Nel 2024 cala export (-0,4%), pesa frenata tedesca. Urso: “Cresce attrattività Italia”

Nel 2024 le esportazioni italiane si sono lievemente ridotte a 623,5 miliardi di euro (-0,4%), soprattutto a causa della netta caduta delle vendite verso la Germania, -5%. Le vendite all’estero sono cresciute però del 30% sul 2019, quando si attestarono a 480 miliardi. A sostenerlo è l’Ice nel rapporto 2024-2025 presentato questo pomeriggio.

“Le flessioni registrate per mezzi di trasporto, sistema moda, mobili e beni intermedi, soprattutto i derivati del petrolio – si legge nel rapporto – sono state compensate dagli aumenti di prodotti alimentari, chimico-farmaceutici, Ict e dal balzo della gioielleria (+39%) dovuto principalmente alla forte domanda del mercato turco”.

La lieve flessione registrata per l’export italiano nel 2024 – spiega l’Ice – è il risultato di dinamiche molto diversificate nei singoli mercati e settori. Il contributo negativo principale è venuto dalla Germania, la cui crisi economica si è tradotta in un calo del 5% delle vendite di prodotti italiani, soprattutto negli autoveicoli, nella metallurgia e nella meccanica. Forte la flessione in Cina (-21%), risultato “di una correzione verso il basso del picco anomalo registrato nel 2023 dalle vendite di prodotti farmaceutici. Analogamente, la riduzione del 3,6% delle esportazioni verso gli Stati Uniti sconta il picco registrato in precedenza nella cantieristica navale”.

Positive le performance in Medio Oriente. Le esportazioni verso l’Arabia Saudita sono cresciute (oltre il 29%) grazie specialmente all’industria meccanica, e verso gli Emirati Arabi Uniti (+ 20,4%) per gli incrementi nella meccanica, nell’abbigliamento e nei prodotti in pelle. La crescita delle vendite in Spagna (+4,6%) ha beneficiato soprattutto degli aumenti registrati nei prodotti Ict e nella farmaceutica. La quota di mercato mondiale delle esportazioni italiane di merci, espressa a prezzi correnti, nell’ultimo decennio è rimasta sostanzialmente stabile intorno al 2,8%. Al lieve incremento registrato negli Stati Uniti (dove la quota si è attestata al 2,3%) e in Francia (7,9%) corrispondono invece flessioni altrettanto lievi in Germania (5,2%) e nel Regno Unito (3,9%), mentre sul mercato cinese la quota italiana è rimasta ferma all’1%.

Soddisfatto il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso: “Nel 2025 l’indice di attrattività globale dell’Italia è passata dal 19esimo al 16esimo, abbiamo guadagnato tre posizioni sulle 146 del ranking”. Al tempo stesso, sottolinea il ministro, l’Italia nel 2024 è stato il Paese principale destinatario di progetti green field in Europa, con 35 miliardi di investimenti esteri, “ben più di quanto fatto da Francia e Germania, che ne hanno registrati 10 meno di noi”. E’ stato un record storico. Secondo Urso, l’Italia ora “è più attrattiva perché garantisce continuità di governo, ed è qualcosa di inusuale rispetto al passato”. E tutto questo può farlo grazie Made in Italy, sinonimo di “identità, innovazione e internazionalizzazione”.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani giudica “positivi e confortanti” i dati emersi dal rapporto Ice, “anche se con un leggerissimo calo in alcune parti del mondo”. Numeri che “confermano la bontà della nostra strategia”, orientata ora ad allargare gli scambi anche in mercati emergenti: Paesi del Golfo, India, Giappone, Messico, Canada, Vietnam, Indonesia, Sudafrica e Paesi dei Balcani. Il presidente Ice, Matteo Zoppas, crede nell’obiettivo fissato dal ministro Tajani: 700 miliardi di export. “In due anni – spiega – il +12% è fattibile con gli strumenti e la logica del sistema Paese”. Obiettivo che si può centrare grazie “ai nostri cavalli di battaglia per l’export: meccanica, chimica e farmaceutica. Ci sono poi le 3 ‘F’: food, fashion e furniture”.

Vino, Sos da Uiv per il Made in Italy: Offerta supera domanda, rischio crollo prezzi

Il mondo del vino italiano, simbolo di eccellenza nel mondo, si trova oggi di fronte a un bivio. Lamberto Frescobaldi, presidente dell’Unione Italiana Vini lancia una sorta di appello durante l’assemblea dell’associazione che conta oltre 800 soci e l’85% dell’export italiano. C’è una questione di sostenibilità e di produttività da affrontare “visto il calo dei consumi a livello globale”, spiega. E per questo “non possiamo più permetterci di inondare la Cantina Italia con vendemmie da 50 milioni di ettolitri, che rappresentano la media produttiva degli ultimi 25 anni”.

