La Nato si allinea al Green Deal Ue, verso la neutralità climatica al 2050

Ridurre le emissioni di gas serra civili e militari di almeno il 45% entro il 2030, per arrivare alla neutralità climatica entro la metà del secolo. La Nato si allinea agli obiettivi ‘verdi’ del Green Deal europeo e ha annunciato martedì (28 giugno) i primi target di riduzione delle emissioni di gas serra dell’Alleanza Atlantica che oggi conta 30 Paesi membri.

Ad annunciarli dal palco di Madrid, dove fino al 30 giugno è in corso il Vertice Nato, è il segretario generale Jens Stoltenberg, avvertendo del fatto che “non sarà facile, ma si può fare“. Spiega di aver “condotto analisi approfondite su come farlo” e una grande parte di questo percorso sarà la transizione verso l’indipendenza dai combustibili fossili, di cui oggi sono dipendenti la gran parte dei Paesi che ne fanno parte. “Tutti i nostri Paesi alleati si già sono impegnati a ridurre le proprie emissioni per essere in linea con gli obiettivi del Patto di Parigi”. L’adattamento delle loro forze armate “contribuirà a questo” obiettivo, inclusa una tecnologia più verde, come le energie rinnovabili, “i combustibili sintetici rispettosi del clima e soluzioni più efficienti dal punto di vista energetico“, ha menzionato.

Alla tre giorni di vertice di Madrid, l’Alleanza Atlantica aggiornerà il suo ‘Strategic Concept’, il programma di azione aggiornato l’ultima volta dieci anni fa, che guarderà al prossimo decennio della Nato fondandosi sul concetto di ‘Resilienza’, che questa volta riguarderà anche la resilienza ai cambiamenti climatici, considerandoli “un moltiplicatore di crisi“. Stoltenberg ha spiegato che il documento definirà il cambiamento climatico come “una sfida decisiva nel tempo, che per gli alleati significherà tre cose: “aumentare la nostra comprensione, adattare le nostre alleanze e ridurre le nostre emissioni“.

Sulla riduzione delle emissioni, il segretario Nato presenterà ai Paesi alleati in questi giorni la prima metodologia per calcolare le emissioni di gas serra, sia civili che militari, provenienti dalla Nato. Comprensiva di un indicatore su “cosa contare e come contarlo”, e “lo renderò disponibile a tutti gli alleati per fare in modo che possano calcolare il loro impatto ambientale delle emissioni che vengono prodotte”. Partendo dal presupposto che tutto ciò che può essere quantificato”, come le emissioni di gas a effetto serra “può essere anche ridotto.

Stoltenberg ha parlato della necessità di riduzione dell’uso dei combustibili fossili anche in chiave strategica. La guerra in Ucraina “mostra i rischi di essere troppo dipendenti da materie prime che sono importati da regimi autoritari” e il modo con cui Mosca usa il gas come arma ci rende chiaro che dobbiamo “bisogna abbandonare presto il petrolio e il gas russi“, ha detto mettendo in guardia sul fatto che “non dobbiamo però finire per dipendere da un altro regime autoritario“. Il riferimento esplicito è proprio alla Cina da cui arrivano “molte materie prime che sono necessarie alle tecnologie verdi“. Imperativo per l’Unione europea come anche per la NATO “diversificare fonti e fornitori” di energia.

(Photo credits: JAVIER SORIANO / AFP)

Al G7 raggiunta intesa su price cap per gas e petrolio

Non solo il petrolio, come desiderava da principio Joe Biden, ma anche il gas, come auspicava (da molto prima dell’ultimo Consiglio europeo) Mario Draghi. Al G7 di Garmish, in coda a una lunedì di straordinaria intensità operativa, si è raggiunta l’intesa per mettere un tetto ai prezzi dei prodotti energetici più ‘gettonati’ del pianeta. Toccherà proprio ai ministri ‘energetici’ fare in modo che questa linea di condotta comune ai Sette Grandi passi dallo stato teorico a quello pratico.

Perché c’è “urgenza” di fare in maniera che i prezzi di gas e petrolio, segnatamente forniti dalla Russia, non siano più soggetti a manovre speculative, mettendo sotto controllo l’impennata delle bollette e, per estensione del concetto, l’inflazione. I negoziati hanno partorito l’agognato sì alle nove della sera, quando di solito ci si accomoda al tavolo per consumare la cena, superando perplessità (Germania) e ritrosie (Francia), dando in qualche modo ragione alla linea italiana che punta sul price cap almeno da un paio di mesi. Il premier, tornato dal Consiglio europeo con una mezza vittoria (avrebbe voluto una convocazione straordinaria per luglio, in realtà se ne parlerà a ottobre), questa volta può sorridere consapevole che ha ottenuto al G7 ciò che non gli è riuscito pienamente a livello europeo. “Dobbiamo continuare a lavorare su come imporre un tetto al prezzo del gas”, aveva insistito Draghi mentre le delegazioni tecniche stavano ancora pensando al modo più proficuo per raggiungere il risultato finale.

