Ponte Stretto, Corte Conti frena: “Documentazione carente”. Mit: “Presto le integrazioni”

Per vedere l’avvio dei cantieri del Ponte sullo Stretto ci vorrà ancora un po’ di tempo. Con il via libera del Cipess al progetto definitivo, Matteo Salvini aveva sperato che il conto alla rovescia per espropri e gru accelerasse, ma la Corte dei conti tira il freno a mano e chiede ulteriori “chiarimenti ed elementi informativi”. A riportare la notizia è il ‘Sole 24 Ore’, che pubblica ampli stralci delle sei pagine di osservazioni trasmesse dai magistrati contabili al Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri, in cui “risulterebbe non compiutamente assolto l’onere di motivazione, difettando (…) una puntuale valutazione degli esiti istruttori”, riporta il quotidiano.

La Corte concede venti giorni di tempo per adempiere alle richieste e riprendere, dunque, la valutazione del progetto su cui il governo ha già deciso di impegnare 14 miliardi di euro da qui al 2032, anno in cui è previsto il rilascio dell’opera. Le rilevazioni dei magistrati riguardano soprattutto “le peculiari modalità – condivisione di link che rimanda al sito istituzionale della società Stretto di Messina – con le quali sono stati trasmessi alcuni degli atti oggetto di controllo”.

Ma anche il via libera alla relazione Iropi che dichiarava il Ponte infrastruttura di interesse militare: strumento che nelle intenzioni dell’esecutivo dovrebbe portare all’inserimento delle spese nel computo dell’aumento delle risorse per la difesa al 5%, come chiede la Nato. Il ‘Sole’ spiega che la Corte dei conti chiede chiarimenti pure sul piano economico, a proposito delle “plurime prescrizioni e raccomandazioni di cui alla delibera Cipe n. 66/2003 risulterebbero non del tutto ottemperate” e la mancanza del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici tra i documento. Inoltre, servono integrazioni per spiegare la discrasia tra i 10,48 miliardi annotati da Kpmg e i 10,51 miliardi delle carte Cipess; così come vengono chieste delucidazioni sugli incrementi di spesa per la sicurezza e la voce opere e misure compensative. Infine, la magistratura contabile non è affatto convinta dalla scelta di escludere l’Autorità di regolazione dei trasporti.

La notizia corre veloce, ma il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti getta acqua sul fuoco. “Tutti i chiarimenti e le integrazioni chieste dalla Corte dei conti fanno parte della fisiologica interlocuzione tra istituzioni e saranno fornite nei tempi previsti, a maggior ragione per un’opera così rilevante”, fa sapere il Mit in una nota. Assicurando che “il Ponte sullo Stretto non è in discussione e gli uffici competenti sono già al lavoro”. Ma le opposizioni alzano i toni e chiedono che il vicepremier, Matteo Salvini, venga a riferire in aula. “La Corte ha bocciato la delibera Cipess sul Ponte sullo Stretto – dichiarano i deputati Pd, Anthony Barbagallo e Andrea Casu. Un fatto che conferma le criticità già emerse sulla sostenibilità economica, sul rispetto delle norme europee e sulle valutazioni ambientali. Presenteremo diverse interrogazioni parlamentari”. Angelo Bonelli, invece, chiede che Giorgia Meloni rimuova Salvini dal suo incarico: “La progettazione del Ponte sullo Stretto è deficitaria e carente delle informazioni necessarie a renderne sostenibile la realizzazione dal punto di vista economico”. Per il M5S “a ottobre non partirà alcun cantiere, Salvini cambi mestiere”. Duro con il ministro delle Infrastrutture è anche il commento di Italia viva: “Si conferma un pasticcione e un approssimativo, che si lancia in proclami”, dice la senatrice Dafne Musolino. La partita del Ponte, dunque, non si apre.

Primo volo Milano-Roma con cani di grossa taglia in cabina. Salvini: “Una svolta”

Anche i cani di grossa taglia potranno volare in cabina con i propri proprietari. Ita Airways ha organizzato il primo volo dimostrativo da Milano a Roma con due esemplari che hanno viaggiato senza trasportino, accanto ai padroni e in posti dedicati, uno in prima e uno in ultima fila.

Questa è Moka, labrador di 11 anni“, scrive sui social il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, postando una foto dell’animale accomodato su una traversina, con il sedile accanto a quello della proprietaria a sua disposizione e la sua ciotola, “con la garanzia che a bordo tutti siano comodi e in totale sicurezza“, spiega il ministro. La misura promessa da tempo è per Salvini “una battaglia di buonsenso e una svolta per milioni di passeggeri“.

L’iniziativa arriva dopo le nuove disposizioni sul trasporto degli animali domestici in cabina adottate da Enac, l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, per definire standard normativi, operativi e di sicurezza che permettano ai passeggeri di viaggiare insieme ai propri amici a quattro zampe di medie e grandi dimensioni. Ita era già stata la prima compagnia aerea ad aver ampliato dal 20 giugno 2024 lo spazio a bordo dedicato ai pet su tutti i voli nazionali, incrementando del 25% il peso consentito degli animali (da 8 a 10 chili, cui si aggiungono i 2 chili del trasportino).

