Von der Leyen

Cinque proposte della Commissione Ue contro il caro-prezzi

La Commissione europea proporrà ai governi dell’Ue di fissare un tetto al prezzo del gas russo importato insieme ad altre quattro misure contro il caro energia: dalla riduzione obbligatoria dell’uso dell’elettricità durante le ore di punta, a un tetto sulle entrate dei produttori di energia elettrica non prodotta da gas e dai combustibili fossili, passando per sostegni sotto forma di liquidità alle compagnie energetiche. È quanto ha annunciato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in un punto stampa, anticipando le proposte che l’esecutivo presenterà alla riunione straordinaria dei ministri dell’energia che si terrà venerdì 8 settembre a Bruxelles.

Nello specifico, la prima misura prevede di fissare un obiettivo obbligatorio per la riduzione del consumo di elettricità nelle ore di punta, quando si verificano i picchi di prezzo. “Lavoreremo a stretto contatto con gli Stati membri per raggiungere questo obiettivo”, ha assicurato la presidente. Secondo indiscrezioni del Financial Times, che ha preso visione della “bozza di proposte” in questione, il target proposto dalla Commissione sarebbe fissato al 5%. In secondo luogo, secondo la Commissione è arrivato il momento di proporre un tetto alle entrate delle compagnie “che producono elettricità a basso costo, quelle a basse emissioni di CO2 come le rinnovabili che stanno ottenendo “entrate inaspettate, che non riflettono i loro costi di produzione”. Queste entrate dovrebbero essere reindirizzate “ai più vulnerabili” così come, in terzo luogo, Bruxelles proporrà per i profitti inaspettati delle compagnie che si occupano di combustibili fossili. Gli “Stati membri dovrebbero investire queste entrate per sostenere le famiglie vulnerabili e investire in fonti energetiche pulite di produzione propria”, ha affermato la presidente. La quarta iniziativa riguarderà il sostegno alla liquidità da parte degli Stati membri per le società energeticheper far fronte alla volatilità dei mercati”. Von der Leyen ha assicurato che “aggiorneremo il nostro quadro temporaneo per consentire la rapida consegna delle garanzie statali”. In ultimo, la Commissione Ue dà infine il via libera alla proposta per un tetto al prezzo del gas importato dalla Russia “per ridurre le entrate” con cui il Cremlino sta finanziando la guerra in Ucraina. Il price-cap sul gas russo è una misura richiesta a più riprese a livello comunitario dal premier dimissionario Mario Draghi per ottenere un doppio effetto: da un lato, per affrontare il rincaro sulle bollette elettriche e far valere il potere dell’Unione Europea come principale acquirente dei combustibili fossili importati da Mosca; dall’altro, perché un tetto solo per il gas russo si tradurrebbe in una sanzione indiretta nei confronti della Russia, principale fornitore di gas all’Ue.

Dobbiamo tagliare le entrate della Russia che Putin usa per finanziare questa atroce guerra contro l’Ucraina”, ha affermato von der Leyen, compiacendosi del fatto che prima della guerra il gas russo era il 40% di tutto il gas importato. “Oggi è solo il 9% delle nostre importazioni di gas” e la Norvegia esporta più gas in Europa del Cremlino.

Scuola

Scuola e piano Mite. Sindacati: -1 grado? Ok, ma edifici fatiscenti

Il piano Cingolani non risparmia la scuola: in inverno le aule dovranno essere riscaldate con un grado in meno, nonostante le norme anti-Covid invitino a tenere le finestre aperte per il ricambio di aria.

Da settimane abbiamo lanciato l’allarme rispetto a quello che si sarebbe poi messo in evidenza: serrare le fila sui comportamenti da tenere nei mesi freddi. Può stare nella logica delle cose abbassare le temperature di un grado in tutti gli edifici pubblici e privati. Ciò che mi sconcerta però è la non presa di coscienza che bisognava intervenire in estate con gli impianti di purificazione dell’aria, si poteva fare, i sistemi avrebbero messo in sicurezza le aule senza dover tenere le finestre aperte“, spiega a GEA Ivana Barbacci, segretaria generale di Cisl Scuola. Ridurre i gradi in classe, osserva, non è un dramma, “ma se la cosa si combina con le finestre aperte la condizione diventa insalubre. Le scuole non hanno mai esagerato in termini di temperature, c’è una sorta di abitudine a risparmiare. Ma le linee guida mi disarmano, dobbiamo recuperare, dobbiamo dare mandato a province e comuni a provvedere sugli impianti di aerazione“, insiste.