Il preludio all’accordo di poche ore dopo, quasi che il premier avesse capito che la discussione stava per incanalarsi per il verso giusto. A monte di tutto, l’obiettivo è abbastanza chiaro. Non solo sotto il profilo militare, ma anche geopolitico – e quindi energetico – Vladimir Putin non deve vincere: al G7 se ne sono fatti una ragione, passando sopra a qualsiasi dubbio. Nella conferenza stampa di oggi verrà spiegato tutto questo e, magari, altro ancora.

Gas, Ue rinvia il price cap a ottobre. Prorogato taglio accise

Di price cap se ne parlerà a ottobre, ma Mario Draghi non è deluso. Il bilancio di questa due giorni europea si riassume con le parole del premier al termine di Consiglio Ue ed Eurosummit: “Immaginavo che alla fine saremmo finiti nel solito rinvio, con un linguaggio un po’ vago”, invece “le cose si stanno muovendo” e a settembre la Commissione europea dovrà produrre un report con le soluzioni per il tetto massimo al prezzo del gas, ma anche – e questa potenzialmente potrebbe essere la vera svolta – una roadmap per riformare il mercato dell’energia elettrica. Che, per inciso, ha senso solo disaccoppiando il costo di quella prodotta dal gas da quella estratta da fonti rinnovabili, come ripetono da mesi sia il capo del governo sia il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Ma questa è un’altra storia.

La cronaca dell’attualità rivela che in questa battaglia continentale Draghi non è stato ascoltato quando ha chiesto di programmare un vertice straordinario a luglio – però “se la situazione dovesse aggravarsi è chiaro che ci sarà, questo sottolinea è stato detto esplicitamente: non è che stiamo lì a far passare due mesi e mezzo senza far nulla” – ma almeno ha recuperato l’appoggio della Germania, passata “progressivamente da un’obiezione di principio” a una “apertura“. Così come l’Olanda, altro grande ostacolo sul cammino italiano, e altri Stati membri “molto rigidi all’inizio di questa di questa discussione” ma che adesso stanno cambiando idea. La resistenza, comunque, resta “di quei Paesi cosiddetti frugali“. Contrari anche a un Recovery fund sulla scia di quello varato per contrastare gli effetti del Covid, anche se lo stesso Draghi non sembra convintissimo: “Non è una situazione in cui è necessario avere dei grants, degli aiuti, ma avere una capacità fiscale comune, che faccia capire ai mercati che siamo tutti insieme“.

La frase che ripete più spesso alla fine dei lavori è che “le cose non vengono da sole, ci vuole tempo“: per preparare le contromosse ai tagli delle forniture decisi unilateralmente da Vladimir Putin, ma soprattutto per mitigare il rincaro dei prezzi di gas e materie prime, che stanno mettendo in seria difficoltà le economie europee, colpite dall’inflazione; sebbene i rialzi dei costi non sono più colpa esclusiva dei prodotti energetici, avverte il presidente del Consiglio. Che riunirà nel giro di 15 giorni il tavolo con le parti sociali per affrontare il tema della protezione e sostegno al potere d’acquisto degli italianiimportante ed essenziale per tanti aspetti, uno dei quali è la pace sociale, la pace nelle relazioni industriali“.

Un altro punto che Draghi può iscrivere nella casella dei ‘pro’, tornando dalla trasferta di Bruxelles, è la “consapevolezza” diffusa in Europa “rispetto alla serietà della situazione“, e dunque il conseguente “impegno chiaro a coordinarci di più nella ricerca di nuovi fornitori, negli stoccaggi, nelle piattaforme comuni“. A proposito, l’opera per riempire le scorte di gas del nostro Paese sta andando “molto bene, così dice il responsabile di Palazzo Chigi quando gli viene chiesto lo stato dell’arte in vista dell’inverno. E anche l’opera di diversificazione delle fonti procede a pieno ritmo: “La dipendenza dalla Russia l’anno scorso era del 40%, oggi è del 25%, le misure che il governo ha messo in campo già proprio dall’inizio della guerra cominciano a dare risultati“.