A bordo del volo dimostrativo, con il vicepremier, volano anche il presidente della compagnia, Sandro Pappalardo, e il presidente di Enac Pierluigi Di Palma. “Siamo davvero orgogliosi di aver effettuato questo volo dimostrativo che pone la compagnia all’avanguardia tra i vettori europei”, spiega Pappalardo, che giudica l’iniziativa non solo una nuova opportunità commerciale o un cambiamento operativo, ma una “vera rivoluzione culturale che mette al centro il rispetto, la cura e l’inclusività”.

Ora si dovranno definire le condizioni operative per introdurre progressivamente la possibilità di acquistare biglietti per gli animali domestici di peso e dimensioni superiori ai 10 chili. “Abbiamo dimostrato come l’Autorità dell’aviazione civile italiana sia all’avanguardia sia dal punto di vista del trasporto aereo, sia della civiltà”, rivendica Di Palma. “Far volare gli animali domestici accanto ai loro proprietari e non più in stiva, riconoscendoli come veri e propri componenti della famiglia, in linea con la revisione dell’art. 9 della Costituzione italiana, rappresenta un cambiamento culturale, prima ancora che normativo. Questo nel pieno rispetto dei requisiti di sicurezza e del benessere di tutti i passeggeri“, assicura.

Domani, all’assemblea Generale dell’Icao a Montreal, il presidente di Enac presenterà le Linee Guida insieme al viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Edoardo Rixi, e all’Ad di Ita, Joerg Eberhart. “Il percorso fatto da Enac diventerà un esempio internazionale per far sì che tutto il mondo del volo sia davvero pet friendly”, commenta.

Non si dice d’accordo il Codacons, poco convinto della bontà dell’iniziativa. La presenza di cani a bordo degli aerei, senza trasportino e collocati sui sedili, si presta per l’associazione a “problemi non indifferenti” durante i voli. “L’animale potrebbe ad esempio iniziare a guaire o abbaiare in modo molesto, arrecando disturbo agli altri passeggeri e compromettendo il comfort in volo. I tappetini assorbenti da posizionare sul sedile, poi, non eliminano il problema degli odori in cabina nel caso in cui l’animale dovesse espletare i propri bisogni fisici durante il volo”. I consumatori si chiedono cosa potrebbe accadere in caso di turbolenze in volo, “qualora l’animale si spaventasse o venisse sottoposto a uno stress eccessivo“. Situazione che si aggraverebbe, osservano, “qualora sullo stesso aereo fossero presenti più cani collocati sui sedili”. “Non siamo contrari a priori alla presenza di animali sugli aerei – precisa il Codacons – ma le linee guida dell’Enac, allo stato attuale, si prestano a più di una problematica e rischiano di creare disagi per i passeggeri, compromettendo l’esperienza di volo per gli utenti”.

Ponte Stretto, Mit risponde all’ambasciatore Usa: “E’ finanziato, non servono fondi Nato”

Il Ponte sullo Stretto di Messina è “già interamente finanziato con risorse statali e non sono previsti fondi destinati alla Difesa”. Al momento, l’eventuale utilizzo di risorse Nato “non è all’ordine del giorno e, soprattutto, non è una necessità irrinunciabile”. Il Ministero dei Trasporti e delle infrastrutture, guidato da Matteo Salvini, risponde all’ambasciatore Usa alla Nato, Matthew Whitaker, e assicura che “l’opera non è in discussione”.

Ieri, il diplomatico statunitense ha criticato il tentativo del governo italiano di far confluire l’investimento dell’infrastruttura nell’accordo firmato a giugno tra i Paesi Nato per alzare al 5%, entro dieci anni, la propria spesa militare. “E’ contabilità creativa”, ha spiegato Whitaker, per cui è fondamentale che l’obiettivo del 5% si riferisca “specificamente alla difesa e alle spese correlate”.

L’ambasciatore ha avuto conversazioni con vari Paesi “che stanno adottando una visione molto ampia della spesa per la difesa” e continua a monitorare la situazione italiana, anche grazie ai meccanismi di supervisione adottati dalla Nato. Non una buona notizia per il governo, che aveva pensato a questa soluzione per ammorbidire il proprio impegno nell’investimento.

Il Ponte – di 3.300 metri e destinato ad essere quello a campata unica più lungo del mondo – prevede un investimento di circa 13,5 miliardi di euro, secondo quanto approvato dal Cipess lo scorso 6 agosto. L’impegno preso dai paesi Nato sulla Difesa è invece composto da due voci: 3,5% di spese per armamenti e personale militare, 1,5% di spese per la sicurezza. Quindi anche infrastrutture generalmente utilizzate per scopi civili, che in caso di necessità possono essere utilizzate anche per fini militari.

