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Gazprom conferma che l’asse Russia-Cina è solido e scatta la corsa agli stoccaggi

Se sono coincidenze, sono davvero curiose: Gazprom taglia i rifornimenti di gas all’Europa, segnatamente alla Germania (60%), all’Italia (15%) e all’Austria; in contemporanea, negli ultimi cinque mesi ha aumentato ‘solo’ del 65% le forniture alla Cina. Siccome non sono coincidenze, al di là delle giustificazioni di facciata confezionate a uso stampa da Gazprom, ovvero un banale problema di turbine, la realtà reale è che si tratta di ritorsioni, insomma la risposta pratica – sotto un certo aspetto persino tardiva – alle sanzioni che sono state imposte alla Russia dall’Unione europea.

Non c’è da sorprendersi, anzi era persino prevedibile che il Cremlino prima o poi avrebbe reagito; c’è da riflettere, piuttosto, sul fatto che viene ‘girata’ agli amici cinesi la stessa quantità di gas sfilata all’Europa. E questo dettaglio non proprio marginale spiega bene quanto sia solido il legame che unisce Putin a Xi, al di là dei contenuti ufficiali usciti dalla telefonata di mercoledì, là dove il leader cinese ha chiesto a quello russo di porre fine al conflitto in Ucraina, eccetera eccetera. Mosca e Pechino dialogano fitto, Mosca vuole spostare più a Est possibile i propri affari, Pechino vuole evitare che una Russia fiaccata dalla guerra venga presa in mezzo da Stati Uniti e Nato. Per gli analisti di geopolitica e di economia, il 2023 e il 2024 saranno ancora stagioni tormentate di rapporti e di conti economici, per i cittadini europei si profilano anni durissimi.

In attesa che prendano consistenza gli accordi allacciati dall’Italia con Congo, Angola, Algeria, Israele, Qatar e che l’Europa continui a fare la sua parte (leggi la recente missione di Ursula von der Leyen a Tel Aviv e Il Cairo), l’unica soluzione praticabile per vivere il prossimo inverno senza l’angoscia di rimanere al freddo è quella degli stoccaggi. Perché la distribuzione delle nuove forniture, il rifiorire (controverso) di rigassificatori galleggianti, l’acquisto di navi metaniere, la sburocratizzazione delle rinnovabili, richiede molto tempo. Troppo per fronteggiare l’emergenza. Ma gli stoccaggi, a loro volta, subiranno un naturale rallentamento, come ha sottolineato Roberto Cingolani, il ministro della Transizione ecologica. Eppure continua a essere quella l’unica soluzione a presa rapida e sicuramente la meno dolorosa: confidando sempre nella diplomazia europea per fare ragionare Putin e Zelensky.

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Di Maio: “La guerra del grano provocherà una catastrofe senza precedenti”

Le tensioni e le problematiche geopolitiche di questo periodo storico non rimangono circoscritte agli affari pubblici e ai contrasti interni ai singoli Paesi coinvolti nel conflitto. Come ripetuto più volte negli ultimi giorni, ormai la guerra Russia-Ucraina coinvolge il mondo intero. E ora è la ‘vicenda grano‘ quella che preoccupa maggiormente. Perché, ad ascoltare il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, “parlare di ‘guerra del grano‘ non significa più alimentare finte paure, ma guardare con realismo in prospettiva a quello che può succedere“. Il titolare della Farnesina è stato netto nell’affrontare il discorso relativo alla sicurezza alimentare in occasione della sua visita in Etiopia, ad Addis Abeba.

Tornando alla questione grano, chi saranno le vittime? Tutti noi e in particolare i bambini. Di Maio è stato chiaro nel dirlo, parlando di “una catastrofe alimentare senza precedenti“. Per questa ragione la situazione va sbloccata, le navi devono poter lasciare i porti con i loro carichi di cereali, la fame deve essere combattuta non solo a parole. Il ministro degli Esteri ha poi tracciato gli obiettivi dell’Italia: “Ci impegneremo in prima linea per trovare soluzioni volte a garantire la sicurezza alimentare dei Paesi più esposti alle conseguenze del conflitto, a cominciare da quelli del continente africano“. Tuttavia, senza aperture concrete da parte della Russia, sarà difficile scongiurare questo drammatico scenario. “È necessario che Putin metta fine alla guerra e sblocchi l’export del grano. Se ciò non accadrà gli effetti di questa doppia guerra saranno devastanti“, la sottolineatura di Di Maio.