Dalle misure del Piano elaborato dal Mite sono escluse tutte le “utenze sensibili”, tra le quali ricadono anche ospedali e case di ricovero, ma non la scuola. Eppure “è una priorità, dovrebbe essere un luogo da privilegiare. Perché è stata esclusa?” chiede Alessandro Rapezzi, segretario nazionale Flc Cgil.

Il tema sarà domani alle 10 sul tavolo del confronto tra i sindacati, il ministro Patrizio Bianchi e le forze politiche, “ne parleremo – assicura la segretaria di Cisl Scuola – anche per dare un’agenda completa a chi si appresta a governare“. “Tutto quello che è intervenuto per gli edifici privati andrebbe fatto per l’edilizia scolastica, che ha bisogno di essere ammodernata – ripete Barbacci -. Abbiamo 42mila edifici, mettere impianti fotovoltaici su tutti i tetti, coibentare i muri e cambiare gli infissi creerebbe un risparmio energetico per la collettività, non solo per chi è nella Scuola“, osserva.

L’idea dei pannelli solari l’aveva lanciata mesi fa il presidente dell’Anp, Associazione Nazionale Presidi, Antonello Giannelli: “Questo contribuirebbe al saldo energetico nazionale. Alcune scuole li hanno già, ma se l’operazione si fa a tappeto avremo un bel po’ di energia in più“, afferma. Sul piano non ha obiezioni: “È doveroso per tutti abbassare di un grado la temperatura, tutti dobbiamo fare la nostra parte“. Ma solleva una questione, che è la madre dei problemi: “La verità è che non abbiamo mai efficientato gli edifici pubblici e che spesso gli impianti consumano più di quanto forniscono. Il parco edilizio è vetusto e fatiscente, gli edifici in buone condizioni sono sicuramente in minoranza, le scuole sono delle strutture molto poco efficienti“.  Sul punto trova il pieno accordo di Rapezzi: “Chiaramente per la scuola non si è fatto nulla negli anni. Noi fin da subito, da maggio 2020, quando si è riaperto dopo la prima pandemia, abbiamo chiesto l’impegno del governo per gli edifici. Non so valutare se l’aerazione sia un tema, sicuramente molti edifici hanno bisogno di un intervento a prescindere“, scandisce. Poi si rivolge al Governo: “Dicono di aver messo tanti soldi, vorremmo capire come sono stati spesi in materia di edilizia scolastica“.

L’Italia ha pagato 8,6 mld a Putin da inizio guerra per gas e petrolio

Bloomberg scrive che l’economia russa rischia una forte crisi, Mosca invece fa sapere che quest’anno il Pil calerà di appena il 2,9%. La decisione di Mosca di interrompere il flusso del Nord Stream per alcuni osservatori sta a indicare che, senza export di metano, Putin vedrebbe ridurre drasticamente i propri introiti. Altri sostengono che le sanzioni stanno facendo male più all’Europa che alla Russia. Chi ha provato a fare luce sui numeri è il Center for Research on Energy and Clean Air (Crea), un think tank indipendente finlandese, secondo il quale la Russia ha guadagnato 158 miliardi di euro di entrate dalle esportazioni di combustibili fossili nei primi sei mesi di guerra (dal 24 febbraio al 24 agosto), poco meno di un miliardo al giorno. E la Ue ne ha importato il 54%, per un valore di circa 85 miliardi di euro. Più precisamente le esportazioni di combustibili fossili hanno contribuito con circa 43 miliardi al bilancio federale russo dall’inizio dell’invasione, contribuendo a finanziare la stessa guerra in Ucraina, sottolinea il Crea.

La principale importatrice di combustibili fossili è stata appunto la Ue (85,1 miliardi di euro), seguita da Cina (34,9 miliardi), Turchia (10,7), India (6,6), Giappone (2,5 miliardi), Egitto (2,3) e Corea del Sud (2 miliardi di euro). A sua volta, all’interno della Ue, la parte del leone la fa la Germania con 19 miliardi di euro pagati a Mosca per importare principalmente gas e petrolio, poi segue l’Olanda (11,1 miliardi soprattutto per il petrolio) nonostante sia la base della borsa che fa impazzire il prezzo del gas e nonostante sia seduta su decine di miliardi di metri cubi inutilizzati a Groningen, al terzo posto l’Italia che in 180 giorni ha versato nelle casse di Putin 8,6 miliardi pari a circa 50 milioni al giorno per ricevere in cambio gas via Tarvisio (sempre meno), petrolio, derivanti dal petrolio e un po’ di carbone (materia prima sulla quale è scattato l’embargo a inizio agosto). In pratica il nostro Paese durante i sei mesi che hanno sconvolto il mondo ha versato più soldi a Putin dell’India, che recentemente ha confermato di non voler applicare sanzioni verso il Cremlino e di voler intensificare gli acquisti di metano e greggio da Mosca. Fuori dal podio europeo troviamo infine la Polonia (7,4 miliardi di euro di prodotti fossili importati), Francia (5,5 miliardi), Bulgaria (5,2), Belgio (4,5) e Spagna 3,3).

