Ex Ilva, ingresso privati entro anno. Domani incontro Urso-Vestager su prestito ponte

Un socio privato sostituirà ArcelorMittal in Acciaierie d’Italia entro la fine dell’anno. “Non è detto che sia italiano, l’importante è che ci sia un partner che abbia davvero interesse a investire“. Dal Forum in Masseria di Bruno Vespa, Adolfo Urso tira quasi un sospiro di sollievo dopo settimane da incubo.

Quasi, perché la situazione è ancora seria, non c’è cassa, ma si sta sbloccando. Il ministro delle Imprese parla più volte di ‘Sistema Italia’ e di coesione tra politica, sindacati, sistema produttivo. E non a caso. Ci sono diverse navi ferme in rada, a Taranto, che hanno un carico prezioso per l’ex Ilva: le materie prime. Senza quelle, gli impianti si fermano e se si fermano vengono compromessi. Sono ferme perché le materie vanno pagate prima dello sbarco: ecco perché Urso ha mobilitato il Gruppo Marcegaglia, con le aziende clienti di AdI, per pagare in anticipo le fatture in scadenza nelle prossime settimane. Contemporaneamente, fa sapere di essersi mosso con le multinazionali che forniscono materie prime, perché le forniscano in tempo utile.

Domani il ministro incontrerà la commissaria europea per la Concorrenza, Margrethe Vestager, a Copenaghen. Occorre l’autorizzazione dell’Europa per il prestito ponte da 320 milioni di euro previsto nel decreto di gennaio con cui verrà pagato soprattutto l’indotto. Gli emendamenti al Dl saranno votati la prossima settimana. Martedì, Urso sarà a Taranto per incontrare tutti, dai lavoratori ai rappresentanti delle imprese, ma anche gli enti locali e il sindaco, e dare atto di quello che si sta facendo con l’amministrazione straordinaria. Il commissario ha preso possesso degli impianti e, assicura il ministro, “ha ricevuto un’accoglienza straordinaria e corale“.

Ecco il ‘Sistema Italia‘ di cui parla, quello che, a suo dire, consentirà di arrivare al nuovo socio privato entro la fine del 2024 e “con procedure di pubblica evidenza” in un clima “del tutto diverso”. Cioè, spiega, “con tutte le forze politiche, sindacali e produttive unite“.

Il piano acciaio per l’Italia va avanti e non comprende solo l’Ilva. Prenderà forma “prima dell’estate“, in prossimità di quelle che potrebbero essere le procedure di assegnazione che prevedono quattro poli: Acciaierie del Nord, Terni, Piombino e l’ex Ilva. “Avremo da qui a breve un piano siderurgico nazionale che nel delineare la produzione in qualche misura – rivendica – definirà quello che lo Stato si aspetta dagli investitori, chiunque essi siano, per il più grande polo siderurgico d’Europa“.

Ex Ilva, lunedì sindacati a P.Chigi. Uilm: Da Morselli solo bugie. E l’ad querela

Il negoziato tra ArcelorMittal e Governo prosegue, ma con scarsi risultati: l’amministrazione straordinaria appare sempre più vicina. Lunedì 19 febbraio, in serata, il ministro delle Imprese Adolfo Urso incontrerà ancora a Palazzo Chigi i sindacati del comparto, per comunicare i prossimi passi per il rilancio dell’ex Ilva.

La prossima settimana, in commissione Industria del Senato, inizieranno anche le votazioni sugli emendamenti ai due decreti integrati che riguardano Acciaierie d’Italia e soprattutto l’indotto, con i lavoratori e le aziende che sono state messe sotto copertura di uno strumento di cassa integrazione. Urso però lamenta una scarsa collaborazione di AdI sulle informazioni da estrarre dai propri database, in merito alle imprese dell’indotto che potrebbero utilizzare gli strumenti messi in campo con il decreto legge. In particolare, non sarebbe stata comunicata la composizione del debito. Sono quindi le imprese dell’indotto che in caso di amministrazione straordinaria rischierebbero maggiormente. Negli incontri precedenti, il Governo ha assicurato di voler preservare gli impianti produttivi, l’occupazione e tutelare l’ambiente.

Venerdì, intanto, si consuma lo scontro tra il leader della Uilm, Rocco Palombella, e l’ad di Acciaierie d’Italia, Lucia Morselli. “Questo negoziato non ha più senso. Anche perché tutto si è arenato sulla richiesta di una manleva, una sorta di lasciapassare giudiziario per Morselli, e per il cda, nessuno può garantirlo“, denuncia il sindacalista dalle colonne di Repubblica. “E – aggiunge – non sarebbe corretto concedere questo scudo“.

