Manovra, Cgil-Uil confermano sciopero. Meloni: Nessuna rivolta quando si aiutavano banche

In una mano ‘L’uomo in rivolta‘ di Albert Camus, nell’altra una calcolatrice nuova di zecca. A Palazzo Chigi, Giorgia Meloni riceve dai segretari di Cgil e Uil, Maurizio Landini e PierPaolo Bombardieri, due regali. “E te niente?” scherza con il leader della Cisl, Luigi Sbarra. Nessun gadget, risponde lui, “solo proposte”.

Al tavolo sulla legge di Bilancio ci sono 12 sigle sindacali e nove esponenti del governo. Oltre alla premier, il vice Antonio Tajani, i ministri dell’Economia Giancarlo Giorgetti, delle Imprese Adolfo Urso, del Lavoro Marina Calderone, dell’Istruzione Giuseppe Valditara, della Salute Orazio Schillaci, per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo e il sottosegretario Alfredo Mantovano. Il “passo avanti” sperato però non si fa, i margini sono troppo ristretti, gli emendamenti in scadenza (al termine delle 16 maggioranza e opposizione ne presentano in commissione 4.500) e alla fine di un confronto fiume durato sei ore Cgil e Uil confermano lo sciopero del 29 novembre. Non aderirà la Cisl, che ritiene l’incontro “importante” e apprezza la manovra. “Accoglie molte delle richieste avanzate dal nostro sindacato”, ammette Sbarra. Non mancano aspetti da migliorare nell’iter parlamentare, sottolinea, tuttavia “in particolare sul fronte del sostegno ai redditi, al lavoro, ai pensionati, alle famiglie, si danno risposte convincenti, in linea con le rivendicazioni della Cisl”. Misure che, fa presente, “orientano oltre i due terzi della cubatura finanziaria del provvedimento”.

Sostanzialmente non c’è da parte del Governo una disponibilità a ragionare” su alcuni punti, osserva Bombardieri uscendo da palazzo Chigi, primo fra tutti la riforma fiscale. “Banalmente il governo ha riconfermato che quella che ha presentato in Parlamento è la manovra, che i margini sono quelli, che gli spazi possibili di modifica sono limitati se si condivide quell’impianto e se si sta dentro a quella logica. Quindi in quella condizione lì noi confermiamo il nostro giudizio di una pessima legge di bilancio e che non affronta e non dà un futuro al nostro Paese”, fa eco Landini. In ingresso, il leader di Cgil torna sul concetto di rivolta sociale e spiega il motivo per cui ha deciso di regalare alla premier il volume di Camus: “Se hanno paura delle parole, è bene che colgano un tema, cioè di fronte a un livello di ingiustizie e di diseguaglianze come quello che si sta determinando, io credo che ci sia bisogno proprio che le persone non accettino più, che non si girino da un’altra parte”. D’altra parte, insiste Bombardieri, “non era mai successo che un governo presentasse in Parlamento una manovra già decisa, già fatta, senza alcun confronto con le organizzazioni sindacali“.

La premier però non arretra di un passo, rivendica le scelte fatte, annuncia che l’intenzione è di intervenire nuovamente sull’Irpef (“ma dipenderà dalle risorse che avremo a disposizione e che arriveranno anche alla chiusura del concordato preventivo”) e tira la stoccata a Landini: “La solidità, la credibilità e il coraggio di questo Governo hanno consentito di poter far partecipare banche e assicurazioni alla copertura della legge di bilancio. Un grande cambiamento rispetto al passato, quando invece con la legge di bilancio si trovavano le risorse per sostenere banche e assicurazioni, e nessuno invocava la rivolta sociale“. La presidente del Consiglio ringrazia anche il segretario Uil per la calcolatrice: “Così anche lui potrà fare un rapido calcolo” sulla sanità. Questa manovra, spiega, è “in continuità con le scelte che il Governo ha fatto con le due precedenti leggi finanziarie”. Le risorse sono state concentrate su alcune “priorità fondamentali”, con una “visione di medio e lungo periodo, tenendo i conti in ordine e concentrandoci su una prospettiva di crescita del Sistema Italia, pur nel contesto internazionale tutt’altro che facile nel quale operiamo”. In manovra i focus sono stati, elenca Meloni, a sostegno ai redditi medio-bassi, al lavoro, alle famiglie con figli, alla riduzione della pressione fiscale, all’aumento delle risorse nella sanità e al rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici. Un approccio che è “un cambio di passo” rispetto al passato, afferma, quando “si è preferito adottare misure più utili a raccogliere consenso nell’immediato che a gettare le basi per una crescita duratura, scaricando il costo di quelle misure su chi sarebbe venuto dopo“.

L.Bilancio, Meloni influenzata: l’incontro con i sindacati slitta all’11 novembre

L’incontro sulla manovra tra Giorgia Meloni e i sindacati slitta due volte nello stesso giorno. Inizialmente previsto per questo pomeriggio alle 17 (con un ritardo a detta di Cgil e Uil non giustificabile perché “a giochi fatti”), il confronto viene posticipato. Prima si parla del 12 novembre alle 8.30, a causa di uno stato influenzale della premier, comunicato tre quarti d’ora prima della convocazione, poi di nuovo anticipato all’11 novembre alle 9, a causa dell'”indisponibilità di uno dei sindacati seduti al tavolo“, fanno sapere fonti di Palazzo Chigi.

