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Stop gas da Nord Stream all’Ue? Mcphie: “Situazione seria, prepararsi a ogni scenario”

Il ‘panorama’ energetico sta cambiando. La notizia dell’interruzione, decisa da Gazprom, dei flussi dal gasdotto russo Nord Stream1 per operazioni di “manutenzione”, è un ulteriore allarme che impone all’Ue la necessità di “prepararsi a ogni scenario. Infatti, non è escluso che Mosca possa scegliere di chiudere totalmente – e senza troppi preavvisi – i rubinetti del gas verso l’Europa. Secondo il portavoce della Commissione europea, Tim Mcphie, si tratterebbe di “una situazione molto seria”, che rende urgente “una preparazione a ogni evenienza.

Siamo già di fronte a una situazione in cui la Russia ha interrotto parzialmente o completamente le forniture a 12 Stati membri” dell’Ue, Italia compresa. Nel corso del briefing quotidiano con la stampa, il portavoce ha poi ricordato che il 20 luglio la Commissione europea presenterà un piano per la preparazione e la riduzione della domanda di gas, che “si concentrerà in particolare sugli usi industriali dell’energia per la riduzione dei consumi e fornirà agli Stati membri delle linee guida per essere pronta a tagli più significativi delle forniture valutando anche le implicazioni sul mercato unico e cosa succede se uno Stato membro ha più forniture rispetto a un altro”. Mcphie ha anche annunciato che “l’Unione Europea sta lavorando sul piano REPower EU”, dopo la decisione politica presa a livello di leader di ridurre prima possibile la dipendenza dagli idrocarburi russi.

Intanto, da Eni arriva la notizia che Gazprom, per la giornata di oggi, fornirà alla compagnia italiana “volumi di gas pari a circa 21 milioni di metri cubi/giorno, rispetto a una media degli ultimi giorni pari a circa 32 milioni di metri cubi/giorno”.

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In Italia, la situazione stoccaggi continua a crescere. Secondo i dati – al 9 luglio – Gie Agsi, il nostro Paese è al decimo posto in Europa per quantità di gas stoccato. Infatti, la percentuale ha raggiunto il 63,77%, superiore alla media europea che è del 61,63%. In cima alla classifica c’è il Portogallo (100%), seguito da Polonia (97,23%), Danimarca (82,15%), Spagna (73,1%), Repubblica ceca (72,32%), Francia (67,54)%, Belgio (64,93%), Germania (63,98%), Slovacchia (63,88%). L’obiettivo Ue è arrivare a uno stoccaggio dell’80% entro il primo novembre 2022 e al 90% a partire dal 2023.

Il prossimo passo per l’Italia, secondo il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, è “raggiungere l’indipendenza dalle forniture russe entro la seconda metà del 2024”. E un’altra priorità consiste nell’arrivare ad “avere gli stoccaggi al 90% entro gli ultimi mesi dell’anno”. Questo per non rimanere in carenza di energia il prossimo inverno, che si preannuncia “un pochino più delicato”.

Al G7 raggiunta intesa su price cap per gas e petrolio

Non solo il petrolio, come desiderava da principio Joe Biden, ma anche il gas, come auspicava (da molto prima dell’ultimo Consiglio europeo) Mario Draghi. Al G7 di Garmish, in coda a una lunedì di straordinaria intensità operativa, si è raggiunta l’intesa per mettere un tetto ai prezzi dei prodotti energetici più ‘gettonati’ del pianeta. Toccherà proprio ai ministri ‘energetici’ fare in modo che questa linea di condotta comune ai Sette Grandi passi dallo stato teorico a quello pratico.

