciso chi farà cosa, allora si potrà passare alla fase dei nomi. Sebbene il pallottoliere stia già andando a mille dalle parti di Roma. Finora sono tre i ministri del governo Meloni che hanno pubblicamente fatto sapere di non essere disponibili: in primis Giancarlo Giorgetti, che ha ripetuto spesso (e volentieri) di preferire il campo italiano a quello europeo. Si chiama fuori dai giochi anche Adolfo Urso, che vuole completare il lavoro al Mimit: “Il Paese ha altre personalità che saranno sicuramente più adeguate del sottoscritto, io certo non posso mollare quello che faccio“. Out pure Antonio Tajani, che più chiaro non poteva essere: “Ritengo non si debba tornare dove si è lavorato per 30 anni“, aggiungendo che preferisce restare alla Farnesina.
Sul taccuino, dunque, resta Raffaele Fitto, che in questi due anni ha avuto stretti contatti con Bruxelles nel suo ruolo di ministro degli Affari Ue, della Coesione e del Pnrr. Ma nelle ultime ore sono circolate altre ipotesi, altrettanto valide, come quella di Roberto Cingolani, attuale ceo di Leonardo con un passato da ministro della Transizione ecologica nel governo di Mario Draghi. Sarebbe un ‘tecnico‘, certo, ma con esperienza istituzionale, che alle latitudini europee conta eccome come criterio per essere scelto. Ancora, della squadra dell’ex Bce potrebbe avere il phisique du role Vittorio Colao, che ha guidato una multinazionale come Vodafone e ha fatto il ministro dell’Innovazione e Transizione digitale.

I bene informati non escludono, però, colpi di scena. Come Maurizio Leo che, però, ha ‘solo‘ gli ultimi due anni da viceministro dell’Economia nel suo curriculum politico da poter spendere a Bruxelles, dove è preferibile avere personalità che abbiano ricoperto cariche di maggiore responsabilità, sebbene il Mef sia considerato un dicastero assolutamente ‘pesante‘. Nella ruota dei ‘papabili‘ restano comunque Gilberto Pichetto (Mase) e Guido Crosetto (Difesa), così come a mezza bocca è circolato il nome di Francesco Lollobrigida, attuale ministro dell’Agricoltura, forse la persona più vicina alla premier. Molto difficile che possa traslocare dal Masaf, ma in politica vige una sola regola: ‘nulla è impossibile.

Descalzi resta a Eni, Cattaneo-Scaroni alla guida di Enel e Cingolani ad Leonardo

Non è stato facile, ma alla fine le forze di maggioranza una quadra sulle nomine dei nuovi board delle società partecipate la trovano.

Si parte dall’unica certezza che ha accompagnato queste settimane di discussione: Claudio Descalzi resta amministratore delegato di Eni. Per proseguire il lavoro di diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico, non solo per liberare l’Italia della dipendenza russa, ma soprattutto per costruire quel progetto che la premier, Giorgia Meloni, ha chiamato ‘Piano Mattei‘, che nelle intenzione di Palazzo Chigi dovrebbe trasformare l’Italia nell’hub di riferimento per l’Europa, facendo leva sulla posizione geografica (e geopolitica) del nostro Paese rispetto all’area del Mediterraneo.

Alla presidenza del Cane a sei zampe, invece, arriva Giuseppe Zafarana, in uscita dalla Guardia di finanza, dove ha svolto il ruolo di comandante generale. Il Mef, titolare del 4,34% del capitale e per il tramite della Cassa depositi e prestiti (partecipata all’82,77% dal Mef) di un ulteriore 25,76%, comunica, poi, che il nuovo collegio sindacale di Eni sarà composto dagli effettivi Giulio Palazzo, Andrea Parolini e Marcella Caradonna e dai supplenti Giulia de Martino e Riccardo Bonuccelli. L’assemblea degli azionisti di Eni è convocata per il 10 maggio prossimo.

La vera sorpresa di questa partita è Enel. Flavio Cattaneo è infatti il nuovo ad, mentre Paolo Scaroni torna, ma nel ruolo di presidente. In vista dell’assemblea degli azionisti (10 maggio prossimo), il ministero dell’Economia, titolare del 23,59% del capitale, indica per il Consiglio di amministrazione i consiglieri Alessandro Zehenter, Johanna Arbib Perugia, Fiammetta Salmoni e Olga Cuccurullo.