L’11 novembre però è anche il termine per la presentazione degli emendamenti dei partiti in Parlamento, dove nelle commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato proseguono senza sosta le audizioni. Un incontro il giorno dopo sarebbe stato probabilmente tardivo.

Prima dell’incontro previsto con i sindacati, Meloni riceve il segretario della Nato Mark Rutte, tenendo un punto stampa dopo il bilaterale. Domattina in agenda è prevista la partecipazione della premier all’evento inaugurale del Gruppo Mondiale per l’Energia da Fusione, alla Farnesina, non ancora annullata ma “a rischio“.

Dal confronto della prossima settimana con i sindacati, però, non ci si aspetta grandi novità. Cgil e Uil hanno proclamato uno sciopero generale di 8 ore per il 29 novembre, giudicando la manovra “del tutto inadeguata” ma dicendosi pronti a rivederlo, a eventuali istanze accolte. Dallo studio di Bruno Vespa, però, Meloni non sembra voler tornare sui suoi passi, ribadendo di aver già accolto tutte le richieste possibili: “C’è un piccolissimo pregiudizio da parte di Cgil e Uil, tra l’altro con uno sciopero generale convocato qualche giorno prima di incontrare il governo – aveva detto -. Volevano la diminuzione del precariato e il precariato è diminuito, l’aumento dell’occupazione e l’occupazione è aumentata, più soldi sulla sanità e abbiamo messo più soldi sulla sanità. Se nonostante questo confermano lo sciopero non siamo più nel merito“. Cgil e Uil restano fermi. Questa legge, confermano in audizione, “rischia di peggiorare ulteriormente le cose”. Qualche apertura c’è invece da parte di Cisl, che non aderisce allo sciopero del 29 novembre e che vede nella misura “risposte alle esigenze dei lavoratori” anche se “ci sono aspetti migliorabili”.

Anche Confindustria però è pronta a esprimere perplessità alla premier, che incontrerà, con le altre associazioni d’impresa, il 13 novembre alle 16. In audizione gli industriali lamentano uno “stallo” dell’economia: “Il nostro auspicio era, e rimane, di una manovra incisiva, con una visione di politica industriale e un impulso deciso sugli investimenti”, confessa il direttore generale, Maurizio Tarquini, rimarcando che “al momento il testo non offre risposte adeguate ai problemi e ai rischi”.

Auto, sindacati in piazza: “Stellantis subito a Palazzo Chigi”. Urso: “Domani convocazione”

In 20mila a Roma per chiedere al governo di rilanciare la politica industriale dell’automotive e a Stellantis di ‘cambiare marcia’. Sono i dati dell’adesione allo sciopero nazionale del settore indetto da Fim, Fiom, Uilm, che dal palco di Piazza del Popolo hanno fatto risuonare un messaggio forte e chiaro: Palazzo Chigi deve convocare azienda e sindacati al più presto possibile.

Alla fine della giornata lavorativa, Stellantis comunica che nei propri siti la percentuale media di adesione allo sciopero è stata “complessivamente dell’8,8% e che “la produzione non ha registrato alcuna interruzione negli impianti attualmente operativi”.

“I metalmeccanici si sono uniti e stanno unendo il Paese e le forze politiche, perché c’è un interesse comune: salvaguardare gli stabilimenti di Stellantis in Italia, la ricerca, lo sviluppo, la componentistica“, dice il segretario generale della Fiom, Michele De Palma, prima che il corteo muova la testa da Piazza Barberini. “Scioperiamo per il futuro del nostro Paese. I lavoratori non possono essere usati come ostaggio in una guerra tra politici o tra i politici e l’amministratore delegato, perché poi a pagarne le conseguenze siamo noi. E noi siamo stanchi di pagare le conseguenze di scelte fatte da altri“, lamenta.

Dura anche la posizione della Uilm: “Manifestiamo nei confronti di governo, Europa e Stellantis: le loro azioni sembrano contrastanti, invece sono speculari, cioè l’obiettivo è lo stesso, far venire altri produttori, cinesi, non per raggiungere le produzioni che già facciamo ma in sostituzione“, tuona il segretario generale, Rocco Palombella. Cita cifre e percentuali, invece, il leader della Fim Cisl, Ferdinando Uliano: “Abbiamo elaborato i dati del primo trimestre, poi dopo sei mesi e ancora dopo nove mesi aggiungiamo negatività. È un profondo rosso in tutti gli stabilimenti“, avverte. “Abbiamo -70% di produzione a Mirafiori rispetto all’anno scorso, -76 a Modena, -68 a Melfi. È tutto meno, un disastro continuo, questa cosa deve essere invertita, deve essere presa in mano dalla Presidenza del Consiglio, perché stiamo parlando dell’11% della ricchezza prodotta e all’incirca di 1,2 milioni di lavoratori che girano“.

