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La nuova emergenza in Europa è la luce, che fa salire il gas

Timera Energy, uno dei consulenti più ricercati d’Europa, lancia un nuovo allarme. Da settimane i riflettori sono puntati sul prezzo del gas, che sfiora i 300 euro/MWh dopo la decisione di chiudere North Stream per tre giorni causa manutenzione. Ma la fiammata più preoccupante sta interessando l’energia elettrica, arrivata a costare nei principali Paesi europei 600 euro/MWh. A detta degli analisti londinesi di Timera, la luce è diventata la causa dell’impennata dello stesso metano.

La crisi energetica in Europa ha preso piede durante l’estate per vari motivi: problemi di disponibilità nucleare, livelli idroelettrici esauriti e produzione termica in calo (sia a causa di problemi di accesso al carburante che di chiusure di impianti). I prezzi della luce stanno salendo a livelli record, superando ora sostanzialmente l’aumento dei prezzi del gas. Il Vecchio Continente ha bisogno di più produzione per mantenere le luci accese e l’unica opzione rimasta è il metano, sentenzia Timera Energy. Siamo di fronte a “cambiamenti sismici alla base dei costi energetici dell’economia europea, i quali indicano un’imminente distruzione della domanda industriale su larga scala – scrivono gli analisti della City – e un aumento sostanziale della probabilità di razionamento del gas somministrato”.

Come siamo arrivati a questo “black out”?

Il fattore principale che ha guidato l’aumento dei prezzi dell’energia elettrica in Europa nella prima metà del 2022 è stato, come sapevamo, l’aumento dei prezzi del metano. Le centrali a cicli combinati con turbine a gas dominano la fissazione dei prezzi marginali dell’energia nei mercati energetici del Vecchio Continente. Di conseguenza, gli aumenti dei prezzi del gas hanno determinato l’impennata del gas. In estate però è nata una nuova crisi energetica. Ecco le principali cause, nella sintesi di Timera:

  • disponibilità nucleare francese molto bassa (EDF ha recentemente ridotto la sua guida alla produzione per il 2023 a 300-330 TWh e ora sta affrontando problemi di raffreddamento che stanno avendo un impatto su una disponibilità già debole per il 2022);
  • livelli di stoccaggio idroelettrico bassi causa siccità;
  • chiusure di centrali termiche in tutta l’Europa occidentale (attraverso le vecchie centrali a carbone, nucleari e gas);
  • problemi logistici per l’approvvigionamento di carburante per il conflitto russo e per i livelli molto bassi dell’acqua del Reno (ad es. impatto sulla consegna di carbone da chiatta alle centrali elettriche tedesche);
  • periodi di bassa produzione eolica e solare.

La combinazione di questi fattori sta esacerbando la crisi della luce.

Dunque l’Europa non solo sarà a corto di molecole di gas nei prossimi 3 anni, ma senza ridurre i consumi elettrici rischia di essere a corto anche di elettroni, la cui unica fonte – sottolineano gli analisti di Timera – è la combustione di molecole. Bisogna bruciare insomma più gas per lasciare accesa la luce, una consuetudine ben nota in Italia, molto meno in Europa.

Ora – concludono gli specialisti londinesi dell’energia – un’informazione chiave che il mercato sta cercando è capire la struttura dell’intervento politico, ad esempio sotto forma di razionamento o di vendita all’asta dei volumi industriali. Queste informazioni sono un input chiave nel tentativo di quantificare i volumi e i prezzi della distruzione della domanda.

Per questo una parte significativa delle attuali quotazioni spot di energia e gas è determinata dal premio per il rischio che riflette questa incertezza. I mercati sono abituati a valutare elettroni e molecole in base alla flessibilità dal lato dell’offerta, non alla distruzione e all’intervento dal lato della domanda.

Unica certezza: prezzi estremi creano incentivi estremi a ridurre i consumi. Quanto costerà questo lockdown energetico?

(Photo credits: HELMUT FOHRINGER / APA / AFP)

Josep Borrell

In Ue stoccaggio gas a buon punto ma si teme nuovo stop Nord Stream

Il lavoro dell’Unione europea e dei governi per riempire le riserve di gas procede bene e a ritmi sostenuti. “Tutto ci fa pensare che inizieremo il prossimo inverno con buoni livelli di stoccaggio”, ha assicurato l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, a margine dell’annuale seminario ‘Quo Vadis Europa?’, in corso in questi giorni a Santander, in Spagna. I numeri parlano chiaro: l’Ue nel complesso ha riempito oltre il 76% della sua capacità di stoccaggio e in molti Stati membri si sta raggiungendo la quota nazionale dell’80% richiesta da Bruxelles per prepararsi allo scenario di un taglio completo alle forniture da parte di Mosca.