Perché c’è “urgenza” di fare in maniera che i prezzi di gas e petrolio, segnatamente forniti dalla Russia, non siano più soggetti a manovre speculative, mettendo sotto controllo l’impennata delle bollette e, per estensione del concetto, l’inflazione. I negoziati hanno partorito l’agognato sì alle nove della sera, quando di solito ci si accomoda al tavolo per consumare la cena, superando perplessità (Germania) e ritrosie (Francia), dando in qualche modo ragione alla linea italiana che punta sul price cap almeno da un paio di mesi. Il premier, tornato dal Consiglio europeo con una mezza vittoria (avrebbe voluto una convocazione straordinaria per luglio, in realtà se ne parlerà a ottobre), questa volta può sorridere consapevole che ha ottenuto al G7 ciò che non gli è riuscito pienamente a livello europeo. “Dobbiamo continuare a lavorare su come imporre un tetto al prezzo del gas”, aveva insistito Draghi mentre le delegazioni tecniche stavano ancora pensando al modo più proficuo per raggiungere il risultato finale.

Il preludio all’accordo di poche ore dopo, quasi che il premier avesse capito che la discussione stava per incanalarsi per il verso giusto. A monte di tutto, l’obiettivo è abbastanza chiaro. Non solo sotto il profilo militare, ma anche geopolitico – e quindi energetico – Vladimir Putin non deve vincere: al G7 se ne sono fatti una ragione, passando sopra a qualsiasi dubbio. Nella conferenza stampa di oggi verrà spiegato tutto questo e, magari, altro ancora.

G7, coordinamento tra leader su sicurezza energetica e alimentare

Scendono in campo i leader. Unione Europea, Stati Uniti, G7, a cercare soluzioni coordinate alle crisi scatenate dall’invasione russa in Ucraina: alimentare ed energetica, in primis. “Siamo uniti e determinati a sostenere la produzione e l’esportazione di grano, olio e altri prodotti agricoli e promuoveremo iniziative coordinate che stimolino la sicurezza alimentare globale“. È quanto si legge nelle conclusioni del vertice dei leader G7 in Baviera, che intimano al Cremlino di cessare “senza condizioni” gli attacchi alle infrastrutture agricole e di trasporto dei cereali, oltre a “consentire il libero passaggio delle spedizioni dai porti ucraini nel Mar Nero.

L’aggressione armata russa, “caratterizzata da bombardamenti, blocchi e furti“, in questi mesi ha “gravemente impedito” a Kiev di esportare prodotti agricoli, con “forti aumenti dei prezzi e dell’insicurezza alimentare per milioni di persone“. Una situazione che il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha definito un “missile alimentare lanciato dalla Russia contro i più vulnerabili“, dopo il confronto con il presidente dell’Unione Africana, Macky Sall: “Sostengo personalmente il suo appello perché diventi membro del G20“, ha commentato, sottolineando la necessità di “ripetere con l’Africa ciò che abbiamo fatto con i vaccini“, ovvero “sostenere la produzione locale di fertilizzanti sostenibili per migliorare la produzione“.

Ma è l’energia a occupare il nucleo centrale delle discussioni tra i leader di Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Stati Uniti (alla presenza di quelli Ue). In un incontro aperto anche ad Argentina, India, Indonesia, Senegal e Sudafrica, è stato concordato di “esplorare le opzioni per decarbonizzare il mix energetico e accelerare la transizione dalla dipendenza dai combustibili fossili”. A questo si aggiunge la “rapida espansione” delle fonti rinnovabili e l’efficienza energetica. Alla base dell’accordo globale c’è la collaborazione sulle riforme delle politiche energetiche per “accelerare la decarbonizzazione delle economie verso l’azzeramento delle emissioni“, garantendo allo stesso tempo “l’accesso universale a un’energia sostenibile e a prezzi accessibili“.

Discussioni che riguardano da vicino i Paesi Ue e l’intesa con il maggiore tra i partner, gli Stati Uniti del presidente Joe Biden. Nella dichiarazione congiunta, firmata dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è stato messo nero su bianco che Bruxelles e Washington intensificheranno gli sforzi per “ridurre ulteriormente le entrate della Russia derivanti dall’energia nei prossimi mesi“, ma anche “la dipendenza dell’Ue dai combustibili fossili russi, diminuendo la domanda di gas naturale, cooperando sulle tecnologie di efficienza energetica e diversificando le forniture“. Una risposta coordinata che passa dalla task force Ue-Stati Uniti sulla sicurezza energetica europea (istituita il 25 marzo), per rispondere al “continuo utilizzo del gas naturale come arma politica ed economica“, che “ha esercitato pressioni sui mercati, aumentato i prezzi per i consumatori e minacciato la sicurezza energetica globale“.