Gli avvocati del socio pubblico Invitalia e quelli di Mittal, a suo dire, sarebbero fermi sempre sugli stessi punti. In particolare si discuterebbe del “lasciapassare per l’ad Morselli, una sorta di scudo penale, e del fatto che Invitalia pretenda da ArcelorMittal il pagamento di una compensazione per come è ridotta l’azienda rispetto a quando sono entrati. E gli indiani non vogliono riconoscere nulla“, scandisce Palombella. I problemi, però, per le parti sociali, sono altri. “Basta leggere la lettera che i commissari dell’Ilva, da cui le Acciaierie affittano gli impianti di Taranto e degli altri siti, scrivono a Morselli per capire che la situazione non va“, afferma. I programmi produttivi non corrispondono a quelli presentati quando è iniziato l’affitto del sito, i report su manutenzione e stato degli impianti non arrivano o sono parziali.

In audizione in Senato, Morselli ha chiesto un prestito da un miliardo per poter acquistare gli impianti e “diventare una azienda normale“, assicurando che i debiti veri non ammonterebbero a 3,1 miliardi, ma a meno di 700 milioni. “Morselli in Parlamento ha detto solo bugie“, tuona Palombella, incassando una querela dell’amministratore delegato.
È la seconda volta che l’ad tenta e pensa di intimidirmi per delle critiche alla sua gestione e alle sue parole dette in audizione al Senato“, fa sapere il segretario della Uilm, assicurando che non arretrerà “di un millimetro nella difesa di tutti i lavoratori, dell’ambiente e del futuro produttivo di un asset strategico per il nostro Paese“.

Ex Ilva, Morselli: Trattativa c’è, Mittal vuole restare. Urso: Si cambia equipaggio

Mentre a Taranto gli imprenditori dell’indotto occupano e bloccano il ponte girevole paralizzando la città, a Palazzo Madama Lucia Morselli racconta di una ex Ilva che sembra irriconoscibile. “L’azienda è ancora viva, produce, ha gli impianti in efficienza e paga gli stipendi, anche ieri, anche questo mese”, scandisce l’ad di Acciaierie d’Italia in audizione in commissione Industria.

Il problema, sostiene, è solo di liquidità e i debiti sono molto meno di quelli emersi in queste settimane, non 3,1 miliardi, ma neanche 700 milioni. Questo perché la composizione negoziata non è del gruppo, è su una delle società del gruppo: “Il debito di cui si parla è in massima parte inter-company, verso la società capogruppo che finanzia le partecipate, questo vale circa un miliardo. In più c’è un miliardo di debito ‘fantasma’, che dovremmo pagare nel caso in cui dovessimo comprare gli impianti“, precisa. Il debito vero, sarebbe, di fatto “meno di 700 milioni per una società che fattura 3-4 miliardi”. Il piano industriale è stato approvato dal cda e copre fino al 2030: “E’ forte perché è stato approvato da entrambi i soci in assemblea, sia da Invitalia che da ArcelorMittal“, ricorda.

Lo scorso anno, il governo però è stato costretto a erogare un finanziamento in conto capitale da 680 milioni: “Sono andati tutti all’Eni e alla Snam, per pagare le bollette energetiche“, si giustifica Morselli. Anzi, precisa: “Sono andati tutti al signor Putin, neanche all’Eni e alla Snam, perché poi li avranno trasferiti a coloro da cui hanno comprato il gas. Sono il costo di una guerra“.

La trattativa con il governo è in corso e i termini sono quelli noti: trovare soluzioni alla compagine societaria. ArcelorMittal si dice pronta a cedere la maggioranza, portando a un cambio di governance: “Sono accordi presi da anni, si tratta di metterli a posto“, smorza l’ad. Arcelor vuole restare, “con atteggiamento disponibile a quello che il governo italiano desidera”, afferma. In queste ore il confronto tra Invitalia e la società è serrato, per capire se si possa evitare l’amministrazione straordinaria, ma lo Stato, assicura il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, non subentrerà a Mittal.

Per Morselli, la strada migliore è sempre e solo l’accordo. “La vita non si fa con i decreti, le aziende non si fanno con i decreti, si fanno con le persone, i decreti non hanno mai risolto problemi aziendali“, sostiene. Il decreto dell’esecutivo invece, denuncia, “cancella tutte le possibilità di gestione intermedia della crisi“, dando la possibilità di usarne una sola: l’amministrazione straordinaria.

La soluzione a tutti i problemi sarebbe per AdI acquistare gli impianti, che sono in affitto. La locazione scade a maggio, per questo nessuna banca sarebbe disposta a erogare finanziamenti, senza orizzonti di recuperabilità, né dal punto di vista della solidità né del tempo. Se l’azienda fosse proprietaria degli impianti, “diventerebbe normale – ribadisce l’ad -, io gestisco un altoforno che non è mio“. Come? Azzarda l’idea di una sorta di ‘mutuo’ da un miliardo: “Sono 5-6 anni che l’azienda gestisce gli impianti senza possederli, ora basta, il piano ambientale è finito“. Non esclude neanche la possibilità dell’ingresso di un altro socio: “Credo sia un’azienda che possa interessare a molti“.