Quasi all’improvviso, il continente africano è diventato centrale per l’Italia. “I rapporti intrapresi con i Paesi africani – in particolare con l’Etiopia – riguardano diversi fronti”, ha assicurato il ministro. Tra questi l’energia, la sicurezza, l’emigrazione, il commercio e la cooperazione allo sviluppo. “La mia missione conferma la nostra volontà di rafforzare il partenariato tra il nostro Paese e l’Africa“, la dichiarazione del ministro, che ha poi ribadito l’attenzione dell’Italia ai dossier africani, con un filo rosso che lega pace, stabilità e sicurezza, contrasto alla migrazione incontrollata e terrorismo, i cui campanelli di allarme non devono mai rimanere inascoltati.

Draghi

Draghi: “Con price cap inflazione meno pericolosa”

Non abbiamo scuse per tradire i nostri obiettivi climatici. L’emergenza energetica in atto deve essere un motivo per raddoppiare i nostri sforzi. Con questo avvertimento il presidente del Consiglio, Mario Draghi, intende diffondere un messaggio forte e chiaro: “Dobbiamo continuare a facilitare l’espansione delle energie rinnovabili – sia nei Paesi ad alto che a basso reddito – e promuovere ulteriormente la ricerca e lo sviluppo di nuove soluzioni energetiche pulite”. Ciò significa, ad esempio, rafforzare l’architettura verde dell’idrogeno e sviluppare reti intelligenti e resilienti.

All’apertura del meeting ministeriale dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), il premier ha ripercorso le tappe degli ultimi sviluppi riguardanti il tema dell’energia e della sempre più ‘imminente’ crisi alimentare. Innanzitutto, “accelerare la transizione energetica è essenziale per passare a un modello di crescita più sostenibile e, allo stesso tempo, ridurre la nostra dipendenza dalla Russia“, ha detto Draghi.

Per sciogliere il legame con Mosca una delle vie d’uscita più concrete, al momento, è l’imposizione del tetto ai prezzi delle importazioni del gas. Secondo il presidente del Consiglio, infatti, limiterebbe l’aumento del tasso di inflazione, sosterrebbe i redditi disponibili e ridurrebbe i nostri flussi finanziari verso la Russia“. Esiste anche un’ipotesi molto valida per l’impiego di trasferimenti statali diretti, mirati ai più poveri, mantenendo la sostenibilità delle finanze pubbliche. “Responsabilità e solidarietà devono andare di pari passo, a livello nazionale ed europeo”, ha raccomandato Draghi.

In merito alla crisi alimentare, soggetta a numerosi dibattiti nel corso dei giorni scorsi, il premier ha ribadito che dobbiamo affiancare la stessa determinazione nell’aiutare i nostri cittadini e quelli delle zone più povere del mondo, in particolare l’Africa. “I nostri sforzi per prevenire una crisi alimentare devono partire dai porti ucraini del Mar Nero. Dobbiamo sbloccare i milioni di tonnellate di cereali che sono bloccati lì a causa del conflitto“, la sottolineatura. “L’interruzione delle catene di approvvigionamento alimentare – in particolare del grano – ha fatto lievitare i prezzi e rischia di provocare una catastrofe umanitaria“, ha avvertito Draghi, consapevole che la collaborazione internazionale possa essere l’unico strumento per sollevarsi da questa emergenza globale.

Fumata bianca al vertice Ue: trovato accordo su embargo a petrolio russo

Fumata bianca. Dopo oltre tre settimane di impasse, i capi di stato e governo hanno trovato nella tarda serata tra lunedì e martedì un accordo politico per tagliare il 90% delle importazioni di petrolio da Mosca entro la fine dell’anno, sbloccando il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia proposto dalla Commissione Ue lo scorso 4 maggio.
Ad annunciarlo in un tweet il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, chiudendo i lavori della prima giornata di Vertice Ue che proseguiranno questa mattina a Bruxelles.