Anche l’Italia, con il 79,39% della capacità, è tra questi. Ma quello di una interruzione totale delle forniture russe (Mosca è il principale fornitore di gas all’Europa) è uno scenario ormai non troppo remoto e lo lascia intendere il capo della diplomazia europea. Su come andrà l’inverno molto dipenderà da come si evolveranno le cose nelle prossime settimane “e se l’Ue sarà ancora in grado di riempire le riserve”, ha osservato. Per ora stiamo ricevendo il gas” da parte della Russia, ma il gasdotto “Nord Stream 1 lavora al 20% della capacità e la Russia ha già annunciato una nuova sospensione dei flussi all’Europa per una manutenzione non programmata del gasdotto alla fine del mese. Nord Stream 1 è la principale infrastruttura per il trasporto del gas russo verso il Continente europeo, che collega i giacimenti di gas siberiani direttamente alla Germania settentrionale attraverso il Mar Baltico e a capacità massima può trasportare 55 miliardi di metri cubi di gas verso l’Europa.

Venerdì scorso il colosso energetico russo Gazprom – che tiene in gestione il gasdotto – ha annunciato una nuova sospensione dei flussi dal 31 agosto al 2 settembre per una manutenzione non programmata dell’unico compressore rimasto in attività del gasdotto, in una mossa che rischia di aumentare la pressione sui governi europei alle prese con il riempimento degli stoccaggi nazionali di gas prima dell’inverno.

Gazprom assicura che se non dovessero riscontrarsi altri problemi, i flussi di gas saranno ripristinati a 33 milioni di metri cubi al giorno, pari a circa il 20% della capacità a cui l’impianto sta lavorando in questo momento. Nord Stream era già rimasto fermo in manutenzione dall’11 al 21 luglio, in una decisione del Cremlino considerata dall’Unione Europea strumentale come ritorsione al sostegno che Bruxelles ha fornito in questi mesi all’Ucraina. I flussi erano poi ripartiti, ma a una capacità ridotta al 20% a causa, motiva Mosca, di problemi nella riparazione di una turbina prodotta dalla società tedesca Siemens Energy. L’annuncio di una nuova interruzione da parte dei flussi a fine mese spaventa non solo l’Ue ma anche i mercati dell’energia, che negli ultimi mesi hanno osservato un aumento dei prezzi del gas e dell’elettricità.

Non potendo fare affidamento sulla Russia, “dobbiamo continuare a mettere in campo misure per risparmiare energia, ha aggiunto l’alto rappresentante Borrell. Bruxelles ha varato lo scorso 20 luglio un piano per chiedere ai governi di ridurre volontariamente la domanda di gas del 15% rispetto alla media dei consumi di gas degli ultimi cinque anni tra agosto e fine marzo del prossimo anno. Entro la fine di ottobre i governi europei, anche quello italiano, dovranno indicare a Bruxelles le misure che intendono introdurre a livello nazionale per centrare l’obiettivo.

cipro gas

Scoperto maxi-giacimento di gas al largo di Cipro

Una scoperta che influirà notevolmente sul raggiungimento dell’indipendenza energetica dell’Europa dal gas russo. È quella annunciata dal gruppo Eni insieme alla francese TotalEnergies che hanno individuato, a circa 160 chilometri al largo di Cipro, un maxi-giacimento di gas da 2,5 TCF (trilioni di piedi cubi).

In sostanza, spiega Eni, il nuovo pozzo – denominato Cronos-1 – si trova in una profondità d’acqua di 2.287 metri e consiste in un’importante colonna di gas in una sequenza di roccia serbatoio carbonatica con proprietà da discrete ad eccellenti.

Con quest’ultimo ritrovamento Eni Cyprus è a quota quattro pozzi esplorativi perforati e due nel Blocco 6, dopo la scoperta a gas di Calypso-1 nel 2018. Il Gruppo conferma così l’efficacia della sua strategia, volta a creare valore attraverso la profonda conoscenza dei bacini geologici e l’applicazione di tecnologie geofisiche proprietarie.