I sindacati, intanto, vengono convocati di nuovo a palazzo Chigi lunedì 19 febbraio, alle 18.15. La posizione di Urso resta la stessa dell’ultima convocazione: se Mittal non investe su Taranto, nonostante gli utili miliardari, è “chiaro che occorre cambiare rotta ed equipaggio“.

Ex Ilva, Urso: “Senza altra soluzione, commissariamento pronto”. AdI in Senato il 13/2

Il confronto con gli azionisti dell’Ex Ilva è in corso e il commissariamento pronto. Ma Adolfo Urso promette che il rilancio produttivo, occupazionale e la riconversione ambientale del sito saranno garantiti.

Siamo in dirittura d’arrivo“, dice arrivato a Bruxelles per incontrare la vicepresidente esecutiva alla Concorrenza, Margethe Vestager, e il Commissario all’Industria e al Mercato unico, Thierry Breton. La procedura sull’amministrazione straordinaria, sostiene, è “largamente condivisa in Parlamento“. Sarebbe una strada percorribile se non si dovessero trovare altre soluzioni, dopo aver tutelato i crediti delle imprese dell’indotto. “Se nelle prossime ore non ci fosse una soluzione diversa, procederemo diritti verso la strada del commissariamento, cioè dell’amministrazione straordinaria“, ribadisce. Intanto, i crediti dell’indotto sono stati “salvaguardati” con un provvedimento che il ministro definisce “molto apprezzato sia dalle imprese sia dai sindacati“.

In mattinata, Urso informa la commissione Industria del Senato: in due decreti legge accorpati, il governo prevede lo stanziamento di 320 milioni di euro per dare continuità all’impianto, considerato strategico per l’indipendenza industriale del Paese. In commissione non c’è l’ad di Acciaierie, Lucia Morselli. Sulla convocazione di AdI si apre un giallo. L’azienda nega di essere mai stata contattata e in una nota conferma da subito la sua partecipazione “in caso la Commissione ritenga opportuna l’audizione della società“. Il presidente, Luca De Carlo, smentisce in un botta e risposta al vetriolo. La IX commissione ha provveduto a invitare la Presidenza all’audizione sui decreti Ilva, assicura. Contrariamente a quanto accaduto lo scorso anno, quando era presente l’amministratore delegato, fa sapere De Carlo, “la presidenza di Acciaierie d’Italia questa volta ha ritenuto, secondo una sua valutazione di opportunità, di non aderire alla convocazione, effettuata come da prassi”. Scelta, precisa, “verbalizzata nel corso della seduta dello scorso 30 gennaio”. Raccoglie quindi “con favore” la “rinnovata disponibilità” e, vista la delicatezza del tema, comunica di essere pronto ad audire il gruppo in commissione già martedì prossimo. In serata, arriva l’ok di Acciaierie a partecipare all’audizione del 13 febbraio.

La gestione della vicenda è “dilettantesca“, tuona il vicepresidente e coordinatore economico del M5s, Mario Turco. Ricorda che Taranto l’amministrazione straordinaria l’ha già provata “sulla sua pelle” e che il commissariamento “non è la soluzione”, ma un rinvio dei problemi. Resta l’incognita sul futuro della più grande acciaieria d’Europa: “Meloni e Urso devono dirci quale strada intendono intraprendere, cioè se è in cantiere un piano di profonda diversificazione e riconversione industriale del sito, oppure se si andrà avanti con le logiche produttive rivelatesi inefficaci e anti-economiche del passato basate sul carbone“, chiosa Turco. A Taranto, osserva, i problemi economici “non possono essere separati da quelli ambientali e sanitari”. Servirebbe cioè un accordo di programma all’interno di “un’articolata riconversione economica, sociale e culturale della città”. L’amministrazione straordinaria invece, deplora, “è proprio la quintessenza della deresponsabilizzazione”.

Auto, scintille Urso-Tavares. Il ministro: “Se vogliono lo Stato in Stellantis lo chiedano”

Il Piano Ecobonus per il 2024 c’è e vale quasi un miliardo di euro. Ma i rapporti tra il ministero delle Imprese e Stellantis restano tesi. La causa, questa volta, è un’intervista che il Ceo Carlos Tavares rilascia a Bloomberg prima del vertice al ministero. Sostiene che il mercato dell’elettrico in Italia valga molto poco perché i governi, finora, non lo hanno sovvenzionato abbastanza. E che Stellantis sia stata utilizzata dall’esecutivo come “capro espiatorio” davanti ai lavoratori in bilico e agli stabilimenti a rischio, per “evitare di assumersi la responsabilità“.

