A Los Angeles piante e funghi ripuliscono il suolo a basso costo

In un’area dismessa di Los Angeles, Kreigh Hampel sradica con un forcone del grano saraceno della California per farlo analizzare: da quando è stato piantato, l’arbusto assorbe il piombo che inquina il suolo di questa ex area automobilistica. Il volontario 68enne si meraviglia del potere depurativo di questo cespuglio punteggiato di fiori bianchi e rosa. “È il miracolo della vita“, afferma entusiasta il pensionato. “Le piante sanno davvero come fare questo lavoro, lo hanno fatto così tante volte nel corso di milioni di anni“.

Gli scienziati della UC Riverside hanno disseminato piante e funghi accuratamente selezionati su questo terreno, da tempo ricoperto di cemento, nella speranza di eliminare naturalmente i metalli pesanti e le sostanze petrolchimiche che hanno contaminato l’area per decenni.

Questa tecnica, nota come “biorisanamento“, rappresenta un’alternativa molto più economica ai processi abituali. “Il metodo convenzionale di decontaminazione dei siti consiste nel dissotterrare tutto il terreno contaminato e scaricarlo altrove“, spiega all’AFP Danielle Stevenson, la ricercatrice che guida questo studio su larga scala. Questo approccio è “molto costoso“, spesso costa “milioni” e “sposta solo il problema altrove“.

Il progetto della micologa, invece, condotto su tre diversi ex siti industriali di Los Angeles, costa solo “200.000 dollari“. E secondo la dottoressa, i risultati iniziali sono promettenti.
In tre mesi abbiamo ridotto del 50% i prodotti petrolchimici e in sei mesi ci siamo avvicinati a questa soglia per alcuni metalli”, riferisce la scienziata.

Da un lato, i funghi ostrica bianchi sono stati incorporati nel terreno perché sono funghi “decompositori“: la loro parte sotterranea, chiamata “micelio“, si nutre sia di alberi morti che di idrocarburi come il diesel. “Questo perché sono essenzialmente la stessa cosa“, spiega il trentenne. “Molti dei nostri combustibili fossili sono solo materiale morto che è stato compresso per lunghi periodi di tempo”. D’altra parte, diverse piante californiane locali fungono da ‘aspirapolvere’ per i metalli pesanti, che possono poi essere riutilizzati. Per sopravvivere in un terreno ostile, ricevono l’aiuto dei funghi micorrizici, alleati naturali della foresta che forniscono loro acqua e sostanze nutritive.

In questo quartiere operaio, a prevalenza latinoamericana, Stevenson vuole portare le concentrazioni di inquinanti al di sotto delle soglie sanitarie stabilite dalle autorità americane. Questo perché vivere vicino a ex siti industriali contaminati “riduce letteralmente l’aspettativa di vita“.

Storicamente, chi inquina raramente paga. Una volta che le aziende se ne sono andate, la bonifica spetta spesso alle autorità locali, che impiegano anni per trovare i fondi necessari.
Negli Stati Uniti, dove l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (EPA) elenca quasi 1.900 siti problematici, il numero di progetti di bonifica realizzati ogni anno si conta sulle dita di una mano, secondo lo scienziato. La proposta di un metodo “più economico” consentirebbe di “bonificare più siti in tempi più rapidi“, auspica la scienziata.

La pulizia delle acque reflue, la bonifica del suolo contaminato da ceneri tossiche provenienti da incendi boschivi, un evento comune in California: il “biorisanamento” può essere applicato a un’ampia gamma di settori.
Allora perché questa tecnica è ancora così poco sviluppata? “Il biorisanamento è ancora considerato rischioso“, spiega Bill Mohn, professore di microbiologia presso l’Università della British Columbia in Canada. A differenza dello scavo del terreno, “è difficile garantire sistematicamente che si arrivi al di sotto dei livelli richiesti di inquinanti“.

Questa incertezza è aggravata dalla mancanza di fondi per la ricerca in un campo che non ha prodotti concreti da vendere, aggiunge. Secondo Stevenson, anche i pregiudizi sui funghi, ritenuti poco salutari, sono difficili da sfatare. “La gente mi chiede sempre se, se introduco un fungo per ripulire un sito, non prenderà il sopravvento, infettando la casa e diffondendosi ovunque“, dice. Da qui l’importanza di condurre questo tipo di studio in condizioni reali, e non solo in laboratorio, per verificare la fattibilità di questo approccio naturale. “Una volta che avremo più test di questi metodi sul campo, le persone si sentiranno più sicure“, afferma la ricercatrice.