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Draghi: “Dipendenza da gas russo scesa al 25%, stoccaggi procedono bene”

Stanno arrivando i primi risultati provenienti dagli sforzi fatti per diversificare le forniture di gas, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dall’energia russa. Durante la conferenza stampa che si è tenuta al termine del Consiglio europeo, il premier Mario Draghi ha analizzato con una certa soddisfazione gli sviluppi di una situazione da monitorare costantemente per colpa della guerra russo-ucraina: “Voglio ricordare che l’anno scorso dipendevamo per il 40% dal gas russo, oggi siamo arrivati al 25%, quindi le misure che il governo ha messo in campo già dall’inizio della guerra si stanno rivelando utili“, l’annuncio. In altre parole gli altri fornitori di gas cominciano a sostituire il flusso in arrivo dalla Russia. E non solo: “Per gli stoccaggi ci stiamo preparando per l’inverno e, al momento, stanno andando molto bene“.

Per quanto riguarda invece il discorso relativo al price cap, l’obiezione è solo una: “La paura di nuovi tagli da Mosca”, avverte Draghi. “Ci deve essere solidarietà, ma anche una risposta alle richieste di controllare il tetto sul prezzo del gas”. Nonostante la proposta avanzata dal premier di convocare un vertice straordinario a luglio per affrontare l’argomento, i piani per la Ue restano quelli di discuterne solo all’Eurosummit, che avrà luogo a ottobre. Ma c’è comunque soddisfazione: “Immaginavo – spiega l’ex presidente Bce – che alla fine saremmo finiti nel solito rinvio, con un linguaggio un po’ vago“. Al contrario, “le cose si stanno muovendo, ma le cose non vengono da sole e spesso non subito o non così rapidamente”. In ogni caso, Draghi è sicuro che al G7 se ne parlerà: “Gli Usa sono consapevoli delle difficoltà che stiamo incontrando per le sanzioni, che sono molto pesanti per noi. Gli Stati Uniti hanno già deciso qualche misura di aiuto nel portare gas liquido in Europa, ma sono cifre molto contenute ancora. Sono preoccupati soprattutto del prezzo del petrolio, in quel senso è stata avanzata l’ipotesi di un price cap” anche per il greggio.

(Photo credits: JOHN THYS / AFP)

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Tajani: “Se Russia taglia gas sono problemi, più autosufficienza”

La questione energetica continua ad agitare la politica europea. Un rischio di tagli delle forniture russe verso l’Ue è uno scenario che nessuno auspica, ma che comunque entra prepotentemente nella agende non solo nazionali, tanto è vero che il tema è stato oggetto di confronto anche attorno al tavolo del Partito popolare europeo (Ppe), riunito come consuetudine prima del vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue. “Se la Russia smette di inviare gas sono problemi”, riconosce Antonio Tajani, coordinatore unico di Forza Italia e vicepresidente del Ppe, nel colloquio concesso a Gea a margine dei lavori. “Ci auguriamo che non succeda, ovviamente”, ma in ogni caso quello che serve è uno sforzo collettivo per trovarsi preparati se mai il peggio dovesse concretizzarsi. “Dobbiamo accelerare sui tempi dell’autosufficienza energetica”, il che vuol dire investimenti e politiche mirate. I primi vanno stimolati, le seconde varate con priorità assoluta.