(Photo credits: AMIR MAKAR / AFP)

Rumors e smentite ma impazza il toto-ministri. Cingolani tra i più ‘contesi’

Il quadro delle alleanze non è ancora definito, i programmi non sono stati depositati, ma come ogni campagna elettorale che si rispetti torna il toto-ministri. Questa volta, a dire il vero, un po’ di ‘colpe’ se le deve prendere il leader della Lega, Matteo Salvini. Perché è stato proprio lui ad accendere la miccia, invitando i suoi alleati del centrodestra a definire prima delle urne almeno un’ossatura di squadra governativa nel caso di vittoria alle urne il prossimo 25 settembre. Finora né Fratelli d’Italia, né tantomeno Forza Italia hanno risposto all’appello guardandosi bene dal fare un passo che molti analisti politici definiscono quantomeno ‘azzardato‘. Soprattutto per una formazione, quella di centrodestra, che tutti i sondaggi danno in largo vantaggio rispetto agli avversari del centrosinistra e anche del centro. Anche perché queste due ultime aree sono ancora in fase di costruzioni, con percorsi visibilmente accidentati.

Se la prudenza non è mai troppa per chi fa politica, l’arte di osare e andare oltre le dichiarazioni di facciata è invece il compito degli osservatori. Soprattutto i media. I primi rumors, così, non tardano ad arrivare e riguardano Giorgia Meloni. Secondo ‘Repubblica‘, la leader di FdI, in un colloquio avuto con Mario Draghi subito dopo le dimissioni, si sarebbe informata con il premier uscente sulle caratteristiche di alcuni ministri. Addirittura chiedendo all’ex Bce consiglio su chi potrebbe essere un asset importante da mettere in campo in un nuovo esecutivo, magari a sua guida. La risposta sarebbe stata Roberto Cingolani e l’ex dg di Bankitalia, Fabio Panetta. Sarebbe, appunto. Perché fonti di Palazzo Chigi non si attardano a smentire il retroscena: “Sono fantasiose e prive di fondamento le ricostruzioni riportate da ‘La Repubblica’ in merito a presunti contatti telefonici del presidente Draghi con Giorgia Meloni, con particolare riferimento a consigli o suggerimenti su nominativi per la composizione della futura compagine di governo“.

La notizia, però, gira a ritmo frenetico. Qualcuno fa il ‘matching‘ con alcune dichiarazioni proprio di Meloni dei giorni scorsi, in cui esprimeva un giudizio tutto sommato positivo sull’azione del ministro della Transizione ecologica. Il diretto interessato non entra nella partita, né per confermare né per smentire. A suo tempo chiarì che non sarebbe stato candidato, tanto che giovedì 4 agosto, in Cdm, lo stesso Draghi ha indirizzato gli auguri di buone vacanze ai ministri non impegnati nella campagna elettorale. Cingolani compreso, che infatti ha ascoltato con un sorriso evidente il premier mentre raccontava questo aneddoto in conferenza stampa dopo la riunione del Consiglio.

Il ‘problema‘, se così vogliamo chiamarlo, è che il rumors è arrivato fino a Lampedusa, dove Salvini è stato giovedì 4 venerdì 5 agosto. In un punto stampa qualcuno la domanda gliela fa. Prima risponde che non commenta i retroscena giornalistici, poi però qualcosa la dice. “Se Cingolani fosse a disposizione ne sarei ben felice: non penso abbia tessere di partito in tasca, però fra i ministri del governo uscente, anche se non ha nulla a che fare con la Lega, mi trovo bene“. Il tema che gli fa apprezzare di più il fisico prestato (temporaneamente) alla politica è il nucleare, su cui il responsabile del Mite è tornato più volte in questi mesi, soprattutto da quando è scoppiata la crisi energetica. Cingolani ne fa una questione teorica: studiamo, recuperando un gap più che ventennale, poi si vedrà. Il segretario del Carroccio, però, vorrebbe farne un punto programmatico: “Così come non si può più rinviare la costruzione del Ponte sullo stretto di Messina, non si può più rimanere tra i pochi grandi Paesi al mondo che non producono energia col nucleare di ultima generazione“.

Un pensiero diametralmente opposto a quello di Nicola Fratoianni, alle prese con la decisione se accettare o meno l’accordo con il Pd. Mentre i Verdi sembrano ormai pronti a firmare, Sinistra italiana sta ancora riflettendo, lasciando il cuore del M5S e di Giuseppe Conte aperto a una speranza, seppur flebile, di accordo. Condividere ‘casa‘ con Carlo Calenda è un problema per Si: a dividerli sono, tra le altre cose, le idee sul rigassificatore di Piombino, sul nuovo termovalorizzatore a Roma e, appunto, il nucleare. La sostanza della fase politica, però, è molto meno articolata rispetto alla discussione su fissione o fusione: al massimo, in vista del 25 settembre, c’è ‘solo‘ il rischio che qualche leader possa restare col cerino in mano.