Il lavoro non è ancora finito, però. Perché ci sono ancora le difficoltà per i cittadini e le imprese, non solo sulle bollette ma anche sui carburanti. Per questo motivo i ministri dell’Economia, Daniele Franco, e della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, hanno firmato il decreto interministeriale che proroga al 2 agosto prossimo il taglio delle accise di 30 centesimi al litro per benzina, diesel, gpl e metano per autotrazione. Che con il terzo decreto Energia varato dal Cdm in settimana dovrebbero riportare la situazione sotto la soglia di allarme. Gli scudi restano tutti attivati, aspettando che l’Europa faccia passare in fretta questo extra time di riflessione sul price cap.

Tajani

Tajani: “Se Russia taglia gas sono problemi, più autosufficienza”

La questione energetica continua ad agitare la politica europea. Un rischio di tagli delle forniture russe verso l’Ue è uno scenario che nessuno auspica, ma che comunque entra prepotentemente nella agende non solo nazionali, tanto è vero che il tema è stato oggetto di confronto anche attorno al tavolo del Partito popolare europeo (Ppe), riunito come consuetudine prima del vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue. “Se la Russia smette di inviare gas sono problemi”, riconosce Antonio Tajani, coordinatore unico di Forza Italia e vicepresidente del Ppe, nel colloquio concesso a Gea a margine dei lavori. “Ci auguriamo che non succeda, ovviamente”, ma in ogni caso quello che serve è uno sforzo collettivo per trovarsi preparati se mai il peggio dovesse concretizzarsi. “Dobbiamo accelerare sui tempi dell’autosufficienza energetica”, il che vuol dire investimenti e politiche mirate. I primi vanno stimolati, le seconde varate con priorità assoluta.

L’autosufficienza energetica passa anche per un maggior ricorso al gas petrolio liquefatto, il Gnl che l’Ue ha iniziato ad acquistare sul mercato, soprattutto quello nordamericano. Ma anche qui “occorre accelerare”, insiste Tajani. “Servono rigassificatori”, che l’Europa degli Stati al momento non ha. “Ne servono più di quanti ce ne sono” attualmente. È una consapevolezza diffusa, attorno al tavolo del centro-destra europea, che “rifiuta di chiudere gli occhi di fronte a queste sfide impegnative”. Un passaggio contenuto anche nella dichiarazione del Ppe diffusa alla fine summit. “Abbiamo discusso anche della situazione economica”, spiega ancora Tajani, perché se il possibile taglio alle consegne di gas russo sono un’eventualità, il problema dei prezzi dell’energia è già un problema reale, che si ripercuote sul tessuto produttivo e le prospettive di crescita dell’Europa.

Gas e tensioni in maggioranza, giorni caldi per il governo

Si vive un giorno alla volta. La settimana più calda della stagione politica – e non per questioni meteorologiche – deve essere vissuta per forza così: tra una maggioranza che non riesce a trovare la quadra sulla Risoluzione che oggi dovrà essere votata in Senato, dopo le comunicazioni del premier, Mario Draghi, in vista del Consiglio Ue del 23-24 giugno, e un razionamento dei flussi di gas deciso unilateralmente dalla Russia, con conseguente aumento dei prezzi di mercato.

L’unico imperativo per il governo è non fermare i motori in attesa che si sciolgano i nodi sulle volontà del Movimento 5 Stelle, che vive ore di turbolenza per lo scontro interno tra Luigi Di Maio, che rivendica l’atlantismo e l’appartenenza all’Ue, e Giuseppe Conte, che disconosce le voci di corridoio sulla linea che avrebbe voluto far imporre dai suoi emissari in Parlamento sullo stop all’invio di armi all’Ucraina. Addirittura con evocazioni di espulsioni (per il ministro degli Esteri) e scissioni nel gruppo parlamentare più nutrito della legislatura.

Anche se la mediazione tra le varie forze che sostengono l’esecutivo va per le lunghe, il mood che circola in queste ore è che una soluzione si possa trovare. Anche a ridosso dell’intervento di Draghi nell’aula di Palazzo Madama, ma che consenta comunque di lasciare l’agibilità politica a Palazzo Chigi nella situazione delicata in cui si trova il Paese. Perché dal sostegno all’Ucraina l’Italia non recederà in nessun modo, al massimo l’ipotesi è quella di un impegno a informare le Camere passo dopo passo, ad ogni decisione che verrà presa nei consessi internazionali. Anche sull’invio di materiale militare per consentire a Kiev la difesa dei propri territori dall’invasore russo.