Nel dettaglio il quadro fornito dall’Osservatorio Uiv mostra segnali preoccupanti: nei primi cinque mesi del 2025 i consumi nei principali mercati di sbocco del vino italiano – Italia, Stati Uniti, Regno Unito e Germania – sono calati sensibilmente, con picchi negativi vicini al 10% in Germania. Il saldo complessivo delle vendite nel retail è in contrazione del 3,4%, che sale al 5,3% per i vini fermi e frizzanti. Gli spumanti rappresentano una rara eccezione, con un aumento del 4,9%. Nonostante questo contesto difficile, l’Italia è l’unico Paese produttore ad aver aumentato il proprio potenziale viticolo, un’anomalia che, se non gestita, potrebbe condurre a una sovrapproduzione ingestibile, sottolinea l’analisi. Una vendemmia da 50 milioni di ettolitri porterebbe in autunno a scorte vicine ai 90 milioni di ettolitri, pari a quasi due raccolti, con un danno stimato di oltre mezzo miliardo di euro tra il 2024 e il 2025 e una contrazione a doppia cifra dei prezzi medi.

Anche dall’analisi di Mediobanca emerge un quadro strutturalmente solido ma sotto pressione. Il settore resta a forte trazione familiare, con il 65% del patrimonio netto detenuto da famiglie, ma mostra segnali di fatica: il margine operativo lordo si è ridotto al 6,2% nel 2023, e la redditività è inferiore rispetto ai comparti alimentare e delle bevande. I principali timori delle imprese, raccolti tramite interviste che coprono il 94,9% del fatturato settoriale, sono la contrazione dei consumi. In risposta, le aziende guardano a nuovi mercati, investimenti sul capitale umano e sviluppo del segmento no-low alcohol. In questo scenario spiccano le performance delle imprese toscane, piemontesi e abruzzesi, protagoniste sia per redditività sia per vocazione all’export.

Un fronte particolarmente critico è poi ovviamente quello dei dazi, con preoccupazioni espresse dal segretario generale dell’Uiv, Paolo Castelletti. Anche con tariffe relativamente basse, come il 10%, l’impatto sulle esportazioni sarebbe significativo, soprattutto considerando l’andamento sfavorevole del cambio con il dollaro. Le imprese italiane chiedono all’Unione Europea di accelerare la firma degli accordi di libero scambio, in particolare con mercati complessi ma promettenti come Brasile e India, dove le barriere tariffarie possono arrivare rispettivamente al 27% e al 150%. In parallelo, si auspica una revisione del decreto Ocm promozione, che renda le modalità di accesso ai fondi più semplici e coerenti con i nuovi bisogni del mercato e della società.

Sul piano operativo, Uiv propone dunque una serie di interventi urgenti per riequilibrare il rapporto tra domanda e offerta: dalla riduzione delle rese per ettaro all’allineamento dei disciplinari con le rese effettive degli ultimi anni, fino alla revisione dei meccanismi che regolano gli esuberi per le Dop. Inoltre, si propone di sospendere per un anno le nuove autorizzazioni all’impianto e di aggiornare i tempi e gli strumenti di gestione della produzione. Infine, un nodo fondamentale resta la frammentazione del sistema delle denominazioni: attualmente esistono 529 Doc/Igt, ma l’80% della produzione è concentrata in appena 20 denominazioni. Secondo Uiv, occorre avviare un processo di accorpamento e riorganizzazione a livello regionale, da promuovere con il coordinamento del Comitato nazionale vini e da inserire nella revisione del Testo Unico.

Dazi, Urso: “A rischio 10% export italiano in Usa”. Opposizioni: “Deludente, si dimetta”

Contro i dazi commerciali degli Stati Uniti non servono reazioni di pancia ma sforzi diplomatici. Ne è certo il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che durante l’informativa sul tema alle Camere ricorda: “Se avessimo reagito di pancia ci saremmo fatti male, grave non trovare un compromesso”. Serve il dialogo, quindi. Anche se le tariffe decise dalla Casa Bianca non hanno penalizzato finora l’export italiano Oltreoceano, “che anzi è significativamente aumentato nei primi tre mesi dell’anno”, con le nostre esportazioni “aumentate dell’11,8% rispetto all’anno prima”.

Anche con una riduzione, fa capire Urso, i dazi imposti dall’amministrazione Trump faranno comunque male alle nostre imprese. Per questo motivo, il ministro loda le azioni intraprese dal nostro governo, “tempestivo ed efficace nell’indirizzare la Commissione europea e l’amministrazione Usa sulla giusta strada del negoziato”, da svolgere “con consapevolezza a responsabilità”, avendo chiaro l’obiettivo che “è unire, non dividere, l’Occidente”. Per evitare nuove tariffe, però, l’Italia rifiuta l’idea di reazioni muscolari. “Le misure compensative – sottolinea Urso – sono efficaci solo se decise a livello europeo”.