Varato dl Aiuti: 17 miliardi contro siccità e rincari di energia e gas

Dal disbrigo degli affari correnti ‘allargati‘ nasce il nuovo decreto Aiuti. Un provvedimento corposo, da ben 17 miliardi, di cui 15 dal testo varato ieri pomeriggio in Consiglio dei ministri, più altri 2 miliardi per effetto di norme collegate. Dunque, dopo giorni di attesa è arrivato il via libera alle misure di protezione contro i rincari di luce, gas, acqua e carburanti, oltre alle norme su lavoro e welfare. In realtà si tratta di proroghe della legislazione già in vigore, che comunque finora ha prodotto decreti per un ammontare di 35 miliardi, il costo di almeno una, se non due, manovre finanziarie. “Il metodo che abbiamo utilizzato è quello della condivisione: con le parti sociali, i sindacati, le forze di maggioranza ma anche quelle di opposizione, oltre ovviamente ai ministri. A tutti loro vorrei dire grazie“, esordisce Mario Draghi in conferenza stampa dopo la riunione di Palazzo Chigi.

Il premier tocca diversi argomenti, che hanno un unico filo conduttore: la situazione geopolitica internazionale. “Ci sono nuvole all’orizzonte dovute alla crisi energetica, all’aumento del prezzo del gas e al rallentamento del resto del mondo. Le previsioni sono preoccupanti per il futuro“, spiega. Perché “non bisogna sottacere i problemi: il caro vita, l’inflazione, l’aumento dei prezzi dell’energia e di altri beni, le difficoltà di approvvigionamento, l’incertezza politica non solo nostra ma geopolitica“. Ed è la ragione per cui, pur dimissionario, ha rimesso il governo al lavoro per trovare le risorse utili a rifinanziare molte misure anche nel quarto trimestre dell’anno: dalle riduzioni sulle bollette di luce e gas, al taglio di 25 centesimi sulle accise dei carburanti (anche se soltanto fino al 20 settembre), compreso il gasolio per i mezzi agricoli. Una scelta salutata con soddisfazione da Coldiretti. Che accoglie positivamente i primi 200 milioni per mitigare gli effetti negativi della siccità sulla produzione. Peraltro, con il nuovo dl Aiuti arriva anche la possibilità di dichiarare lo stato di emergenza anche in maniera preventiva rispetto al calcolo dei danni effettivi.

Restano anche i prelievi sugli extraprofitti delle aziende energivore. In questo caso la norma è stata allungata fino al 30 giugno del 2023. Sul punto ha battuto molto Draghi, svelando che “il gettito degli acconti pagati finora è inferiore a quello che sarebbe dovuto essere se gli importi fossero stati tutti pagati“. Per l’ex Bce “non è tollerabile che con le famiglie in difficoltà e il sistema italiano in difficoltà un settore eluda le disposizioni del governo“, ma la sua intenzione è ferma: “Paghino tutto“. Ragion per cui “in questo decreto ci sono provvedimenti che aumentano fortemente le sanzioni e gli obblighi al pagamento“. E se l’antifona non fosse già chiara, il presidente del Consiglio avvisa: “Non escludo che se non avremo una risposta dalle grandi società di produzione elettrica l’esecutivo possa prendere altri provvedimenti“.

Il discorso è inevitabilmente caduto anche sulle grandi sfide in corso. Come quella degli stoccaggi di gas, che “proseguono, vanno avanti e molto bene“, assicura Draghi. Anzi, l’Italia “ha diversificato rapidamente l’offerta, quindi oggi la nostra posizione è decisamente migliore rispetto ad altri Paesi europei per stabilità delle forniture. Tanto è vero che il livello dei nostri stoccaggi è tra più alti in Europa“. Il dato è confermato anche dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani: “Siamo intorno al 74%“. Il responsabile del Mite spiega che “il trend di stoccaggio procede secondo la curva ideale, quella secondo cui ci dovrebbe portare al 90% entro l’inizio del periodo più freddo, orientativamente ottobre-novembre“, garantendo al Paese “una quantità di circa 80-90 milioni di metri cubi al giorno“. Tutto ciò nel bel mezzo di una sostituzione dei 30 miliardi di metri cubi importanti dalla Russia con 25 miliardi da nuovi contratti di fornitura “manteniamo la rotta di decarbonizzazione“. Tra l’altro, “la dipendenza dal gas russo è calata dal 40 al 15% in poche settimane“.

Resta però aperta la questione Piombino. “Metà del nuovo gas è Gnl, che va rigassificato subito“, dice Cingolani. Che torna a ribadire, sempre con forza che “non si può mettere a rischio la sicurezza nazionale perché non si vuole un rigassificatore“.