A proposito di Mosca, dopo i tagli alle forniture di gas dei giorni scorsi (per i quali sono stati addotte motivazioni tecniche di rotture agli impianti senza possibilità di riparazioni veloci, perché le sanzioni impedirebbero l’approvvigionamento dei pezzi di ricambio), ad oggi non sono state comunicate variazioni sul trend. Ovvero, i flussi sono ancora irregolari anche se al momento non ci sono segnali di allarme sugli stoccaggi. Che, certo, stanno procedendo più lentamente di prima, ma comunque non si sono fermati. Del resto, lo stesso ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, in più occasioni, ha sempre spiegato che la luce rossa si accenderebbe solo nel caso in cui ci fosse uno stop totale prima della fine dell’anno. E comunque ha garantito, anche nelle ultime ore, che dopo l’attento monitoraggio dell’andamento delle entrate di gas nei siti di stoccaggio italiani, si deciderà come muoversi.

In poche parole, l’Italia vuole capire se si tratta di una “rappresaglia” della Russia (copyright del responsabile del Mite) o un reale intoppo tecnico che sarà risolto in tempi non eccessivamente lunghi.

Sulla strategia avranno un peso anche le conclusioni dell’incontro in programma oggi al ministero della Transizione ecologica, dove si riunirà il Comitato di monitoraggio sui flussi di gas, al quale prenderanno parte anche Arera, Snam (impegnata nell’acquisto delle due navi Fsru per la rigassificazione) e Terna, il gestore delle reti per la trasmissione di energia elettrica in Europa, che ha anche il polso della situazione sulle richieste di nuovi impianti di fonti rinnovabili. Piccolo spoiler: i dati sono sempre più positivi.

Domani, invece, Cingolani incontrerà i player, tra i quali ovviamente Eni ed Enel. Tirate le somme, con Draghi e gli altri ministri competenti il governo deciderà come muoversi.

Proprio domani il premier, se tutto filerà liscio oggi in Senato, riferirà anche alla Camera sul prossimo Consiglio europeo, nel quale tornerà a chiedere (con molta più forza di prima, anche in virtù dei tagli russi) il price cap Ue.

Tenendo presente che il piano di diversificazione delle fonti di approvvigionamento continua a ritmo spedito, anche se le nuove partnership non potranno incidere a pieno regime prima del prossimo anno, lo scenario italiano appare delicato. Ma almeno il pericolo di un’allerta massima non sembra essere all’ordine del giorno. 

Russia taglia ancora i flussi gas. Governo pronto ad attivare ‘scudi’

La strategia russa di ridurre i flussi di gas verso l’Europa continua. Anzi, diventa sempre più ampia. Perché stavolta il taglio delle forniture comunicato a Eni è del 50% a fronte di una richiesta giornaliera di circa 63 milioni di metri cubi. Peggio dell’Italia è andata alla Francia, che ha smesso di ricevere il gas da Mosca dallo scorso 15 giugno, secondo quanto riferito dall’operatore del sistema di trasporto transalpino, Grtgaz. Senza contare che negli ultimi giorni il gigante russo Gazprom ha ridotto notevolmente le sue forniture a quasi tutti i Paesi europei: la Germania attraverso il gasdotto Nord Stream 1. A Parigi, comunque, non è scattato ancora l’allarme perché le scorte francesi sono piene al 56%, rispetto all’abituale 50% nello stesso periodo. Al momento resta sotto controllo, assicura l’Ue, anche perché in estate i consumi scendono, ma i tagli arrivano proprio quando i Paesi devono riempire le proprie riserve almeno all’80%.

Per quanto riguarda l’Italia, gli stoccaggi sono al 52 percento e la situazione è sotto costante monitoraggio da parte del ministero della Transizione ecologica. Che settimana prossima tirerà le somme di questo taglio e prenderà le contromisure del caso. “Sono già pronte”, ha assicurato il ministro Roberto Cingolani, che lavorerà al tavolo per l’emergenza. Tra le risposte che il governo potrebbe dare c’è quella di un allungamento dei tempi per il phase-out dal carbone, oltre a un aumento delle percentuali di risparmio del gas. Ma il vero obiettivo, esplicitato chiaramente dallo stesso Cingolani durante il question time in Senato, giovedì scorso, è quello di aumentare la produzione nazionale, sfruttando molto di più i giacimenti nel suolo italiano, abbandonati circa vent’anni fa con una strategia che oggi ci consegna questo quadro: “Siamo passati da una produzione pari al 20% del fabbisogno, nel 2000, al 3-4% nel 2022, che non è coinciso con una riduzione assoluta del gas né un beneficio ambientale, ma solo con un aumento delle importazioni” e dei costi, ripete come un mantra il responsabile del Mite.