La dichiarazione di Whitaker però incendia le opposizioni, su tutte i Verdi del leader Angelo Bonelli:Crolla la favola della strategicità militare”. Secondo il deputato ambientalista, “é un’operazione di ‘accounting creativo’, come l’ha definita l’ambasciatore Usa alla Nato”, “il Ponte è una grande operazione elettorale, non un’infrastruttura necessaria”. Sul piede di guerra il M5s, da sempre contrario ideologicamente all’opera. Per Agostino Santillo, vicepresidente della commissione ambiente alla Camera, “pure gli americani hanno capito l’ennesima fesseria di Salvini”, “il Ponte non ha alcun valore strategico militare”. Governo “sbugiardato dagli amici americani”, aggiunge la senatrice M5S Ketty Damante, segretaria in commissione Bilancio. “Non solo si buttano 13,5 miliardi sull’opera – sottolinea Pietro Lorefice, capogruppo M5S in Commissione politiche Ue al Senato – ma li si vogliono usare con una logica da furbetti del quartierino, ricorrendo cioè a trucchetti di bilancio. Che pena senza fine”. Per Anthony Barbagallo, capogruppo Pd in Commissione Trasporti alla Camera, “il centrodestra continua la narrazione del Ponte sullo Stretto usato come specchio per le allodole”. La vicenda investe totalmente il campo politico, anche perché tra poco si andrà al voto su una delle due sponde del Ponte. Il candidato presidente della Regione Calabria per il fronte progressista, Pasquale Tridico, rincara la dose: “La destra prende in giro gli italiani, gli Stati Uniti e la Nato non si sono fatti fregare da Salvini e soci. Il Ponte sullo Stretto non è una priorità dell’Italia, tanto meno dei calabresi e dei siciliani”. La replica è affidata a Claudio Durigon, vice segretario nazionale della Lega: “In Calabria l’unico che sta prendendo in giro i cittadini è il candidato del cosiddetto campolargo, Tridico. Il Ponte si farà e porterà investimenti, innovazione e posti di lavoro. I calabresi non si faranno fregare da chi, dal comodo pulpito di Bruxelles, cerca di fare l’unica cosa di cui è capace: gettare polvere negli occhi degli elettori”.

Scontro Italia-Francia su dumping fiscale. Tajani: “Sbalordito, accuse infondate”

E ‘ ancora scontro aperto tra Parigi e Roma. Questa volta, il primo ministro Francois Bayrou accusa l’Italia di fare dumping fiscale, penalizzando la Francia. Affermazioni che “stupiscono” Palazzo Chigi, che le ritiene “totalmente infondate” e “sbalordiscono” il ministro degli Esteri Antonio Tajani.E’ un’accusa frutto di un ragionamento totalmente sbagliato”, spiega il vicepremier che non commenta la situazione politica ed economica in Francia, ma, osserva, “se l’Italia procede su un percorso economico positivo e mantiene una solidità politica rilevante questo non è perché pratica dumping fiscale e non cospira contro altri paesi europei”. I paradisi fiscali in Europa, scandisce, “sono altri”.

Le parole di Bayrou per il vicepremier Matteo Salvini sono “gravi e inaccettabili”. Il ministro delle Infrastrutture accusa il governo francese di essere “ormai in piena crisi”: “Lasciamo a loro nervosismo e polemiche, noi preferiamo lavorare”, sostiene. L’affermazione di Bayrou sull’Italia è avvenuta infatti nel corso di un’intervista televisiva sulla situazione politica francese, pochi giorni prima del voto in Parlamento a Parigi, l’8 settembre, quando si verificherà se il governo ha una maggioranza per andare avanti. Palazzo Chigi ricorda che l’Italia non applica politiche di “immotivato favore fiscale per attrarre aziende europee e, con questo Governo, ha addirittura raddoppiato l’onere fiscale forfettario in vigore dal 2016 a carico delle persone fisiche che trasferiscono la residenza in Italia”. Al contrario, viene rilevato, “L’Italia è da molti anni, penalizzata dai cosiddetti paradisi fiscali europei, che sottraggono alle nostre casse pubbliche ingenti risorse”.

Le parole del primo ministro francese Francois Bayrou sono “assolutamente inopportune nei modi e sbagliate nel contenuto” anche per il leader di Noi Moderati, Maurizio Lupi, che rimarca come l’Italia sia diventata più attrattiva proprio perché “più stabile e credibile” sullo scenario internazionale, anche grazie al lavoro del governo e della maggioranza di Centrodestra. “E soffre, come peraltro la Francia, della concorrenza sleale di altri Paesi”, fa presente: “Più che attaccare l’Italia, Bayrou dovrebbe scusarsi e lavorare con noi in sede europea per difendere insieme le imprese e i lavoratori, promuovendo una vera politica fiscale ed industriale comune e regole eque per tutti”.

In questi anni di governo Meloni, non sono stati pochi i momenti di crisi tra i due Paesi. A partire da quelle sul dossier ucraino, sull’invio di truppe, sulla mancata partecipazione dell’Italia alle riunioni dei volenterosi con Trump. E ancora, tra alti e bassi, lo scontro tra Salvini e Macron, il richiamo dell’ambasciatrice. La Premier Giorgia Meloni chiede alla Francia di dare battaglia in sede europea, insieme all’Italia, contro questi paradisi fiscali. In questo quadro, difficilmente la Presidente del Consiglio parteciperà in presenza alla nuova riunione dei volenterosi prevista per giovedì a Parigi, probabilmente parteciperà in videocollegamento.