Al momento, se il quadro delle misure annunciate fosse confermato, ci sarebbe un impatto del 10% sull’esportazione italiana negli Usa in caso di dazi reciproci al 20%; effetto che scenderebbe al 6,5% se si arrivasse ad un dimezzamento, cioè al 10% dei dazi reciproci. Auto e medicinali i settori più a rischio. “I dazi Usa non avranno impatto sulla vendita di auto esportate dall’Italia – sottolinea Urso – ma lo avranno molto significativo sulla filiera dell’automotive”. Analogo impatto potrebbe avvenire nel settore della farmaceutica dopo “le misure draconiane annunciate da Trump”. Evitare nuove tariffe, sottolinea in conclusione Urso, aiuterebbe anche a tenere bassa l’inflazione “sotto controllo nel 2024, pari a 1,1%”. Meno di Francia (2,3%), Germania 2,5% e Spagna (2,9%). “Una delle conseguenze della chiusura dei mercati e di massive misure dei dazi – avverte il titolare del Mimit – sarebbe inevitabilmente l’aumento dell’inflazione per i cittadini europei e americani. Dobbiamo evitarlo”.

L’informativa non è però piaciuta alle opposizioni, che hanno attaccato il ministro in entrambe le Camere criticando anche il ritardo con cui si è presentato in parlamento. Ne chiede le dimissioni la capogruppo IV al Senato Raffaella Paita: “Chieda scusa e si dimetta”. La responsabilità politica “di questo colpevole ritardo è tutta di Urso, che deve dimettersi”, ripete il senatore Marco Lombardo di Azione. Urso “è il peggior ministro dell’Europa”, rincara la dose il senatore M5s Luigi Nave. “Urso è un mistero, dice nulla e lo dice male”, sottolinea il capogruppo M5s al Senato Stefano Patuanelli. Un paio d’ore dopo, la vicepresidente M5S Chiara Appendino affonda il colpo: “Quella di Urso non è tranquillità: è pericolosa mancanza di consapevolezza di quello che accade fuori da questo palazzo”. Netto anche il deputato Ubaldo Pagano, capogruppo Pd in Commissione Bilancio: “Urso deludente, conferma l’immobilità del governo”.

Cina, boom di esportazioni prima dei dazi americani: a marzo +12,4% per 313 mld

Secondo i dati ufficiali pubblicati oggi, le esportazioni cinesi sono aumentate del 12,4% a marzo su base annua, riflettendo un aumento delle spedizioni poco prima dell’entrata in vigore dei dazi astronomici di Washington sui prodotti cinesi.

Una cifra che supera di gran lunga le previsioni (+4,6%) degli economisti intervistati dall’agenzia Bloomberg. Secondo la dogana, le esportazioni cinesi hanno raggiunto un totale di 313 miliardi di dollari a marzo.

Pechino si è posta l’ambizioso obiettivo di una crescita economica del 5% circa per il Paese nel 2025, nonostante la persistente crisi immobiliare e la fiducia delle famiglie in calo. L’obiettivo è però minacciato dai colossali dazi doganali imposti dall’amministrazione del presidente americano Donald Trump su gran parte dei prodotti cinesi, al termine di una gara al rialzo tra le due principali potenze mondiali. Anticipando queste tariffe supplementari, gli esportatori cinesi hanno spedito beni per 40,1 miliardi di dollari negli Stati Uniti lo scorso mese, con un aumento di circa il 9% rispetto a marzo 2024. “I produttori si sono affrettati a spedire merci negli Stati Uniti”, ha osservato Julian Evans-Pritchard, analista dell’economia cinese presso Capital Economics. Ma “le spedizioni dovrebbero diminuire nei prossimi mesi e trimestri”, ha aggiunto.

Nel contempo, le importazioni cinesi sono diminuite del 4,3% a marzo su base annua, segnalando un consumo interno ancora debole. La seconda economia mondiale continua a essere confrontata con una persistente crisi immobiliare e con un calo della fiducia delle famiglie, che pesano sui consumi. Queste difficoltà interne erano state finora compensate da esportazioni vigorose, ora minacciate dall’aggravarsi delle tensioni commerciali con Washington. L’amministrazione Trump ha annunciato dazi doganali del 145% sui prodotti cinesi, mentre Pechino ha risposto imponendo dazi doganali del 125% sui prodotti americani. Venerdì Washington ha dato segni di allentamento, concedendo esenzioni per smartphone, laptop e semiconduttori, di cui la Cina è uno dei principali produttori. Da parte sua, il governo cinese ha dichiarato che non reagirà più a qualsiasi nuova sovrattassa imposta dal presidente Donald Trump. Nonostante tutto, “potrebbero volerci anni prima che le esportazioni cinesi tornino ai livelli attuali”, ha stimato Julian Evans-Pritchard. “Si osservano già segnali di ri-indirizzamento delle spedizioni attraverso paesi terzi – le esportazioni verso Vietnam e Thailandia sono aumentate notevolmente nel mese scorso”, ha rilevato.