Confermate, invece, le indiscrezioni sul board di Leonardo, che avrà come ad l’ex ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e come presidente Stefano Pontecorvo. Nella lista del Mef (titolare del 30,2% del capitale), per l’assemblea degli azionisti del 9 maggio, ci sono anche Elena Vasco, Enrica Giorgetti, Francesco Macrì, Trifone Altieri, Cristina Manara e Marcello Sala come consiglieri.

Nessuna ‘sorpresa’ nemmeno al timone di Poste Italiane, perché Matteo Del Fante resta amministratore delegato, ma con Silvia Rovere come presidente. Il dicastero di via XX Settembre, titolare del 29,26% del capitale e per il tramite di Cdp di un ulteriore 35%, nomina anche consiglieri Wanda Ternau, Matteo Petrella, Paolo Marchioni e Valentina Gemignani.

Le nomine dei nuovi vertici di Eni, Enel, Leonardo e Poste sono frutto di un attento percorso di valutazione delle competenze e non delle appartenenze. È un ottimo risultato del lavoro di squadra del governo“, commenta Meloni. Che ringrazia “chi ha servito l’Italia con passione in queste aziende“, mentre augura “ai prossimi amministratori buon lavoro. Il loro compito è quello di ottenere risultati economici solidi e duraturi nell’interesse della nazione che rappresentano in tutto il mondo“.

Resta ora da sciogliere il nodo di Terna. L’attuale ad, Stefano Donnarumma, per mesi dato in procinto di assumere la guida di Enel, al momento non si muove. Anche se i rumors indicano che al suo posto, nella società che gestisce la rete di trasmissione nazionale dell’energia, potrebbe arrivare Giuseppina Di Foggia, oggi ceo e vice presidente di Nokia Italia. Sarebbe la prima donna a capo di una società partecipata, un primato che Giorgia Meloni pare proprio voglia realizzare nella sua esperienza da presidente del Consiglio.

Per Cingolani l’unica alternativa è nucleare: Salvini esulta, Verdi e M5S attaccano

Il nucleare occupa da almeno 30 anni il dibattito pubblico, ma la politica è ancora lontana da una soluzione. Anche perché il tema tocca quasi tutti i gangli nevralgici del nostro Paese: dall’economia all’ambiente, dal sociale all’industria. Anche in questa campagna elettorale è tornato più volte negli interventi dei vari leader o candidati, ma nessuno ha messo nero su bianco un impegno, sia a riprendere il discorso, sia per chiuderlo definitivamente. A riaccendere i riflettori stavolta è un tecnico, Roberto Cingolani, ad oggi ministro della Transizione ecologica del governo Draghi, dunque in carica, anche se per gli affari correnti. Il responsabile del Mite, però, è anche un tecnico. Anzi, per la precisione un fisico esperto di robotica, dunque non estraneo alla materia. “L’indipendenza energetica oggi è anche sociale e finanziaria. Con le rinnovabili non riusciremo a mandare avanti per sempre la manifattura del Paese“, dice ai microfoni di Radio24, introducendo il discorso.

Per Cingolani nel 2040-2050 bisognerà “dare sorgenti continue“, rispettando l’impegno di “uscire da carbone e gas perché producono Co2“. Dunque, “l’unica alternativa è il nucleare” per il ministro. Che poi sottolinea: “Io parlo di quello di nuova generazione, ma se non facciamo questa scelta non riusciremo mai a sbloccarci“, ammonisce. Il discorso tocca corde molto tese, ma nelle parole di Cingolani c’è un orizzonte ben più largo del presente: “Il futuro dei nostri figli lo stiamo bloccando con l’ideologia di oggi“. Non un inedito, il suo pensiero è sempre stato questo, senza mai nasconderlo dietro il politically correct.

Il primo a esultare è Matteo Salvini, che spesso rilancia il nucleare nei suoi appuntamenti di campagna elettorale. “Bene Cingolani – commenta il leader del Carroccio -. Il nucleare moderno è la forma di produzione energetica più pulita e sicura. Chi in Italia dice no al nucleare, dice no ad un futuro di libertà energetica, con emissioni zero e bollette meno care. Per la Lega nessun dubbio: ritorno al nucleare subito“. Rincarando la dose ai microfoni di ‘Un giorno da pecora’, su Rai Radio1: “Il referendum è di qualche annetto fa, sono in corso le ricostruzioni di 55 reattori: dagli stati Uniti al Giappone, dalla Francia alla Romania, non possiamo rimanere gli unici che dicono no. Non è più il Nucleare come quello di Chernobyl“.