Ci sono anche i segretari di Cgil, Cisl e Uil accanto ai metalmeccanici. “Chiediamo al governo e al presidente del Consiglio che convochino un tavolo dove ci siano Stellantis, tutta la componentistica e tutte le organizzazioni sindacali: non possiamo più aspettare, c’è bisogno di un piano industriale che rilanci la produzioni nel nostro Paese“, dice Maurizio Landini. “Contemporaneamente, c’è bisogno che questa azione abbia una dimensione europea, perché è tutto il sistema industriale europeo a rischio“. Duro il commento di Pierpaolo Bombardieri: “Una richiesta al governo, alla politica, al ministro Urso: basta chiacchiere, servono fatti concreti. Non ci possiamo permettere di leggere tutti i giorni di chiusure dei siti produttivi per il costo dell’energia e per la mancanza politiche industriali. Il governo deve chiarire cosa farà“. Luigi Sbarra, poi, chiede che l’azienda “mantenga gli impegni che ha assunto col sindacato e con il governo di rilanciare la filiera dell’automotive nel nostro Paese concentrando risorse, investimenti e nuovi modelli, aumentando la capacità produttiva e salvaguardando tutti i posti di lavoro“.

La risposta dell’esecutivo arriva da Torino, dove Urso, a margine della presentazione di Argotec, seguire con “rispetto” l’iniziativa dei sindacati assicurando che “domani convocherò l’azienda“. Il responsabile del Mimit lascia il campo alle sigle, ma da domani “ci muoveremo per convincere Stellantis che qui è il luogo migliore dove investire: dove è nata l’auto, dove con l’auto sono nati l’industria italiana e l’orgoglio del Made in Italy“.

“La fase di transizione del settore automobilistico verso modelli di produzione sostenibile e verso l’elettrificazione della mobilità, in linea con gli obiettivi del Green Deal posti dall’UE, rappresenta la matrice del disagio alla base dello sciopero. Di questo Stellantis è pienamente consapevole“, spiega l’azienda in una nota, sostenendo che la manifestazione di oggi, “alimentata essenzialmente dalla preoccupazione per il conseguente attuale calo della produzione negli stabilimenti italiani del Gruppo, ma anche dalle ricadute su tutta la filiera, richiama inevitabilmente l’attenzione, oltre che della stessa Stellantis, anche delle istituzioni, nazionali e europee, chiamate ad accompagnare questa trasformazione e a cercare soluzioni condivise”. A questo proposito, il Gruppo ribadisce la “ferma determinazione a garantire la continuità produttiva e delle attività, supportando tutti i lavoratori in questa fase”. Il percorso è “impegnativo“, viene sottolineato, e “comporta scelte complesse, non offre soluzioni immediate, e al contempo richiede unità d’intenti e visione. Obiettivo di tutti è che Stellantis, insieme ai suoi dipendenti, continui ad essere azienda leader nel futuro del settore automobilistico globale“.

Per le strade di Roma sfilano anche diversi sindaci dei comuni dove si trovano gli stabilimenti Stellantis. Il Coordinamento permanente presso Anci chiede all’esecutivo e al Mimit di essere incluso nei tavoli istituzionali sulla crisi del comparto, seguendo “con preoccupazione crescente” l’evoluzione della crisi del settore.

In piazza arrivano anche i rappresentanti delle forze politiche, ma solo delle opposizioni. “Abbiamo già richiesto, con tutte le altre opposizioni, che anche Elkann venga audito in Parlamento“, afferma la segretaria del Pd, Elly Schlein. Ricordando di aver chiesto “io stessa all’amministratore delegato Tavares, in audizione, che si confronti, certamente con il governo, ma soprattutto con sindacati e lavoratori, cosa che finora è mancata“. All’esecutivo lancia una sfida alla premier, Giorgia Meloni: “Ottenere che il Next Generation Eu continui. Convinca i suoi alleati delle destre nazionaliste europee a proseguire nella strada necessaria degli investimenti comuni“. Per Giuseppe Conte è “assolutamente necessario che il governo prenda in mano questa situazione e chiami Stellantis a chiarire strategie imprenditoriali per l’Italia“. Il presidente dei Cinquestelle garantisce che il suo partito starà “al fianco degli operai, perché il disastro sociale che si preannuncia con questo progressivo disimpegno di Stellantis dall’Italia è veramente serio“. Lo stesso termine lo usa anche il segretario di Azione, Carlo Calenda: “Occorre mettere un pacchetto, non solo per Stellantis, ma per tutte le imprese dell’indotto, che valgono 220mila posti di lavoro, 2.200 aziende, e convocare Tavares ed Elkann a Palazzo Chigi. Ma bisogna farlo subito, perché il prossimo anno avremo un disastro industriale annunciato“.

Chiama in causa l’esecutivo pure Angelo Bonelli: “Manca una strategia industriale, che investa nell’innovazione tecnologica, altrimenti rischiamo di lasciare spazi ai grandi competitor globali come la Cina“. Ecco perché il portavoce nazionale di Europa Verde dalla piazza vuole dire “basta al cinismo di una azienda, Stellantis, che ha applicato una strategia inaccettabile che è quella del ‘mordi e fuggi’, usufruendo di oltre 7 miliardi di fondi pubblici negli anni passati per poi delocalizzare in Paesi terzi“. Sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizza anche il leader di Si e parlamentare Avs, Nicola Fratoianni, che rilancia: “L’azienda deve cambiare passo, ma anche il governo deve mettere in campo investimenti adeguati sulla transizione, invece di schierarsi con i campioni del rinvio e i climafreghisti di tutta Europa“.