Il primo passo è quello di rivedere il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee. Senza questo step sarà impossibile riattivare le trivelle, che tornano centrali in questa fase storica: “E’ scoppiata una guerra che ha cambiato completamente il panorama mondiale dell’energia”, avvisa infatti Cingolani. Confermando comunque “la rotta della decarbonizzazione al 55%”. Sul punto il ministro incassa il sì di Federpetroli, ma anche del segretario generale della Uiltec, Paolo Pirani.

Oltre alla strategia interna, però, il governo spinge sull’acceleratore anche in Europa per arrivare a un’intesa sul tetto massimo al prezzo del gas. Il premier Mario Draghi, alla luce dei tagli operati da Gazprom, ha fatto capire chiaramente che al prossimo Consiglio Ue del 23 e 24 giugno i partner dovranno discutere seriamente del price cap. Anche perché l’aumento dei prezzi del gas sta creando notevoli difficoltà agli stoccaggi. Secondo diversi analisti è una diretta conseguenza del calo delle forniture: ad esempio il gas naturale in Europa, il Ttf di Amsterdam, è balzato a circa 130 euro per megawattora, contro circa 100 euro di mercoledì scorso. Un anno fa, di questi tempi, era a 30 euro. Ma Vladimir Putin fa finta di nulla. Anzi, rimpalla le responsabilità cercando di ‘spostarle’ dal suo Paese, che a febbraio ha iniziato l’invasione dell’Ucraina terremotando i mercati mondiali. E’ stata “una politica energetica fallimentare” a far lievitare i prezzi dell’energia in Europa perché “la Russia non ha nulla a che vedere” con questo, ha detto il responsabile del Cremlino all’Economic Forum di San Pietroburgo.

Tra gli altri effetti della guerra, tra l’altro, c’è la crisi alimentare alle porte per il blocco del grano nei porti ucraini. Anche in questo caso Putin respinge le accuse. L’unica novità, sebbene parziale, è una timida apertura all’appello delle Nazioni Unite al dialogo sulla sicurezza alimentare. Ma, leggendo attentamente tra le righe, il suo assenso è condizionato al fatto che il fulcro del dialogo sia “la creazione di condizioni normali per la logistica, la finanza e il trasporto per aumentare le esportazioni russe di cibo e fertilizzanti”. Come rivelato da Draghi a Kiev, Putin ha rifiutato la Risoluzione Onu per far partire le navi cariche di grano e cereali che sono vitali per diversi Paesi poveri del mondo, Africa in primis.

Infine, in questo scenario, c’è anche un’altra preoccupazione a cui il governo deve dare risposta. Perché il rincaro dei carburanti torna a mordere la carne viva di cittadini e imprese, con cifre oltre i 2 euro al self per il gasolio. Dalla Lega arriva la richiesta di confermare il taglio delle accise di 25 centesimi e Matteo Salvini si aspetta il decreto entro la fine di giugno. Ma una proroga delle misure di contenimento è attesa un po’ da tutte le forze politiche. E il governo non dovrebbe tirarsi indietro. La fase è cruciale, dunque, ogni errore può essere pagato a caro prezzo. E non metaforicamente.

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Gazprom conferma che l’asse Russia-Cina è solido e scatta la corsa agli stoccaggi

Se sono coincidenze, sono davvero curiose: Gazprom taglia i rifornimenti di gas all’Europa, segnatamente alla Germania (60%), all’Italia (15%) e all’Austria; in contemporanea, negli ultimi cinque mesi ha aumentato ‘solo’ del 65% le forniture alla Cina. Siccome non sono coincidenze, al di là delle giustificazioni di facciata confezionate a uso stampa da Gazprom, ovvero un banale problema di turbine, la realtà reale è che si tratta di ritorsioni, insomma la risposta pratica – sotto un certo aspetto persino tardiva – alle sanzioni che sono state imposte alla Russia dall’Unione europea.

Non c’è da sorprendersi, anzi era persino prevedibile che il Cremlino prima o poi avrebbe reagito; c’è da riflettere, piuttosto, sul fatto che viene ‘girata’ agli amici cinesi la stessa quantità di gas sfilata all’Europa. E questo dettaglio non proprio marginale spiega bene quanto sia solido il legame che unisce Putin a Xi, al di là dei contenuti ufficiali usciti dalla telefonata di mercoledì, là dove il leader cinese ha chiesto a quello russo di porre fine al conflitto in Ucraina, eccetera eccetera. Mosca e Pechino dialogano fitto, Mosca vuole spostare più a Est possibile i propri affari, Pechino vuole evitare che una Russia fiaccata dalla guerra venga presa in mezzo da Stati Uniti e Nato. Per gli analisti di geopolitica e di economia, il 2023 e il 2024 saranno ancora stagioni tormentate di rapporti e di conti economici, per i cittadini europei si profilano anni durissimi.