Non la pensa così, invece, il M5S. “Non trovo nulla di stucchevole nel fatto che paesaggio e ambiente siano tutelati dalla nostra Costituzione – sostiene il senatore pentastellato, Gianluca Perilli -. Trovo incomprensibile, e totalmente anacronistico, il fatto di mettere i cittadini dinanzi alla scelta tra bisogni energetici e tutela dell’ambiente. Come se le politiche energetiche del futuro non potessero convivere con i nostri paesaggi. L’emergenza non può e non deve rappresentare un motivo valido per violare un principio costituzionale“.

Non tarda nemmeno la risposta di Europa verde: “A Cingolani, la cui visione di futuro è ancora offuscata dal nucleare, vogliamo far notare cosa sta succedendo in Francia dove il Presidente Macron si è visto costretto a ricapitalizzare la Edf in modo da sopperire ai forti debiti e dove i lavori di costruzione della centrale di Flamanville, in Normandia, iniziati nel 2007“, dice Angelo Bonelli. Puntando il dito verso il responsabile del Mite: “Questa campagna di delegittimazione delle rinnovabili condotta dal ministro della Transizione ecologica è inaccettabile. Insegue il passato“. L’impressione, però, è che dell’argomento si sentirà ancora parlare.

Rumors e smentite ma impazza il toto-ministri. Cingolani tra i più ‘contesi’

Il quadro delle alleanze non è ancora definito, i programmi non sono stati depositati, ma come ogni campagna elettorale che si rispetti torna il toto-ministri. Questa volta, a dire il vero, un po’ di ‘colpe’ se le deve prendere il leader della Lega, Matteo Salvini. Perché è stato proprio lui ad accendere la miccia, invitando i suoi alleati del centrodestra a definire prima delle urne almeno un’ossatura di squadra governativa nel caso di vittoria alle urne il prossimo 25 settembre. Finora né Fratelli d’Italia, né tantomeno Forza Italia hanno risposto all’appello guardandosi bene dal fare un passo che molti analisti politici definiscono quantomeno ‘azzardato‘. Soprattutto per una formazione, quella di centrodestra, che tutti i sondaggi danno in largo vantaggio rispetto agli avversari del centrosinistra e anche del centro. Anche perché queste due ultime aree sono ancora in fase di costruzioni, con percorsi visibilmente accidentati.

Se la prudenza non è mai troppa per chi fa politica, l’arte di osare e andare oltre le dichiarazioni di facciata è invece il compito degli osservatori. Soprattutto i media. I primi rumors, così, non tardano ad arrivare e riguardano Giorgia Meloni. Secondo ‘Repubblica‘, la leader di FdI, in un colloquio avuto con Mario Draghi subito dopo le dimissioni, si sarebbe informata con il premier uscente sulle caratteristiche di alcuni ministri. Addirittura chiedendo all’ex Bce consiglio su chi potrebbe essere un asset importante da mettere in campo in un nuovo esecutivo, magari a sua guida. La risposta sarebbe stata Roberto Cingolani e l’ex dg di Bankitalia, Fabio Panetta. Sarebbe, appunto. Perché fonti di Palazzo Chigi non si attardano a smentire il retroscena: “Sono fantasiose e prive di fondamento le ricostruzioni riportate da ‘La Repubblica’ in merito a presunti contatti telefonici del presidente Draghi con Giorgia Meloni, con particolare riferimento a consigli o suggerimenti su nominativi per la composizione della futura compagine di governo“.

La notizia, però, gira a ritmo frenetico. Qualcuno fa il ‘matching‘ con alcune dichiarazioni proprio di Meloni dei giorni scorsi, in cui esprimeva un giudizio tutto sommato positivo sull’azione del ministro della Transizione ecologica. Il diretto interessato non entra nella partita, né per confermare né per smentire. A suo tempo chiarì che non sarebbe stato candidato, tanto che giovedì 4 agosto, in Cdm, lo stesso Draghi ha indirizzato gli auguri di buone vacanze ai ministri non impegnati nella campagna elettorale. Cingolani compreso, che infatti ha ascoltato con un sorriso evidente il premier mentre raccontava questo aneddoto in conferenza stampa dopo la riunione del Consiglio.

Il ‘problema‘, se così vogliamo chiamarlo, è che il rumors è arrivato fino a Lampedusa, dove Salvini è stato giovedì 4 venerdì 5 agosto. In un punto stampa qualcuno la domanda gliela fa. Prima risponde che non commenta i retroscena giornalistici, poi però qualcosa la dice. “Se Cingolani fosse a disposizione ne sarei ben felice: non penso abbia tessere di partito in tasca, però fra i ministri del governo uscente, anche se non ha nulla a che fare con la Lega, mi trovo bene“. Il tema che gli fa apprezzare di più il fisico prestato (temporaneamente) alla politica è il nucleare, su cui il responsabile del Mite è tornato più volte in questi mesi, soprattutto da quando è scoppiata la crisi energetica. Cingolani ne fa una questione teorica: studiamo, recuperando un gap più che ventennale, poi si vedrà. Il segretario del Carroccio, però, vorrebbe farne un punto programmatico: “Così come non si può più rinviare la costruzione del Ponte sullo stretto di Messina, non si può più rimanere tra i pochi grandi Paesi al mondo che non producono energia col nucleare di ultima generazione“.