 

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Re Rebaudengo (Elettricità Futura): “Ue e Italia si rafforzano se guidano rivoluzione industriale sostenibile”

Secondo un recente studio di Confindustria il pacchetto Fit for 55 potrebbe mobilitare 1,120 miliardi per la realizzazione degli investimenti volti a sostenere la domanda e gli incentivi promossi al fine di rilanciare l’offerta di tecnologie ammonterebbe. Una cifra che, secondo i calcoli di Viale dell’Astronomia, potrebbe portare a un incremento del valore aggiunto pari a 1.976,1 miliardi di euro (+4,7% medio annuo, 1.645,3 miliardi al netto dei beni intermedi importati), un’occupazione più elevata di 11,5 milioni di unità di lavoro/anno (+3,1%) e un aumento di valore aggiunto di 689,1 miliardi di euro (+3,7% medio annuo). Chi metterà però queste risorse?

Oltre a Fit for 55 ci sono però altre novità, dalla direttiva Case green all’eliminazione delle auto a motore endotermico. Partendo dagli immobili, l’Associazione delle società di ingegneria e architettura aderente alla stessa Confindustria calcola un costo medio tra 40 e 55 mila euro per interventi di efficienza energetica e antisismici su un appartamento in condominio. C’è poi un rischio occupazionale, secondo Anfia, per il quasi obbligo di auto elettriche dal 2035, quantificabile in oltre 70mila posti di lavoro persi nell’automotive italiano. Negli ultimi giorni infine la riforma del sistema dei certificati di emissioni, nato per punire chi inquina di più, potrebbe costare – per il solo trasporto marittimo italiano – quasi un miliardo dal 2026.

Da più parti, non solo in Italia, si ipotizza il rischio deindustrializzazione continentale, anche per la spinta dei massicci piani finanziari green messi in campo da Usa e Cina. In questo mare di pessimismo però c’è una voce autorevole contraria e ottimista. “Da quasi un decennio sostengo che industria, occupazione e green economy possano rafforzarsi reciprocamente ponendo l’Europa, e l’Italia, alla guida della rivoluzione industriale sostenibile e stimolando gli altri Paesi ad innovare i processi produttivi per non perdere competitività e posizioni di mercato”. A dirlo a GEA è Agostino Re Rebaudengo, presidente Elettricità Futura. “Le imprese italiane ed europee hanno compiuto grandi sforzi in termini di riconversione sostenibile, investimenti che le hanno condotte alla leadership nell’ambito della produzione industriale pulita”.

Certo, spiega Re Rebaudengo, “sarà importante continuare a governare, in modo efficace ed efficiente, il percorso di decarbonizzazione, per minimizzare i costi e massimizzare i benefici e affinché i nuovi investimenti siano coerenti con il quadro strategico indicato dall’Europa, una direzione, peraltro, già nota e intrapresa da molti anni, con il Pacchetto 20-20-20, con il Green Deal, con il Fit for 55 e adesso con il REPowerEU. Per la filiera industriale nazionale del comparto dell’energia elettrica, le politiche europee di decarbonizzazione aprono notevoli opportunità di crescita per l’occupazione e l’economia”.

Il Piano 2030 di sviluppo del settore elettrico, elaborato da Elettricità Futura e condiviso da questo e dal precedente Governo, prevede 540.000 nuovi posti di lavoro nel settore elettrico e nella sua filiera industriale, che si aggiungeranno ai circa 120.000 di oggi, e 360 miliardi di euro di benefici economici, in termini di valore aggiunto per filiera e indotto”, conclude il presidente della principale associazione del mondo elettrico italiano.

I consumi di gas calano ma la nostra produzione industriale sale

La produzione industriale italiana ha iniziato il 2023 peggio del previsto. A gennaio Istat ha registrato un -0,7% mensile, contro attese di -0,1%, e un incremento dell’1,4% annuale (le aspettative erano per un incremento del 2,9%). Però “il rialzo su base annua è solo un’illusione ottica considerato che a gennaio 2022 la produzione precipitò, secondo gli indici aggiornati di oggi da noi rielaborati, del 3,1% su dicembre 2021 e del 2,7% su gennaio 2021. Non per niente rispetto agli anni precedenti il confronto con il dato di oggi resta sfavorevole”, afferma Massimiliano Dona, presidente dell‘Unione Nazionale Consumatori. “Secondo il nostro studio, infatti, se la produzione di gennaio 2023, nei dati corretti per gli effetti di calendario, è salita dell’1.4% rispetto a gennaio 2022, è ancora inferiore sia rispetto al 2021, -1,4%, sia con il dato pre-pandemia del gennaio 2020, -3,3%, gap che sale addirittura al 6,2 per i beni di consumo non durevoli”, conclude Dona.