Draghi si concede anche due battute sulla politica, non di più però. Racconta, con il suo classico sorriso, di aver augurato “buone vacanze ai ministri che non saranno impegnati nella campagna elettorale e ho augurato che si verifichino i loro sogni e i loro desideri a chi, invece, dovrà farla. Sono molto vicino a loro“. Su una sua disponibilità futura a guidare altri altri governi glissa: “Ho già risposto tante volte. Io un nonno al servizio delle istituzioni? Beh, un nonno lo sono… quello è innegabile“. A chi gli chiede numi sulla ormai famigerata ‘Agenda Draghi‘, risponde invece: “Quando sono arrivato non è che ne avessi una, dovevo fare alcune cose. Per cui, questa ‘agenda’ è fatta di risposte pronte ai bisogni dell’economia, ai bisogni delle famiglie più povere e di credibilità, interna e internazionale“. E qui batte il ferro: “Il credito di cui gode l’Italia oggi è la componente più importante del perché l’Italia cresce“. Le luci su Palazzo Chigi si spengono, ma Draghi ancora non chiude la porta dell’ufficio alle sue spalle.

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La Norvegia sta salvando l’Europa sul gas. E non solo

La Norvegia sta salvando l’Europa. Il 27% degli approvvigionamenti di metano arrivano infatti dallo Stato nordico. Oslo è diventato il principale fornitore dell’Europa, dopo il crollo di pompaggio di gas da parte della Russia. I numeri diffusi martedì dall’Indipendent Commodity Intelligence Services (Icis) sono significativi. In sintesi, la fornitura di gas naturale nel Vecchio continente a luglio è arrivata solo per il 10% dai tubi di Gazprom, con 3,7 miliardi di metri cubi consegnati. Un altro 5% viene sempre da Mosca, il Gnl di Yamal. Il gas liquefatto statunitense ha coperto il 13% della fornitura, mentre i gasdotti norvegesi sono stati i fornitori numeri uno, appunto con il 27%.

La Norvegia, ricordiamolo, è il terzo esportatore mondiale di gas naturale dopo Russia e Qatar, inoltre ha una capacità per sostenere una produzione significativa di idrocarburi offshore per altri 50 anni. L’avevano capito alla Ue già nel 2014, anche all’epoca alle prese con la guerra in Ucraina-Crimea, quando l’allora commissario europeo per l’Energia, Guenther Oettinger, aveva suggerito che la Norvegia avrebbe potuto svolgere un ruolo fondamentale nel rafforzare le forniture energetiche dell’Unione. Ahinoi quell’intuizione non è stata esplorata a dovere. Fino allo scorso 23 giugno.

Un mese fa infatti il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Frans Timmermans, il commissario all’Energia Kadri Simson e l’attuale ministro norvegese del petrolio e dell’energia, Terje Aasland, si sono impegnati a “rafforzare ulteriormente la stretta cooperazione tra l’UE e la Norvegia nel campo dell’energia, non tanto e non solo per il conflitto ucraino ma per le sfide sempre più gravi poste dal cambiamento climatico. In effetti Oslo non è solo gas o petrolio.

Bruxelles è molto desiderosa di rafforzare i vari partenariati a basse emissioni di carbonio dell’Ue con la Norvegia, che è ampiamente considerata un leader mondiale nello sviluppo di energia rinnovabile offshore e di idrogeno, soprattutto in virtù degli obiettivi ambiziosi inseriti nel piano RePowerEU pubblicato a maggio, dalla cattura del carbonio allo stoccaggio. Il target sarebbe quello di aumentare di dieci volte la capacità di produzione di elettrolizzatori e 10 milioni di tonnellate di energia rinnovabile a idrogeno entro il 2030. E Nel Hydrogen, con sede a Oslo, sta già lavorando al processo di selezione del sito per nuovi impianti di produzione in Europa. Senza dimenticare che, sul fronte rinnovabili, il Paese nordico da pochi mesi ha aperto all’eolico off-shore, pianificando 30 GW al 2040.

La ‘fortuna’ europea è che la Norvegia, benché fuori dall’Unione, è integrata nel mercato energetico europeo attraverso il cosiddetto accordo SEE, lo Spazio economico europeo che riunisce gli Stati membri della Ue e i tre dell’EFTA, ovvero Islanda, Liechtenstein e appunto Norvegia. Infine, particolare non di poco conto in un contesto di guerra come quello attuale, l’attuale segretario della Nato è il norvegese Jens Stoltenberg.