Un pensiero diametralmente opposto a quello di Nicola Fratoianni, alle prese con la decisione se accettare o meno l’accordo con il Pd. Mentre i Verdi sembrano ormai pronti a firmare, Sinistra italiana sta ancora riflettendo, lasciando il cuore del M5S e di Giuseppe Conte aperto a una speranza, seppur flebile, di accordo. Condividere ‘casa‘ con Carlo Calenda è un problema per Si: a dividerli sono, tra le altre cose, le idee sul rigassificatore di Piombino, sul nuovo termovalorizzatore a Roma e, appunto, il nucleare. La sostanza della fase politica, però, è molto meno articolata rispetto alla discussione su fissione o fusione: al massimo, in vista del 25 settembre, c’è ‘solo‘ il rischio che qualche leader possa restare col cerino in mano.

Varato dl Aiuti: 17 miliardi contro siccità e rincari di energia e gas

Dal disbrigo degli affari correnti ‘allargati‘ nasce il nuovo decreto Aiuti. Un provvedimento corposo, da ben 17 miliardi, di cui 15 dal testo varato ieri pomeriggio in Consiglio dei ministri, più altri 2 miliardi per effetto di norme collegate. Dunque, dopo giorni di attesa è arrivato il via libera alle misure di protezione contro i rincari di luce, gas, acqua e carburanti, oltre alle norme su lavoro e welfare. In realtà si tratta di proroghe della legislazione già in vigore, che comunque finora ha prodotto decreti per un ammontare di 35 miliardi, il costo di almeno una, se non due, manovre finanziarie. “Il metodo che abbiamo utilizzato è quello della condivisione: con le parti sociali, i sindacati, le forze di maggioranza ma anche quelle di opposizione, oltre ovviamente ai ministri. A tutti loro vorrei dire grazie“, esordisce Mario Draghi in conferenza stampa dopo la riunione di Palazzo Chigi.

Il premier tocca diversi argomenti, che hanno un unico filo conduttore: la situazione geopolitica internazionale. “Ci sono nuvole all’orizzonte dovute alla crisi energetica, all’aumento del prezzo del gas e al rallentamento del resto del mondo. Le previsioni sono preoccupanti per il futuro“, spiega. Perché “non bisogna sottacere i problemi: il caro vita, l’inflazione, l’aumento dei prezzi dell’energia e di altri beni, le difficoltà di approvvigionamento, l’incertezza politica non solo nostra ma geopolitica“. Ed è la ragione per cui, pur dimissionario, ha rimesso il governo al lavoro per trovare le risorse utili a rifinanziare molte misure anche nel quarto trimestre dell’anno: dalle riduzioni sulle bollette di luce e gas, al taglio di 25 centesimi sulle accise dei carburanti (anche se soltanto fino al 20 settembre), compreso il gasolio per i mezzi agricoli. Una scelta salutata con soddisfazione da Coldiretti. Che accoglie positivamente i primi 200 milioni per mitigare gli effetti negativi della siccità sulla produzione. Peraltro, con il nuovo dl Aiuti arriva anche la possibilità di dichiarare lo stato di emergenza anche in maniera preventiva rispetto al calcolo dei danni effettivi.

Restano anche i prelievi sugli extraprofitti delle aziende energivore. In questo caso la norma è stata allungata fino al 30 giugno del 2023. Sul punto ha battuto molto Draghi, svelando che “il gettito degli acconti pagati finora è inferiore a quello che sarebbe dovuto essere se gli importi fossero stati tutti pagati“. Per l’ex Bce “non è tollerabile che con le famiglie in difficoltà e il sistema italiano in difficoltà un settore eluda le disposizioni del governo“, ma la sua intenzione è ferma: “Paghino tutto“. Ragion per cui “in questo decreto ci sono provvedimenti che aumentano fortemente le sanzioni e gli obblighi al pagamento“. E se l’antifona non fosse già chiara, il presidente del Consiglio avvisa: “Non escludo che se non avremo una risposta dalle grandi società di produzione elettrica l’esecutivo possa prendere altri provvedimenti“.