COSA PREVEDE L’ACCORDO

L’accordo di principio raggiunto a fatica dai leader sull’embargo consentirà di tagliare nell’immediato più di due terzi delle importazioni di greggio dalla Russia, ovvero tutto quello importato via mare, ed entro la fine dell’anno bandire il 90% del petrolio importato in Europa. L’accordo – che dovrà essere finalizzato nei dettagli mercoledì dal Consiglio dell’Ue – in sostanza lascia fuori temporaneamente il petrolio greggio importato attraverso gli oleodotti e riguarderà solo quello in arrivo via mare. I governi hanno dovuto esentare il passaggio tramite oleodotto per andare incontro alle richieste dell’Ungheria, tra i Paesi senza sbocco sul mare e dipendente per il 65% dalle importazioni di greggio russo e che per settimane ha posto il veto sull’embargo.

VERSO STOP AL 90% DEL GREGGIO

Circa ⅔ del petrolio importato dalla Russia in Europa arriva via mare, il restante ⅓ attraverso oleodotto. La quota del 90% annunciata dai vertici comunitari si spiega perché la Germania e la Polonia – che potrebbero beneficiare dell’esenzione prevista per gli oleodotti – si sono impegnate al Vertice a porre fine alle loro importazioni di greggio via l’oleodotto Druzhba. Attraverso questo impianto passa circa un terzo del petrolio russo importato nell’Unione Europea. Il tracciato settentrionale dell’oleodotto trasporta il greggio in Germania e in Polonia, la parte meridionale invece in Ungheria e anche Slovacchia. Berlino e Varsavia si sono impegnate a chiudere i rifornimenti dal tracciato settentrionale. Sommando quindi il 75% del petrolio importato via mare in regime di embargo e la quota di greggio via oleodotto a cui rinunceranno Polonia e Germania entro fine anno, si arriva a oltre il 90% di petrolio russo menzionato dai vertici Ue. Rimane ora da capire in quali tempi i leader prevedono di porre fine anche al tracciato meridionale rimasto, che corrisponde al restante 10% di petrolio importato.

UE: “GRANDE PASSO IN AVANTI”

I capi di stato e governo si sono impegnati nel testo delle conclusioni a tornare “quanto prima sulla questione dell’eccezione temporanea per il greggio consegnato tramite oleodotto”, si legge. Per fare in modo, ha precisato Michel ai giornalisti, di andare a colpire “tutto il petrolio russo”. “Torneremo presto sulla questione di quel restante 10% del petrolio dell’oleodotto”, ha assicurato anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, scesa in conferenza stampa al termine del Vertice, salutando l’accordo di principio come un “grande passo in avanti”. Solo poche ore prima, in entrata al Summit, la presidente si era detta poco ottimista che un accordo sarebbe stato raggiungibile nelle 48 ore di Vertice.
Nel testo delle conclusioni i leader si sono accordati per introdurre misure di emergenza per garantire “la sicurezza dell’approvvigionamento” in caso di tagli alle forniture dalla Russia (come sta accadendo per il gas). Budapest ha chiesto maggiori garanzie dall’Ue in caso di brusche interruzioni e, secondo quanto riferito da von der Leyen in conferenza stampa, la Croazia ha dato disponibilità ad aumentare la capacità di petrolio trasportata dall’oleodotto di Adria, che passa proprio in Croazia, Serbia e Ungheria con diramazioni verso la Slovenia e la Bosnia ed Erzegovina, che potrebbero essere deviate verso Budapest in caso di necessità. Per questo aumento di capacità servirà un intervallo di tempo “da 45 a 60 giorni”, ha stimato la presidente. Ha aggiunto che serviranno investimenti per riqualificare le raffinerie ungheresi “adattate al petrolio russo”.

(Photo by JOHN THYS / AFP)

Energia, Ue cerca un accordo sull’embargo al petrolio russo

Restare uniti e approvare in fretta il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, incluso l’embargo sul petrolio russo. E’ un appello all’unità quello che il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha fatto ai leader dell’UE nel suo intervento al Consiglio europeo straordinario in corso lunedì e martedì a Bruxelles. Rimanere uniti e non dividersi di fronte a Mosca, approvando “prima possibile” il sesto pacchetto di sanzioni contro il Cremlino.