Tra i settori di attività economica che presentano variazioni tendenziali (anno su anno) positive si segnalano la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+15,3%), la produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (+14,3%) e la fabbricazione di computer e prodotti di elettronica (+11,8%). Le flessioni più ampie si registrano invece nella fabbricazione di prodotti chimici (-10,8%), nell’industria del legno, della carta e della stampa (-10,4%) e nella fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (-9,3%). Tuttavia, se contestualizzato, il dato della produzione industriale appare meno peggio del previsto. Intanto va considerato che il +1,4% andrebbe raffrontato col consumo di gas, materia prima fontamentale in Italia. E il primo report mensile del Gas Exporting Countries Forum, noto anche come Opec del gas, mostra che “a gennaio il consumo di gas è diminuito del 22% su base annua a 7,6 miliardi di metri cubi. Il calo del consumo di gas è stato determinato dalle temperature più calde, con una temperatura media superiore di 1,1°C rispetto alla norma stagionale”, precisa il Gecf, che sottolinea come “per il 13° mese mese consecutivo, il consumo di gas nel settore industriale sia diminuito su base mensile rispetto all’anno precedente, in risposta ai prezzi elevati del gas naturale”.

“Il calo della produzione industriale è stato più ampio delle attese, ma non annulla il balzo di dicembre”, commenta Paolo Mameli, senior economist della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo. Anzi, “a differenza che in altri Paesi europei (Germania in primis), la produzione nei settori ad alta intensità energetica è calata ancora su base congiunturale a gennaio (-0,9% mensile), ma la tendenza di calo si è andata via via attenuando nel periodo più recente: la variazione negli ultimi tre mesi risulta pari a -2% trimestre su trimestre a gennaio, dopo un punto di minimo a -6,1% lo scorso settembre”, continua Mameli. Per cui “l’industria, che è stata la principale responsabile del calo del Pil nello scorcio finale dello scorso anno, potrebbe quantomeno non frenare il valore aggiunto a inizio 2023. Ciò indica rischi al rialzo sulla nostra attuale previsione di un’attività economica stagnante nel trimestre in corso dopo il -0,1% trimestrale visto a fine 2022″.

Il Pil potrebbe dunque anche essere positivo da gennaio a marzo. “Di recente, abbiamo rivisto al rialzo le nostre previsioni sulla crescita dell’economia italiana quest’anno (dallo 0,6%, già ampiamente al di sopra del consenso negli ultimi 6 mesi, allo 0,8%), grazie alla moderazione dei prezzi energetici, mentre abbiamo ridotto la nostra previsione per il 2024 (dall’1,8% all’1,5%, che resta peraltro al sopra della stima media di consenso), sulla scia degli effetti ritardati della stretta monetaria della Bce”, conclude il senior economist della Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo.