Il discorso è inevitabilmente caduto anche sulle grandi sfide in corso. Come quella degli stoccaggi di gas, che “proseguono, vanno avanti e molto bene“, assicura Draghi. Anzi, l’Italia “ha diversificato rapidamente l’offerta, quindi oggi la nostra posizione è decisamente migliore rispetto ad altri Paesi europei per stabilità delle forniture. Tanto è vero che il livello dei nostri stoccaggi è tra più alti in Europa“. Il dato è confermato anche dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani: “Siamo intorno al 74%“. Il responsabile del Mite spiega che “il trend di stoccaggio procede secondo la curva ideale, quella secondo cui ci dovrebbe portare al 90% entro l’inizio del periodo più freddo, orientativamente ottobre-novembre“, garantendo al Paese “una quantità di circa 80-90 milioni di metri cubi al giorno“. Tutto ciò nel bel mezzo di una sostituzione dei 30 miliardi di metri cubi importanti dalla Russia con 25 miliardi da nuovi contratti di fornitura “manteniamo la rotta di decarbonizzazione“. Tra l’altro, “la dipendenza dal gas russo è calata dal 40 al 15% in poche settimane“.

Resta però aperta la questione Piombino. “Metà del nuovo gas è Gnl, che va rigassificato subito“, dice Cingolani. Che torna a ribadire, sempre con forza che “non si può mettere a rischio la sicurezza nazionale perché non si vuole un rigassificatore“.

Draghi si concede anche due battute sulla politica, non di più però. Racconta, con il suo classico sorriso, di aver augurato “buone vacanze ai ministri che non saranno impegnati nella campagna elettorale e ho augurato che si verifichino i loro sogni e i loro desideri a chi, invece, dovrà farla. Sono molto vicino a loro“. Su una sua disponibilità futura a guidare altri altri governi glissa: “Ho già risposto tante volte. Io un nonno al servizio delle istituzioni? Beh, un nonno lo sono… quello è innegabile“. A chi gli chiede numi sulla ormai famigerata ‘Agenda Draghi‘, risponde invece: “Quando sono arrivato non è che ne avessi una, dovevo fare alcune cose. Per cui, questa ‘agenda’ è fatta di risposte pronte ai bisogni dell’economia, ai bisogni delle famiglie più povere e di credibilità, interna e internazionale“. E qui batte il ferro: “Il credito di cui gode l’Italia oggi è la componente più importante del perché l’Italia cresce“. Le luci su Palazzo Chigi si spengono, ma Draghi ancora non chiude la porta dell’ufficio alle sue spalle.

Rinnovabili, il Cdm approva 11 impianti: sbloccati 452 megawatt

Nuovo ‘ossigeno’ nella strategia nazionale di approvvigionamento energetico, con lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Il via libera del Cdm di questo pomeriggio, infatti, sblocca l’iter di ben 11 progetti di impianti di energia eolica. Operazione resa possibile dalle semplificazioni dei procedimenti autorizzativi previsti dal primo decreto Aiuti del governo presieduto da Mario Draghi, approvato nello scorso mese di maggio.

Grazie alle nuove norme, infatti, il Consiglio dei ministri ha potuto deliberare “l’approvazione del giudizio positivo di compatibilità ambientale” relativo a otto progetti da realizzare nel territorio della Puglia e tre in Basilicata, che contano complessivamente una potenza pari a circa 452 megawatt. L’articolo 7 del precedente dl Aiuti, dunque, rendono le deliberazioni del Cdm sostitutive ad ogni effetto del provvedimento di Valutazione d’impatto ambientale, il cosiddetto Via. La decisione di oggi, viene fatto notare in ambienti di governo, è perfettamente in linea con la strategia dell’esecutivo di sostegno al piano di diversificazione delle fonti energetiche.

Anche il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, esprime soddisfazione per il via libera: “Una decisione – spiega – che evidenzia quanto sia prioritario per questo governo l’impegno nello sviluppo di energia da fonti rinnovabili su tutto il territorio nazionale”. Per il responsabile del Mite “si tratta di un’ulteriore accelerazione verso l’indipendenza energetica, la decarbonizzazione e gli obiettivi di sviluppo sostenibile”.