Ponte Stretto, Lega prepara nuova norma anti-mafia. Salvini: “Non penso Colle contrario”

Dopo l’alt del Colle al tentativo di inserire all’interno del Dl Infrastrutture una procedura speciale per i controlli anti-mafia, la Lega sfodera il piano B. E prepara per il Parlamento la proposta di Matteo Salvini per aumentare al massimo, “come già fatto con successo per la ricostruzione del Ponte di Genova, per Expo e per le Olimpiadi”, controlli e certificazioni contro le infiltrazioni per tutti gli appalti, le forniture e i servizi sulle imprese che lavoreranno al Ponte.

Penso e spero che nessuno si opponga a inserire più controlli possibili contro infiltrazioni mafiose. Non penso che il Quirinale sia contro gli organismi antimafia“, commenta il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti a margine di un sopralluogo a Genova. L’opera, ricorda Salvini, coinvolgerà più di 100.000 lavoratori e migliaia di imprese in tutta Italia con appalti, servizi, espropri: “Quindi è giusto che gli italiani, io in primis che ci metto la faccia, abbiano la certezza che ogni euro speso non finisca nelle tasche sbagliate. Non uno, ma dieci emendamenti per garantire trasparenza, legalità e verifiche certificate antimafia per quello come per altri cantieri. Spero che nessuno dica di no a maggiori controlli antimafia per il Ponte”, ribadisce. Il Colle aveva ritenuto il passaggio inserito nel Dl Infrastrutture che centralizzava i controlli antimafia in una struttura del Viminale, diretta dal prefetto Paolo Canaparo, non necessaria. “La legislazione in vigore contempla norme antimafia rigorose per le opere come il Ponte di Messina”, ha spiegato ieri l’ufficio stampa del Quirinale. La norma proposta prevedeva invece una “procedura speciale adottata finora soltanto in casi di emergenza, come i terremoti, o di eventi speciali, come le Olimpiadi – che non risulta affatto più severa delle norme ordinarie. Basti ricordare che la procedura speciale, che veniva proposta, autorizza anche a derogare ad alcune norme previste dal Codice antimafia, deroghe non consentite dalle regole ordinarie per le opere strategiche di interesse nazionale“.

Per questo, la forzatura di Salvini è irricevibile per le opposizioni. “Le norme antimafia sono materia seria, complessa e delicata”, mette in chiaro il capogruppo Pd in commissione ambiente della Camera, Marco Simiani. I Dem promettono battaglia nel corso dell’esame parlamentare, perché “le norme anti-mafia non si possono trattare come un fastidio da aggirare”, insiste Simiani. Che parla di “nervosismo e una preoccupante sgrammaticatura istituzionale” del Carroccio. Le poltrone e il potere “sembrano dare alla testa a Salvini, che si comporta come se fosse al di sopra di ogni critica, di ogni richiamo, di ogni equilibrio”, accusa.

“Davvero Meloni vuole far scrivere la norma antimafia sul Ponte sullo Stretto alla Lega di Salvini?”, domanda Angelo Bonelli. Il deputato di Avs accusa il vicepremier di aver “eliminato i pareri degli organismi tecnici dello Stato” come Ispra, Ingv, Autorità dei Trasporti, Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e Anac per “farsi approvare un progetto vecchio di oltre 25 anni”. Dopo aver aperto uno scontro con il Quirinale, punta il dito Bonelli, “Salvini intende far riscrivere la norma dalla Lega correggendo il decreto in Parlamento, ignorando i rilievi della Presidenza della Repubblica”. Alleanza Verdi e Sinistra chiede in Commissione l’audizione della Procura distrettuale antimafia, perché, spiega Bonelli, “dalle indagini emerse da cinque procure si confermerebbe che Don Ciotti aveva ragione nell’affermare che il Ponte rischia di unire due cosche, non due coste”.

Per la capogruppo alla Camera del Movimento 5 Stelle, Gabriella Di Girolamo, Salvini “rischia seriamente di doversi andare a nascondere”. Ormai, sostiene, il ministro “lavora solo pro domo sua: il Ponte sullo Stretto per lui è un giochino per combattere la noia. Mai una delucidazione su costi, rischi sismici, rilievi ingegneristici. Ed ora anche il tentativo criminale di aggirare i controlli anti-mafia e renderli più sbrigativi”. Tutto questo, ricorda la pentastellata, nel giorno in cui si commemorano Giovanni Falcone, sua moglie e gli agenti della scorta trucidati a Capaci, “un colpo di genio”.

Via libera dal Mase al Ponte sullo Stretto. Salvini: “Fondamentale passo in avanti”

Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha dato il via libera al progetto del ponte sullo Stretto. La commissione tecnica ha espresso parere positivo sulla Valutazione di incidenza per l’opera. Una notizia che, per vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, è di “straordinaria importanza”, perché si tratta di “un altro fondamentale passo in avanti”. Per la Commissione, di fatto, le misure compensative indicate nel progetto sono coerenti con le indicazioni europee legate alla tutela ambientale.