Nell’anno della crisi energetica Pil Italia meglio di Usa, Cina e Germania

L’Italia, se l’Istat confermerà la sua stima nelle prossime settimane, chiuderà il 2022 con una crescita del Pil nettamente superiore a quella tedesca, a quella degli Usa e addirittura della Cina. Il dato sull’economia conferma che ha gli Usa hanno lo scorso anno in rialzo del 2,1%, registrando un inaspettato allungo nel quarto trimestre con un +2,9% contro previsioni di un +2,6%. Wall Street ha aperto così in rialzo perché forse è scongiurato lo spettro recessione, in seguito a una forte stretta sul costo del denaro impressa dalla Federal Reserve per stendere l’inflazione. Oppure se ci sarà, la contrazione non dovrebbe essere pesante. Anche i listini europei hanno accelerato dopo le 15.30. E Piazza Affari, con la seduta odierna (1,27%), ha messo a segno un balzo del 24% dal 23 settembre, il venerdì prima delle elezioni politiche.
Tornando all’economia reale, come sintetizzava la Cgia di Mestre poco prima di Natale, il 2022 è stato da record per l’Italia. “Nonostante la crescita dell’inflazione, il caro energia e il boom dei prezzi delle materie prime abbiano creato non pochi problemi a famiglie e imprese, la crescita economica italiana è stata doppia rispetto a quella registrata dai nostri principali competitors commerciali presenti nell’area dell’euro”. L’Istat meno di un mese fa prospettava una crescita economica per l’anno appena concluso di un +3,9%. Il prodotto interno lordo tedesco è salito invece dell’1,9% nel 2022 rispetto al precedente anno, secondo quanto comunicato recentemente dall’ufficio federale di statistica Destatis, in base al quale “l’economia tedesca è in ripresa nonostante le difficili condizioni di contesto”.
La Germania ha subito oltre alla crisi energetica e all’interruzione delle forniture di gas dalla Russia, anche il semi-lockdown cinese, che per Berlino negli ultimi anni aveva rappresentato lo sbocco principali degli scambi commerciali. Pechino infatti ha chiuso il 2022 con un Pil in crescita del 3%, il dato più basso degli ultimi 40 anni. A differenza dei tedeschi l’Italia invece ha potuto contare su forniture di gas, benché pagate a caro prezzo, provenienti da Algeria o Azerbaigian e di tre rigassificatori già in funzione. Inoltre il nostro Paese non era dipendente principalmente da un unico mercato. Sfruttando invece il cambio favorevole ha incrementato le esportazioni verso Usa e nuovi mercati asiatici, nonostante la chiusura della Russia.
“La crescita del Pil registrata nel 2022 dell’economia italiana (+3,9%) ci restituisce una fotografia di un Paese in grado di rimboccarsi le maniche, nonostante l’aumento dei prezzi dell’energia e la spinta inflazionistica. Le prospettive di crescita per il 2023, però, non sono così rosee: si parla di una frenata al +0,6% rispetto al 2022. E’ necessario agire subito per ribaltare questa prospettiva e preservare la crescita”, sottolineava poi Alessandro Spada, presiedente di Assolombarda. La prospettiva per quest’anno dell’Italia è nettamente ridimensionata, anche se non dovrebbe esserci una recessione. Pochi giorni fa Bankitalia ha addirittura alzato da 0,4% a +0,6% le stime sul Pil tricolore del 2023. “Il 2023 può essere l’anno, soprattutto nella seconda parte, della ripresa dopo la tempesta”, spiegava stamattina Adolfo Urso, ministro delle Imprese del Made in Italy, durante un evento di Assolombarda, dove Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, si è spinto oltre: “Se quest’anno il prezzo medio del gas fosse a 100 euro/Mwh, algebricamente avremmo una crescita all’1%”.
In questo senso appaiono confortanti le prime indicazioni ufficiali che arrivano da questo 2023. A gennaio “il clima di fiducia delle imprese aumenta per il terzo mese consecutivo raggiungendo un livello superiore alla media del periodo gennaio-dicembre 2022. L’aumento dell’indice è trainato dal comparto dei servizi e da quello dell’industria”, rivela l’Istat. Invece “il clima di fiducia dei consumatori torna a diminuire dopo due mesi consecutivi di crescita. Il ripiegamento dell’indice è dovuto soprattutto ad un’evoluzione negativa delle opinioni sulla situazione personale”, conclude l’istituto di statistica. Infatti le aspettative sulla situazione economica generale e quelle sulle disoccupazione salgono.

Ursula von der Leyen

Von der Leyen annuncia a Davos il ‘NetZero Industry Act’: Piano per l’industria a zero emissioni

Per realizzare la transizione “senza creare nuove nuove dipendenze, abbiamo un piano industriale per il Green Deal, un piano per rendere l’Europa la patria della tecnologia pulita e l’innovazione industriale sulla strada del net-zero che coprirà quattro punti chiave: il contesto normativo, il finanziamento, le competenze e il commercio”. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sceglie il palco della 53esima edizione del World Economic Forum di Davos per annunciare il Piano industriale green dell’Ue, precisando che per creare un ambiente normativo adeguato per i settori cruciali per raggiungere le zero netto (come eolico, pompe di calore, solare, idrogeno pulito) Bruxelles presenterà un nuovo ‘NetZero Industry Act’ (una Legge per l’industria a zero emissioni) che – a detta di von der Leyen – identificherà obiettivi chiari per la tecnologia pulita europea entro il 2030. L’obiettivo sarà “concentrare gli investimenti su aspetti strategici e progetti lungo tutta la filiera”, in particolare “come semplificare e accelerare le autorizzazioni per nuovi siti di produzione clean tech“.