Nel dettaglio, gli otto progetti da realizzare nel territorio della Puglia riguardano Mondonuovo (Comune di Mesagne, Brindisi), per una potenza pari a 54 megawatt, Valleverde (Comune di Bovino, Foggia, in località “Monte Livagni”) e opere di connessione (da ubicare anche nei comuni di Castelluccio dei Sauri e Deliceto, Foggia) per 31,35 megawatt. E ancora il rifacimento parziale e potenziamento (‘repowering’) del parco eolico (Comuni di Motta Montecorvino e Volturara Appula, Foggia), per complessivi 42 megawatt; poi San Pancrazio Torrevecchia (Comune di San Pancrazio Salentino, Brindisi) e relative opere di connessione alla Rete di Trasmissione Nazionale (comuni di Avetrana, Taranto, ed Erchie, Brindisi) per totali 34,5 megawatt, San Severo La Penna (Foggia) e relative opere di connessione, per 47,6 megawatt; San Potito (Ascoli Satriano, Foggia, località Torretta) e relative opere di connessione (Comune di Deliceto, Foggia), per 34,5 mw.

Inoltre, il Cdm dà il via libera al progetto da realizzare nel comune di San Paolo Civitate (Foggia), nelle località Pozzilli, Chiagnemamma, Cerro Comunale, Marana della Difensola–Quarantotto, Masseria Difensola e infrastrutture connesse, che si trovano nel territorio del comune di Torremaggiore (Foggia), nelle località Fari e Rascitore, per una potenza di 42 megawatt; Il Parco Eolico San Severo” (Comune di san Severo, Foggia), con potenza 54 megawatt.

Per quel che concerne, poi, i tre progetti che riguardano la regione Basilicata, si tratta della proroga di cinque anni del termine di validità del provvedimento di valutazione di impatto ambientale per la realizzazione dell’impianto eolico Serra Gagliardi, da realizzare in agro del Comune di Genzano di Lucania (Potenza), per 36 megawatt. Proroga di cinque anni anche del provvedimento di valutazione di impatto ambientale relativo all’impianto eolico Castellani da realizzarsi nel territorio del Maschito e Venosa (Potenza) per 38,995 megawatt. Infine, a Rosamarina (Comune di Lavello, Potenza) disco verde alle opere di connessione nei comuni di Venosa e Melfi, per una potenza complessiva di 37,1 megawatt.

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Cingolani: “Il gas costa un botto, acceleriamo sulle rinnovabili”

Non ci sono dubbi: il prezzo del gas è alle stelle. Una drastica conseguenza della guerra russo-ucraina ma anche della forte speculazione presente sul ‘dark web’ dell’economia italiana. “Paghiamo un botto. Già prima della guerra c’era stato un rialzo per vari motivi, anche speculativi, ma passare da 20 centesimi a 1-1,5 euro è troppo”, esclama il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che nel corso di una conferenza stampa al Mite fa il punto su due dei temi di maggior tendenza in questo periodo: gas e rinnovabili.

L’aggiornamento sul ‘work in progress’ delle rinnovabili da parte del ministro arriva subito: “Il lavoro per l’aumento delle energie pulite procede a ritmi serrati“. Parole che, considerando il caos energetico di Gazprom, delle varie manutenzioni ai gasdotti con il piano di risparmio europeo del 15% e l’autunno sempre più vicino, lasciano spazio a un sospiro di sollievo. Premesso, quindi, che sulla transizione energetica i passi avanti l’Italia li sta compiendo, c’è ancora un tassello da mantenere dal quale non possiamo ancora fare a meno. Quello riguardante il rinvio del phase out delle centrali a carbone, perché servirà a risparmiare 2 miliardi metri cubi di gas. E Cingolani avverte: “Farà un po’ di danno ambientale, ma ci consentirà di accelerare sulle rinnovabili“. Detto questo, “le nuove forniture di gas richiederanno un po’ di tempo per andare a regime ma non sono previste drastiche misure di contenimento a livello industriale“, la sottolineatura.

Riprendendo il discorso sui tre rigassificatori galleggianti, “due saranno operativi tra i prossimi 12-24 mesi”, mentre il terzo è in stallo. Si tratta dell’impianto di Piombino: “Ora c’è un po’ di polemica, faremo di tutto per cercare di alleviare i disagi, ma la sicurezza nazionale passa dal Comune toscano“. L’importante, per il responsabile del Mite è che “Il rigassificatore entri in funzione tra il primo quarto del 2023 e il primo quarto del 2024“, stessa cosa per quello di Ravenna che “è pronto ma serve un tubo di raccordo”.

Resta sempre sul tavolo il discorso relativo al tetto al prezzo del gas. Sulla Borsa, spiega il ministro, “sono stato esplicito anche in sede europea, spiegando che non siamo in economia di mercato ma in economia di guerra, quindi il price cap, che abbiamo chiesto e che l’Ue si è impegnata a presentare una proposta a settembre, diventerebbe un normalizzatore importante“.