Non senza difficoltà, l’embargo graduale sul petrolio russo è infine arrivato sul tavolo dei leader Ue riuniti in un Vertice straordinario dedicato alle conseguenze della guerra in Ucraina, sul fronte energetico e della difesa. Gli ambasciatori dei Ventisette Stati membri hanno raggiunto questa mattina – dopo settimane di impasse a livello tecnico – un accordo di massima per includere nella bozza di conclusioni del Consiglio europeo l’impegno sul sesto pacchetto di sanzioni, che fino a ieri non era neanche menzionato tra le conclusioni. Ma potrebbe non essere così facile. Rispetto alla proposta iniziale della Commissione Europea avanzata lo scorso 4 maggio (che prevedeva un embargo su tutto il petrolio, via mare e via oleodotto, greggio o raffinato), l’accordo di massima raggiunto dagli ambasciatori è al ribasso.

Il bando dovrebbe andare a colpire tutto il petrolio in arrivo in Ue via mare, che secondo le stime di Bruxelles rappresenta oltre due terzi delle importazioni di petrolio totali in arrivo in UE da Mosca. Bruxelles importa dalla Russia circa il 27% del proprio approvvigionamento di petrolio. Nell’accordo sono state previste dunque “alcune eccezioni temporanee per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di alcuni Stati membri”, ovvero si lascerà fuori per il momento il petrolio trasportato attraverso oleodotti per andare incontro alle resistenze di alcuni Paesi come l’Ungheria (ma anche la Slovacchia e la Repubblica Ceca) senza sbocco sul mare, che dipendendo dal greggio importato esclusivamente via oleodotto. L’accordo di massima è stato inserito nella bozza di conclusioni del Vertice che i leader dovranno approvare, ma i quando e i come di questo compromesso saranno lasciati alla definizione a livello tecnico.

L’unità e la rapidità dimostrate fino a questo momento nell’approvazione di cinque pacchetti di sanzioni contro la Russia – di cui uno è andato a colpire le importazioni di carbone – non si sono finora trovate anche sul sesto pacchetto, viste le difficoltà che alcuni Paesi come l’Ungheria trovano nel liberarsi definitivamente dal greggio russo. Proprio il primo ministro ungherese, Viktor Orban, al suo arrivo al vertice questo momento ha spento gli entusiasmi di tutti affermando senza mezzi termini che un compromesso sul pacchetto ancora non c’è. L’Ungheria si trova di fronte “a una situazione molto complessa”, ha ricordato, sottolineando che secondo lui è necessario “cambiare approccio” dell’UE sulle sanzioni alla Russia: “prima ci servono le soluzioni e poi le sanzioni”. Ha aggiunto di essere “pronto a sostenere il sesto pacchetto di sanzioni, se ci sono soluzioni per le forniture energetiche ungheresi”. Giusta la decisione di esentare gli oleodotti temporaneamente ma “se ci dovessero essere incidenti ai nostri oleodotti dobbiamo avere garanzia di forniture russe da altri canali”, ha spiegato ai giornalisti. Ulteriori garanzie finanziarie e di sicurezza energetica, in sostanza. A quanto si apprende, il premier Mario Draghi dopo l’intervento del presidente ucraino ha ribadito la necessità di “mantenere unità sulle sanzioni. L’Italia è d’accordo sul pacchetto, purché non ci siano squilibri tra gli Stati membri”. Poco ottimista di poter raggiungere un accordo già entro mercoledì, anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.Abbiamo lavorato sodo sul sesto pacchetto, ma ancora non ci siamo”, ha detto al suo arrivo al Vertice europeo a Bruxelles. Aggiunge di non avere “grandi aspettative” per raggiungere un accordo già “nelle prossime 48 ore, ma sono fiduciosa che poi ci possa essere una possibilità”, ha chiarito. Un appello all’unità ai leader è arrivato anche dalla presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, nel rituale intervento di apertura del Vertice. “Spero davvero che oggi ci sia un accordo, non possiamo permetterci che non ci sia. Il nostro obiettivo deve rimanere quello di svincolarci dall’energia russa”, ha detto in merito al sesto pacchetto di sanzioni. Ai Ventisette ha ricordato che c’è “un limite a quanta flessibilità possiamo concedere senza perdere credibilità nei confronti delle nostre popolazione e apparire deboli di fronte a una Russia che, come sappiamo, non rispetta la debolezza”. Se sarà trovato l’accordo politico nella due giorni di Consiglio europeo, gli ambasciatori presso l’UE potrebbero chiudere il testo legislativo già in settimana.