Oltre alle single che sfilano a Roma anche l’Ugl Metalmeccanici scende in piazza in 7 siti industriali, insieme a Fismic e Aqcf. “È una giornata storica per l’Automotive, lavoratori e anche cittadini, nonché le sigle sindacali – dichiara il segretario nazionale, Antonio Sperahanno dato prova di sapersi mobilitare insieme per un obiettivo comune e cioè pretendere per l’Italia, Paese dall’indiscutibile tradizione industriale, un progetto strategico per tutto il settore che, ovviamente, dipende dalle scelte e dal destino del Gruppo Stellantis“.

Ex Ilva, lunedì a Palazzo Chigi sindacati e indotto. Fiom: Ora realizzazione piano

Lunedì prossimo, 25 marzo, i sindacati saranno nuovamente a Palazzo Chigi per riprendere il filo della discussione sul futuro dell’ex Ilva. Alle ore 19 sono attesi in Sala Verde la Fiom-Cgil, la Fim-Cisl, la Uilm e l’Ugl per discutere i prossimi passi per rimettere in piedi l’acciaieria dopo l’avvio dell’amministrazione straordinaria e la nomina dei commissari. Per il governo dovrebbero essere presenti il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, la responsabile del Lavoro, Marina Calderone, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, e il ministro per gli Affari Ue, il Sud, la coesione e il Pnrr, Raffale Fitto, mentre per la Presidenza del Consiglio dovrebbe partecipare il sottosegretario, Alfredo Mantovano.

All’appuntamento le sigle si presentano con idee ben chiare, come dimostrano le parole di Michele De Palma alla vigilia dell’incontro: “E’ necessario mettere a disposizione ulteriori risorse per poter garantire il consolidamento delle condizioni di salute e sicurezza, di sicurezza degli impianti e di rilancio della produzione”. Per il segretario generale della Fiom-Cgil “si sono insediati i commissari, ma ora è arrivato il momento di passare dalla programmazione alla realizzazione”. Inoltre chiederanno “il rientro a lavoro di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori”, perché per “gli errori fatti dal management del privato, precedentemente, un’azienda salvata dai lavoratori e dal sindacato si ritrovi in discussioni che riguardano una ‘piccola Ilva’ o soluzioni che prevedono riduzioni dell’occupazione”.

Fiom, dunque, vuole il rilancio dell’azienda ma “dentro una concezione nuova”. C’è “davvero bisogno di fare la transizione industriale verso produzioni che siano ecologicamente compatibili – aggiunge De Palma -. Noi non scambiamo la salute e la sicurezza delle persone con il diritto al lavoro. Le due cose devono stare insieme”.

Lunedì a Palazzo Chigi si parlerà anche di come rimettere in equilibrio la situazione dell’indotto, che aspetta ormai da tempo che venga sanata la situazione economica. Sempre in Sala Verde, infatti, alle ore 20 sono attesi anche i rappresentanti di Aigi, Confapi Taranto, Casartigiani Puglia, Confindustria Taranto, Cna Taranto, Fai Conftrasporto e Federmanager. Dopo la nuova fase avviata con l’uscita di scena di ArcelorMittal, dunque, il governo vuole stringere i tempi e recuperare il terreno perso.

Ex Ilva, avviata l’amministrazione straordinaria. Quaranta commissario straordinario

Meno di 24 ore dopo l’ultima riunione con indotto e sindacati, il governo ammette “con decorrenza immediata” Acciaierie d’Italia alla procedura di amministrazione straordinaria. Proprio come richiesto, lo scorso 18 febbraio scorso, da Invitalia, il socio pubblico di AdI (38% del capitale). Come commissario straordinario il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha scelto Giancarlo Quaranta (nella foto in basso a sinistra, dal suo profilo LinkedIn), ingegnere, che il Mimit definisce “professionista con lunga esperienza nel settore siderurgico“. Fino a questo momento, infatti, ricopriva il ruolo di direttore della Divisione tecnica ed operativa di Ilva Spa in amministrazione straordinaria e presidente del Consorzio elettrosiderurgici Italiani per il preridotto. Toccherà a lui traghettare le Acciaierie d’Italia verso un futuro diverso, lontano da ArcelorMittal, che intanto annuncia con una nota la fine del coinvolgimento in AdI, iniziato nel 2018.

La multinazionale, nonostante la situazione ormai irrimediabilmente precipitata, rivendica di essersi “impegnata pienamente a favore delle persone e delle risorse di AdI, allora nota come Ilva, investendo oltre 2 miliardi di euro” che hanno consentito all’azienda “di completare nei tempi previsti un vasto programma ambientale da 800 milioni di euro che ha garantito il rispetto dell’Autorizzazione Integrata Ambientale stabilita dal governo italiano, oltre a investire 1,2 miliardi di euro nell’ammodernamento delle attrezzature in tutti i siti. AdI ha inoltre beneficiato di centinaia di milioni di euro di credito attraverso la fornitura di materie prime da parte di ArcelorMittal“.