Tornando sull’Italia nei due mesi che hanno preceduto il blocco all’import di carbone russo, abbiamo continuato a comprarne in compagnia di Olanda, Polonia, Germania e Spagna. Più o meno gli stessi Paesi che nelle ultime settimane si sono convertiti al carbone sudafricano che parte dal Richards Bay Coal Terminal benché la domanda fosse già cresciuta del 40% da gennaio a maggio. A proposito di carbone, ieri il prezzo del Newcastle Coal ha toccato i massimi a 463 euro a tonnellata. Ad agosto, i ricavi e i volumi delle esportazioni di combustibili fossili della Russia sono leggermente rimbalzati dal minimo raggiunto a giugno, nonostante le esportazioni russe siano diminuite del 18% rispetto al livello record raggiunto all’inizio dell’invasione (febbraio-marzo). Infatti rispetto all’inizio dell’invasione, le riduzioni delle importazioni di combustibili fossili russi sono costate al Paese 170 milioni di euro al giorno in mancate entrate in luglio e agosto. Il calo complessivo dei volumi delle esportazioni è stato determinato da un calo delle esportazioni verso la Ue, che sono diminuite del 35%.

Da notare infine un dato: dopo l’Europa il più grande importatore dalla Russia è la Cina. E la spesa maggiore di Pechino è per il petrolio, per il quale ha investito circa 25 miliardi. Il gas? Pesa molto meno dell’import di carbone: un paio di miliardi per il metano, quasi 4 per il carbone. E pure l’India è affamata di petrolio e non di gas. Per cui sorge una domanda: se il gas russo non va in Europa, a chi lo venderà Mosca?

(Photo credits: Odd ANDERSEN / AFP)

Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo

Mosca attacca Roma: “Piano Cingolani imposto da Ue-Usa”

La Russia attacca di nuovo l’Italia. Stavolta nel mirino finisce il Piano di contenimento dei consumi di gas naturale per fronteggiare l’emergenza energetica, firmato dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Per Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, “il piano del ministro dell’Ambiente per ridurre la dipendenza dagli idrocarburi russi è chiaro che viene imposto a Roma da Bruxelles (che, a sua volta, agisce su ordine di Washington), ma alla fine sarà il popolo italiano a soffrirne“, scrive in un post sul suo canale Telegram. Rincarando anche la dose: “L’inflazione ha raggiunto il livello della crisi degli anni ’80 del secolo scorso, il paniere dei consumatori è cresciuto del 10% in valore e continua a crescere“.

Il documento deve aver fatto molto rumore a Mosca, se la portavoce di Sergej Lavrov scrive che Roma è spinta “al suicidio economico per realizzare la follia delle sanzioni euro-atlantiche“. E non dimentica le punture di spillo sulle sanzioni: “Sono diventate uno strumento di concorrenza sleale per i produttori italiani” e “gli affari in Italia vengono distrutti dai ‘fratelli’ d’oltremare“, visto che “gli imprenditori americani pagano l’elettricità sette volte meno di quelli italiani“.

La risposta non si fa attendere. “Ancora un volta dalla Russia arrivano dichiarazioni strumentali a poche settimane dal voto. Ennesima prova che le autorità russe si stanno rendendo protagoniste di chiare ingerenze, con la diffusione di notizie propagandistiche“, dichiara Giuseppe Marici, portavoce del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Aggiungendo che “c’è una certezza: ad oggi le famiglie e le imprese italiane rischiano di essere strozzate economicamente dagli aumenti del gas. Questi ultimi, a loro volta, derivano dalle speculazioni russe e da una guerra che Putin continua a portare avanti causando la morte di centinaia di vittime innocenti“. Parole corroborate da quelle del responsabile della Farnesina e leader di Impegno civico, che ribadisce: “E’ chiaro che Putin sta provocando l’aumento del gas in tutta Europa, sta ricattando l’Europa ed è per questo che l’Italia deve intervenire calmierando il prezzo delle bollette“. Anche Bruxelles reagisce, definendo “ridicole” le affermazioni di Zakharova. Il portavoce-capo della Commissione europea, Eric Mamer, risponde che l’esecutivo comunitario “non spende il tempo a commentare accuse ridicole” che arrivano dalle personalità del regime di Putin.