In attesa che prendano consistenza gli accordi allacciati dall’Italia con Congo, Angola, Algeria, Israele, Qatar e che l’Europa continui a fare la sua parte (leggi la recente missione di Ursula von der Leyen a Tel Aviv e Il Cairo), l’unica soluzione praticabile per vivere il prossimo inverno senza l’angoscia di rimanere al freddo è quella degli stoccaggi. Perché la distribuzione delle nuove forniture, il rifiorire (controverso) di rigassificatori galleggianti, l’acquisto di navi metaniere, la sburocratizzazione delle rinnovabili, richiede molto tempo. Troppo per fronteggiare l’emergenza. Ma gli stoccaggi, a loro volta, subiranno un naturale rallentamento, come ha sottolineato Roberto Cingolani, il ministro della Transizione ecologica. Eppure continua a essere quella l’unica soluzione a presa rapida e sicuramente la meno dolorosa: confidando sempre nella diplomazia europea per fare ragionare Putin e Zelensky.

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Italgas guarda al 2028: verso rete full digital per gas rinnovabili

Digitalizzazione, consolidamento nel settore dell’efficienza energetica e crescita esterna. Sono le direttrici sulle quali si muove il Piano strategico 2022-2028 di Italgas, presentato a analisti e azionisti. Il nuovo Piano prevede investimenti complessivi netti per 8,6 miliardi di euro, in aumento di 0,7 miliardi di euro rispetto al precedente, presentato lo scorso anno. L’incremento degli investimenti (+8,9%) è guidato dalle attività di trasformazione digitale degli asset, di estensione del network e dalle iniziative volte al consolidamento nel settore dell’efficienza energetica che consentiranno al Gruppo di continuare a giocare un ruolo di primo piano nel raggiungimento dei target climatici Ue. Secondo l’amministratore delegato, Paolo Gallo, il Gruppo si conferma così “tra le principali realtà industriali in grado di mettere le proprie capacità di progettazione, spesa e creazione di valore al servizio degli obiettivi di sviluppo sostenibile del Paese e dell’Unione Europea”. Con le reti, aggiunge, che “permetteranno di operare la transizione da gas fossile a gas rinnovabile”.

italgas

RIDUZIONE CONSUMI E EMISSIONI

In linea con le indicazioni della Commissione Europea di neutralità carbonica al 2050, il Gruppo ha esteso al 2028 il target di riduzione dei consumi energetici netti rispetto al 2020, portandolo a -27% e ponendosi un nuovo target di -33% al 2030. Il raggiungimento di tali obiettivi contempla le iniziative di efficientamento energetico e di digitalizzazione e ottimizzazione del sistema di controllo e gestione di tutti gli asset operativi, nonché di rinnovamento della flotta aziendale dei veicoli di servizio. Italgas prevede di ridurre del 34% le emissioni climalteranti (Scope 1 e Scope 23 ) al 2028 e del 42% al 2030 (baseline 2020). Definito un target anche sulle emissioni di gas a effetto serra dello Scope 3 (supply chain), con una riduzione prevista del 30% al 2028 e del 33% al 2030 rispetto al 2024. “In uno scenario europeo che ha nel REPowerEU la nuova stella polare per rafforzare la resilienza del sistema energetico e accelerare la transizione ecologica, Italgas può cogliere i frutti di una visione che aveva individuato nelle reti digitali, flessibili e intelligenti il principale abilitatore della decarbonizzazione dei consumi”, spiega Gallo.