Negli incontri che ho avuto con Tavares e la proprietà Elkann, è stato chiesto un impegno a cambiare la normativa Euro7, cosa che il governo ha fatto. Ci avevano anche chiesto un impegno sugli incentivi e l’abbiamo mantenuto“, ricorda Urso. Poi affonda: “Se Tavares richiede che l’Italia faccia come la Francia, che ha cambiato la sua partecipazione statale in Stellantis, ce lo chieda e possiamo ragionare insieme”. Il Piano, che stanzia risorse per 950 milioni per gli incentivi per l’acquisto di auto a basse emissioni inquinanti, va in tre direzioni, “convergenti“, spiega Urso: sostenibilità ecologica, sociale e produttiva. Primo obiettivo è stimolare la rottamazione delle auto altamente inquinanti, l’euro 0, 1 2 e 3, che sono ancora il 25 per cento del parco circolante in Italia. C’è poi quello di incentivare la produzione, che negli ultimi anni si è drasticamente ridotta, “malgrado gli incentivi predisposti che sono andati prevalentemente, sino all’80 per cento, a vetture prodotte in stabilimenti esteri, anche della stessa Stellantis”, fa notare Urso. Infine, tra gli obiettivi, c’è quello di aiutare soprattutto le famiglie con redditi bassi, attraverso un sistema graduale che prevede agevolazioni più significative per i nuclei con ISEE fino a 30mila euro. Così facendo, la produzione di auto in Italia dovrebbe crescere nel 2024. Se così non fosse, però, “se quest’anno il trend non dovesse cambiare, nonostante le ingenti risorse che stiamo mettendo in campo“, avverte il ministro, “destineremo le ulteriori risorse del ‘fondo automotive’ esclusivamente a sostegno della nostra filiera e a incentivare nuovi stabilimenti produttivi nel nostro Paese”.

Di “traguardo importante” parla Davide Mele, responsabile Corporate Affairs di Stellantis Italia, che prende parte al tavolo. Chiede di far capire a tutti che “dall’elettrico non si torna indietro“, e conferma “l’obbiettivo comune, insieme al Governo, alla filiera, ai sindacati e a tutti coloro che vivono tutti i giorni questo settore, di sostenere la produzione di veicoli in Italia nei prossimi anni con l’ambizione di raggiungere anche il famoso milione di veicoli (auto e veicoli commerciali, precisa) nel piano DF2030“. Quanto alla questione degli stabilimenti, però, anche lui però tiene a precisare che la produzione è “strettamente correlata alla domanda di mercato“: “In base alla domanda dei clienti, noi produciamo le auto e non il contrario. Ecco perché è fondamentale stimolare la domanda con auto a prezzi accessibili. L’accessibilità è data dagli sforzi congiunti di Stellantis e dei suoi fornitori per garantire che i clienti possano acquistare le nostre Auto, fornendo così attività e posti di lavoro ai nostri stabilimenti”, scandisce.

A margine del Tavolo, Urso incontra i lavoratori della logistica dello stabilimento di Melfi, in presidio davanti alla sede del dicastero, rimasti senza lavoro in seguito alla disdetta dei contratti. I sindacati non sembrano soddisfatti del tavolo: “Un piano di soli incentivi non basta. Incentivare la domanda dovrebbe essere l’atto finale di una politica industriale sul settore dell’automotive nel suo complesso“, fanno notare Samuele Lodi e Maurizio Oreggia di Fiom-Cgil. Lamentano una mancanza di garanzie sull’occupazione e sulla produzione nei siti italiani di Stellantis e nelle aziende della filiera della componentistica: “I cinque tavoli tecnici-tematici sull’automotive non hanno ancora prodotto risultati da questo punto di vista. Le risorse pubbliche devono essere vincolate a garanzie per l’occupazione e all’aumento dei volumi produttivi, a partire dall’incremento di produzioni di auto mass market, lo stesso impianto di incentivi non è una garanzia rispetto all’aumento delle produzioni nel nostro Paese“. È positivo che siano stati varati i nuovi incentivi per i veicoli elettrici, ma “pensiamo che gli incentivi dovrebbero essere maggiormente finalizzati alla risoluzione dei problemi dei lavoratori“, fanno eco Rocco Palombella e Gianluca Ficco di Uilm, che chiedono a Stellantis una “dimostrazione di forte responsabilità sociale, nei confronti dei propri dipendenti e di quelli dell’indotto“. La speranza delle parti sociali per tutelare davvero gli stabilimenti in Italia è che, nel rapporto con il gruppo, il Governo passi “da una polemica confusa a una proposta concreta“.