Ucraina, telefonata Draghi-Zelensky: Sbloccare porti insieme

L’Italia prova a fare da ‘ponte’ tra Russia e Ucraina per arrivare almeno a una tregua che scongiuri una crisi alimentare dalle “proporzioni gigantesche. Soprattutto per i Paesi più poveri del mondo, Africa in testa. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, dopo aver aperto un canale di mediazione con Vladimir Putin, ha completato il giro di orientamento in un colloquio telefonico con Volodymyr Zelensky. L’obiettivo è sbloccare la partenza delle navi cariche di tonnellate di grano e materie prime ferme nei porti dell’Ucraina a causa del conflitto scatenato da Mosca. Secondo quanto riferisce Palazzo Chigi, il presidente ucraino ha espresso apprezzamento per l’impegno da parte del governo del nostro Paese, concordando con il presidente del Consiglio di proseguire il confronto sulle possibili soluzioni.

Via Twitter anche Zelensky conferma di aver discusso con Draghi sulle possibili soluzioni per “prevenire la crisi alimentare“. Aggiungendo un dettaglio, che assume un’importanza cruciale, a livello geopolitico: “Dobbiamo sbloccare i porti ucraini insieme“. Inoltre, il leader del governo di Kiev sottolinea un’altra criticità al premier italiano, assolutamente non secondaria: “Ho sollevato il problema dell’approvvigionamento di carburante“. Dunque, per far salpare le navi è indispensabile che si verifichino almeno 4 condizioni: che la Russia apra corridoi per la navigazione, le acque vengano sminate, Mosca garantisca il cessate il fuoco durante le operazioni dei dragamine, che arrivi il rifornimento necessario per le imbarcazioni. Ecco perché questi primissimi passi diplomatici aprono un piccolo spiraglio di luce, ma il quadro generale non consente ancora di separare in una soluzione a stretto giro.

Oltretutto, Mosca continua a rimbalzare le accuse sui mancati approvvigionamenti. Putin, riferisce il Cremlino in una nota, “sottolinea che i tentativi di incolpare la Russia per le difficoltà nel fornire prodotti agricoli ai mercati mondiali sono infondati“. Anzi, in una telefonata con il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, invita gli ucraini a “sminare i porti il ​​prima possibile per far passare le navi bloccate“. Sottolineando che le sue forze armate “aprono due corridoi marittimi umanitari ogni giorno dalle 8 alle 19, ora di Mosca“. Proprio nella capitale russa potrebbe andare in visita il segretario della Lega, Matteo Salvini, che applaude l’iniziativa di Draghi. Fonti del Carroccio spiegano che è “una possibilità”, anche se non c’è nulla di programmato e definitivo. Del resto, è lo stesso ex ministro dell’Interno a dirlo pubblicamente: “Per pace, vita e lavoro vale tutto“. Non sul viaggio in Russia, ma almeno sul premier è d’accordo anche l’altro Matteo, Renzi: “Ha fatto bene a cercare l’accordo di Putin e Zelensky sul grano ucraino. Vediamo se riusciremo a sbloccare almeno le navi pronte alla partenza“, scrive nella Enews il leader di Iv. Perché, avverte, “la crisi alimentare in arrivo è devastante, ogni sforzo diplomatico per ridurne gli effetti è saggio e lungimirante. Bravo Draghi“.

La situazione impone comunque prudenza. Come dimostrano i tweet del presidente ucraino dopo il colloquio con il capo del governo italiano: “Ci aspettiamo ulteriore supporto per la difesa dai nostri partner“. Il premier, fa sapere Palazzo Chigi, ha assicurato il sostegno del governo italiano in coordinamento con il resto dell’Unione europea. La strada verso il dialogo e la pace, dunque, è ancora lunga.

Draghi sente Putin: “Ho chiesto lo sblocco del grano ucraino. Spiragli per la pace? Nessuno”

Il presidente del Consiglio Mario Draghi prova a fare da ‘ponte’ fra Putin e Zelensky. Un ruolo difficile, che potrebbe portare a un nulla di fatto. Ma la gravità della crisi umanitaria lo spinge comunque a fare un tentativo. In primis, per sbloccare il grano che si trova nei depositi in Ucraina. Perché “la crisi alimentare che sta avvicinandosi, in alcuni Paesi dell’Africa è purtroppo già presente, avrà proporzioni gigantesche e conseguenze umanitarie terribili”. Draghi aspetta fine giornata per fare il punto della situazione, dopo avere sentito telefonicamente Putin nel pomeriggio, durante una conferenza stampa densa di argomenti: dagli esiti del Consiglio dei ministri sull’andamento del Pnrr, passando per l’incontro con il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, fino, appunto, al colloquio con il presidente della Federazione russa.