In parallelo, l’Ue penserà a “come velocizzare l’elaborazione di importanti progetti di comune interesse europeo nel settore delle tecnologie pulite, più facile da finanziare e di più facile accesso per le piccole imprese e per tutti gli Stati membri”. A quanto riferito da von der Leyen, il futuro ‘Net-ZeroIndustry Act’ andrà di pari passo con il ‘Critical Raw Materials Act’, la legge dell’Ue sulle materie prime critiche la Commissione dovrebbe presentare quest’anno. “Per le terre rare che sono vitali per le tecnologie chiave per la produzione – come la produzione di energia eolica, lo stoccaggio dell’idrogeno o le batterie – l’Europa oggi è dipendente per il 98% da un paese: la Cina”, ricorda von der Leyen. Quindi, “dobbiamo migliorare la raffinazione, lavorazione e riciclaggio delle materie prime qui in Europa”.

Per la presidente della Commissione Europea, Davos è anche l’occasione per sottolineare le preoccupazioni di Bruxelles per il piano contro l’inflazione Usa, l’Inflation Reduction Act (Ira), che prevede sussidi verdi per 369 miliardi di dollari varato dall’amministrazione Biden in agosto. Perché “la tecnologia pulita è ora il settore di investimento in più rapida crescita in Europa”, ed è un bene che “altre grandi economie lo stiano intensificando”. Però, c’è un però. Perché da parte Ue restano “alcuni elementi del progetto dell’Ira che hanno sollevato un certo numero di preoccupazioni e per questo abbiamo lavorato con gli Stati Uniti per trovare soluzioni, ad esempio in modo che anche le aziende dell’Ue e le auto elettriche prodotte nell’Ue possano beneficiare” degli incentivi dell’Ira. Il nostro obiettivo – aggiunge von der Leyen – dovrebbe essere quello di “evitare interruzioni nel commercio e negli investimenti transatlantici”. Concorrenza e commercio sono “la chiave per accelerare la tecnologia pulita e la neutralità climatica”.

Appello Confindustria: “Se Europa ferma deficit sarà necessario recovery fund”

Un appello all’Europa. Perché sul tema energetico sia presente, perché “faccia l’Europa”, a partire da un ‘energy recovery fund’ come fu per il Covid. E se non dovesse essere così, se non dovesse nascere quell’Europa solidale sull’energia che l’Italia si aspetta e chiede con forza, allora sarà il nuovo governo a dover risolvere l’emergenza. Anche con uno scostamento di bilancio che potrebbe dimostrarsi “inevitabile”. Pena la desertificazione di imprese. Il mondo dell’industria teme l’arrivo di una recessione e si unisce dietro le parole del presidente, Carlo Bonomi. “Sul tema energetico l’Europa non c’è”, bolla il numero uno di Confindustria, sollecitando l’esecutivo che verrà a dirottare tutte le risorse per far fronte alla crisi: “Dobbiamo salvare l’industria italiana, senza l’industria non c’è l’Italia”. In termini pratici, per Bonomi, si tratta di “40-50 miliardi”, che “si possono trovare nei mille e rotti miliardi di spesa pubblica”. In alternativa, “uno scostamento di bilancio potrebbe dimostrarsi inevitabile”. L’energia è la vera emergenza, “non è il tempo di flat tax o di interventi sulle pensioni tipo quota 100”, gela Bonomi. E se la proposta arriva da Confindustria, allora la politica non può che ascoltare. Parola di Guido Crosetto, uno degli uomini più vicini a Giorgia Meloni. Fratelli d’Italia si è sempre mostrata contraria all’ipotesi di aumentare il debito pubblico, al contrario della Lega che oggi plaude a Bonomi. In realtà, la stessa Confindustria ammette che l’anno a venire sarà un’incognita. Pesa la crisi russa, che determina i costi dell’energia e nessuno può prevedere cosa accadrà. Di certo, l’onere di evitare il collasso economico deve essere europeo ma se così non sarà il nuovo esecutivo dovrà essere pronto, chiosano gli industriali.