TRASFORMAZIONE DIGITALE AL SERVIZIO DEI GAS RINNOVABILI

Degli 8,6 miliardi di euro di investimenti, ben 4,5 sono destinati allo sviluppo e all’upgrade del network italiano della distribuzione del gas. Nel dettaglio, 1,5 miliardi di euro (+100 milioni circa rispetto al precedente Piano) sono destinati alla prosecuzione dei programmi di trasformazione digitale della rete. Disporre di una rete ‘full digital’, secondo Italgas, è la precondizione tecnica per gestire con efficacia la distribuzione dei gas rinnovabili – principalmente biometano, metano sintetico e idrogeno – per i quali il Piano destina oltre 100 milioni di euro per favorire l’allacciamento degli impianti di produzione alla rete di distribuzione, introdurre la tecnologia del reverse flow verso la rete di trasporto in maniera da consentire l’accoglimento, di fatto senza limiti, dei quantitativi non consumati a livello locale, sviluppare impianti e componenti ‘hydrogen ready’. Si stima che dalla digitalizzazione derivino benefici per circa 300 milioni di euro (+50 milioni di euro rispetto al precedente piano), in termini di riduzione dei costi operativi, efficienza sugli investimenti e maggiori ricavi. Nessuna preoccupazione per la rete di distribuzione, perché i tubi in polietilene “sono assolutamente compatibili al 100% con l’idrogeno. Avremmo un problema di corrosione se fossero in ghisa, ma stiamo sostituendo dappertutto e sono rimasti pochi chilometri. Stiamo anche testando e testeremo altri materiali affinché siano compatibili con l’idrogeno”, precisa Gallo.

EFFICIENZA ENERGETICA

Italgas, nel suo piano, raddoppia l’impegno verso il business dell’efficienza energetica, che rappresenta una leva fondamentale per il raggiungimento dei target indicati dal REPowerEU ed è sempre più centrale nelle strategie di sviluppo del Gruppo. Il nuovo Piano, infatti, assegna 340 milioni di euro allo sviluppo delle Esco (Energy Service Company, società che effettuano interventi finalizzati a migliorare l’efficienza energetica) del Gruppo, sia per realizzare operazioni mirate di fusioni e acquisizioni, sia per rafforzare le aree di attività e il portafoglio clienti nei settori di riferimento: residenziale, pubblico, industriale e terziario.

RICAVI

Per il 2022 Italgas prevede investimenti tecnici tra 700 e 750 milioni di euro e ricavi adjusted superiori a 1,4 miliardi di euro, con un Ebitda adjusted di 1,00-1,03 miliardi di euro e un Ebit adjusted tra 570 e 590 milioni di euro. Tali risultati – spiega Italgas nella presentazione del suo Piano Strategico 2022-2028 – non tengono conto del contributo di Depa Infrastructure. Includendo il costo per l’acquisizione di Depa Infrastructure e gli impatti dell’Ifrs 16, l’indebitamento netto a fine 2022 è atteso a circa 5,9 miliardi di euro. Con il completamento delle gare, grazie al contributo di Depa Infrastructure e allo sviluppo delle attività dell’efficienza energetica, si prevede al 2028 un fatturato superiore a 2,6 miliardi di euro con un margine Ebitda stimato di circa il 70%, mentre la leva finanziaria dovrebbe gradualmente ridursi attestandosi a fine Piano al 61% circa. Per quanto riguarda la greca Depa, Italgas si aspetta di poter perfezionare l’operazione di acquisizione “prima dell’estate”, secondo l’ad Gallo. Il Piano destina 1,8 miliardi di euro all’acquisizione, al consolidamento e all’esecuzione dei programmi di sviluppo ad oggi messi a punto dalle società operative Eda Thess, Eda Attikis e Deda.

paolo gallo

Italgas sempre più sostenibile: nel piano -34% emissioni al 2028

Nei prossimi anni, il Gruppo Italgas continuerà a giocare un ruolo di primo piano nel raggiungimento dei target climatici Ue attraverso iniziative di efficientamento energetico e di digitalizzazione e ottimizzazione del sistema di controllo. L’amministratore delegato Paolo Gallo – nel corso della presentazione del Piano Strategico 2022-2028 – ha dettato la linea relativa alle prospettive future del Gruppo: “In uno scenario europeo che ha nel REPowerEU la nuova stella polare per rafforzare la resilienza del sistema energetico e accelerare la transizione ecologica, Italgas può cogliere i frutti di una visione che aveva individuato nelle reti digitali, flessibili e intelligenti come principali abilitatori della decarbonizzazione dei consumi”.

Al fine di favorire il processo di decarbonizzazione, la società ha esteso al 2028 il target di riduzione dei consumi energetici netti rispetto al 2020, portandolo a -27% e ponendosi un nuovo target di -33% al 2030. Il raggiungimento di tali obiettivi contempla le iniziative sostenibili e di digitalizzazione e ottimizzazione del sistema di controllo. Inoltre, grazie al miglioramento della rete, all’azione capillare di ricerca delle dispersioni e alla pianificazione mirata degli investimenti, Italgas prevede di ridurre del 34% le emissioni climalteranti al 2028 e del 42% al 2030. Infine, tramite un’intensificazione dell’engagement con i propri fornitori, il Gruppo auspica a un calo delle emissioni di gas a effetto serra del 30% al 2028 e del 33% al 2030 rispetto al 2024.