Di fronte a queste sfide esterne, la Cina spera di fare del consumo interno uno dei nuovi motori della crescita del paese. Lo scorso anno i leader cinesi avevano annunciato una serie di misure per rilanciare l’economia, tra cui un taglio dei tassi di interesse e un aumento del tetto del debito delle amministrazioni locali. “Dopo un inizio anno lento, la domanda interna ha iniziato a riprendersi di recente, grazie a un nuovo aumento del sostegno di bilancio”, ha sottolineato Julian Evans-Pritchard. Ma il surplus commerciale cinese continuerà a costituire “una fonte di continue tensioni con molti partner commerciali della Cina“, ha rilevato. “A breve termine, prevedo il caos nelle catene di approvvigionamento”, ha avvertito Zhiwei Zhang, economista di Pinpoint Asset Management. In questo contesto, “ci vorrà un miracolo per raggiungere l’obiettivo di crescita del 5% fissato dal governo”, ha commentato per l’AFP Sarah Tan, economista di Moody’s Analytics.

Tajani in India per rafforzare Via del Cotone: Presto a Trieste incontro con Paesi Imec

Nell’attesa di capire le reali intenzioni di Donald Trump con i dazi sui prodotti europei, Antonio Tajani guarda a Est e parte in missione per l’India e il Giappone.

L’obiettivo è incontrate gli imprenditori locali e quelli italiani che hanno deciso di produrre nei due Paesi sui quali l’Italia punta molto per tutelare le esportazioni e compensare eventuali perdite dagli Stati Uniti. Perché nel 2024 Washington è stato il secondo mercato di destinazione dei beni prodotti in Italia, che hanno assorbito il 10,4% dell’export, per 64,8 miliardi. “India e Giappone sono Paesi chiave per la politica estera italiana, soprattutto alla luce degli ottimi rapporti politici, economici ed imprenditoriali”, spiega Tajani, che inserisce entrambi i Paesi fra i mercati extra-Ue da sviluppare del ‘Piano d’azione per l’export italiano’.

A Nuova Delhi, il vicepremier viene ricevuto dalla presidente della Repubblica, Droupadi Murmu e incontra l’omologo Subrahmanyam Jaishankar con il ministro del Commercio e dell’Industria, Shri Piyush Goyal, per co-presiedere un Forum Imprenditoriale, Scientifico e Tecnologico per favorire le relazioni tra le aziende italiane, le agenzie governative e le associazioni industriali indiane al fine di approfondire politiche, obiettivi e progetti nell’ambito scientifico-tecnologico. Transizione energetica, connettività, manifattura avanzata, difesa, sicurezza, turismo, migrazione e mobilità sono alcuni degli ambiti che il ministro punta a promuovere nel periodo 2025-2029.

L’interscambio commerciale tra Italia e India ha totalizzato oltre 14 miliardi di euro nel 2024, con una crescita delle esportazioni italiane che negli ultimi sette anni è stata di oltre il 30%. “Lo spirito della mia missione a Nuova Delhi è imprimere un ulteriore slancio a questi rapporti”, afferma, ricordando che il legame tra i due Paesi risale a tempi antichi: “Oggi, l’Italia e l’India sono più vicine che mai”. Il ministro chiarisce che per rafforzare la Via del Cotone, il corridoio economico europeo indo-italiano, è stato nominato un inviato speciale per l’Imec, l’ambasciatore Francesco Talò. “Guiderà l’Italia in questo importante progetto”, afferma Tajani, che annuncia un incontro a Trieste con tutti i ministri degli Esteri del corridoio, “importante per rafforzare gli scambi commerciali”.

Nello stesso giorno, SolarPower Europe e la National Solar Energy Federation of India firmano un nuovo Memorandum d’intesa per sbloccare la cooperazione nella produzione di energia solare e “costruire catene del valore più diversificate e resilienti”. L’iniziativa servirà a individuare “opportunità commerciali e di finanziamento per progetti manifatturieri e la promozione dello scambio di conoscenze e del rafforzamento delle capacità tra le due regioni”. Per quanto riguarda i quadri normativi, le associazioni si sosterranno a vicenda nell’affrontare le questioni relative all’accesso al mercato delle apparecchiature solari e “faciliteranno gli scambi con i responsabili politici competenti sulle opportunità di supporto ai progetti di cooperazione Ue-India nel settore della produzione di energia solare”. Il protocollo d’intesa riflette gli impegni del partenariato India-Ue per l’energia pulita e il clima, e la recente promessa del presidente Modi e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen di approfondire la collaborazione in materia di energia pulita e catene di approvvigionamento.