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Stop gas da Nord Stream all’Ue? Mcphie: “Situazione seria, prepararsi a ogni scenario”

Il ‘panorama’ energetico sta cambiando. La notizia dell’interruzione, decisa da Gazprom, dei flussi dal gasdotto russo Nord Stream1 per operazioni di “manutenzione”, è un ulteriore allarme che impone all’Ue la necessità di “prepararsi a ogni scenario. Infatti, non è escluso che Mosca possa scegliere di chiudere totalmente – e senza troppi preavvisi – i rubinetti del gas verso l’Europa. Secondo il portavoce della Commissione europea, Tim Mcphie, si tratterebbe di “una situazione molto seria”, che rende urgente “una preparazione a ogni evenienza.

Siamo già di fronte a una situazione in cui la Russia ha interrotto parzialmente o completamente le forniture a 12 Stati membri” dell’Ue, Italia compresa. Nel corso del briefing quotidiano con la stampa, il portavoce ha poi ricordato che il 20 luglio la Commissione europea presenterà un piano per la preparazione e la riduzione della domanda di gas, che “si concentrerà in particolare sugli usi industriali dell’energia per la riduzione dei consumi e fornirà agli Stati membri delle linee guida per essere pronta a tagli più significativi delle forniture valutando anche le implicazioni sul mercato unico e cosa succede se uno Stato membro ha più forniture rispetto a un altro”. Mcphie ha anche annunciato che “l’Unione Europea sta lavorando sul piano REPower EU”, dopo la decisione politica presa a livello di leader di ridurre prima possibile la dipendenza dagli idrocarburi russi.

Intanto, da Eni arriva la notizia che Gazprom, per la giornata di oggi, fornirà alla compagnia italiana “volumi di gas pari a circa 21 milioni di metri cubi/giorno, rispetto a una media degli ultimi giorni pari a circa 32 milioni di metri cubi/giorno”.

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In Italia, la situazione stoccaggi continua a crescere. Secondo i dati – al 9 luglio – Gie Agsi, il nostro Paese è al decimo posto in Europa per quantità di gas stoccato. Infatti, la percentuale ha raggiunto il 63,77%, superiore alla media europea che è del 61,63%. In cima alla classifica c’è il Portogallo (100%), seguito da Polonia (97,23%), Danimarca (82,15%), Spagna (73,1%), Repubblica ceca (72,32%), Francia (67,54)%, Belgio (64,93%), Germania (63,98%), Slovacchia (63,88%). L’obiettivo Ue è arrivare a uno stoccaggio dell’80% entro il primo novembre 2022 e al 90% a partire dal 2023.

Il prossimo passo per l’Italia, secondo il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, è “raggiungere l’indipendenza dalle forniture russe entro la seconda metà del 2024”. E un’altra priorità consiste nell’arrivare ad “avere gli stoccaggi al 90% entro gli ultimi mesi dell’anno”. Questo per non rimanere in carenza di energia il prossimo inverno, che si preannuncia “un pochino più delicato”.

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Cingolani: “Completare 90% stoccaggi gas prima possibile, sarà un inverno delicato”

Crisi energetica? Un effetto di tutti gli errori commessi negli ultimi 20 anni. Il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani, intervenuto all’evento di Enea ‘Azioni per la riduzione del fabbisogno nazionale di gas nel settore residenziale’, accende ancora i riflettori sulla crisi energetica. “Abbiamo deciso che era meglio non produrre gas italiano, avessimo avuto la soddisfazione di dire di aver prodotto meno gas risparmiando un danno all’ambiente, avremmo almeno potuto giustificare questa decrescita. In realtà neanche questo, il consumo di gas è rimasto invariato e la riduzione enorme di produzione nazionale l’abbiamo sostituita importandola dalla Russia“, spiega il ministro. Sottolineando la necessità di rimpiazzare i 30 miliardi di metri cubi di gas provenienti da Mosca: “Non è un’operazione che si fa in un attimo, anche se la diversificazione delle fonti è già stata fatta”, puntualizza Cingolani, ringraziando Eni “per il grande lavoro effettuato”.

L’auspicio più grande ora, spiega il titolare del Mite, è quello di “poter essere ragionevolmente indipendenti dalle forniture russe entro la seconda metà del 2024“. In ogni caso, “dobbiamo assolutamente arrivare ad avere gli stoccaggi al 90% entro gli ultimi mesi dell’anno“. Questo per non rimanere in carenza di energia il prossimo inverno. Che si preannuncia “un pochino più delicato”, dice Cingolani. Ecco perché “dobbiamo arrivare ad avere gli stoccaggi pieni il prima possibile”.