Non solo, perché il gruppo indiano va oltre, assicurando che “desiderava risolvere la significativa discrepanza negli investimenti di capitale in AdI da parte dei due azionisti“. Al punto che “nelle recenti discussioni ArcelorMittal ha avanzato proposte pragmatiche per affrontare questo problema, pur continuando il partenariato pubblico-privato con Invitalia istituito nell’aprile 2021. Quando non siamo riusciti a concordare termini accettabili, abbiamo anche offerto di vendere la nostra partecipazione in AdI a Invitalia. Le discussioni, nonostante i migliori sforzi di ArcelorMittal, non hanno avuto successo“. Per Mittal “se AdI fosse stata in grado, dopo l’aprile 2021, di accedere al tradizionale finanziamento del debito e di raccogliere il capitale circolante necessario per finanziare le sue esigenze correnti, invece di fare affidamento sugli apporti di capitale dei suoi azionisti come unica fonte di capitale, questa situazione avrebbe potuto essere evitata“.

Non è la versione dei sindacati, però, che plaudono la tempestività della nomina del commissario straordinario e “l’avvio della procedura di amministrazione straordinaria dell’ex Ilva per affrontare i problemi a partire dai lavoratori, dalla produzione, dalla salute e sicurezza e dalla tutela ambientale“, commenta il coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil, Loris Scarpa. Ritenendo “necessario che nelle prossime ore ci sia un incontro con le organizzazioni sindacali per aprire la discussione sullo stato degli impianti e le azioni per garantire la continuità produttiva“. Inoltre “il confronto con Palazzo Chigi continui“. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il segretario generale Uilm, Rocco Palombella: “Pur ritenendo l’amministrazione straordinaria un provvedimento estremo, alle attuali condizioni rappresenta l’unica possibilità per salvare e rilanciare l’ex Ilva, l’ambiente, i lavoratori e le imprese dell’indotto e i lavoratori di Ilva As“. Per la Fim Cislla scelta di Quaranta in parte ci rassicura e ci dà la possibilità di sperare in un vero cambio di passo e nel rilancio del sito“, sottolineano il segretario generale e il segretario nazionale, Roberto Benaglia e Valerio D’Alò. “E’ fondamentale – aggiungono – che l’amministrazione straordinaria duri il tempo necessario a preparare il terreno per l’investitore privato e per farlo, è necessario dare al commissario le fondamentali dotazioni, anche in termini finanziari, per fa ripartire l’acciaieria“.

Ugl Metalmeccaniciapprezza sia la nomina di Quaranta, scelta di qualità per il mondo dell’acciaio, sia la tempestività del governo nel procedere a una soluzione in una vertenza strategica per l’industria italiana“. Mentre Usb pone l’accento “sulle vicende dell’appalto, perché grande è la preoccupazione per i tanti dipendenti delle ditte in attesa del pagamento degli arretrati“.

Compiti che spetteranno ora al nuovo commissario straordinario. Che a gennaio, festeggiando i 40 anni dal suo primo giorno di lavoro nello stabilimento di Taranto dell’Italsider, scriveva su Linkedin: “Con l’inizio del 2024 auguro alla ‘fabbrica’ di ritrovare vigore e donare benessere ai suoi dipendenti ed ai contesti territoriali che la ospitano con i suoi stabilimenti“. Ora dipenderà molto anche da lui.

Ex Ilva, Governo studia ‘divorzio consensuale’ da ArcelorMittal

Un ‘divorzio consensuale’ con ArcelorMittal per ridurre il rischio di un contenzioso futuro, assicurando la continuità aziendale e produttiva. E’ il piano a cui lavorano i tecnici del governo e del socio franco-indiano.

Ieri sera una delegazione di governo con i ministri Adolfo Urso (Imprese), Elvira Calderone (Lavoro), Raffaele Fitto (Affari europei), Giancarlo Giorgetti (Economia) in collegamento e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, ha incontrato i sindacati per informarli dell’esito della trattativa di lunedì 8 gennaio con Mittal, riconvocandoli nuovamente giovedì 18 gennaio.

L’esecutivo garantisce un “ascolto reale” e si impegna ad aprire, chiuso il confronto con Mittal, un nuovo tavolo al ministero del Lavoro sull’occupazione e sulla sicurezza negli impianti, altro capitolo scottante della vicenda.

“Finalmente il governo ha deciso di non tornare indietro e di procedere sulla strada di assumere la gestione dell’azienda. Questo è il punto su cui con i lavoratori e dei lavoratrici abbiamo insistito per salvaguardare il futuro occupazionale dell’azienda e l’ambiente”, ha spiegato il leader della Fiom, Michele De Palma, al termine del tavolo. L’esecutivo, ha rivelato, ha risposto anche alla richiesta di mettere in sicurezza anche da un punto di vista della salute.” È dura ed è complicato, siamo ad un passo dal fatto che il governo si assuma le proprie responsabilità e che lo faccia anche ArcelorMittal, non volendo più investire. Ora però si apre un nuovo tema, la garanzia per il futuro dell’occupazione di tutti i lavoratori. A pagare il prezzo delle scelte sbagliate dei manager non possono essere i lavoratori”.