“Quando partiamo? Ormai, a Dio piacendo, siamo in dirittura di arrivo”, aveva detto lunedì lo stesso Salvini dopo la firma del decreto Infrastrutture. Ora il progetto dovrà essere vagliato dal Cipess per l’approvazione finale, probabilmente “entro la fine di giugno”, come aveva indicato Pietro Ciucci, amministratore delegato di Stretto di Messina Spa che, però, non sarà stazione appaltante del Ponte sullo Stretto, come era stato inizialmente ipotizzato in una prima bozza del dl Infrastrutture: “La attuale Stretto di Messina in realtà è una startup, che non aveva i requisiti richiesti come track record, attività passate – aveva sottolineato Ciucci -. Ci rivolgeremo a una stazione appaltante terza: la prima che mi viene in mente è Anas, anche tenendo conto che è un nostro azionista importante”.

Per Angelo Bonelli, deputato di Avs e co-portavoce di Europa Verde, il via libera del Mase è “un vero e proprio blitz contro il diritto europeo, in particolare contro la direttiva Habitat”. L’approvazione da parte della Ctvia-Vas del Mase del parere ambientale per le aree di protezione speciale “che verranno aggredite dal progetto del Ponte sullo Stretto rappresenta una forzatura inaccettabile. Per non modificare il progetto – come previsto invece dalla direttiva Habitat – si è approvata l’autorizzazione ambientale, eludendo le norme europee”. In sostanza, per Bonelli “la Commissione non può limitarsi a prendere atto della semplice dichiarazione del Governo sull’assenza di alternative”, ma “avrebbe invece dovuto valutare puntualmente, e con pari livello di dettaglio, le potenziali incidenze delle diverse soluzioni alternative sugli obiettivi di conservazione dei siti Natura 2000, che il progetto del Ponte mette seriamente a rischio. Questo non è stato fatto né ora, né nella precedente fase di valutazione appropriata”.

 

 

 

Dazi, Meloni convoca vertice a Chigi. Poi spiega: “Non è catastrofe che tutti raccontano”

Nei palazzi di Roma, il ‘Liberation day’ after è frenetico. Dopo l’annuncio dei dazi di Donald Trump ai Paesi europei, Giorgia Meloni deve correre ai ripari. La premier annulla tutti gli impegni in agenda e convoca d’urgenza i ministri competenti a studiare una strategia per proteggere il Made in Italy da effetti potenzialmente devastanti. “Penso che la scelta degli Stati Uniti sia sbagliata, non favorisce né l’economia europea né quella americana, ma non dobbiamo alimentare l’allarmismo che sto sentendo in queste ore“, spiega in serata, in un’intervista al Tg1. “Non smetteremo di esportare negli Stati Uniti“, garantisce, pur ammettendo che “ovviamente abbiamo un altro problema da risolvere, ma non è la catastrofe che alcuni stanno raccontando“. Il ruolo dell’Italia è “portare gli interessi italiani, particolarmente in Europa“, ribadisce. Perché mentre si tratta con gli americani, osserva, “ci sono molte cose che possiamo fare per rimuovere i dazi che l’Unione europea si è autoimposta“. E sostiene che “forse una revisione del Patto di stabilità a questo punto sarebbe necessaria“.

A Palazzo Chigi arrivano il vice Matteo Salvini, con i ministri Giancarlo Giorgetti (Economia), Adolfo Urso (Imprese), Tommaso Foti (Rapporti europei), Francesco Lollobrigida (Agricoltura). In videocollegamento da Bruxelles c’è l’altro vicepremier, Antonio Tajani, reduce da un nuovo confronto con il commissario al Commercio Maros Sefcovic.

Nell’incontro europeo, fa sapere la Farnesina, “i due hanno convenuto sulla necessità di mantenere un approccio fermo ma basato sul dialogo, volto ad evitare un’ulteriore escalation sul fronte commerciale”. Il piano prevede la diversificazione dei mercati dell’export. Solo per l’Italia, gli Stati Uniti valgono il 10%. Si guarda dunque a nuovi accordi commerciali con Paesi terzi, come i Paesi del Mercosur, l’India (dove Tajani andrà tra qualche giorno) e altre economie emergenti chiave nell’Indo-Pacifico, in Africa e nel Golfo. Ieri, il ministro degli Esteri ha annunciato anche la nomina del nuovo inviato speciale dell’Italia nell’Imec (il corridoio India-Medio Oriente-Europa) Francesco Maria Talò. Al Commissario, il ministro consegna la strategia per l’export italiano lanciata a Villa Madama qualche giorno fa per rafforzare la presenza delle imprese italiane in tutti i mercati in crescita. “Il mio disegno sarebbe quello di avere un mercato unico transatlantico, zero tariffe di qua e zero tariffe di là, quello sarebbe il modo migliore per sviluppare il commercio e rinforzare la posizione dell’Occidente“, confessa il titolare della Farnesina, che affida a Sefcovic la lista dei prodotti italiani su cui bisognerebbe intervenire per essere tutelati (“compreso il whisky e tutta la produzione vinicola”), nella trattativa che ci sarà all’interno dell’Ue in vista della decisione del Consiglio di lunedì in Lussemburgo. “Ci sono cibi – riferisce -, settori che riguardano il settore della gioielleria, le pietre preziose”. Insomma, “una lunga lista di una trentina di punti“.