L’India, osserva Tajani intervenendo al Forum, è un’economia con “un potenziale enorme”: “Per questo siamo qui, vogliamo investire di più, vogliamo esportare di più e vogliamo più investimenti indiani nel nostro Paese, e anche più aziende indiane che lavorano con l’India“.

Nei prossimi giorni, il 13 e 14 aprile, la missione del ministro si sposterà ancora più a Est, a Osaka, per l’inaugurazione del Padiglione italiano all’Expo e per partecipare a iniziative collegate al Piano Export per l’Asia e alle Olimpiadi di Milano Cortina 2026.

Tajani lancia Piano di contrasto ai dazi: nuovi mercati senza abbandonare dialogo con Usa

Una strategia per l’export italiano che compensi gli eventuali contraccolpi generati dai dazi annunciati a partire dal 2 aprile da Donald Trump, ma senza abbandonare il dialogo con gli Stati Uniti.  Il governo italiano punta ai mercati extra-UE ad alto potenziale, con un Piano d’azione presentato oggi a Villa Madama dal ministro degli Esteri Antonio Tajani.

L’obiettivo è arrivare a 700 miliardi di export entro fine legislatura, partendo dai 623,5 miliardi attuali, puntando su mercati emergenti come Arabia Saudita, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Mercosur (specialmente Messico e Brasile), Balcani occidentali, Africa e Paesi Asean (su tutti Thailandia, Indonesia e Vietnam).

Il Piano, che prevede missioni economiche e business forum costruiti su dossier-paese che individuano settori e opportunità concrete, è frutto del lavoro congiunto del Maeci con le agenzie del Sistema Italia (ICE, SACE, Simest, Cassa Depositi e Prestiti). I mercati emergenti, in fondo, già oggi coprono il 49% del nostro export globale, ma si può fare ancora di più nonostante l’Italia sia considerata già oggi una potenza mondiale dell’export e vanti numeri record: sesto esportatore mondiale e Paese con la maggiore varietà merceologica, seconda economia al mondo e prima in Europa per diversificazione di beni esportati, un settore che da solo vale il 40% del nostro Pil.

Questo però non vuol dire che si debba abbandonare il dialogo con gli Stati Uniti, su cui Tajani è chiaro: “Il Piano prevede la presenza dell’Italia nei mercati in crescita, è una grande opportunità a tutela delle imprese italiane e delle loro esportazioni che rappresentano il 40% del nostro Pil”. Tuttavia “sarebbe un errore non parlare con gli Stati Uniti”, su cui rimane il grosso punto interrogativo dei dazi, minacciati ma non ancora ufficializzati. Gli Usa in fondo valgono il 10% del nostro commercio estero, il ministro vuole quindi evitare una escalation commerciale: “La guerra dei dazi non conviene a nessuno, né a noi né agli Stati Uniti”. E ancora: “L’Europa deve fare tutto ciò che è in suo potere per facilitare il colloquio con gli Usa, dividersi sarebbe esiziale per l’Occidente”. Per questo si congratula col commissario UE al Commercio, Marcos Sefcovic, per la linea della prudenza assunta negli ultimi giorni nei confronti di Washington: “Ieri ho avuto un lungo colloquio con lui, saggiamente ha deciso di rinviare di due settimane eventuali contromisure. Questo ci consente di proseguire un dialogo con gli Usa. A livello diplomatico faremo tutto ciò che è possibile”. Di contro, la Farnesina vede Oltreoceano anche la possibilità di rafforzare il nostro export: “Investire di più e importare di più dagli Usa – sostiene Tajani – può rappresentare uno scudo efficace per continuare a esportare verso un mercato che oggi vede l’Italia in posizione vantaggiosa nella bilancia commerciale”. Al tempo stesso Tajani ha annunciato anche una riforma del proprio dicastero che presenterà prossimamente nel Consiglio dei ministri: “Una struttura a due teste, una politica e una economica, dedicate alla crescita”. E dunque alle esportazioni.

Federchimica: Con più ricerca ricadute da 6 mld. Urso: “Chimica colonna portante economia”

La ricerca genera competitività e apre la via all’estero. L’effetto spillover è importante: 400 milioni di euro in investimenti nella chimica ad alta specialità generano 6 miliardi di euro sull’intera economia italiana. I dati arrivano dall’incontro ‘Innovazione chimica’, che si è tenuto questa mattina a Villa Madama a Roma, organizzato dal ministero degli Esteri e e da Federchimica.