Si apre Pitti Uomo 105: innovazione e sostenibilità

Ricerca, innovazione, sostenibilità. Si apre nella Fortezza da Basso di Firenze l’edizione numero 105 di Pitti Uomo, fino a venerdì 12 gennaio. Vetrina per le collezioni dell’Autunno/Inverno 2024-2025, ma anche un luogo di sperimentazione e specchio delle tendenze, della creatività e delle nuove istanze che attraversano la società.

Ottocentotrentadue i marchi presentati, per il 46% brand esteri. Focus sul vintage, sul mondo pets ma anche sul green. Guess Inc. lancia Guess Jeans, la linea guidata da Nicolai Marciano, fortemente orientata alle pratiche eco-consapevoli.

Gli studenti di Istituto Marangoni Firenze vengono guidati dal fotografo Maurizio Galimberti alla realizzazione di tre installazioni artistiche per le vetrine della boutique Cartier in via Strozzi. Utilizzano materiali di scarto provenienti da allestimenti precedenti, messi a disposizione da Pardgroup, storica azienda italiana che gestisce, in tutto il mondo, attività di retail design e shop fitting dei luxury brand. Il progetto fa parte della seconda puntata di Dis-Cycling, l’iniziativa sostenibile che alla prima edizione aveva visto la collaborazione dell’artista Sarah Coleman e Fendi.

Secondo il Centro studi di Confindustria Moda, il tessile-abbigliamento ha subito una leggera frenata nella seconda metà del 2023, alimentando previsioni non rosee per il 2024. Ma questo poco importa, assicura il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso: “Dicono che i motivi del leggero rallentamento del settore siano anche dovuti al cambiamento climatico. In realtà non c’è stata ancora una stagione invernale e questo ha avuto delle influenze significative sulle vendite“, osserva. Ma, in generale, precisa il ministro, “il 2022 e 2023 sono stati anni molto buoni per la moda italiana che ha riaffermato la sua leadership globale“.

I grandi creativi, le firme, gli autori di questa “eccellenza biglietto da visita dell’Italia all’estero” saranno invitati a partecipare alla prima giornata nazionale del Made in Italy, che si svolgerà il 15 aprile e che sarà, nelle parole di Urso, “un evento che il mondo guarderà come le vetrine della moda, dell’arredo e dell’alimentazione italiana”.

Il settore è sostenuto con gli ultimi provvedimenti, dal ddl Made in Italy, che finanzia le fibre naturali, alla riforma degli incentivi per le imprese. Sul piano Transizione 5.0 sono stati destinati quasi 13 miliardi di euro per l’innovazione digitale ed ecologica delle imprese, con crediti fiscali fino al 40%. Per chi investe in Italia, ci sono 3,5 miliardi da destinare in nuovi stabilimenti.
Il territorio di Firenze è uno di quelli colpiti dall‘alluvione. “C’è la necessità che il governo supporti il rilancio e la ripresa di queste imprese“, sottolinea il governatore della Toscana, Eugenio Giani. “Sento di poter parlare a un interlocutore cui spero possa risuonare l’appello per le imprese della moda che operano proprio fra Firenze e Pistoia e lo voglio fare nell’occasione in cui la Toscana e Firenze si mostrano un po’ come le capitali del sistema moda, perché c’è il Made in Italy che trova attraverso le esportazioni uno dei veicoli fondamentali, ma vi è un Made in Tuscany che di questo sistema delle esportazioni è protagonista“, rimarca. Urso garantisce che l’esecutivo non si tirerà indietro: “Con il Dl Energia abbiamo esteso quanto previsto per l’Emilia Romagna – ricorda – cioè l’utilizzo della legge 181 per le imprese che sono nelle zone alluvionate ai fini di poter ottenere risorse, in parte a fondo perduto, in parte in forma di incentivi“.

Ex Ilva, salta tavolo governo-Mittal: No aumento capitale e Stato al 66%

Il tavolo tra governo e Arcelor Mittal sul futuro ex Ilva di Taranto salta. La delegazione dell’esecutivo (i ministri dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, degli Affari Ue e Pnrr, Raffaele Fitto, delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, del Lavoro, Elvira Calderone, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano) propone ai vertici dell’azienda un aumento di capitale sociale pari a 320 milioni di euro e un aumento della partecipazione pubblica al 66%. ArcelorMittal, però, alza il muro e si dichiara indisponibile a qualunque impegno finanziario e di investimento, anche come socio di minoranza. Palazzo Chigi incarica Invitalia di “assumere le decisioni conseguenti, attraverso il proprio team legale” e convoca i sindacati il pomeriggio di giovedì 11 gennaio.