Mentre il ministro degli Esteri è in riunione col commissario europeo, da Roma il leader del Carroccio però fa trasmettere una nota in cui continua a difendere la strategia di Trump e ad attaccare l’Europa: “Nelle ultime ore Matteo Salvini si è confrontato con il gruppo economico della Lega, ribadendo che se gli Stati Uniti hanno deciso di tutelare le proprie imprese, è necessario che l’Italia continui a difendere con determinazione il proprio interesse nazionale anche alla luce dei troppi limiti dell’Europa“, scrive il partito. Che nel tardo pomeriggio firma un’altra nota, più diretta ancora verso l’Ue: “Prima di pensare a guerre commerciali o contro-dazi che sarebbero un suicidio, l’Unione europea tagli burocrazia, vincoli e regole europee che soffocano le imprese italiane, azzerando il Green deal e il tutto elettrico“.

A riportare le intenzioni del governo dopo il vertice, però, è Urso rispondendo a un’interrogazione durante il question time al Senato. “Noi guidiamo il fronte delle riforme in Europa“, rivendica, elencando una serie di richieste del governo a Bruxelles. L’immediata sospensione delle regole del Green Deal che “hanno portato al collasso il settore delle auto“; un immediato “shock di deregulation” che liberi da lacci e lacciuoli le imprese; l’introduzione del principio del “Buy European“, speculare al Buy American; la preferenza in ogni appalto pubblico del Made in Europe; la finalizzazione di accordi di libero scambio con altre aree del mondo per mercati alternativi; una politica industriale come delineata nei documenti sulla revisione del Cbam. Questo è un pacchetto d’azione che proteggerebbe il tessuto imprenditoriale europeo senza entrare in scontro aperto con gli Stati Uniti. Perché, spiega l’inquilino di Palazzo Piacentini, “rispondere ai dazi su beni con altri dazi su beni aggrava l’impatto sull’economia europea“. Secondo la Bce i dazi americani avrebbero un impatto dello 0,3% sulla nostra crescita e le eventuali contromisure aggraverebbero l’impatto allo 0,5. Ma, avverte Urso: “Secondo altri istituti, l’effetto moltiplicatore negativo sarebbe ancora peggiore”. La prima regola, quindi, è “non farci altro male da soli innescando un’escalation di ritorsioni che scatenerebbe una devastante guerra commerciale“, spiega il ministro a Palazzo Madama. Occorre reagire “in modo intelligente, mantenendo la calma per valutare le conseguenze dirette e indirette e quindi la migliore risposta, tenendo anche conto che le misure americane differiscono in modo sostanziali: sarebbero pari al 20% per i beni europei ma ben maggiori per altri Paesi, in alcuni casi oltre il 50%”, scandisce. Nei prossimi giorni, il ministro incontrerà le associazioni di impresa per valutare con loro le possibili contromisure da prendere.

Domanda cautela anche Foti: “Dobbiamo capire se dietro questa iniziativa vi è una volontà di andare fino in fondo o di cercare, nazione per nazione, di riequilibrare una bilancia commerciale che nel caso degli Stati Uniti è pesantemente deficitaria rispetto a quanto viene esportato“, afferma. La prima risposta, ribadisce, la deve dare l’Unione europea e “certo non bisogna dare delle risposte di pancia”. In generale, per Foti, “più che scendere in una polemica serve fermezza e idee chiare su come si vuole agire, cioè la reazione deve esserci ma non deve essere una reazione di pancia, deve essere una reazione che suggerisce anche al nostro interlocutore americano che è meglio sedersi a un tavolo”.

Meloni si schiera: su critiche a Ue ha ragione Vance. E Salvini vara missione in Usa

In uno dei momenti più tesi tra le due sponde dell’Atlantico, Giorgia Meloni rilascia la sua prima intervista a una testata straniera, il Financial Times, e si schiera. Non apertamente, ma confessa di condividere l’attacco del vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance all’Unione, per aver abbandonato il suo impegno a favore della libertà di parola e della democrazia: “Lo dico da anni, l’Europa si è un po’ persa“, commenta.

Torna a difendere, tra gli ultimi in Ue, Donald Trump. Le critiche del tycoon al vecchio continente non sono rivolte al popolo, spiega, ma alla sua “classe dirigente e all’idea che invece di leggere la realtà e trovare il modo di dare risposte alle persone, si possa imporre la propria ideologia alle persone“. L’Italia, per la presidente del Consiglio, non deve essere obbligata a “scegliere” tra Stati Uniti ed Europa, sarebbe “infantile” e “superficiale“. Non solo Trump non è un avversario, chiosa, ma è il “primo alleato” dell’Italia.

Mentre la Commissione europea si prepara a reagire ai dazi imposti dal presidente americano, Meloni invita l’unione alla calma. “A volte ho l’impressione che rispondiamo semplicemente d’istinto. Su questi argomenti devi dire, ‘State calmi, ragazzi. Pensiamoci’“, spiega, ricordando che “ci sono grandi differenze sui singoli beni” e chiedendo di “lavorare per trovare una buona soluzione comune“.