Intanto la campagna elettorale va avanti, in vista delle elezioni politiche del 25 settembre e gli scontri si moltiplicano. Matteo Salvini conferma la sua posizione critica sulle sanzioni e chiede agli altri leader di firmare un accordo, subito, per un intervento da 30 miliardi che serva a bloccare gli aumenti delle bollette. Di questo tavolo “lo apprendo ora, ma Forza Italia c’è ed è disposta a sedersi“, risponde a stretto giro la forzista, Licia Ronzulli. Nel fronte progressista Angelo Bonelli (Verdi-Sinistra italiana) punta il dito verso Giuseppe Conte e il M5S: “E stato premier di ben due governi in cui il Movimento aveva il 32% dei consensi. E cosa ha fatto per l’ambiente? Nulla, se non provvedimenti contraddittori“. Enrico Letta, invece, chiama a raccolta i suoi candidati per gli ultimi giorni di campagna elettorale, invitando a non considerare il Pd e la coalizione già per perdenti.

Domani il Terzo polo sarà impegnato in una ‘manifestazione diffusa’ sul territorio a favore di infrastrutture e gas, denominata ‘Imby, In my back yard-Sì all’Italia dei sì’. Carlo Calenda sarà a Piombino per il rigassificatore, Matteo Renzi e Maria Stella Gelmini al termovalorizzatore di Brescia, Teresa Bellanova a Melendugno per parlare di Tap , Matteo Richetti alla Darsena Popup del porto di Ravenna, Mara Carfagna ad Acerra davanti al termovalorizzatore, Maria Elena Boschi a Roma, nel XII municipio, Mario Polese a Tempa Rossa e Raffaella Paita alla Gronda di Genova. Ultima annotazione, il governo prosegue il lavoro in vista del Cdm di questa settimana con il nuovo decreto Aiuti (probabilmente giovedì). E il premier, Mario Draghi, ha incontrato ha incontrato a Palazzo Chigi il direttore generale della Fao, Qu Dongyu, per parlare della collaborazione dell’Italia e uno scambio di vedute sulla risposta alla crisi alimentare determinata dal conflitto russo-ucraino. Perché oltre la campagna elettorale c’è ancora tanto da fare.

Ue non ha fatto i conti col petrolio: l’Opec+ sale sopra il tetto al prezzo

L’Europa in piena emergenza gas non aveva fatto i conti col petrolio. L’Opec+, ovvero l’organizzazione dei Paesi esportatori di greggio allargata alla Russia, ha deciso che a ottobre ridurrà di 100mila barili al giorno la sua produzione, primo taglio da oltre un anno. Di fatto si torna ai livelli di agosto, dopo il leggero incremento produttivo deciso lo scorso mese per settembre. Una mossa, quella dei signori del petrolio, più politica che di sostanza. Infatti il messaggio diffuso dal comunicato è che una riunione d’urgenza dell’Opec potrebbe essere indetta in qualsiasi momento. Come dire: per ora ci accontentiamo di tenere i prezzi tra i 90 e i 100 dollari al barile, tuttavia se la recessione dovesse avanzare bruscamente e la domanda calare precipitosamente, siamo disposti a rivedere tutto. In che direzione però non si sa.

La decisione dell’Opec+ ha così fatto tornare sopra i 90 dollari al barile il prezzo del future del Wti texano e ben oltre i 95 quello del Brent europeo. Da notare che la Russia non voleva una riduzione della produzione, perché non intendeva far sapere soprattutto ai partner asiatici che di petrolio ce n’è più di quanto serva.

L’Arabia Saudita, vero azionista di maggioranza dell’organizzazione, non ha ancora assecondato i desiderata di Joe Biden, recatosi a Jedda a metà luglio per chiedere un incremento della produzione allo scopo di raffreddare i prezzi. C’è il tema dell’Iran, che tratta un ammorbidimento delle sanzioni, che potrebbe preoccupare la casa regnante saudita. C’è poi il tema dell’embargo deciso dall’Occidente al petrolio russo, che comincerà a dicembre. C’è il tema gas: se effettivamente la Ue precipitasse in una profonda recessione, come suggeriscono i dati sui costi alla produzione, il consumo di petrolio e carburanti rischierebbe di precipitare e con esso il prezzo del greggio. C’è, in questo senso, soprattutto il tema posto dal G7 di un tetto al prezzo del petrolio.

Abdulaziz bin Salman, ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita ha detto a Bloomberg che l’aver deciso un mini-taglio alla produzione “è un’espressione della volontà di utilizzare tutti gli strumenti del nostro kit. La semplice modifica mostra che saremo attenti, preventivi e proattivi in termini di supporto alla stabilità e al funzionamento efficiente del mercato“. Con l’Europa in crisi, la Cina affamata di energia e l’America impegnata su più fronti, il mondo arabo intende ora aumentare il proprio peso internazionale.