“Il comparto ha un impatto a cascata su un numero infinito di settori della nostra economica e il rapporto che presentiamo oggi fotografa il ruolo della chimica come acceleratore di innovazione, export, crescita”, spiega, Antonio Tajani. Il ministro degli Esteri ricorda di aver rafforzato la “squadra della crescita”, ovvero Ice, Sace, Simest, Cassa Depositi e Prestiti, che sono al fianco delle imprese per aiutarle a crescere nei circuiti internazionali. “Dall’inizio del mio mandato ho messo in campo una precisa strategia di Diplomazia della crescita, a favore dell’export e per l’internazionalizzazione dei nostri territori”, rivendica il vicepremier, che in questi giorni ha lanciato una strategia di ulteriore rafforzamento e diversificazione dei mercati di sbocco, con un occhio d’attenzione agli emergenti.

L’industria chimica in Italia è “una delle colonne portanti dell’economia”, osserva Adolfo Urso, che snocciola i numeri: “Con un fatturato di 77 miliardi di euro e un ruolo centrale in Europa, siamo terzi per produzione dopo Germania e Francia”. Ma il settore, assicura, diventerà sempre più “competitivo, innovativo e sostenibile”. La trasversalità della chimica “la rende un motore di innovazione in molti settori, dall’ambiente alla salute, dall’industria ai nuovi materiali“, scandisce Anna Maria Bernini. Sono 125 i corsi di laurea in Italia, che si evolvono per “rispondere alle sfide del mercato del lavoro e della società, con percorsi altamente specializzati e orientati alla sostenibilità e alle nuove tecnologie”, chiosa la ministra dell’Università e della Ricerca.

La chimica è un settore strategico dell’economia europea, ha un carattere pervasivo e abilitatore: il 95% di tutti i manufatti, già di uso comune o che lo diventeranno in futuro, sono disponibili a costi largamente accessibili grazie alla chimica. L’industria chimica, caratterizzata da specialità ad alto valore, offre le soluzioni tecnologiche che rendono possibile lo sviluppo e la produzione di molti prodotti finiti. In termini di competitività sui mercati globali, la geopolitica è entrata prepotentemente nelle nostre imprese con ricadute rilevanti per quanto riguarda la gestione sostenibile delle materie prime e i costi energetici, aspetti cruciali per contrastare la concorrenza globale, in particolare da Paesi che non sempre rispettano i nostri stessi standard ambientali, sociali e di sicurezza. Le imprese chimiche in Italia sono “fortemente orientate all’export e sono protagoniste in collaborazioni internazionali grazie alla forte spinta innovativa data dal loro Dna: esportano tecnologie e competenze, consolidando la presenza internazionale del settore e contribuendo al rafforzamento del Made in Italy a livello globale”, spiega Francesco Buzzella, Presidente Federchimica. Secondo l’Eurostat, l’export chimico italiano, dal 2010 al 2023, è cresciuto dell’85% con un valore totale che ha raggiunto i 40,6 miliardi di euro, il 6,4% sul totale delle esportazioni nazionali. Il confronto internazionale indica che gli Stati Uniti sono il primo mercato di destinazione per la chimica europea e la Cina è il primo fornitore per l’Europa. In questo scenario, la Cina produce prevalentemente commodities a basso costo, mentre gli USA sono anche alla ricerca di specialità innovative. In Italia la chimica è tra i settori con la più diffusa presenza di imprese innovative (80%) e, diversamente da altri comparti, l’innovazione si basa sulla ricerca. In effetti l’industria chimica è il primo settore – dopo la farmaceutica – in termini di quota di imprese che svolgono attività di R&S (75%). La ricerca non coinvolge solo le realtà più grandi, ma anche le PMI. In ambito europeo l’Italia è il secondo Paese, dopo la Germania, per numero di imprese chimiche attive nella ricerca, oltre 1.200. Secondo l’anticipazione di una indagine sul valore della ricerca chimica come moltiplicatore di internazionalizzazione e competitività, gli investimenti dell’industria chimica italiana toccano il 3,8% sui ricavi, percentuale che pone il settore ben al di là del 3% fissato dall’UE come obiettivo; nelle imprese ad alto valore aggiunto e specializzazione, l’investimento in R&S supera la soglia del 5%. Al tempo stesso l’81,5% delle imprese ha investito per cogliere opportunità all’estero, il 35,4% ha investito all’estero (da sola o in joint) e il 74,1% è impegnato in progetti internazionali. Oltre la metà delle imprese giudica importante la ricerca per farsi strada nei mercati internazionali.