Tra Trump che lavora per la pace e l’asse Macron-Von der Leyen che parlano di guerra e armi, non abbiamo dubbi da che parte stare“, le fa eco Matteo Salvini, che torna però a ‘scavalcare’ presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, annunciando una missione con le imprese italiane per rafforzare la partnership con gli Stati Uniti, “come da dialogo con J.D. Vance“, che gli è già costato un round di scontri con Antonio Tajani.

Il chiarimento tra i tre, Meloni-Tajani e Salvini, si è rotto dopo 48 ore”, osserva il leader di Avs, Angelo Bonelli: “Salvini scommette sull’esenzione dai dazi per l’Italia da parte di Trump e su questo vuole arrivare prima della Meloni per commissariare Tajani“, afferma, denunciando di aver “venduto la dignità del popolo italiano e quindi europeo a chi ci ha definiti parassiti. È un governo in cui ognuno va per conto proprio“.

Per il Partito democratico, la presidente del Consiglio ha la “sindrome di Stoccolma“: “Sembra prigioniera, incapace di distinguere tra chi attacca e chi si difende”, scrive il capogruppo democratico nella commissione Bilancio della Camera, Ubaldo Pagano. “Ha scelto di indossare il cappellino Maga, ammainando di fatto da palazzo Chigi la bandiera italiana e quella europea“, denuncia la segretaria Elly Schlein. E’ agli italiani, sostiene Schlein, che Giorgia Meloni “dovrà spiegare perché ha scelto Trump come ‘primo alleato’, quando il prossimo 2 aprile entreranno in vigore i dazi Usa del 25% sulle nostre merci, sulle nostre eccellenze, che pagheranno le imprese, i lavoratori e le famiglie italiane. Giorgia Meloni vada dire a loro ‘state calmi, ragazzi, ragioniamoci‘”.

Meloni “doveva e poteva diventare la Merkel europea, trasformandosi in leader conservatrice moderna, ma rompe con l’Europa sul tema fondamentale della difesa europea e si ritrova ad essere una modesta Orban al femminile“, scrive sui social il vicepresidente di Italia Viva Enrico Borghi. A questo punto, insiste, “va detto con chiarezza che l’Italia non può sottrarsi da una iniziativa europea nel campo della sicurezza, della pace e della stabilità internazionale“.

Meloni: L’Europa di Ventotene non è la mia. E’ bufera alla Camera

Non so se questa è la vostra Europa ma certamente non è la mia”. Alla fine del suo intervento alla Camera, in una mattinata piuttosto tesa, Giorgia Meloni legge alcuni passaggi del manifesto di Ventotene, ne prende le distanze e nell’Aula si scatena l’inferno. Le opposizioni fischiano, urlano “vergogna”, i banchi diventano ring, a destra si applaude, a sinistra si grida. La seduta viene sospesa due volte.

Le frasi del testo scritto nel 1941 da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi richiamano a una rivoluzione europea “socialista“, in cui “la proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso”. Ogni frase scandita tra sguardi e pause. “Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente – prosegue la premier leggendo il testo -. Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni”. Tra gli scranni risuona l’ira delle opposizioni, Meloni si interrompe, il presidente della Camera Lorenzo Fontana richiama all’ordine, tutto viene spostato di qualche ora, al primo pomeriggio, per rimettere in ordine le idee e il bon ton istituzionale.

E comunque, prima della bufera, in sede di replica, la premier accarezza già l’argomento dell’Europa, che deve occuparsi di “meno cose” e “meglio”. Meloni si prepara al Consiglio europeo di domani bollando come un errore la “pretesa” di affidare a Bruxelles “qualsiasi materia di riferimento”, comprese quelle sulle quali gli stati nazionali sarebbero un valore aggiunto. La prima ministra cerca una via d’uscita per rispondere ai dazi di Donald Trump senza apparire debole o suddita di certe dinamiche.

Ma se, a cascata, l’ombrello della difesa degli Stati Uniti dovesse chiudersi definitivamente per il Vecchio Continente, non ci troverebbe ancora pronti. Per questo, l’invito è quello di riflettere su una risposta che non danneggi noi, prima che gli americani. “Non c’è dubbio che per noi siano un problema”, ribadisce. L’Italia è una nazione esportatrice, la quarta al mondo. Al momento, c’è un surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti nei beni e gli Stati Uniti hanno nei nostri confronti un surplus commerciale nei servizi. Potrebbe essere una carta da giocare per cercare una soluzione che eviti una guerra commerciale.

Sulla difesa, il punto è capire come pagare gli 800 miliardi per il Piano proposto da Ursula von der Leyen. L’Italia ha chiesto e ottenuto lo scorporo delle spese della difesa dal calcolo del patto di stabilità. Ma Meloni va oltre e domanda l’intervento dei privati. “Non possiamo non porre il problema che l’intero piano si basa quasi completamente sul debito nazionale degli Stati”, chiosa in Aula. E’ la ragione per la quale con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sta elaborando una proposta che ricalca quello che accade attualmente con InvestEU: “garanzie europee per gli investimenti privati”.