(Photo credits: Mazen Mahdi / AFP)

gazprom

Emergenza gas, più che i prezzi ora contano i flussi

Il prezzo del gas torna a salire e a far paura. Dopo una settimana di forti ribassi, intorno alle 18 di ieri il prezzo del future con consegna ad ottobre è salito del 15% a 248 euro/MWh alla piazza finanziaria di Amsterdam. Motivo? Gazprom ha comunicato che finché resteranno le sanzioni, la fornitura attraverso North Stream sarà interrotta. Altro che tre giorni di stop per manutenzione straordinaria. La decisione di Mosca, visto l’atteggiamento della Ue e degli Usa, è dunque a tempo indeterminato. Per cui tutti gli stanziamenti decisi in queste ore dalla Germania e dai Paesi del Nord Europa (solo Berlino ha messo sul tavolo un assegno da 65 miliardi per soccorrere famiglie e imprese) sembrano superati, non tanto dal prezzo, dato che gli Stati possono comunque fare tutto il debito che vogliono, quanto dai flussi. In altre parole: ci sarà gas a sufficienza per garantire un inverno normale all’Europa?

La Ue aveva fissato dei target di riempimento degli stoccaggi, un obiettivo facilmente raggiungibile in presenza di gas. Ma se la materia prima non c’è, come fai a coprirti dai rigori del freddo? Il Paese più penalizzato in assoluto dalle manovre decise al Cremlino è la Germania, locomotiva della Ue e colpevole – a detta dell’entourage di Putin – di aver fatto pagare 10 miliardi a Gazprom per realizzare il North Stream 2 per poi decidere dieci mesi fa di non volerlo più utilizzare. La Germania riceve metano solo attraverso i gasdotti in quanto è priva di rigassificatori. Arriveranno, probabilmente 5-6, ma nel 2023. I tedeschi come potranno mangiare il panettone se mancherà gas? Il presidente francese Emmanuel Macron, dopo un colloquio con il cancelliere Olaf Scholz, ha annunciato che darà gas alla Germania in cambio di elettricità, che manca Oltralpe poiché la gran parte delle centrali nucleari francesi sono in fase di ristrutturazione. Una buona notizia che tuttavia non esclude l’attivazione di razionamenti, come ha fatto sapere l’amministratore delegato di Uniper, grossista tedesco salvato proprio dal governo di Berlino con un assegno da 15 miliardi.

Il gas francese, oltre che dai rigassificatori, arriva dall’Algeria, quello Stato ex colonia transalpina che ha promesso più gas anche a noi. Solo che le infrastrutture di Algeri non sono all’ultimo grido. Servono interventi per incrementare massicciamente la produzione. Ecco che allora, a cascata, il dramma tedesco tocca anche noi, che comunque continuiamo a ricevere un flusso inferiore al passato ma costante dal gasdotto di Tarvisio.

Una Germania kaputt e spenta mette ovviamente paura agli investitori, che ormai si erano scordati dei problemi degli anni ’90 post unificazione. Così l’euro ormai ha preso residenza sotto la parità col dollaro, segno che l’intera economia europea – complice l’inflazione galoppante e la conseguente stretta promessa dalla Bce – si trova di fronte a una potenziale stagflazione mai sperimentata prima. Il tutto perché c’è timore che mancherà gas, facendo scattare razionamenti disordinati. Abbiamo già sperimentato cosa significa un lockdown disordinato con la pandemia…

La Norvegia si candida a ‘cimitero’ della CO2 europea

Sulle coste ghiacciate del Mare del Nord, un ‘cimitero’ in costruzione sta suscitando le speranze degli esperti di clima: presto il sito ospiterà una piccola parte della CO2 emessa dall’industria europea, evitando così che finisca nell’atmosfera. Considerata a lungo una soluzione tecnicamente complicata e costosa di utilità marginale, la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) è ora in voga in un pianeta che sta lottando per ridurre le proprie emissioni nonostante l’emergenza climatica.

Nella città di Øygarden, su un’isola vicino a Bergen (Norvegia occidentale), un terminale attualmente in costruzione riceverà tra qualche anno tonnellate di CO2 liquefatta, che verrà trasportata dal Vecchio Continente via nave dopo essere stata catturata alla fine delle ciminiere delle fabbriche. Da lì, il carbonio sarà iniettato tramite una conduttura in cavità geologiche a 2.600 metri di profondità. L’ambizione è che rimanga lì a tempo indeterminato.