Ma c’è chi, invece, continua a non vedere di buon occhio un ulteriore aumento del debito pubblico, neanche in questa fase critica perché sarà transitoria. È Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo, che parla di uno scenario complesso per il primo trimestre del 2023 ma, spiega, “nella seconda parte dell’anno è prevista una crescita. Non ragioniamo per progettare qualcosa di paragonabile alle recessioni passate, è una fase transitoria ma con prospettiva di recupero nel 2024”, annuncia all’assemblea generale dell’Unione industriale di Torino. Impossibile, quindi, secondo lui, chiedere una mano al settore pubblico come avvenuto durante la pandemia. Proprio il Covid-19 ha azzerato gli ultimi margini di manovra in tal senso: il bilancio pubblico ha limiti imprescindibili. In questa fase non dobbiamo permettere che si crei attenzione sul bilancio pubblico” e “necessità di rifinanziare debito pubblico” ribadisce Messina, evocando senza citarlo un andamento impazzito dello spread.

Papa

Papa a industriali: “La terra non reggerà impatto del capitalismo”

Cambiare il paradigma economico e fare di più, molto di più, per l’ambiente o “la terra non reggerà l’impatto del capitalismo. È la richiesta di Papa Francesco agli industriali italiani ricevuti in udienza, in Aula Paolo VI.

A una platea di circa 5mila industriali in giacca e cravatta, il papa ecologista domanda “creatività e innovazione“, salvaguardia del Creato come “obiettivo diretto e immediato“, per non lasciare alle prossime generazioni un Pianeta “troppo ferito, forse invivibile“.

Il momento non è semplice, ammette: “Anche il mondo dell’impresa sta soffrendo molto“, scandisce Francesco. Le imprese sono state piegate dalla pandemia prima e dalla guerra in Ucraina poi, “con la crisi energetica che ne sta derivando“: “In questa crisi soffre anche il buon imprenditore, che ha la responsabilità della sua azienda, dei posti di lavoro, che sente su di sé le incertezze e i rischi“.

Un allarme che il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, conferma e rilancia: “Oggi, a procurarci grande preoccupazione non sono solo gli effetti della spaventosa guerra in corso in Ucraina, i costi dell’energia e la perdurante bassa occupazione nel nostro Paese, ma l’onda di smarrimento, sfiducia e sofferenza sociale che esprime una parte troppo vasta della società italiana“.

Il presidente degli industriali parla di un Paese “smarrito, diviso, ingiusto con troppi dei suoi figli e con lo sguardo schiacciato sui bisogni del presente“.

Ma il Pontefice assicura che un nuovo modello economico è in costruzione e che l’attenzione è tutta all’uomo, alla dignità, al tentativo di “dare una risposta, insieme a tutti gli altri attori della società, convinti che la direzione verso cui andare è quella di garantire il lavoro, che è certamente la questione chiave“.

Preinvel, il filtro che con l’aria abbatte micropolveri industriali

Un filtro in grado di risolvere uno dei più grossi problemi legati all’inquinamento ambientale: l’eliminazione delle micro e nano polveri da combustioni e lavorazioni industriali. La tecnologia è brevettata a livello internazionale dalla start-up Preinvel, dopo anni di studio e ricerca.

Volevamo fare qualcosa di concreto, era giusto dare un nostro contributo perché nessuno potesse più essere vittima dell’inquinamento industriale, le cui prime vittime sono, purtroppo, le fasce più deboli della popolazione“, spiegano gli sviluppatori. Un’intuizione che ha un obiettivo ambizioso, puntare a una transizione industriale pulita e scardinare il mito dell’incompatibilità tra diritto alla salute e quello al lavoro: “Nell’immaginario collettivo di ogni cittadino che vive in contesti urbani in cui è presente un sito produttivo, sono molto chiare le immagini terribili dell’inquinamento e il suo impatto devastante sull’ambiente circostante e sulla salute pubblica“, racconta il fondatore dalla start up pugliese, Angelo Di Noi.

Così, scandisce, ha trasformato una crisi in opportunità: “Le condizioni sfavorevoli e le problematiche fortemente impattanti sul contesto sociale possono trasformarsi in un incredibile motore propulsivo per trovare soluzioni innovative“.

Il sistema di filtraggio fluidodinamico risolve in “maniera efficiente, efficace e totalmente ecocompatibile“, assicura Preinvel, il problema delle emissioni industriali inquinanti. Il team di lavoro è composto da professionisti con competenze eterogenee (ingegneri, sociologi, giuristi, economisti, comunicatori) che hanno favorito un approccio “non ortodosso” e innovativo alle tematiche legate allo sviluppo di tecnologie ecosostenibili.