Lo scenario energetico non rimane circoscritto a stoccaggi e risparmio, ma è connesso anche all’emergenza siccità. Su questo fronte, il ministro annuncia che a breve gli italiani riceveranno una serie di messaggi, in particolare su due grandi temi: “Uno è l’acqua, perché tutti sono al corrente di quello che sta succedendo con la siccità, e l’altro è ovviamente l’energia“. I due problemi non sono affatto slegati. Infatti, la mancanza d’acqua “non consente il raffreddamento di alcune centrali termoelettriche” e “l’idroelettrico, non essendoci acqua, produce di meno. È un’azione combinata quella che dobbiamo fare – ha chiarito Cingolani – stiamo pensando di costruire una serie di comunicazioni che che danno suggerimenti di comportamento, di sobrietà nell’uso delle risorse e questo lo stiamo discutendo fra diversi ministeri: penso che sarà fondamentale lanciare questi messaggi a breve, visto che fra un po’ ci sarà la pausa estiva poi comincerà il periodo in cui consumi crescono”.

Crisi idrica, Cingolani: 2 miliardi per tappare la rete colabrodo

Due miliardi del Pnrr serviranno a “tappare il colabrodo”. Copyright di Roberto Cingolani, che proprio non usa mezzi termini per definire la rete infrastrutturale idrica del nostro Paese. Intervenendo alla tappa di Aosta di ‘Italiadomani, dialoghi sul Piano nazionale di ripresa e resilienza’, il ministro della Transizione ecologica tocca diversi temi e quello della siccità resta di strettissima attualità. “Abbiamo previsto 40 nuovi invasi, perché si calcolava che un quarto della precipitazione media annuali garantirebbe tutto il fabbisogno dell’Agricoltura: si tratta solo di raccoglierla questa pioggia. Perché anche se piove di meno, comunque piove“. Il riferimento resta il lavoro svolto sul Pnrr, che Cingolani rivendica con orgoglio: “Dopo un anno sono profondamente soddisfatto, perché abbiamo pensato bene”.

Per rendere l’idea racconta che nel Piano ci sono 4,38 miliardi per fronteggiare la crisi idrica: “Queste cose sono state pensate pensate a febbraio e marzo del 2021, quando non c’era, per mettere in sicurezza un paese che ha diversi problemi”. Ma c’è anche l’energia nelle sue riflessioni: sarebbe impossibile non parlarne. Sebbene il concetto non sia proprio inedito, Cingolani usa comunque un linguaggio chiaro, per usare un eufemismo. Perché ciò che è accaduto con la guerra in Ucraina “ci ha sbattuto in faccia vent’anni di errori nella gestione energetica in questo Paese. Poi ammette: “Sono molto duro su questo: ideologismi di tutti i tipi” il suo ‘j’accuse’. Perché “abbiamo smesso di produrre il nostro gas dicendo che era ecologicamente più sostenibile, ma poi abbiamo comprato dai russi. Ci siamo bastonati da soli”.

Il governo ha avviato con solerzia l’opera di diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Per il ministro della Transizione ecologica è una cosa buona e giusta, a prescindere dalla necessità di affrancarsi da Mosca. Anche se “importiamo ogni anno 30 miliardi di gas da un solo fornitore, quando ne consumiamo 76 miliardi ogni anno, è un po’ un suicidio”. Ad ogni modo “ne abbiamo sostituiti 25 miliardi in 8 settimane” grazie ad accordi stretti “con 6 fornitori diversi, più piccoli” e “permettendoci il lusso” di rinunciare scientemente a 5 miliardi di metri cubi perché “sappiamo già che li sostituiamo con le rinnovabili che, grazie al Pnrr, abbiamo accelerato con le semplificazioni”. Per inciso “ad oggi, nei primi sei mesi di quest’anno, le richieste di nuovi allacciamenti sono oltre miliardi di watt, 9 gigawatt”.

Cingolani veicola un altro messaggio: a parte che “non ho mai fatto politica e non voglio farla”, ma “andrebbe fatto uno sforzo, ogni anno, destinando il 2% del Pil, che è in mano ai ministeri, per indirizzarlo su programmi di lungo termine. Al di là del colore politico”. Lo ha detto anche al premier, Mario Draghi, ieri, durante una riunione del Comitato interministeriale sulla Transizione ecologica. L’esempio è il Pnrr. Chissà se (e da chi) sarà ascoltato il suo suggerimento.