Ex Ilva, sindacati sulle barricate: Governo assuma controllo o non staremo fermi

Il tempo delle riflessioni è scaduto. Fiom, Fim e Uilm organizzano una conferenza stampa davanti a Palazzo Chigi sulla vertenza ex Ilva, ma sono convocati dal governo il 20 dicembre. Oltre quella data, assicurano, non saranno disposti a tollerare risposte ambigue: il socio pubblico in Arcelor Mittal, quindi in Acciaierie d’Italia, deve crescere e il governo prendere il controllo, altrimenti “non staremo fermi” e “non andremo via”, tuonano. Tradotto: la protesta prosegue a oltranza.

Al momento, Adi è al 38% di Invitalia e al 62% di Arcelor Mittal. In ballo c’è il futuro di 20mila lavoratori, tutti ancora in Cig, e della produzione dell’acciaio in Italia. L’incontro del 20 tra Palazzo Chigi e le parti sociali sarà propedeutico all’Assemblea degli azionisti, prevista per il 22 ma già rinviata diverse volte. La crisi finanziaria in cui sostiene di versare l’azienda richiede una ricapitalizzazione di emergenza di oltre 300 milioni di euro.

“Voglio essere esplicito: il 20 o c’è una risposta che dà garanzie rispetto alla salita del socio pubblico dentro Arcelor Mittal, quindi dentro Acciaierie, quindi prende in mano il governo la gestione dell’azienda, con un elemento di garanzia per i lavoratori e le produzioni, o noi non andremo via“, spiega Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil. Lamenta un disinteresse dell’azienda non solo per il futuro, ma anche per le attuali situazioni di sicurezza e salute dei lavoratori: “Ogni giorno c’è un incidente dentro gli impianti”, ricorda. De Palma denuncia anche un comportamento dell’azienda “oggettivamente anti-sindacale”: “Non rispetta il dialogo con i delegati, con i lavoratori, con le organizzazioni sindacali. Sappiamo che nel governo c’è un dibattito: il punto è uno, alla luce di quello che sta succedendo, cosa stanno aspettando? Siamo venuti per liberare il governo dalla condizione di ostaggio in cui la multinazionale indiana tiene gli impianti, i lavoratori e la dignità del Paese“, chiosa.

Si assumano la responsabilità o la pagheranno, il giudizio dei lavoratori e delle comunità è negativo, verso una crisi gestita con i piedi“, avverte il segretario della Uilm, Rocco Palombella. “Noi il 20 dicembre verremo qui e il governo e i ministri devono sapere che ci devono dire qual è la proposta che hanno messo in piedi per salvaguardare 20mila posti di lavoro, l’ambiente e la produzione di acciaio. Ce lo devono dire, non possono continuare a prendere tempo, come hanno fatto in questi anni, aspettando di passare il cerino al governo successivo. Ma siccome i lavoratori non sono cerini, ma persone con una grande dignità, chi fa politica deve assumersi i problemi e deve fare le proposte”, aggiunge. Da 4 anni dura l’affidamento a Mittal e “il bilancio è sotto gli occhi di tutti: è stata fallimentare fin dal primo momento, non c’è stato un anno senza l’utilizzo della cig o con un livello produttivo minimo. Non hanno speso un euro e ora chiedono il conto”, denuncia. E conclude: “Noi solleciteremo chiarezza e decisione. Se questo non sarà possibile, si apre un altro scenario, se il 20 ci saranno notizie negative, noi non staremo fermi”.

Dal Piemonte arriva la proposta del governatore Alberto Cirio di un’azione coordinata con Puglia e Liguria per “far sentire la voce delle Regioni in difesa degli stabilimenti produttivi”. Questa mattina, il presidente della Regione ha incontrato amministratori e organizzazioni sindacali sul futuro degli stabilimenti a Novi Ligure, Racconigi e Gattinara. La Regione, ha annunciato, parteciperà all’incontro convocato del 20 dicembre a Roma.

Stellantis pronta a confronto con sindacati. Accordo con Mimit a settembre

Un tavolo Stellantis e un piano prima dell’accordo di programma per aumentare la produzione in Italia condivisi con le parti sociali. Tutti saranno coinvolti, assicura il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, nella riunione sul comparto automotive con le organizzazioni sindacali. L’accordo però slitta rispetto alle previsioni del ministro, che più volte aveva parlato di un’intesa da chiudere entro la prima metà di agosto.

Il Tavolo Stellantis, composto da Mimit, azienda, sindacati, Regioni e Anfia, sarà finalizzato alla sottoscrizione, entro la fine dell’anno, di un accordo di programma che abbia un orizzonte al 2030.
Le richieste di confronto trilaterale che i sindacati avevano avanzato alla fine dell’incontro di oggi, sono state accolte. Anche l’azienda conferma il “forte impegno nei confronti del Paese” e di avere instaurato con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy un “dialogo dinamico e costruttivo“.

Siamo pronti a proseguire, dopo la pausa estiva, un cammino, anche con le parti sociali e le organizzazioni di categoria, che si basa su un processo chiaro e su una visione condivisa sul percorso da seguire“, fa sapere Stellantis, che si dice convinta della necessità di “costruire un progetto globale per l’Italia che tenga conto di diversi fattori come le previsioni di mercato, l’accessibilità economica delle auto per i clienti italiani, l’impatto di normative come l’Euro 7 e gli incentivi per mantenere la competitività nazionale come il costo dell’approvvigionamento energetico e le agevolazioni per l’acquisto delle vetture“.