L’osservazione della natura e delle sue leggi ha permesso alla tecnologia di sfruttare il più efficiente, economico ed eco-compatibile dei sistemi filtranti: l’aria. Il ragionamento seguito è semplice e rivoluzionario: se si adopera un filtro fisico per “intrappolare” le polveri, non si sta risolvendo il problema, lo si sta solo spostando su un altro livello, perché qualsiasi mezzo fisico utilizzato per questo scopo, sarà per sua stessa natura destinato a saturarsi e diventare nel tempo sempre più inefficiente. Utilizzando il principio di Bernoulli, il filtro Preinvel crea gradienti di pressione e definisce aree di alta depressione capaci di catturare in maniera definitiva tutte le micropolveri inferiori a 0.5 micron prodotte nelle lavorazioni industriali. In questo modo si annullano le emissioni nocive garantendo efficienze filtranti altissime, costanti nel tempo e assicurando costi di manutenzione vicini allo zero, data l’assenza di componenti che necessiterebbero di periodiche manutenzioni o sostituzioni per usura o saturazione.

L’invenzione ha ricevuto il primo premio dell’Apulian Sustainable Innovation Award 2021 ed è stata selezionata da Zero, l’Acceleratore di startup Cleantech della Rete Nazionale Acceleratori di Cdp, che promuove la crescita del Paese ha come Partner Eni, la holding LVenture Group e la cooperativa sociale Elis e come Sponsor la multiutility Acea, Vodafone, la multinazionale dei computer Microsoft e Maire Tecnimont, leader del comparto di impiantistica.

rinnovabili

Raggiungere net zero è la sfida più grande per le aziende

La più grande sfida mai affrontata dalle aziende”. Sembra il titolo di una campagna promozionale o di un libro, ma è in realtà la riflessione di 7 manager su 10 in merito alla gestione della transizione verso le zero emissioni nette. Lo rivela un nuovo studio commissionato da Castrol ‘The sharp end of sustainability’, che ha coinvolto oltre 2.860 dirigenti aziendali e professionisti in 14 mercati, per scoprire in che modo i settori automotive, industriale, manifatturiero e marittimo si stiano approcciando alla vera e propria transizione green. Per queste aziende, lo studio suggerisce che la sostenibilità sarà fondamentale per il successo commerciale: oltre tre quarti dei dirigenti (76%) e il 68% dei professionisti interpellati affermano che migliorare la sostenibilità dell’azienda sia fondamentale per rispondere alle esigenze dei clienti. Più in generale, il 71% dei dirigenti aziendali e il 62% degli operatori professionali ritengono che raggiungere quota zero emissioni “sarà la sfida più grande” che le rispettive aziende devono affrontare.

Mentre il mondo collabora alla creazione di un’economia più sostenibile, tutte le aziende, i nostri clienti e i nostri fornitori, hanno un ruolo da svolgere. Entrare in contatto con più organizzazioni, creare relazioni fra i settori e condividere competenze nelle nostre reti ci aiuterà a progredire tutti insieme”, ha commentato Rachel Bradley, direttrice globale della sostenibilità in Castrol (azienda del gruppo Bp che punta al net zero entro il 2050).

Lo studio ha individuato cinque priorità legate alla strategia sulla sostenibilità: efficienza, gestione dati, azioni anti spreco, partecipazione e condivisione dei temi, leadership. Quasi tre quarti (72%) degli esperti consultati, in particolare, afferma che il modo più efficace per ridurre le emissioni di CO2 è “migliorare l’efficienza energetica della propria organizzazione”, considerando quindi l’efficace manutenzione delle apparecchiature, i miglioramenti tecnici (inclusi upgrade e modifiche) e l’adozione di nuove tecnologie (secondo il 59% degli intervistati gli investimenti in innovazione saranno “un aspetto chiave di qualsiasi strategia mirata alla riduzione delle emissioni”).

Il 76% dei dirigenti aziendali ritiene poi che le proprie aziende “debbano migliorare nella gestione dei dati per individuare le aree su cui è opportuno concentrarsi per migliorare la sostenibilità”, mentre l’82% ritiene che “la propria organizzazione possa utilizzare meglio i dati a sua disposizione per il medesimo scopo”. Dai dati alla comunicazione interna: gli interpellati dallo studio Castrol spiegano che in media solo il 40% dei propri dipendenti comprenda la strategia di sostenibilità aziendale, mentre il 46% degli operatori professionali ritiene che la stessa “non venga effettivamente messa in atto dall’organizzazione”. Un ruolo fondamentale è costituito inoltre dalle cosiddette buone pratiche ecologiche: il 63% e il 61% dei manager ha imposto rispettivamente obiettivi di riduzione dei rifiuti e del consumo idrico. Quanto ai professionisti, la quota si abbassa, ma non di molto: il 58% considera importanti per la propria azienda” gli obiettivi di diminuzione rifiuti ma solo il 43% afferma che lo sono anche quelli di contrazione del consumo idrico.