E se per il presidente del Consiglio il tentativo di fare da intermediario era doveroso, proprio per la “gravità della crisi umanitaria che può toccare i più poveri”, è lui per primo a sapere di non avere “alcuna certezza che vada a buon fine”. Per ora, però, c’è un cauto ottimismo, visto che da Putin “c’è stata effettivamente una disponibilità a procedere” nella verifica della possibilità di un accordo tra Mosca e Kiev per lo sblocco dei porti ucraini in cui sono bloccate le navi con i carichi di grano pronti a partire verso il resto del mondo. Anche se il presidente russo non ha mancato di sottolineare che “la crisi alimentare è colpa delle sanzioni, perché la Russia non può esportare il grano”. Il prossimo passo sarà una telefonata di Draghi al presidente ucraino Zelensky, per vedere se c’è un’analoga disponibilità a procedere con il dialogo su questo tema.

Secondo Draghi, in ogni caso, la prima iniziativa esplorabile “è vedere se si può costruire una possibile collaborazione tra Russia e Ucraina sullo sblocco dei porti sul Mar Nero, dove sono depositati questi molti milioni di quintali di grano”. Insufficiente, per Putin, perché i fabbisogni sono molti di più. Ma per l’inquilino di Palazzo Chigi sarebbe già qualcosa: “Ho risposto di sbloccare almeno questo, altrimenti il rischio è che marcisca tutto questo deposito di grano. Per Putin sono bloccati perché minati dagli ucraini per impedire alle navi russe di attaccarli. La collaborazione deve essere quella, da un lato di sminare i porti, dall’altra garantire che non vengano attacchi durante lo sminamento. Non abbiamo parlato a lungo delle garanzie, perché non è ancora detto che le cose vadano avanti”.

La telefonata è stata anche l’occasione di parlare delle forniture di gas. Su questo fronte, Putin ha confermato la determinazione da parte di Mosca “a garantire l’approvvigionamento ininterrotto di gas naturale all’Italia, ai prezzi concordati nei contratti”. Se, quindi, su grano e sicurezza energetica sembrano aprirsi dei piccoli sprazzi di positività, sul fronte della pace l’impressione di Draghi è tranchant: “Ho visto spiragli? No, nessuno”.

Eni Petrol Station

Eni avvia procedura per doppio conto Gazprom Bank in euro e rubli

Eni dà avvio alle procedure per l’apertura di un conto in rubli presso Gazprom Bank. L’azienda “in vista delle imminenti scadenze di pagamento previste per i prossimi giorni” è stata costretta a questo passaggio, con i conti correnti ‘K’ in due valute (il primo resta sempre in euro) “indicati da Gazprom Export secondo una pretesa unilaterale di modifica dei contratti in essere, in coerenza con la nuova procedura per il pagamento del gas disposta dalla Federazione Russa”. La notizia piomba come un macigno, ma dal quartier generale di piazzale Enrico Mattei arriva comunque una precisazione, sostanziale: perché si tratta di un’azione “su base temporanea e senza pregiudizio alcuno dei diritti contrattuali della società, che prevedono il soddisfacimento dell’obbligo di pagare a fronte del versamento in euro”. Dunque, la “riserva accompagnerà anche l’esecuzione dei relativi pagamenti”.