Dati che ribadiscono il valore strategico dell’innovazione chimica a favore di una espansione sui mercati esteri. La ricerca genera, infatti, competitività e apre la via verso l’estero con importanti ritorni positivi per tutto il Sistema Paese: tre quarti delle imprese hanno programmi di collaborazione internazionali confermando la propensione delle imprese alla ricerca e il contributo che la chimica in Italia offre alla presenza internazionale dell’industria italiana in generale. L’export chimico italiano è cresciuto negli ultimi trent’anni e oggi vale il 4,4% del totale mondiale, con prestazioni positive anche nel confronto con Francia e Germania grazie al traino delle numerose nicchie di specializzazione nell’ambito della chimica a valle in un contesto di regole complesse e di costi elevati a cominciare dall’energia. “La competitività dell’industria europea è a rischio su terreni che tradizionalmente erano suoi punti di forza, come evidenziato dal Rapporto Draghi alla Commissione europea”, ricorda la vicepresidente alla ricerca di Federchimica, Ilaria Di Lorenzo, che denuncia un ritardo delle scelte comuni in materia di competitività e una cultura iper-regolatoria come “ostacoli da rimuovere al più presto per salvaguardare una preziosa e insostituibile infrastruttura tecnologica per il nostro Paese”.

Studio Sace su export e innovazione: 100 mld opportunità per imprese italiane

Cento miliardi di opportunità di investimento per far crescere le imprese italiane, 85 provenienti dall’export e 15 dall’innovazione. “I due comparti, insieme, possono contribuire alla crescita per il 4%”. Ad assicurarlo è Alessandra Ricci, amministratrice delegata di Sace, il gruppo assicurativo-finanziario partecipato dal ministero dell’Economia e delle Finanze che ha approfondito gli scenari di crescita delle nostre imprese in relazione alla Sace Growth map, il mappamondo interattivo che traccia le opportunità di mercato e dà accesso alle soluzioni di Sace.

E tra tutti i mercati da ‘attaccare’ ce ne sono 14 particolarmente interessanti e attrattivi per le nostre imprese. Si tratta dei 14 Paesi Gate, acronimo che sta per Growing Ambitious Transforming Entrepreneurial: Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Egitto, Marocco, Algeria, Sudafrica, Serbia, Turchia, Vietnam, Singapore, Cina, India, Messico-Brasile, Colombia.

Il gruppo assicurativo pone l’accento specialmente sull’innovazione, dove oggi le imprese italiane investono mediamente lo 0,8% del Pil, meno della media europea (1,5%). “E’ un differenziale che corrisponde esattamente a quei 15 miliardi su cui le imprese italiane devono investire”, precisa l’ad. Su questo si può fare dunque molto di più. Oggi, ad esempio, solo un’impresa su tre in Italia investe in innovazione tecnologica e digitale. Troppo poco, visto che ogni impresa che investe in innovazione, e rafforza la propria filiera lavorando in partnership con altre aziende, offre una spinta alla crescita del proprio fatturato di 2 punti percentuali, rispetto a chi non investe.

Tra i settori a maggior opportunità di intervento ci sono tessile e abbigliamento, legno e arredo, alimentari e bevande, carta e stampa. Mentre tra le filiere di frontiera spiccano space & blue economy ed economia circolare, dove l’Italia vanta un buon posizionamento.

Altri 85 miliardi di opportunità riguardano invece l’export, che secondo Sace tornerà a crescere del 3% dopo un biennio di continuità su livelli record di 625 miliardi di euro. Particolarmente positivi i numeri sui mercati che stiamo approcciando solo più recentemente, come i Paesi Asean dove le nostre esportazioni hanno registrato un incremento del 10,3%, con il Vietnam che ha visto una crescita al 25%. Ma anche l’Arabia Saudita (+28%), gli Emirati Arabi Uniti (+20%), la Serbia (+16%), il Messico e il Brasile (+8%). “Il 2025 è l’anno per fare investimenti e prepararsi al fatto che ora ci sono più mercati – ribadisce Ricci – da qui nasce il tema dei 14 Paesi Gate, dove riteniamo che il tasso di crescita dell’export sia superiore al tasso di crescita medio”. E’ un buon viatico per contrastare i dazi Usa, su cui Sace non ha ancora fatto stime. “Cambiano in continuazione le cifre e i Paesi che vengono messi sotto dazi”, replica l’ad, che per il 2025 non vede impatti, “si vedranno in caso dal 2026“. Per questa ragione, la mission di Sace rimane quella di aumentare le capacità di esportazione come numero di Paesi possibili. “Non puoi mettere sotto tariffe tutto il mondo ma in questo modo potremo controbilanciare gli effetti negativi. Fare scenari sui dazi – conclude Ricci – rischia di rimanere un esercizio di scuola, come Sace dobbiamo invece cercare di aprire mercati”.