Chiave di volta dell’intero studio sembra però essere il discorso sulla leadership: se il 64% dei manager abbiano affermato che la sostenibilità “è al centro di tutto ciò che fa la loro azienda”, dal lato dei professionisti emerge che l’assenza di leadership e visione “stia pregiudicando il processo”. Il mancato supporto alla sostenibilità da parte della dirigenza (indicato dal 48% degli operatori professionali), l’assenza di obiettivi chiari (48%), la mancanza di una strategia aziendale precisa per garantire la sostenibilità (48%) e la mancanza di visione da parte dei dirigenti (47%) sono risultati essere gli ostacoli principali al raggiungimento dei target di sostenibilità in azienda.

Giorgetti

Dal Mise 2 mld per contratti di sviluppo: “sostegni a chi riduce emissioni e consumi”

Rafforzate le linee di intervento dei contratti di sviluppo per sostenere gli investimenti delle imprese su tutto il territorio nazionale e i progetti industriali che, attraverso l’elettrificazione dei processi produttivi e l’utilizzo di idrogeno, consentano di ridurre le emissioni di CO2 e i consumi di energia.

Il Mise ha annunciato che destinerà 2 miliardi di euro del Fondo per lo sviluppo e la coesione, per finanziare ulteriori 101 progetti da realizzare per l’80% nel Mezzogiorno e il 20% nel Centro – Nord, come previsto dalla normativa europea. In particolare, 1,5 miliardi di euro sono dedicati alle domande dei contratti di sviluppo già presentate con la procedura ordinaria mentre 500 milioni di euro finanzieranno nuovi progetti per il rilancio industriale. A queste si aggiungono ancora le risorse stanziate dal Governo nel decreto legge ‘Aiuti bis’: 40 milioni nel 2022, 400 milioni nel 2023, 12 milioni per ciascun anno dal 2024 al 2030, con l’obiettivo di sbloccare ulteriori progetti.

I contratti di sviluppo, come dichiara il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, hanno un impatto “altamente produttivo per la nostra industria”. “Per questa ragione abbiamo investito moltissimo su questo strumento chiedendone più volte il rifinanziamento. I contratti di sviluppo – aggiunge il ministro – mettono in moto un percorso virtuoso che vede il moltiplicarsi degli investimenti privati incentivati dalle agevolazioni finanziarie con ricadute positive anche per la finanza pubblica. Ritengo che gli accordi di sviluppo, anche in futuro, rappresentino una strada fondamentale per la nostra economia e per l’innovazione dell’industria italiana che può diventare sempre più competitiva”.

A sostegno dell’economia e del tessuto produttivo del Paese, che hanno risentito dell’impatto del conflitto in Ucraina, il ministro Giorgetti ha inoltre firmato il decreto che applica ai contratti di sviluppo le disposizioni del temporary framework adottato dalla Commissione europea. Prevede un regime favorevole in materia di aiuti di Stato per i progetti di imprese che, non comportando un aumento della capacità produttiva complessiva, consentono una riduzione sostanziale delle emissioni di gas serra delle attività industriali che attualmente fanno affidamento sui combustibili fossili come fonte di energia o materia prima ovvero a una riduzione sostanziale del consumo di energia nelle attività e nei processi industriali. Saranno pertanto agevolati gli investimenti industriali che perseguono uno dei seguenti obiettivi: la riduzione di almeno il 40% delle emissioni dirette di gas a effetto serra, mediante l’elettrificazione dei processi produttivi o l’utilizzo di idrogeno rinnovabile e di idrogeno elettrolitico in sostituzione dei combustibili fossili, oppure la riduzione di almeno il 20% del consumo di energia in relazione alle attività sovvenzionate. Un successivo provvedimento ministeriale stabilirà i termini di presentazione delle domande.

Sono soddisfatto per l’ulteriore risultato ottenuto in favore delle aziende danneggiate dagli effetti della guerra che ora potranno contare su altre misure che agevolano programmi e innovazioni per la tutela ambientale“, sottolinea Giorgetti. “Unendo le forze e utilizzando in maniera diversa gli strumenti a disposizione siamo in grado di sostenere meglio la nostra industria in un periodo particolarmente difficile, conclude il ministro.