C’è anche un altro passaggio fondamentale nella comunicazione di Eni. Perché la procedura è stata “condivisa con le istituzioni italiane” e adottata “nel rispetto dell’attuale quadro sanzionatorio internazionale e nel contesto di un confronto in corso con Gazprom Export per confermare espressamente l’allocazione a carico di Gazprom Export stessa di ogni eventuale costo o rischio connesso alla diversa modalità esecutiva dei pagamenti”. Dunque, nessuna fuga in avanti senza concertazione con il Governo. Tant’è vero che la società guidata da Claudio Descalzi precisa che Gazprom Export e le autorità federali russe competenti hanno confermato che la fatturazione (arrivata in Italia nei giorni scorsi nella valuta “contrattualmente corretta”) e il relativo versamento da parte di Eni continueranno a essere eseguiti in euro. Inoltre, le attività operative di conversione dall’euro ai rubli saranno svolte da un apposito clearing agent operativo presso la Borsa di Mosca entro 48 ore dall’accredito e senza coinvolgimento della Banca centrale russa. In caso di ritardi o impossibilità tecniche nel completare l’operazione nei tempi previsti, comunque, non ci saranno impatti sulle forniture.

Resta sullo sfondo la posizione dell’Unione europea. Perché secondo quanto afferma il portavoce della Commissione Ue, Eric Mamer, l’apertura di un secondo conto in rubli da parte delle società energetiche del vecchio continente “va oltre gli orientamenti dati dalla Commissione ai governi dei Paesi membri” e “al pari di tutte le misure che vanno oltre questi orientamenti, è contraria alle sanzioni” contro Mosca. Eni, però, fa sapere che “l’esecuzione dei pagamenti con queste modalità non riscontra al momento nessun provvedimento normativo europeo che preveda divieti che incidano in maniera diretta sulla possibilità di eseguire le suddette operazioni“, sottolineando come “in linea con le indicazioni della Commissione europea, abbiamo già chiarito da tempo a Gazprom Export che l’adempimento degli obblighi contrattuali si intende completato con il trasferimento in euro, e rinnoverà il chiarimento all’atto di apertura dei conti K”. Quindi, “se la nuova procedura appare neutrale in termini di costi e rischi, non incompatibile con il quadro sanzionatorio in vigore e con adempimento che avviene al momento del trasferimento degli euro, un mancato pagamento esporrebbe Eni sia al rischio di violazione dell’obbligo di dar corso in buona fede ad eventuali richieste contrattuali di Gazprom Export imposte alla stessa dalla propria autorità, sia al rischio per Eni di inadempimento dei propri impegni di vendita con i clienti a valle in caso di interruzione delle forniture”.

Poco prima della nota aziendale, in audizione alla Camera, il direttore public affairs della principale azienda energetica italiana, Lapo Pistelli, a specifica domanda dei parlamentari sul tema rubli, aveva risposto che l’azienda “da settimane è in strettissimo raccordo sia con la Commissione europea che con il governo italiano” e “anche negli ultimi giorni abbiamo valutato, insieme all’esecutivo, tutte le novità che escono dalla Commissione in termini di interpretazione delle norme esistenti e di sviluppo di sanzioni possibili, ed è sulla base di questo raccordo” che sarebbe stata presa “ogni decisione”, comunque “compliant con il quadro sanzionatorio esistente”.

petrolio russo

Bando petrolio russo: Ue fatica a trovare intesa ma resta ottimista

Difficoltà e ostacoli” rallentano l’adozione del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, ma più di una fonte diplomatica dell’Ue vicina al dossier è convinta che un accordo tra i Ventisette ci sarà. E ci sarà sull’intero pacchetto, quindi anche sull’embargo graduale sul petrolio russo proposto dalla Commissione Europea: sei mesi per liberarsi del greggio importato e fino alla fine del 2022 per i prodotti raffinati, come la benzina.

Il più grande ostacolo al raggiungimento di un accordo sul pacchetto proposto ormai dieci giorni fa, è proprio la dipendenza dal petrolio russo di alcuni Paesi europei come l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la Slovacchia che tengono in ostaggio l’intero pacchetto in cambio di garanzie finanziarie. Budapest e Bratislava hanno già ottenuto, rispetto a tutti gli altri Stati membri, un’esenzione per continuare a importare petrolio russo fino alla fine del 2024, mentre per Praga la deroga è prevista fino alla metà del 2024.