Commercio, l’andamento di import ed export Ue nel 2024

Le prime stime del saldo commerciale dell’area dell’euro hanno mostrato un surplus di 15,5 miliardi di euro negli scambi di beni con il resto del mondo a dicembre 2024, rispetto ai +16,4 miliardi di euro di dicembre 2023. Le esportazioni di beni dell’area dell’euro verso il resto del mondo a dicembre 2024 sono state di 226,5 miliardi di euro, con un aumento del 3,1% rispetto a dicembre 2023 (219,7 miliardi di euro). Le importazioni dal resto del mondo sono state di 211 miliardi di euro, con un aumento del 3,8% rispetto a dicembre 2023 (203,3 miliardi di euro). Sono i dati di Eurostat, l’Ufficio statistico europeo. Nell’infografica INTERATTIVA di GEA sono prese in considerazione le variazioni percentuali mese per mese di import ed export, del 2024 sul 2023.

Effetto Bce sulla domanda: in Italia calano i prezzi, ma anche le esportazioni

I prezzi calano, le esportazioni pure. L’inflazione italiana torna abbondantemente sotto l’1% annuale ad aprile, registrando un modestissimo +0,1% mensile. “La decelerazione risente perlopiù della dinamica tendenziale dei prezzi dei Beni energetici non regolamentati (-13,9% da -10,3% di marzo) e dei Servizi relativi ai trasporti (+2,7% da +4,5%). In leggero rallentamento risultano anche i prezzi dei Beni alimentari (+2,4% da +2,7%). Di contro, i prezzi dei Beni energetici regolamentati, nonostante il sensibile calo su base congiunturale (-10,1%), mostrano un profilo tendenziale in netta risalita (-1,3% da -13,8%)“, commenta l’Istat. In ogni caso “continua a scendere, anche ad aprile, il ritmo di crescita su base annua dei prezzi del ‘carrello della spesa’ (+2,3% da +2,6%), mentre l’Inflazione di fondo si attesta al +2,1% (da +2,3%)“, conclude l’istituto di statistica.

Bene la frenata dell’Inflazione, che ad aprile scende allo 0,8% su base annua: terminato ‘l’effetto Pasqua’ che aveva portato alla risalita dei listini con sensibili rincari specie nel settore dei trasporti, l’Inflazione torna a calare ad aprile, un dato che però non può bastare ai consumatori”, commenta il presidente del Codacons, Carlo Rienzi. “Si delinea sempre più chiaramente, infatti, uno scenario di progressiva normalizzazione dei prezzi che riteniamo proseguirà anche nei prossimi mesi“, sottolinea invece Confesercenti, che aggiunge: “Un segnale incoraggiante, quindi, perché, nonostante permanga qualche incertezza rispetto al prezzo degli energetici, il rallentamento dell’Inflazione può contribuire a liberare risorse per le famiglie, il cui potere d’acquisto negli ultimi due anni si è notevolmente ridotto, sostenendo i consumi e la domanda interna“.

In effetti se i prezzi calano è anche perché la domanda è debole, complice una stretta monetaria targata Bce che ha raffreddato il Pil e addirittura mandato ko alcune aziende. Secondo uno studio del Cribis, le liquidazioni giudiziali (definizione che dal luglio 2022 ha preso il posto di ‘fallimento’) registrate nel primo trimestre del 2023 sono in crescita a doppia cifra (+12,6%) rispetto allo stesso periodo del 2023, colpendo in particolar modo le aziende del commercio. “I dati relativi all’inizio del 2024 evidenziano un prolungarsi di quelle sfide che sono alla base dell’aumento nel numero di società in liquidazione giudiziale nel 2023, ascrivibili principalmente all’attuale contesto macroeconomico globale. Ai problemi di liquidità derivanti dalla stretta monetaria si sono infatti aggiunte ulteriori criticità che hanno minato la competitività delle imprese, come la crisi energetica, le guerre in Europa e in Medio Oriente e una maggiore difficoltà nella circolazione delle merci”, sottolinea Marco Preti, amministratore delegato di Cribis.

Soffre dunque anche il commercio estero. A marzo 2024 si è registrata una flessione congiunturale per le esportazioni (-1,7%) e una crescita per le importazioni (+1,5%), in base a quanto comunica l’Istat. La diminuzione su base mensile dell’export è dovuta alla riduzione delle vendite verso l’area extra Ue (-3,9%). E le esportazioni flettono su base annua dell’8,9% in termini monetari e del 10,3% in volume, con una contrazione dell’export in valore più ampia per i mercati Ue (-12,3%) rispetto a quelli extra-Ue (-5,0%). Pesa molto la debolezza tedesca e in generale dell’eurozona, oltre che di quella cinese. Infatti, i Paesi che forniscono i contributi maggiori alla riduzione dell’export nazionale sono: Germania (-16,5%), Francia (-10,9%), Cina (-25,8%), Stati Uniti (-6,7%), Svizzera (-11,5%) e Regno Unito (-12,0%). Crescono invece le esportazioni verso Turchia (+35,1%) e paesi Opec (+6%).