Raddoppia anche l’impegno verso il business dell’efficienza energetica. Il nuovo Piano, infatti, assegna 340 milioni di euro allo sviluppo delle ESCO (interventi finalizzati a migliorare l’efficienza energetica) del Gruppo. “Tramite questo investimento, quasi il doppio rispetto al precedente piano, intendiamo dar vita a uno dei principali player a livello nazionale, con focus su innovazione e digitalizzazione, contribuendo al consolidamento di un settore ancora molto frammentato”, ha garantito Gallo. L’innovazione si conferma, dunque, il principale driver di crescita di Italgas.

L’investimento complessivo, mirato anche e soprattutto all’innovazione, sarà pari a 8,6 miliardi di euro, un aumento di 0,7 miliardi di euro rispetto al precedente. “La quota più rilevante – ha puntualizzato l’ad Gallo – è ancora una volta destinata all’estensione, trasformazione digitale e repurposing del network di distribuzione al fine di creare per tempo le condizioni per un utilizzo diffuso dei nuovi gas, come biometano, idrogeno verde e metano sintetico, che presto dovremo accogliere nelle nostre reti in quantità crescenti”.

tassonomia verde

No a gas e nucleare in tassonomia, Wwf: “Priorità alle rinnovabili”

‘No’ all’inclusione del gas e del nucleare tra le attività economiche sostenibili con cui finanziare il Green Deal europeo. Le commissioni riunite degli Affari economici (Econ) e dell’Ambiente (Envi) del Parlamento europeo hanno approvato un’obiezione sull’atto delegato con cui la Commissione europea vuole considerare gas e nucleare tra gli investimenti sostenibili dal punto di vista climatico. Se l’obiezione sarà approvata anche dalla maggioranza assoluta dei deputati in seduta plenaria a luglio, la Commissione Ue sarà costretta a rivedere la sua idea di tassonomia.

La tassonomia ‘verde’ è il sistema europeo di classificazione degli investimenti economici sostenibili con cui Bruxelles vuole fissare criteri comuni per assicurarsi che grandi somme di capitale (soprattutto privato) vadano nella direzione del Green Deal e della transizione. I deputati “riconoscono il ruolo del gas nucleare e fossile nel garantire un approvvigionamento energetico stabile durante la transizione verso un’economia sostenibile”, ma “ritengono che gli standard di screening tecnico proposti dalla Commissione non rispettino i criteri per le attività economiche ecosostenibili”, si legge in una nota dell’Eurocamera pubblicata dopo il voto.

Nel congratularsi con gli eurodeputati per aver scelto la strada giusta per proteggere la credibilità della tassonomia dell’Ue Mariagrazia Midulla, responsabile Clima e Energia del Wwf Italia, ha ribadito che “non c’è nulla di sostenibile nei combustibili fossili e nelle scorie nucleari”. Per questo, ha proseguito, “etichettarli come ecologici nella tassonomia europea potrebbe sottrarre miliardi di euro di investimenti alle energie rinnovabili e alle tecnologie verdi”.

Inoltre, il gas è ormai diventato una fonte di insicurezza energetica e di rischio geopolitico in Europa. “L’energia nucleare è costosa, lenta da costruire e crea scorie altamente radioattive che ancora non sappiamo come gestire”, ha avvertito Midulla. Ora come ora le rinnovabili sono la nostra energia di ‘libertà’ e quindi la chiave per la sicurezza energetica. L’etichettatura del gas come investimento sostenibile porterebbe l’Europa a utilizzarne ancora di più. Il che, ha spiegato, “significa continuare la dipendenza e bollette più elevate per i cittadini europei“.

Anche Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, ha voluto dire la sua in merito alla bocciatura da parte delle commissioni sul nucleare e il gas nella tassonomia verde: “Si tratta di un primo importante risultato – ha dichiarato – che apre la strada alla bocciatura della proposta di considerare gas fossile e nucleare come fonti energetiche sostenibili, in base al regolamento sulla tassonomia che classifica gli investimenti verdi. Una decisione importante che può scongiurare, rigettando la proposta della Commissione, un duro colpo al Green Deal Europeo e a un’ambiziosa politica in grado di fronteggiare l’emergenza climatica”.

L’Europarlamento – ha concluso Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio europeo Legambiente – ora può e deve rigettare la proposta della Commissione ed evitare così che centinaia di miliardi di euro, anziché essere investiti in rinnovabili ed efficienza energetica, vadano sprecati con il nucleare e il gas fossile aggravando la duplice crisi climatica ed energetica”.