Un esito che “conferma quello che Fim, Fiom e Uilm hanno denunciato e per cui hanno mobilitato le lavoratrici e i lavoratori“, rivendicano le parti sociali, che ribadiscono la “necessità” di un controllo pubblico, data la “mancanza di volontà” del socio privato di voler investire risorse. I sindacati giudicano l’indisponibilità di Mittal “gravissima“, soprattutto di fronte alla situazione in cui versano i lavoratori e gli stabilimenti. Un atteggiamento che, denunciano, “conferma la volontà di chiudere la storia della siderurgia nel nostro Paese“. L’attesa, dall’incontro di giovedì, avvertono i segretari Roberto Benaglia, Michele De Palma e Rocco Palombella, è che si arrivi a una soluzione che metta in sicurezza tutti i lavoratori, compreso quelli dell’indotto, e si garantisca il “controllo pubblico, la salvaguardia occupazionale, la salute e la sicurezza, il risanamento ambientale e il rilancio industriale“.

Se per il senatore di FdI, Matteo Gelmetti, il governo fa “finalmente politica industriale” e per il presidente dei senatori Dem Francesco Boccia mette in atto oggi “quello che il Pd chiedeva da tempo“, il risultato, per Angelo Bonelli di AVS, è lo “schiaffo di una multinazionale in faccia allo Stato italiano“. Nulla di imprevisto, ricorda: “Il suo modo di agire era noto nel mondo ancor prima che fosse scelta per rilevare lo stabilimento ex Ilva“. Lo Stato, è il timore, va incontro a una “esposizione economica di centinaia e centinaia di milioni di euro” che rischierà di dover versare ad Arcerol-Mittal, ed é a suo avviso “quello che la multinazionale ha sempre avuto in testa in questo contenzioso legale, che si sta delineando in tutta la sua drammaticità“.

Inflazione, Urso: “Italia al minimo in Ue grazie a carrello tricolore”. Ira opposizioni

L’Eurostat comunica che a dicembre l’inflazione in Italia è scesa ancora allo 0,5%, mentre in Ue è cresciuta al 2,9%, con Francia al 4,1%, Germania al 3,8% e Spagna al 3,3%. “Un’ottima notizia per le famiglie italiane“, festeggia il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che rivendica il “pieno successo” del ‘carrello tricolore’. “Smentiti i profeti di sventura!”, chiosa su X.

Di “profeti di sventura” smentiti parla anche il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti: “La sinistra anti-Meloni e che gioca contro l’Italia cambi disco perché quello che da un anno manda in onda è rotto“, ironizza.

Una lettura che scatena le ire delle opposizioni. Daniela Torto, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Bilancio della Camera, giudica le parole di Urso “abominevoli“: “Dire che il merito del calo dell’inflazione italiana sia da ascrivere al ‘carrello tricolore’ è una pagliacciata di proporzioni mai viste”, tuona. Per l’esponente pentastellata il calo dell’inflazione di deve solo alla discesa dei prezzi dei beni energetici. “Purtroppo ad aumentare in modo clamoroso sono i prezzi dei beni alimentari non lavorati, ovvero carne fresca, frutta fresca, pesce fresco, la cui dinamica a dicembre è passata dal +5,6 al +7%, secondo quanto riportato da Istat“, evidenzia, additando il ‘Carrello Tricolore’ come una “buffonata di centrodestra“.

Di “parodia” parla Stefano Patuanelli, presidente dei senatori del M5S, per cui il trimestre salva-spesa è stato una delle “tante misure spot del Governo Meloni, bellissime sul piano comunicativo ma decisamente inutili sul piano dell’economia reale“. Un “fallimento totale – accusa -, ma annunciato e rivendicato dal Governo come un provvedimento che ha fatto scendere l’inflazione“.

Si chiede “dove vivano e quali negozi frequentino” il ministro Urso, gli altri esponenti del Governo e della destra che “esultano per dati Istat che confermano il salasso subito dalle famiglie italiane” la deputata del Pd Debora Serracchiani.Uno zero-virgola in meno di inflazione viene spacciato come un successo mentre l’esperienza quotidiana delle persone è fatta di prezzi che aumentano, di rinunce e di sacrifici“, scandisce. Fa riferimento a beni di consumo essenziali, come i trasporti o gli alimentari, “contro cui è stato ininfluente il ‘carrello tricolore’ della Meloni. C’è una questione sociale ed economica – sostiene – che va affrontata“.

Auto, tavolo permanente al Mimit, da Stellantis 1 mln veicoli. Urso: Punto di svolta

Un milione e mezzo di veicoli prodotti in Italia, un milione da Stellantis e cinquecentomila da altre case automobilistiche che si affacceranno nel panorama della Penisola. L’obiettivo del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, per rilanciare il settore dell’Automotive è ambizioso e per i sindacati del comparto assomiglia più a un sogno che a un progetto.