(Photo credits: Carina Johansen / NTB Scanpix / AFP)

gas

Produzione di gas ko in un ventennio: ‘spente’ 8 milioni di famiglie

Nel 2003 l’Italia aveva prodotto 13,885 miliardi di metri cubi di gas. A fine 2021 la produzione nazionale di metano è pari a 3,343 miliardi di metri cubi. In 18 anni il nostro Paese ha lasciato per strada 10,5 miliardi di metri cubi. Una quantità che, alla luce delle vicende degli ultimi mesi, è paragonabile alla fornitura algerina. Facendo di conto, pura statistica ma molto indicativa, quei 10,5 miliardi di metri cubi adesso basterebbero per coprire il fabbisogno annuo di 8 milioni di famiglie, considerando un consumo familiare medio di 1309 Smc a nucleo (dati del 2019), famiglie che invece sono state “costrette” a utilizzare metano importato o, peggio, a pagare di più la bolletta.

I pochi numeri evidenziati non sono un segreto di Stato. Si trovano sul sito del ministero dello Sviluppo economico. E sono pure di facile lettura. Quello che non è facile comprendere è perché si è deciso di smantellare la produzione di gas nazionale. Lo possiamo intuire: comitati contro gli impianti, svolta per così dire liberista in Europa che magari ha messo fuori mercato il nostro gas a causa di prezzi concorrenziali, la linea tedesca dominante nell’ultimo ventennio della Ue ha preferito avere gas scontato dalla Russia dando la linea all’intero continente, i soldi per la ricerca di nuove fonti e per la manutenzione sono via via spariti dalle leggi di bilancio… potremmo andare avanti con i motivi.

Sicuramente è tutto legittimo, dati i vari contesti, rimane comunque un perché che non trova risposta logica: perché, appunto, uno Stato ha “spento” il gas? È vero che dal 2000 c’è stata una accelerazione verso le rinnovabili che attualmente coprono un terzo del fabbisogno. Tuttavia chiunque sa benissimo che eolico o solare non bastano per accontentare attualmente le necessità di imprese e famiglie. L’Italia inoltre, dopo l’abbandono del nucleare e la decelerazione delle centrali a carbone, è legata a doppio filo al gas: circa il 40% dell’energia elettrica viene prodotta col gas, un record rispetto ad altri Paesi europei. Per cui è ancora più difficile comprendere questa sorta di addio al metano nazionale.

In questi giorni col gas pericolosamente tornato a quota 200 alla borsa di Amsterdam e l’energia elettrica che la scorsa settimana ha raggiunto il secondo prezzo più alto della nostra storia, non si sente parlare di ricette immediate per risolvere il problema costi. Roberto Cingolani, ministro della Transizione ecologica, e Mario Draghi, in questi ultimi mesi hanno sciorinato e messo nero su bianco piani salva-autunno. Natale è stato messo in sicurezza, resta l’incognita della prossima primavera.

(Photo credits: Miguel MEDINA / AFP)

gas

I ritardi dell’Ue sugli acquisti congiunti di gas

Non c’è data ancora per il primo acquisto congiunto di energia da parte dell’Unione europea. Anche se una piattaforma energetica comune, oggi, è più importante che mai di fronte alle minacce della Russia, che è pronta a tagliare completamente le forniture all’Europa.

Sulla scia dell’acquisto comune dei vaccini durante la pandemia Covid-19, di fronte alla crisi energetica connessa alla guerra in Ucraina, Bruxelles ha lanciato lo scorso 7 aprile una piattaforma energetica a cui gli Stati membri possono aderire su base volontaria per negoziare e cercare approvvigionamenti di gas (e poi anche idrogeno e gas naturale liquefatto) prima del prossimo inverno per mantenere anche i prezzi più contenuti potendo gestire la domanda a livello comunitario e non nazionale.

La realtà è anche che, proprio come è stato per l’acquisto congiunto di vaccini, la Commissione europea cerca attraverso la piattaforma comune anche di evitare che ci sia concorrenza tra i Paesi membri dell’Ue nell’acquisto di forniture, data la necessità di accelerare con la diversificazione dei fornitori e riempire le riserve. La Russia è il più grande fornitore di gas all’Europa. Fino allo scorso anno, Bruxelles ha importato da Mosca il 40% delle sue forniture di gas. Con l’inizio della guerra di Russia in Ucraina e l’impegno dei leader Ue a porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili russi entro il 2027 (nel piano RePowerEu), la percentuale si è già ridotta a meno del 30%, che però richiede uno sforzo ulteriore di compensazione.