Il piano di lavoro, in via di definizione, potrà essere sottoscritto entro il mese di settembre e sarà articolato seguendo l’incremento dei volumi di produzione dei veicoli così come il consolidamento dei centri di ingegneria e ricerca e sviluppo, rafforzando la presenza in ambiti a elevate potenzialità di sviluppo sia nel breve che nel medio-lungo periodo. L’attenzione sarà anche all’ efficientamento degli impianti, per migliorarne la competitività in termini di costo del lavoro, energia e logistica; all’ accelerazione degli investimenti in transizione energetica e ambientale per migliorare l’impronta di carbonio dei siti produttivi e ridurre il consumo energetico; all’assessment della filiera della componentistica da completare in tempi certi. Sarà necessaria anche una mappatura aggiornata delle competenze presenti nel Gruppo e una proiezione a 5 e 10 anni delle competenze ritenute critiche e dei lavoratori degli stabilimenti Stellantis.

I sindacati chiederanno conto all’azienda di una serie di punti: “Non ha chiarito le scelte di fondo e le loro ricadute produttive e occupazionali sul nostro Paese e in alcuni siti non c’è tranquillità sul futuro“, mette in luce il Segretario generale della Uil, PierPaolo Bombardieri. I tempi inizialmente previsti, ricorda, “sono slittati e non è chiaro se l’obiettivo di produrre 1 milione di auto consideri anche i 300mila veicoli commerciali, ad oggi, già prodotti”.

L’obiettivo su cui ci siamo mobilitati , manifestando a Poissy e poi con gli scioperi unitari dei metalmeccanici era un accordo quadro sul piano industriale, che garantisca l’occupazione attuale in tutti gli stabilimenti di produzione di componenti e assemblaggio, e nei centri di ricerca e sviluppo“, sottolineano Maurizio Landini, segretario generale Cgil e Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil.
L’obiettivo, ribadiscono, “deve essere quello di tornare a produrre un milione di auto e 300mila veicoli commerciali leggeri attraverso la realizzazione di un piano che determini il rilancio di tutti gli impianti e gli enti centrali esistenti nel nostro Paese“.

Pnrr, Fitto a commissioni: “Chiariremo punto per punto. Parlamento discuterà revisione”

In Parlamento si chiarirà “punto per punto” tutto quello che il governo sta facendo per risolvere i problemi che avrebbero portato alla non erogazione della terza rata. In audizione davanti alle commissioni riunite Bilancio e Politiche Ue di Camera e Senato, Raffaele Fitto inizia a tranquillizzare i parlamentari, che incontrerà nelle Aule l’1 agosto per riferire sulla terza relazione semestrale del Pnrr. I nodi restano quelli dell’erogazione della terza rata e dei ritardi sulla quarta. Problemi che il ministro declassa come polemiche. Rispetto alla data del 30 giugno, fissata come termine per presentare i progetti per richiedere la quarta rata, “voglio ribadire che non abbiamo delle scadenze da regolamento, ma degli impegni. Si trattava di un termine indicativo. Ecco perché abbiamo modificato alcuni obiettivi, d’accordo con la Commissione europea“, spiega. Sulla terza, le lungaggini sarebbero dovute alla fase di verifica fisica, che non era prevista per le prime due rate: “Siamo entrati in una fase diversa, si modifica l’approccio“, afferma Fitto.

Della revisione del Piano, a ogni modo, il Parlamento “certamente discuterà, con modalità anche più ampie di quanto non sia stato fatto sull’intera approvazione del Pnrr“, è l’affondo del ministro, che rivendica un confronto molto più assiduo con le Camere rispetto ai governi Conte e Draghi. A breve, si presenterà la revisione con il capitolo del RepowerEu, con una “proposta concreta” discussa nelle commissioni e nell’Aula, che pone due priorità: “Quella relativa all’infrastrutturazione per migliorare la capacità energetica del Paese e il tema del rafforzamento dell’efficientamento energetico per imprese e famiglie“.

Intanto, si conclude a Palazzo Chigi la due-giorni di cabina di regia. Dopo essersi confrontato con le associazioni datoriali e del mondo agricolo, Fitto incontra i sindacati confederali. Le sigle però si spaccano. Mentre Cisl giudica positiva la volontà del governo di proseguire sulla via del confronto, Cgil e Uil si dicono deluse. “Un metodo di confronto occasionale, estemporaneo, senza elementi di merito precisi per esprimere una valutazione compiuta. A queste condizioni, non possiamo parlare di governance partecipata, prevista dalla legge e dai regolamenti europei, che dovrebbe garantire un dialogo preventivo con le parti sociali”, scandisce il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari, che si dice “fortemente preoccupato per i ritardi accumulati e per la condizione di stallo e di incertezza rispetto sia all’implementazione, sia all’ipotetica rimodulazione dei contenuti del piano”. “Ci hanno detto che ci manderanno dei documenti dove forse capiremo come intendono modificare il piano nazionale e 14 su 27 obiettivi della rata numero 4. Ad oggi capiamo che sono ancora in una situazione di sistemazione“, fa eco la segretaria confederale della Uil Ivana Veronese. Dagli asili nido alle infrastrutture chiede chiarezza. “Se poi questa chiarezza ci sarà nei documenti che ci manderanno, lo vedremo. Ad oggi non c’è“, ribadisce. Di tutt’altro avviso la Cisl, che parla di una riunione positiva: “Abbiamo segnalato gli elementi, a nostro giudizio, di maggiore criticità e attenzione, a partire dall’aumento dei prezzi delle materie prime”, riferisce il segretario confederale Ignazio Ganga. Ma, osserva, “a fronte della complessità degli impegni che ci attendono abbiamo apprezzato la disponibilità del ministro a proseguire sulla via dell’interlocuzione e del confronto con le parti sociali in vista della scadenza del 31 agosto prevista per la rimodulazione del Piano”.