A Palazzo Piacentini, sede del Mimit, si insedia il primo incontro del Tavolo permanente con tutti gli attori coinvolti Stellantis, Anfia, le parti sociali, le Regioni che ospitano stabilimenti della multinazionale. Si punta a chiudere un accordo di sviluppo per, appunto, aumentare i livelli produttivi nazionali, consolidare i centri di ingegneria e ricerca, investire sui modelli innovativi, riqualificare le competenze dei lavoratori e sostenere la riconversione della componentistica.”Un punto di svolta per il sistema paese per raggiungere un obiettivo ambizioso, ma concreto: invertire il declino produttivo registrato negli ultimi anni in Italia“, commenta Urso al tavolo.

Con lui, siedono la sottosegretaria Fausta Bergamotto, una delegazione di Stellantis guidata da Davide Mele, Responsabile Corporate Affairs Italia e Amministratore Delegato MOPAR, i presidenti del Piemonte e dell’Abruzzo, Alberto Cirio e Marco Marsilio, il vicepresidente della Regione Lazio, Roberta Angelilli, gli assessori regionali della Basilicata, Michele Casino, della Campania, Antonio Marchiello, e dell’Emilia Romagna, Vincenzo Colla, e i tecnici della Regione Molise. Poi i segretari generali di Fiom-CGIL, Michele De Palma, Fim-Cisl, Ferdinando Uliano, UILM, Rocco Palombella, UGL-Metalmeccanici, Giovanni Antonio Spera, e FISMIC, Roberto Di Maulo. Per ANFIA il presidente Roberto Vavassori e il direttore generale Gianmarco Giorda.

La prima mossa per il rilancio del settore, per il ministro, è invertire la progressiva contrazione dei volumi produttivi in Italia, dove l’anno scorso sono state prodotte 450mila autovetture a fronte di un milione e 400mila immatricolazioni. Per il settore, c’è un fondo a disposizione da sei miliardi da qui al 2030, parte di questi possono andare agli incentivi che però, avverte Urso, dovranno stimolare l’acquisto di auto effettivamente prodotte in Italia, potranno essere ripensati per accompagnare nella transizione verde la filiera della componentistica e tutto l’indotto, o comunque promuovendo l’insediamento di altre case produttive nel Paese.

Un piano che stride con la cig dei lavoratori e la prospettiva degli stabilimenti, per il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella: “È positivo che il tavolo si sia insediato, ora bisogna verificare le posizioni di Stellantis sulle auto e soprattutto sulla transizione, come incide sulla componentistica e sulle aziende terze“. La domanda però nasce spontanea: “Con quale acciaio faremo auto? Con quello italiano o straniero? Spero che il governo assuma una posizione radicale: Mittal non può più dirigere la siderurgia italiana”, tuona. “Tutti i lavoratori di tutti gli stabilimenti continuano a essere in cassa integrazione“, conferma Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil, che chiede all’azienda se dall’anno prossimo usciranno dalla cassa. “Siamo favorevoli a fare un accordo – fa sapere -, ma a condizione che Stellantis metta delle proprie risorse, visto che fa utili pazzeschi, e che dall’altro lato garantisca la ricerca, lo sviluppo e la produzione del nostro Paese“. Le parti sociali chiedono un piano di sviluppo e occupazione da almeno due anni, ricorda Ferdinando Uliano, segretario nazionale Fim: “Per noi è determinante, stiamo affondando negli annunci, speriamo che questo non sia l’ennesimo”.

Nessun annuncio, ma impegno, assicura Stellantis, che ribadisce la centralità dell’Italia nella strategia globale del Gruppo e la volontà di creare un futuro sostenibile per le attività che hanno già contribuito alla bilancia commerciale italiana con un surplus di 11 miliardi di euro dalla creazione del gruppo nel 2021 al giugno di quest’anno. Per raggiungere gli obiettivi finali, però, sottolinea l’azienda, “al di là del livello di performance di ogni impianto, sono cruciali una serie di fattori abilitanti specifici, come la cancellazione dell’impatto della normativa Euro 7 per la continuazione della produzione di modelli accessibili in Italia, gli incentivi adeguati per i clienti di veicoli elettrici per sostenere il mercato e lo sviluppo della rete di ricarica, e il miglioramento della competitività industriale di Stellantis e dei fornitori italiani, incluso il costo dell’energia“.

Il Tavolo permanente proseguirà articolandosi in cinque gruppi di lavoro: sul Mercato (incentivi, future evoluzioni) a guida MIMIT, sulla Competitività (efficientamento, energia) a guida Regioni, sulla Componentistica a guida ANFIA, su Lavoro e competenze a guida delle organizzazioni sindacali e, infine, su R&S e centri di ingegneria a guida MIMIT. Il prossimo incontro del Tavolo è previsto entro gennaio 2024.