La piattaforma è stata lanciata e il lavoro organizzato attraverso una serie di task force che saranno istituite su base regionale: la prima è nata a Sofia, in Bulgaria, per monitorare il fabbisogno di gas ed elettricità, i prezzi e i flussi del gas in Bulgaria e con i vicini dell’Europa sudorientale; la seconda è stata creata all’inizio del mese per occuparsi dei Paesi dell’Europa centro-orientale (Italia, Austria, Germania, Repubblica ceca, Ungheria, Polonia, Slovenia, Croazia e Slovacchia) insieme a Ucraina e Moldavia. Ora però mancano gli acquisti comuni e la Commissione Ue, interpellata, sceglie di non commentare.

Fonti europee spiegano che in questo momento si stanno studiando ancora varie formule per rendere operativa la piattaforma, che sta richiedendo più lavoro giuridico e tecnico di quanto la Commissione si sarebbe aspettata. Questo perché gli acquisti comuni non sono in capo ai governi ma agli operatori privati, quindi “occorre trovare un veicolo giuridico che consenta loro di agire”.

Martedì scorso, gli Stati membri dell’Ue hanno dato via libera al piano per una riduzione volontaria del 15% della domanda di gas (sulla media dei consumi degli ultimi cinque anni) tra agosto e marzo, per prepararsi a possibili interruzioni dell’approvvigionamento questo inverno da parte di Mosca. Nel testo dell’accordo raggiunto al Consiglio energia, i governi hanno aggiunto l’esortazione ad accelerare sugli acquisti comuni di gas, anche perché serviranno ad aiutarli a riempire le riserve come richiesto da Bruxelles all’80% della capacità entro il primo novembre (la media europea è poco sopra il 66%, mentre l’Italia è sopra il 71%), mentre Mosca continua a centellinare il gas all’Europa continuando a ridurre i flussi dal gasdotto Nord Stream 1, che collega la Russia direttamente alla Germania settentrionale attraverso il Mar Baltico.

Siccità, energia, guerra: tre dossier ‘hot’ per il nuovo governo

Sarà una campagna elettorale ‘lampo’, ma non senza scontri, tensioni e anche qualche ‘colpo basso’. Lo scenario con cui l’Italia si prepara al ritorno alle urne, il prossimo 25 settembre, è ricco di insidie. Per ogni schieramento. Non solo il cronoprogramma di riforme e progetti per non perdere i fondi europei del Pnrr, nell’agenda di tutte le forze politiche ci sono almeno tre temi cerchiati con in rosso: strategia nazionale sull’energia, transizione ecologica e digitale e, ovviamente, la guerra in Ucraina, che trascina con sé non solo implicazioni geopolitiche ma anche legate alla crisi alimentare. Lo sblocco, graduale, delle scorte di grano e cereali bloccati da mesi nei porti del Mar Nero è una buona notizia – se gli accordi firmati con i garanti Onu e Turchia reggeranno -, ma il tempo stringe perché alle porte ci sono i nuovi raccolti e le incertezze si triplicano senza il cessate il fuoco tra Mosca e Kiev.

L’altro, grande capitolo riguarda inevitabilmente gli approvvigionamenti energetici. Non soltanto – e non tanto – per la conferma e il rispetto degli accordi stipulati dal governo Draghi con Algeria, Libia, Egitto, Mozambico, Azerbaijan, Congo e Qatar: queste partnership ci renderanno indipendenti dalle forniture russe entro la fine del 2024 e l’inizio del 2025. Piuttosto il prossimo governo dovrà prendere una decisione sul ritorno o meno a puntare sulla produzione nazionale di gas. Ovvero, per dirla con il gergo utilizzato da alcune associazioni ambientaliste e movimenti politici, se l’Italia tornerà a muovere le proprie trivelle per sfruttare le possibilità del territorio. Il dibattito si è acceso negli ultimi mesi, quando la crisi energetica ha imposto una riflessione sul mix da adottare. Ad oggi le divisioni rimangono e la discussione non fa passi avanti.

In ballo ci sono interessi economici altissimi, però. Perché da circa una ventina d’anni, da quando è stata operata la scelta di comprare il gas da fornitori esteri (la Russia è diventata in pochissimo tempo il nostro partner principale), c’è chi conta una perdita in termini di occupazione, sviluppo delle nostre aziende e di risorse pubbliche, dovendo pagare l’Iva ai Paesi di appartenenza dei ‘venditori’. Il rovescio della medaglia, però, riguarda la tutela dell’ambiente e delle biodiversità. Non un problema da poco, visti gli effetti a volte devastanti dei cambiamenti climatici. Per ovviare a tutti i rischi c’è chi si appella alle nuove tecnologie, considerandole un valido alleato. Ma non tutti – in entrambi gli ‘schieramenti’ – sono pronti a metterci le mani sul fuoco.