Si tratta della “prima infrastruttura di trasporto e stoccaggio ad accesso libero al mondo, che consente a qualsiasi emettitore che abbia catturato le proprie emissioni di CO2 di prenderle in carico, trasportarle e stoccarle in modo permanente e in totale sicurezza“, sottolinea il direttore del progetto Sverre Overå. In quanto maggior produttore di idrocarburi dell’Europa occidentale, si ritiene che la Norvegia abbia anche il maggior potenziale di stoccaggio di CO2 del continente, in particolare nei suoi giacimenti petroliferi esauriti.

ACCORDI COMMERCIALI

Il terminal Øygarden fa parte del piano ‘Langskip’, il nome norvegese delle navi vichinghe. Oslo ha finanziato l’80% dell’infrastruttura mettendo sul piatto 1,7 miliardi di euro per sviluppare la CCS nel Paese. Due siti nella regione di Oslo, un cementificio e un impianto di termovalorizzazione, dovrebbero infine inviarvi la loro CO2. Ma la particolarità del progetto sta nel suo aspetto commerciale, in quanto offre anche agli industriali stranieri la possibilità di inviare la propria anidride carbonica. A tal fine, i giganti dell’energia Equinor, TotalEnergies e Shell hanno creato una partnership, denominata Northern Lights, che sarà il primo servizio di trasporto e stoccaggio transfrontaliero di CO2 al mondo quando entrerà in funzione nel 2024. Negli ultimi giorni sono state raggiunte due importanti pietre miliari per la CCS in Norvegia. Lunedì scorso, i partner dell’aurora boreale hanno annunciato un primo accordo commerciale transfrontaliero che prevede il trasporto e il sequestro di 800.000 tonnellate di CO2 catturate nell’impianto olandese del produttore di fertilizzanti Yara, a partire dal 2025, tramite speciali imbarcazioni. Il giorno successivo, Equinor ha presentato un progetto con la tedesca Wintershall Dea per la costruzione di un gasdotto di 900 chilometri per il trasporto di CO2 dalla Germania alla Norvegia per lo stoccaggio. Un progetto simile con il Belgio è già in cantiere.

NESSUNA SOLUZIONE MIRACOLOSA

Tuttavia, la CCS non è una soluzione miracolosa al riscaldamento globale. Nella sua prima fase, Northern Lights sarà in grado di trattare 1,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, una capacità che sarà poi aumentata a 5-6 milioni di tonnellate. A titolo di confronto, l’Unione Europea ha emesso 3,7 miliardi di tonnellate di gas serra nel 2020, secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente. Ma sia il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) che l’Agenzia internazionale dell’energia ritengono che questo strumento sia necessario per contenere l’aumento della temperatura. Gli ambientalisti non sono unanimi nel sostenere la tecnologia. Alcuni temono che venga utilizzato come motivo per prolungare lo sfruttamento dei combustibili fossili, che distolga investimenti preziosi dalle energie rinnovabili o che si verifichino perdite. “Siamo sempre stati contrari alla CCS, ma la mancanza di azioni sulla crisi climatica rende sempre più difficile mantenere questa posizione“, afferma Halvard Raavand, rappresentante di Greenpeace Norvegia. “Il denaro pubblico sarebbe meglio investito in soluzioni che sappiamo essere efficaci e che potrebbero anche ridurre le bollette per le persone normali, come l’isolamento delle case o i pannelli solari“, spiega.

Il G7 spinge su price cap a petrolio russo via mare, serve l’unanimità Ue

Si spinge per il price cap sul petrolio russo via mare, ora serve l’unanimità tra i 27 membri dell’Unione europea. Il vertice ministeriale del G7 delle Finanze ha approvato il piano per stabilire un tetto al prezzo dei prodotti petroliferi in arrivo da Mosca e la palla passa a Bruxelles, dove dovrà essere aggiornato il sesto pacchetto di sanzioni, quello che per un mese (durante tutto il mese di maggio) era rimasto ostaggio del veto dell’Ungheria di Viktor Orbán.

Confermiamo la nostra intenzione politica comune di finalizzare e attuare un divieto globale di servizi che consentano il trasporto marittimo di greggio e prodotti petroliferi di origine russa a livello globale“, si legge nel comunicato del G7 ministeriale, che riprende l’impegno del vertice dei leader a Elmau di impedire alla Russia di trarre profitto dalla guerra di aggressione in Ucraina e di sostenere la stabilità dei mercati energetici globali. “La fornitura di tali servizi sarà consentita solo se il petrolio e i prodotti petroliferi saranno acquistati a un prezzo pari o inferiore rispetto a quello determinato dall’ampia coalizione di Paesi che aderiscono al price cap e lo attuano“, specificano i ministri di Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti.