L’autosufficienza energetica passa anche per un maggior ricorso al gas petrolio liquefatto, il Gnl che l’Ue ha iniziato ad acquistare sul mercato, soprattutto quello nordamericano. Ma anche qui “occorre accelerare”, insiste Tajani. “Servono rigassificatori”, che l’Europa degli Stati al momento non ha. “Ne servono più di quanti ce ne sono” attualmente. È una consapevolezza diffusa, attorno al tavolo del centro-destra europea, che “rifiuta di chiudere gli occhi di fronte a queste sfide impegnative”. Un passaggio contenuto anche nella dichiarazione del Ppe diffusa alla fine summit. “Abbiamo discusso anche della situazione economica”, spiega ancora Tajani, perché se il possibile taglio alle consegne di gas russo sono un’eventualità, il problema dei prezzi dell’energia è già un problema reale, che si ripercuote sul tessuto produttivo e le prospettive di crescita dell’Europa.

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Draghi: “Risoluzione dell’Onu per sbloccare il grano”

Il conflitto in corso tra Russia e Ucraina rischia di creare una crisi umanitaria di dimensioni straordinarie e, tra la ‘guerra del grano’ e la riduzione delle forniture di gas russo all’Europa, il grido d’allarme si fa sempre più forte. Questa volta proviene direttamente dal premier, Mario Draghi: “Dobbiamo muoverci con rapidità e decisione per tutelare i cittadini Ue dalle ricadute innescate dalla guerra”.

Uno dei tasselli che compongono questa possibile ‘crisi umanitaria’ riguarda proprio l’emergenza relativa al blocco di milioni di tonnellate di cereali nei porti che, oltretutto, rischiano di marcire. “Le proiezioni fornite dall’Ucraina indicano che la produzione di frumento potrebbe calare tra il 40 e il 50% rispetto all’anno scorso“, spiega Draghi nelle comunicazioni in Senato in vista del prossimo Consiglio europeo. “Dopo vari tentativi falliti – aggiunge – non vedo alternativa a una risoluzione delle Nazioni Unite che definisca i tempi dell’operazione di sblocco del grano fermo nei porti ucraini e lo sminamento delle acque antistanti e dove l’Onu garantisca, sotto la propria egida, la sua esecuzione“.

L’ex capo della Bce dirige poi l’attenzione su piani e prospettive dell’Italia: “Continueremo a lavorare con l’Unione europea e i nostri partner del G7 per sostenere l’Ucraina, ricercare la pace, superare questa crisi. Questo è il mandato che il governo ha ricevuto dal Parlamento. Questa è la guida per la nostra azione“.

Un’azione che sta prendendo piede poco a poco ma che ha già regalato risultati sorprendenti. Per fare un esempio: se la Russia, da una parte, riduce le forniture di gas al Paese, dall’altra noi “stringiamo accordi importanti con vari Paesi fornitori, dall’Algeria all’Azerbaijan, e promuoviamo nuovi investimenti anche sulle rinnovabili”, precisa il premier. “Grazie a queste misure potremmo ridurre in modo significativo la nostra dipendenza dal gas russo già dall’anno prossimo”. Così Draghi apre uno spiraglio di speranza su quello che sarà il prossimo futuro. Un futuro non più incerto ma basato su fatti concreti e su una maggiore indipendenza geopolitica.

Infine, il premier rivolge al Senato un sentito ringraziamento: “Grazie per il sostegno nell’aiutare l’Ucraina a difendere la libertà e la democrazia, a continuare con le sanzioni contro il Paese invasore, a sostenere il potere d’acquisto degli italiani, a cercare di fare di tutto per evitare la tragedia della crisi alimentare nei Paesi più poveri del mondo, a continuare insomma sulla strada disegnata dal decreto 14 del 2022”.  Il sostegno è stato unito e l’unità, come molti hanno osservato, “è essenziale, specialmente in questi momenti“.