Nei giorni scorsi più di una delegazione ha sollevato l’ipotesi di ‘spacchettare’ il pacchetto, ovvero lasciare fuori l’embargo sul petrolio (la questione più divisiva), sbloccare l’impasse e arrivare più in fretta a un accordo. Secondo più di un diplomatico, non ci sono le premesse per farlo perché si potrebbe restituire a Mosca l’immagine di una Unione Europea molto divisa e quindi molto debole. La decisione spetterebbe ai governi, ma il pacchetto ha una sua “coerenza interna e quindi credo che sarà adottato tutto insieme”, ha spiegato una fonte diplomatica. Ammette che “stiamo affrontando ancora difficoltà e ostacoli per raggiungere” un accordo a Ventisette, ma si è detto fiducioso che “riusciremo a trovare una soluzione che rispecchi unità e forza dell’Ue” contro la Russia per l’aggressione dell’Ucraina iniziata lo scorso 24 febbraio.

Secondo un’altra fonte, la discussione è ormai in stallo a livello tecnico di ambasciatori all’UE e non resta che avere una “spinta” a livello politico direttamente dalle Capitali. Un nuovo impulso politico che arriverà lunedì 16 maggio alla riunione dei ministri degli Affari esteri, che affronteranno il nodo sanzioni dopo che nel fine settimana proseguiranno i colloqui tecnici sulle misure restrittive. “Sono sicuro che avremo un accordo, ne abbiamo bisogno e lo avremo: dobbiamo liberarci della nostra dipendenza dal petrolio importato dalla Russia, pur tenendo conto delle situazioni (di dipendenza) di tutti gli Stati membri”, ha chiarito l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, al suo arrivo alla riunione dei ministri esteri del G7 in Germania. Se non ci sarà modo di trovare un compromesso a livello di rappresentanti permanenti presso l’Ue, cosa che ormai appare irrealistica, “dal Consiglio Esteri dovrà arrivare un impulso politico, me ne assicurerò”.

Energia, la soluzione della crisi passa solo dalla transizione verde

Come ha detto il presidente del Consiglio, Mario Draghi, tutti i provvedimenti che sono stati adottati in un lunedì non proprio uguale agli altri “sono il senso stesso del Governo”. Vanno nella direzione dei cittadini e delle imprese, sono destinati ad affrettare la transizione ecologica e l’indipendenza dalla Russia, ci proiettano in un futuro molto prossimo.

Il dl energia vale 14 miliardi, soprattutto imprime una svolta netta e inequivocabile sul fronte delle rinnovabili. Di fronte ai ritardi che rischiavano di zavorrare l’Italia e metterla in una posizione di grave disagio rispetto agli altri Paesi dell’Unione, l’esecutivo ha scelto di pigiare sul pedale dell’acceleratore senza esitazioni e andando oltre le controversie interne. Il pacchetto di semplificazioni che Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologica, ha snocciolato in conferenza stampa è asciutto e ma molto efficace. In sostanza, via libera ai rigassificatori che saranno galleggianti e non permanenti, la strada più veloce per rimpiazzare i 29 miliardi di metri cubi di gas che attualmente arrivano da Mosca: il tutto verrà consegnato nelle mani di un commissario ma ci vorrà ancora almeno un anno, tempo ‘tecnico’ non eludibile; per 18-24 mesi utilizzo massivo delle 4 centrali a carbone che sono attualmente ancora attive in Italia, sempre nel rispetto dei dettami stabiliti dalla Ue; accelerazione dei processi autorizzativi riguardo alle procedure di valutazione dell’impatto ambientale e paesaggistico, sfruttando le aree militari; semplificazione, infine, anche per i cosiddetti “allacci” che collegano gli impianti alla rete.

Ha ricordato, il ministro Cingolani, che nei primi quattro mesi del 2022 sono stati autorizzati 2,5 gigawatt su 9 impianti e si è provveduto a sveltire il pregresso per evitare, ad esempio, che un parco eolico ci metta sedici anni a prendere vita, come è accaduto a Taranto. Nelle chiacchiere del dopo Cdm si è insistito molto sulla diversificazione energetica per arrivare al ‘crossing’, si è parlato anche di risparmio con il contenimento delle temperature (termosifoni e condizionatori), si è accennato al biogas, si è evidenziato il valore prezioso delle rinnovabili elettriche, è stata pure offerta la garanzia che il percorso di decarbonizzazione non subirà interruzioni. Tutto chiaro, pare. Tutto fissato in diagrammi, in schemi, in brochure. Tutto già pronto per l’attuazione perché non si può più esitare. Non resta che capire se basterà questo ‘pacchetto’ di provvedimenti per fare fronte a una crisi che sta svuotando le tasche della gente e degli imprenditori.