Il price cap sul petrolio è “specificamente concepito” per ridurre le entrate del Cremlino, ma allo stesso tempo anche per “limitare l’impatto della guerra russa sui prezzi globali dell’energia“, permettendo ai fornitori di servizi del settore di operare con prodotti petroliferi russi via mare venduti solo a un prezzo pari o inferiore al tetto fissato: “Questa misura si baserebbe e amplificherebbe la portata delle sanzioni esistenti, in particolare del sesto pacchetto dell’Ue, garantendo la coerenza attraverso un solido quadro globale“. Come confermato anche dal commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, adesso bisogna “allargare il sostegno europeo e globale al price cap, contro gli extra profitti destinati alla guerra e per ridurre i prezzi dell’energia“. L’accordo del G7 “si basa e rafforza ulteriormente” il sesto pacchetto di sanzioni dell’Unione, in linea con le tempistiche concordate del 5 dicembre per il greggio e del 5 febbraio del prossimo anno per i prodotti petroliferi.

Il tetto iniziale dei prezzi sarà basato su “una serie di dati tecnici” e sarà deciso “dall’intera coalizione prima dell’attuazione in ogni giurisdizione“, precisano i sette ministri, che sottolineano con forza che la comunicazione sarà fatta in modo “pubblico, chiaro e trasparente“. Inoltre, “il prezzo, l’efficacia e l’impatto saranno monitorati attentamente e il livello dei prezzi sarà rivisto se necessario“. Secondo le previsioni del G7, l’attuazione pratica del price cap sul petrolio russo importato via maresi baserà su un modello di registrazione e attestazione che coprirà tutti i tipi di contratti pertinenti“, limitando le possibilità di aggirare il regime e riducendo al minimo l’onere amministrativo per gli operatori di mercato. Nel frattempo continuerà il confronto con Paesi e parti interessate “in vista della progettazione e dell’implementazione definitiva“.

L’obiettivo è proprio quello di creare “un’ampia coalizione per massimizzare l’efficacia” della misura: “Esortiamo tutti i Paesi che vogliono ancora importare petrolio e prodotti petroliferi russi a impegnarsi a farlo solo a prezzi pari o inferiori al massimale di prezzo“, ribadiscono i ministri del Gruppo dei Sette. Il punto di forza della misura è non solo l’ambizione di affrancarsi dal petrolio in arrivo da Mosca per chi ne ha la forza e la volontà, ma soprattutto l’essere “particolarmente vantaggiosa per i Paesi, in particolare quelli vulnerabili a basso e medio reddito, che soffrono per gli alti prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari“. È proprio in quest’ottica che saranno sviluppati anche “meccanismi di mitigazione mirati accanto alle nostre misure restrittive“, in modo da garantire che i partner più svantaggiati possano mantenere la sicurezza dell’accesso ai mercati dell’energia, “anche dalla Russia“.

Ursula von der Leyen

Gas, Gazprom annuncia stop totale Nord Stream 1. Ue: Prova cinismo Mosca

Gazprom annuncia che il Nord Stream 1 sarà “completamente” chiuso fino alla riparazione di una turbina, motivando la decisione con l’individuazione di “perdite di olio” nella turbina durante l’operazione di manutenzione. “Pretesti fallaci“, lamenta la Commissione Ue, per cui la mossa del colosso è “un’altra conferma della sua inaffidabilità come fornitore. È anche la prova del cinismo della Russia, che preferisce bruciare il gas invece di onorare i contratti“, dichiara il portavoce-capo della Commissione Ue, Eric Mamer.

Non è vero che la Russia può sospendere così rapidamente le forniture, perché non ha altri grandi gasdotti dove poter mettere questo gas e venderlo altrove. Quindi, diciamo che è un po’ una partita di poker“, commenta il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ai microfoni del Tg1.

Questa mattina alle 6 il prezzo sul mercato di Amsterdam era calato a 221 euro al megawattora, sulla scia della possibilità che Gazprom potesse riaprire i flussi di Nord Stream 1 da domani.

Prosegue quindi lo scontro tra Russia e Unione europea: a dar fuoco alle polveri è stata la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, secondo cui è tempo di imporre un tetto al prezzo del gas dai gasdotti russi in Europa. “I russi preferiscono bruciare il gas piuttosto che venderlo, dobbiamo studiare il disaccoppiamento del gas dall’elettricità”, ha dichiarato a margine della giornata di clausura dell’Unione in Baviera. Immediata la risposta di Mosca che ha prima minacciato poi annunciato la chiusura del gasdotto. “Il gas russo non ci sarà più” in Europa se l’Unione Europea imporrà un tetto al prezzo, ha spiegato il vice capo del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev. “Sarà come per il petrolio – ha avvertito – Semplicemente non ci sarà gas russo in Europa“.