I fondi di Coesione, in Italia, non saranno toccati, garantisce. Resta da chiarire cosa si intenda per spese di difesa. Per questo il governo ha posto la questione: “Io penso che Rearm Europe confonda i cittadini”, sottolinea. La maggioranza sull’investimento nelle armi è spaccata. Oggi da Bruxelles lo stesso Matteo Salvini lancia un avvertimento chiaro alla premier: “Giorgia Meloni ha mandato per difendere l’interesse nazionale italiano, punto. Non penso che quello di cui sta parlando qualcuno a Bruxelles corrisponda all’interesse nazionale italiano, e neanche all’interesse dei cittadini europei”, mette in chiaro. Ma la presidente del Consiglio allarga il perimetro del dominio della sicurezza, “molto più ampio del banale acquisto di armi”, spiega. “Nel tempo in cui viviamo – ripete – riguarda le materie prime critiche, riguarda le infrastrutture strategiche, riguarda la cyber sicurezza, riguarda la difesa dei confini, riguarda la lotta ai trafficanti, riguarda la lotta al terrorismo, sono spesso materie che non si fanno, che non si affrontano comprando armi. Quando mi occupo di cyber sicurezza non lo faccio con le armi, lo faccio per esempio con l’intelligenza artificiale”.

Difesa, scontro Salvini-Tajani su ReArm. Gentiloni: “Piano nella giusta direzione”

Il piano da 800 miliardi per la Difesa europea presentato da Ursula Von Der Leyen continua a far discutere al suo interno la maggioranza, con Matteo Salvini e Antonio Tajani che sposano ancora posizioni divergenti malgrado il tentativo di abbassare i toni nelle scorse ore compiuto dalla premier Giorgia Meloni.

Alla vigilia del vertice straordinario del Consiglio Ue, giovedì a Bruxelles, si dice contro l’esercito europeo comune il leader della Lega, a favore il numero uno di Forza Italia. Netto Salvini, che ha riunito i suoi ai Gruppi parlamentari della Camera per illustrare le proposte della Lega sugli scenari globali alla luce del complesso quadro geopolitico. Nel mirino del Carroccio il Piano di riarmo europeo, criticato a partire dal nome: ReArm Europe. “Domani von der Leyen lo presenterà – ricorda il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti – credo che nessuno si aspettasse 800 miliardi di investimenti militari. Fino all’altro giorno non si poteva investire un euro in più per la sanità e per le pensioni, ora invece si può fare senza indebitarsi? Una scelta sbagliata a partire dal nome… “.

Sulla definizione data al Piano, in effetti, anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani storce la bocca: “Lo chiamerei Piano per la sicurezza europea”. Sul resto però c’è il favore di Forza Italia, a partire dall’idea di una Difesa comune europea: “Era il sogno di De Gasperi e Berlusconi – ricorda Tajani – il quadro di von der Leyen va bene, poi vedremo l’applicazione pratica”. Secondo il titolare della Farnesina, la Difesa comune europea “non è una scelta alternativa alla Nato” e l’obiettivo rimane “rafforzare l’alleanza transatlantica con un pilastro europeo e uno americano” come “garanzia di pace, stabilità e sicurezza per tutti i Paesi europei e altri, compresa l’Ucraina, candidati a far parte della nostra Unione”.

Di tutt’altra opinione Salvini, per cui avere la Difesa comune europea oggi sarebbe sinonimo di conflitto: “Se ce l’avessimo già, Francia e Germania ci avrebbero già portato in guerra. Non do le chiavi di casa mia a qualcuno che ha nella guerra il suo istinto di sopravvivenza”. Negativo pure il giudizio sull’investimento complessivo del Piano. Salvini gli 800 miliardi li spenderebbe altrove, a maggior ragione se si arrivasse ad un accordo di pace tra Russia e Ucraina, e tra Israele e Medio Oriente. In quel caso, sostiene il segretario della Lega, i soldi “si potrebbero utilizzare in altra maniera”. A Via Bellerio anche il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non è convinto di ReArm Europe: “Un conto sono gli aiuti emergenziali di questi mesi all’Ucraina, che non sono in discussione; un altro è il programma di Difesa europea, che ha bisogno di programmazione e non si può fare all’improvvisata”.

L’ex commissario europeo, Paolo Gentiloni, invece promuove il piano Von der Leyen: “Il piano di riarmo dell’Europa è un primo passo che va nella giusta direzione. La presidente della Commissione Ue lo ha annunciato qualche ora dopo il taglio degli aiuti militari americani all’Ucraina, mentre le Borse andavano giù per la guerra dei dazi. E’ chiaro che può essere migliorato, però nelle ore difficili che stiamo attraversando penso che sia un segnale che va nella direzione giusta. Poi vedremo”. Secondo Gentiloni, l’Occidente “non è mai stato così malato, non vedere la crisi sarebbe da sonnambuli”. Per questo l’Ue “è giusto che ora punti a difendersi, non si possono delegare gli americani come successo per 80 anni”.