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Gazprom conferma che l’asse Russia-Cina è solido e scatta la corsa agli stoccaggi

Se sono coincidenze, sono davvero curiose: Gazprom taglia i rifornimenti di gas all’Europa, segnatamente alla Germania (60%), all’Italia (15%) e all’Austria; in contemporanea, negli ultimi cinque mesi ha aumentato ‘solo’ del 65% le forniture alla Cina. Siccome non sono coincidenze, al di là delle giustificazioni di facciata confezionate a uso stampa da Gazprom, ovvero un banale problema di turbine, la realtà reale è che si tratta di ritorsioni, insomma la risposta pratica – sotto un certo aspetto persino tardiva – alle sanzioni che sono state imposte alla Russia dall’Unione europea.

Non c’è da sorprendersi, anzi era persino prevedibile che il Cremlino prima o poi avrebbe reagito; c’è da riflettere, piuttosto, sul fatto che viene ‘girata’ agli amici cinesi la stessa quantità di gas sfilata all’Europa. E questo dettaglio non proprio marginale spiega bene quanto sia solido il legame che unisce Putin a Xi, al di là dei contenuti ufficiali usciti dalla telefonata di mercoledì, là dove il leader cinese ha chiesto a quello russo di porre fine al conflitto in Ucraina, eccetera eccetera. Mosca e Pechino dialogano fitto, Mosca vuole spostare più a Est possibile i propri affari, Pechino vuole evitare che una Russia fiaccata dalla guerra venga presa in mezzo da Stati Uniti e Nato. Per gli analisti di geopolitica e di economia, il 2023 e il 2024 saranno ancora stagioni tormentate di rapporti e di conti economici, per i cittadini europei si profilano anni durissimi.

In attesa che prendano consistenza gli accordi allacciati dall’Italia con Congo, Angola, Algeria, Israele, Qatar e che l’Europa continui a fare la sua parte (leggi la recente missione di Ursula von der Leyen a Tel Aviv e Il Cairo), l’unica soluzione praticabile per vivere il prossimo inverno senza l’angoscia di rimanere al freddo è quella degli stoccaggi. Perché la distribuzione delle nuove forniture, il rifiorire (controverso) di rigassificatori galleggianti, l’acquisto di navi metaniere, la sburocratizzazione delle rinnovabili, richiede molto tempo. Troppo per fronteggiare l’emergenza. Ma gli stoccaggi, a loro volta, subiranno un naturale rallentamento, come ha sottolineato Roberto Cingolani, il ministro della Transizione ecologica. Eppure continua a essere quella l’unica soluzione a presa rapida e sicuramente la meno dolorosa: confidando sempre nella diplomazia europea per fare ragionare Putin e Zelensky.

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Di Maio: “La guerra del grano provocherà una catastrofe senza precedenti”

Le tensioni e le problematiche geopolitiche di questo periodo storico non rimangono circoscritte agli affari pubblici e ai contrasti interni ai singoli Paesi coinvolti nel conflitto. Come ripetuto più volte negli ultimi giorni, ormai la guerra Russia-Ucraina coinvolge il mondo intero. E ora è la ‘vicenda grano‘ quella che preoccupa maggiormente. Perché, ad ascoltare il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, “parlare di ‘guerra del grano‘ non significa più alimentare finte paure, ma guardare con realismo in prospettiva a quello che può succedere“. Il titolare della Farnesina è stato netto nell’affrontare il discorso relativo alla sicurezza alimentare in occasione della sua visita in Etiopia, ad Addis Abeba.

Tornando alla questione grano, chi saranno le vittime? Tutti noi e in particolare i bambini. Di Maio è stato chiaro nel dirlo, parlando di “una catastrofe alimentare senza precedenti“. Per questa ragione la situazione va sbloccata, le navi devono poter lasciare i porti con i loro carichi di cereali, la fame deve essere combattuta non solo a parole. Il ministro degli Esteri ha poi tracciato gli obiettivi dell’Italia: “Ci impegneremo in prima linea per trovare soluzioni volte a garantire la sicurezza alimentare dei Paesi più esposti alle conseguenze del conflitto, a cominciare da quelli del continente africano“. Tuttavia, senza aperture concrete da parte della Russia, sarà difficile scongiurare questo drammatico scenario. “È necessario che Putin metta fine alla guerra e sblocchi l’export del grano. Se ciò non accadrà gli effetti di questa doppia guerra saranno devastanti“, la sottolineatura di Di Maio.