Da tempo, in sede europea, l’Italia chiede che venga adottata una misura del genere, soprattutto per calmierare il prezzo dell’energia anche in vista dell’autunno e dell’inverno, ma l’opposizione di alcuni paesi del Nord Europa, e della stessa Germania, hanno bloccato, finora, questa strada. Percorso però che oggi, dopo l’accordo del G7 a discutere su un ‘price cap’ al petrolio russo, sembra più agevole. “Al G7 delle Finanze passo avanti decisivo sul tetto al prezzo del petrolio russo. Ora mostrare la stessa determinazione in Ue per ottenere il tetto massimo al prezzo del gas. Basta speculazioni, bisogna sostenere famiglie e imprese“, ha subito twittato il ministro degli Esteri italiano e leader di Impegno civico, Luigi Di Maio.

Se nei giorni scorsi Gazprom aveva annunciato che il 3 settembre Nord Stream, dopo un’interruzione di tre giorni dovuta a misure preventive, avrebbe ripreso il suo lavoro (o almeno del 20%), il Cremlino aveva già messo in guardia sulla reale ripresa di operatività. “L’affidabilità del gasdotto è minacciata a causa della mancanza di riserve tecnologiche”, aveva annunciato il portavoce, Dmitry Peskov, parlando delle prospettive per il funzionamento del gasdotto Sp1 e della possibilità di nuove riparazioni. “Non ci sono riserve tecnologiche, solo una turbina funziona, quindi fate i conti“, aveva aggiunto rimarcando che “la colpa non è di Gazprom”.

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Commissione Ue contro crisi energetica: timori e rassicurazioni

Situazione critica”, ma “nessuna particolare preoccupazione”. La crisi energetica vissuta a Bruxelles è all’insegna della consapevolezza della posta in gioco e della necessità di rassicurare, per quanto possibile. L’inverno alle porte, Nord Stream fermo per manutenzione, il gas russo che è sempre più un’incognita. I timori non possono mancare. E se a livello di alto rango si usa un linguaggio, per la comunicazione esterna si sceglie un altro timbro. Le due facce della stessa questione vengono esposte nella stessa giornata, a distanza di poche ore l’una dall’altra.

In audizione in Parlamento europeo la vicedirettrice per l’energia della Commissione europea, Mechthild Wörsdörfer, dà il senso di agitazione che anima il palazzo dell’esecutivo comunitario. Esploriamo gli strumenti per acquisti congiunti” di gas ed energia, così come “esploriamo la possibilità di tetti ai prezzi. Il caro energia spinge l’inflazione, mettendo a rischio famiglie, imprese e tenuta economica del club a dodici stelle. Non entra nel merito delle risposte che offre, perché la linea di questa Commissione è che tutto passi sempre attraverso la presidente Ursula von der Leyen, che nulla sia rilevato prima che non sia lei stesso a farlo. Il 14 settembre Von der Leyen terrà il tradizionale discorso sullo stato dell’Unione e quindi anche sul mercato dell’energia, che “dobbiamo riformare”. Tutto è rimandato a “dopo il discorso delle presidente”.

Restano fermi principio e obiettivo ormai arcinoti. “Dobbiamo ridurre la domanda di gas”, ripete più di una volta di più la vicedirettrice per l’energia della Commissione europea. “Se riduciamo la domanda di gas – spiega – evitiamo gli effetti di decisioni unilaterali quando è troppo tardi”. Wörsdörfer si riferisce a Mosca e al suo colosso energetico Gazprom: “c’è il rischio di interruzioni”. Di fronte all’atteggiamento del fornitore russo e del governo a cui risponde, “la situazione rimane critica e risulta difficile fare previsioni per l’inverno” nella misura in cui non è chiaro se il gas continuerà ad arrivare, magari a singhiozzo e non al pieno della capacità. “La buona notizia è che a livello di media Ue le riserve di gas sono piene all’80%”, e l’Unione dovrebbe riuscire a superare questa stagione fredda alle porte.

È qui che interviene il servizio dei portavoce, Tim McPhie , responsabile per le questioni energetiche, si sente in dovere di precisare e rassicurare. “A livello Ue abbiamo superato l’80% del livello di riempimento degli stoccaggi di gas”, come affermato dalla vice direttrice generale. “Alcuni Stati membri sono sotto la soglia – riferisce – ma non abbiamo nessuna particolare preoccupazione”. Ma ancora una volta, nessuna anticipazione su quello che verrà: “è prematuro ora dire cosa la Commissione proporrà”. Lo sa von der Leyen e lo annuncerà lei. Ma per le famiglie si avvicinano modifiche sostanziali alle abitudini di sempre. “Dovremo considerare anche la questione della riduzione dei consumi dell’elettricità, oltre a quelli del gas”.