Prezzo benzina al minimo per 2023. Urso: “Cartello efficace”

Il prezzo medio alla pompa della benzina ha raggiunto il minimo storico per l’anno in corso. Lo rileva il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che determina il prezzo medio ogni giorno, a partire dai dati comunicati dagli esercenti sulla rete stradale e autostradale italiana.

La benzina su strada è a 1,81 euro per litro, il più basso dell’anno, e i margini delle società petrolifere si sono ridotti di 9 centesimi rispetto a quelli in atto un anno fa, di un terzo” perché “è lì che si può incidere con provvedimenti nazionali: sui margini. E l’efficacia della misura la dimostra i risultati”, rivendica Adolfo Urso.

Il valore è lo stesso registrato dal 17 al 19 maggio, cioè il più basso dall’inizio dell’anno. Negli ultimi due mesi, il costo per litro della benzina è diminuito di quasi 20 centesimi (19 centesimi tra il 22 settembre e il 22 novembre). Anche il prezzo medio del gasolio nell’ultimo bimestre si è contratto, di circa 15 centesimi di euro al litro, non raggiungendo però i valori minimi del maggio scorso quando le quotazioni internazionali del gasolio erano sensibilmente più basse di quelle attuali.

Un risultato a cui, secondo il Mimit, ha contribuito anche l’esposizione del prezzo medio, che “ha portato a un contenimento del margine di distribuzione (un delta di circa 8-9 centesimi al litro se si confronta l’estate 2023 con quella precedente) e, di conseguenza, del prezzo industriale della benzina. Grazie ai contenuti margini di distribuzione, in Italia il prezzo industriale del carburante risulta oggi stabilmente più basso di Germania, Francia e Spagna“, commenta il ministero.

Non sono d’accordo i consumatori, secondo i quali il ribasso non c’entra col cartello, anche perché il Tar del Lazio il 10 novembre ha annullato il decreto con l’obbligo di esposizione del prezzo medio, “eppure i prezzi, invece di risalire, hanno continuato lo stesso tranquillamente a scendere, mentre in agosto, quando il decreto è entrato in vigore e a maggior ragione i benzinai avrebbero potuto temere di pagare lo scotto di avere prezzi maggiori a quelli medi, i listini sono decollati“, rileva Massimiliano Dona, presidente dell’Unc.
Abbiamo presentato ricorso al Consiglio di Stato sulla decisione del Tar, che non interviene sul merito ma sulle modalità del tabellone del prezzo medio. Perché l’efficacia è sotto gli occhi di tutti”, ribadisce Urso.

I listini dei carburanti scendono alla pompa grazie al ribasso del petrolio sui mercati internazionali, e “non certo per l’effetto dei cartelli con i prezzi medi esposti presso i distributori“, per il Codacons. Il presidente Carlo Rienzi ricorda che “si è passati infatti dal picco di 97 dollari al barile toccato lo scorso 28 settembre agli attuali 81 dollari, con un crollo del -16,5% che, in parte, si è trasferito sui listini dei Carburanti alla pompa. Un ribasso su cui il provvedimento del Governo che ha introdotto i cartelli con i prezzi medi non ha avuto alcun tipo di influenza”. “Il vero pericolo ora è rappresentato dalle partenze di Natale – avvisa Rienzi – Con l’aumento degli spostamenti degli italiani durante il periodo delle festività, i prezzi di benzina e gasolio potrebbero subire nuovi e sensibili rialzi, fenomeno che si ripresenta puntualmente in Italia in occasione di esodi e controesodi, e che nessun governo ha saputo contrastare efficacemente”.

Siamo convinti che la discesa dei listini sia dovuta non solo alle misure del Governo, ma anche alle logiche speculative dei mercati internazionali, che in questo momento sono ribassiste“, commenta Assoutenti. Il tema ora è riuscire a condizionare il prezzo della benzina il più possibile al costo di produzione, per evitare anomalie e discrepanze eccessive. Per fare questo, secondo il presidente Furio Truzzi, “è necessaria una rivoluzione copernicana a partire dalla nostra ex azienda di Stato Eni, allo scopo di giocare un ruolo inedito sui mercati internazionali privilegiando l’interesse nazionale dell’Italia, e quindi i consumatori e le imprese del nostro Paese“. Le società leader in Italia nel settore dei carburanti “potrebbero fare da apripista – suggerisce – abbandonando la logica finanziaria e speculativa del Platts, costruendo il prezzo dei carburanti su parametri oggettivi e non speculativi, anche perché le oscillazioni del costo del petrolio in questi ultimi 11 mesi hanno influito in modo marginale sul prezzo della benzina alla pompa”.