Quasi all’improvviso, il continente africano è diventato centrale per l’Italia. “I rapporti intrapresi con i Paesi africani – in particolare con l’Etiopia – riguardano diversi fronti”, ha assicurato il ministro. Tra questi l’energia, la sicurezza, l’emigrazione, il commercio e la cooperazione allo sviluppo. “La mia missione conferma la nostra volontà di rafforzare il partenariato tra il nostro Paese e l’Africa“, la dichiarazione del ministro, che ha poi ribadito l’attenzione dell’Italia ai dossier africani, con un filo rosso che lega pace, stabilità e sicurezza, contrasto alla migrazione incontrollata e terrorismo, i cui campanelli di allarme non devono mai rimanere inascoltati.

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Draghi: “Con price cap inflazione meno pericolosa”

Non abbiamo scuse per tradire i nostri obiettivi climatici. L’emergenza energetica in atto deve essere un motivo per raddoppiare i nostri sforzi. Con questo avvertimento il presidente del Consiglio, Mario Draghi, intende diffondere un messaggio forte e chiaro: “Dobbiamo continuare a facilitare l’espansione delle energie rinnovabili – sia nei Paesi ad alto che a basso reddito – e promuovere ulteriormente la ricerca e lo sviluppo di nuove soluzioni energetiche pulite”. Ciò significa, ad esempio, rafforzare l’architettura verde dell’idrogeno e sviluppare reti intelligenti e resilienti.

All’apertura del meeting ministeriale dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), il premier ha ripercorso le tappe degli ultimi sviluppi riguardanti il tema dell’energia e della sempre più ‘imminente’ crisi alimentare. Innanzitutto, “accelerare la transizione energetica è essenziale per passare a un modello di crescita più sostenibile e, allo stesso tempo, ridurre la nostra dipendenza dalla Russia“, ha detto Draghi.

Per sciogliere il legame con Mosca una delle vie d’uscita più concrete, al momento, è l’imposizione del tetto ai prezzi delle importazioni del gas. Secondo il presidente del Consiglio, infatti, limiterebbe l’aumento del tasso di inflazione, sosterrebbe i redditi disponibili e ridurrebbe i nostri flussi finanziari verso la Russia“. Esiste anche un’ipotesi molto valida per l’impiego di trasferimenti statali diretti, mirati ai più poveri, mantenendo la sostenibilità delle finanze pubbliche. “Responsabilità e solidarietà devono andare di pari passo, a livello nazionale ed europeo”, ha raccomandato Draghi.

In merito alla crisi alimentare, soggetta a numerosi dibattiti nel corso dei giorni scorsi, il premier ha ribadito che dobbiamo affiancare la stessa determinazione nell’aiutare i nostri cittadini e quelli delle zone più povere del mondo, in particolare l’Africa. “I nostri sforzi per prevenire una crisi alimentare devono partire dai porti ucraini del Mar Nero. Dobbiamo sbloccare i milioni di tonnellate di cereali che sono bloccati lì a causa del conflitto“, la sottolineatura. “L’interruzione delle catene di approvvigionamento alimentare – in particolare del grano – ha fatto lievitare i prezzi e rischia di provocare una catastrofe umanitaria“, ha avvertito Draghi, consapevole che la collaborazione internazionale possa essere l’unico strumento per sollevarsi da questa emergenza globale.

Fumata bianca al vertice Ue: trovato accordo su embargo a petrolio russo

Fumata bianca. Dopo oltre tre settimane di impasse, i capi di stato e governo hanno trovato nella tarda serata tra lunedì e martedì un accordo politico per tagliare il 90% delle importazioni di petrolio da Mosca entro la fine dell’anno, sbloccando il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia proposto dalla Commissione Ue lo scorso 4 maggio.
Ad annunciarlo in un tweet il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, chiudendo i lavori della prima giornata di Vertice Ue che proseguiranno questa mattina a Bruxelles.