Mentre la discussione va avanti, c’è comunque il presente da affrontare. Ad oggi il problema più grave è la siccità. Continua a non piovere su diverse zone del Paese, mentre dove finalmente scende giù l’agognata acqua, molto spesso lo fa con una violenza dirompete, a causa dell’incontro-scontro con le temperature record di questi mesi estivi. Il governo, prima che deflagrasse la crisi politica, era all’opera per un nuovo decreto Aiuti. La fine della maggioranza, le dimissioni di Mario Draghi e lo scioglimento delle Camere sembravano aver mandato in fumo l’opportunità. L’allargamento del perimetro dei cosiddetti affari correnti, però, ha riacceso la speranza e ora ci sono oltre 14 miliardi di euro da utilizzare per prorogare le misure di contrasto ai rincari di energia, carburanti e beni alimentari, ma anche i primi sostegni per i danni all’agricoltura. Il decreto dovrebbe vedere la luce la prossima settimana. Certo, le cifre stanziate non saranno sufficienti a coprire tutti gli ammanchi, ma va anche detto che oggi è tecnicamente impossibile fare la conta dei danni, quando le colture sono ancora in itinere.

Giocoforza questo sarà uno dei primi dossier su cui il nuovo governo, e la maggioranza che lo sosterrà, dovrà impegnarsi. Chi verrà dopo l’ex Bce, però, si troverà comunque una situazione economica e finanziaria di tutto rispetto. Almeno secondo quanto certificano diverse analisi, non ultima quella dell’Istat. “Con il dato sulla crescita del secondo trimestre” dice il ministro uscente della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, “è ragionevole aspettarsi un tasso di crescita annuo per il 2022 più vicino al 4%“. L’ex forzista si toglie anche un sassolino dalle scarpe: “Il governo Draghi ha lavorato bene, addirittura benissimo. Tanto che tra i Paesi del G7 nel 2022 l’Italia sarà quello che crescerà più di tutti“. E’ la campagna elettorale, bellezza. Ma anche una buona notizia per chi verrà tra due mesi circa.

cingolani

Cingolani: “Il gas costa un botto, acceleriamo sulle rinnovabili”

Non ci sono dubbi: il prezzo del gas è alle stelle. Una drastica conseguenza della guerra russo-ucraina ma anche della forte speculazione presente sul ‘dark web’ dell’economia italiana. “Paghiamo un botto. Già prima della guerra c’era stato un rialzo per vari motivi, anche speculativi, ma passare da 20 centesimi a 1-1,5 euro è troppo”, esclama il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che nel corso di una conferenza stampa al Mite fa il punto su due dei temi di maggior tendenza in questo periodo: gas e rinnovabili.

L’aggiornamento sul ‘work in progress’ delle rinnovabili da parte del ministro arriva subito: “Il lavoro per l’aumento delle energie pulite procede a ritmi serrati“. Parole che, considerando il caos energetico di Gazprom, delle varie manutenzioni ai gasdotti con il piano di risparmio europeo del 15% e l’autunno sempre più vicino, lasciano spazio a un sospiro di sollievo. Premesso, quindi, che sulla transizione energetica i passi avanti l’Italia li sta compiendo, c’è ancora un tassello da mantenere dal quale non possiamo ancora fare a meno. Quello riguardante il rinvio del phase out delle centrali a carbone, perché servirà a risparmiare 2 miliardi metri cubi di gas. E Cingolani avverte: “Farà un po’ di danno ambientale, ma ci consentirà di accelerare sulle rinnovabili“. Detto questo, “le nuove forniture di gas richiederanno un po’ di tempo per andare a regime ma non sono previste drastiche misure di contenimento a livello industriale“, la sottolineatura.

Riprendendo il discorso sui tre rigassificatori galleggianti, “due saranno operativi tra i prossimi 12-24 mesi”, mentre il terzo è in stallo. Si tratta dell’impianto di Piombino: “Ora c’è un po’ di polemica, faremo di tutto per cercare di alleviare i disagi, ma la sicurezza nazionale passa dal Comune toscano“. L’importante, per il responsabile del Mite è che “Il rigassificatore entri in funzione tra il primo quarto del 2023 e il primo quarto del 2024“, stessa cosa per quello di Ravenna che “è pronto ma serve un tubo di raccordo”.

Resta sempre sul tavolo il discorso relativo al tetto al prezzo del gas. Sulla Borsa, spiega il ministro, “sono stato esplicito anche in sede europea, spiegando che non siamo in economia di mercato ma in economia di guerra, quindi il price cap, che abbiamo chiesto e che l’Ue si è impegnata a presentare una proposta a settembre, diventerebbe un normalizzatore importante“.