mario draghi

Dl Aiuti, verso Cdm domani. Oggi Draghi vede sindacati

Il passaggio tecnico è fatto, ora inizia il countdown per il nuovo decreto Aiuti. Dopo il via libera in Cdm alla Relazione per il Parlamento, che aggiorna gli obiettivi programmatici di finanza pubblica e il relativo piano di rientro (che sarà presentata alle Camere per l’autorizzazione), la strada è spianata per portare in Consiglio dei ministri il testo entro la fine di questa settimana, o al massimo la prossima. Sarà una boccata d’ossigeno per famiglie e filiere produttive, schiacciate dal caro bollette, ma non proprio quello che Mario Draghi sperava di portare a casa: in sostanza, sarà una proroga fino al 31 dicembre delle misure già varate in questi mesi. Compreso il taglio di 30 centesimi alle accise sui carburanti, oltre a una prima tranche di interventi per mitigare i danni causati dalla siccità.

Il quadro è molto più chiaro dopo il primo ciclo di incontri voluti dal premier, che a Palazzo Chigi riceve i vertici di Coldiretti, Confagricoltura, Confartigianato, Cna, Confimi, Casartigiani e Confapi, assieme a una parte dei suoi ministri, Daniele Franco (Economia), Giancarlo Giorgetti (Mise), Andrea Orlando (Lavoro), Renato Brunetta (Pa), Stefano Patuanelli (Mipaaf), oltre al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli.

Draghi ribadisce la volontà di “coinvolgere tutti” in questa fase di emergenza, per fronteggiare la flessione dell’economia e in vista di una stagione autunnale che si prevede molto complessa. “Le attività del governo non si fermano” – è stato il ragionamento dell’ex Bce -, perché l’Esecutivo “ha ancora tanto da fare“, sebbene nel perimetro delle funzioni che gli competono in questa fase. Un atteggiamento molto apprezzato dai rappresentanti delle associazioni datoriali del comparto agricolo e artigianato. “L’aumento dei costi energetici impatta drammaticamente sulla vita dei nostri imprenditori, il credito di imposta diventa una misura di fondamentale importanza“, spiega il numero uno di Coldiretti, Ettore Prandini, all’uscita da Palazzo Chigi. Il presidente dei coltivatori diretti chiede che in materia di rinnovabili si arrivi “realmente ad avere i decreti attuativi per gli impianti di biogas e biometano” ma anche per il fotovoltaico “che serve alle imprese agricole“.

L’energia è centrale nei colloqui. “In questo momento è il ‘Covid’ della manifattura“, alza il tiro Maurizio Casasco, presidente di Confapi. Mentre punta sulla “necessità di abbattere il costo per la parte della produzione, considerando l’agricoltura al pari della grande industria alimentare, con gli stessi benefici per quello che riguarda gli oneri fiscali sul costo energetico“, il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti. Che mette sul piatto un’altra richiesta: “Le aziende agricole hanno bisogno di avere sempre di più manodopera“, dunque serve mettere mano al “cuneo fiscale e la decontribuzione a favore delle imprese che stabilizzano i dipendenti“, oltre agli interventi “sul costo degli alimentari per consumatori“, quest’ultimo, se possibile, “velocemente“. In realtà la scelta se azzerare l’Iva sui beni di prima necessità, come pane e pasta, e ridurla al 5% per carne e pesce, è ancora al vaglio dei tecnici.

Il decreto che vedrà la luce nelle prossime ore, invece, riparerà di sicuro all’errore sulla norma del de minimis: “Verrà modificato al prossimo Cdm“, assicura il presidente di Confimi, Paolo Agnelli, riportando le informazioni ricevute direttamente da Palazzo Chigi. Draghi, del resto, con i suoi interlocutori garantisce l’impegno del governo a rispondere in modo positivo ai molti punti sollevati dalle associazioni. Non prima di aver completato il giro. Stamattina, infatti, riceverà Cgil, Cisl e Uil, anche se difficilmente potrà portare avanti i propositi esposti a Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri nell’incontro della settimana scorsa: la crisi che ha portato allo scioglimento delle Camere e l’avvio delle procedure per il voto anticipato non permette di andare oltre un certo limite su salario minimo e taglio del cuneo fiscale. Alle 15.30, infine, vedrà Confcommercio, Confesercenti, Federdistribuzione, Alleanza cooperative, Federterziario, Confservizi, Confetra e in agenda c’è anche il confronto con Ania e Abi. Dopodiché il testo arriverà in Consiglio dei ministri. Con la speranza – del premier – di convogliare almeno questa volta la responsabilità di tutte (o quasi) le forze politiche. Nonostante la crisi e la campagna elettorale.