COSA PREVEDE L’ACCORDO

L’accordo di principio raggiunto a fatica dai leader sull’embargo consentirà di tagliare nell’immediato più di due terzi delle importazioni di greggio dalla Russia, ovvero tutto quello importato via mare, ed entro la fine dell’anno bandire il 90% del petrolio importato in Europa. L’accordo – che dovrà essere finalizzato nei dettagli mercoledì dal Consiglio dell’Ue – in sostanza lascia fuori temporaneamente il petrolio greggio importato attraverso gli oleodotti e riguarderà solo quello in arrivo via mare. I governi hanno dovuto esentare il passaggio tramite oleodotto per andare incontro alle richieste dell’Ungheria, tra i Paesi senza sbocco sul mare e dipendente per il 65% dalle importazioni di greggio russo e che per settimane ha posto il veto sull’embargo.

VERSO STOP AL 90% DEL GREGGIO

Circa ⅔ del petrolio importato dalla Russia in Europa arriva via mare, il restante ⅓ attraverso oleodotto. La quota del 90% annunciata dai vertici comunitari si spiega perché la Germania e la Polonia – che potrebbero beneficiare dell’esenzione prevista per gli oleodotti – si sono impegnate al Vertice a porre fine alle loro importazioni di greggio via l’oleodotto Druzhba. Attraverso questo impianto passa circa un terzo del petrolio russo importato nell’Unione Europea. Il tracciato settentrionale dell’oleodotto trasporta il greggio in Germania e in Polonia, la parte meridionale invece in Ungheria e anche Slovacchia. Berlino e Varsavia si sono impegnate a chiudere i rifornimenti dal tracciato settentrionale. Sommando quindi il 75% del petrolio importato via mare in regime di embargo e la quota di greggio via oleodotto a cui rinunceranno Polonia e Germania entro fine anno, si arriva a oltre il 90% di petrolio russo menzionato dai vertici Ue. Rimane ora da capire in quali tempi i leader prevedono di porre fine anche al tracciato meridionale rimasto, che corrisponde al restante 10% di petrolio importato.

UE: “GRANDE PASSO IN AVANTI”

I capi di stato e governo si sono impegnati nel testo delle conclusioni a tornare “quanto prima sulla questione dell’eccezione temporanea per il greggio consegnato tramite oleodotto”, si legge. Per fare in modo, ha precisato Michel ai giornalisti, di andare a colpire “tutto il petrolio russo”. “Torneremo presto sulla questione di quel restante 10% del petrolio dell’oleodotto”, ha assicurato anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, scesa in conferenza stampa al termine del Vertice, salutando l’accordo di principio come un “grande passo in avanti”. Solo poche ore prima, in entrata al Summit, la presidente si era detta poco ottimista che un accordo sarebbe stato raggiungibile nelle 48 ore di Vertice.
Nel testo delle conclusioni i leader si sono accordati per introdurre misure di emergenza per garantire “la sicurezza dell’approvvigionamento” in caso di tagli alle forniture dalla Russia (come sta accadendo per il gas). Budapest ha chiesto maggiori garanzie dall’Ue in caso di brusche interruzioni e, secondo quanto riferito da von der Leyen in conferenza stampa, la Croazia ha dato disponibilità ad aumentare la capacità di petrolio trasportata dall’oleodotto di Adria, che passa proprio in Croazia, Serbia e Ungheria con diramazioni verso la Slovenia e la Bosnia ed Erzegovina, che potrebbero essere deviate verso Budapest in caso di necessità. Per questo aumento di capacità servirà un intervallo di tempo “da 45 a 60 giorni”, ha stimato la presidente. Ha aggiunto che serviranno investimenti per riqualificare le raffinerie ungheresi “adattate al petrolio russo”.

(Photo by JOHN THYS / AFP)