Green Deal, Meloni: “Effetti disastrosi sull’industria”. Avs-M5S: “La crisi è colpa sua”

L’approccio “ideologico” delle politiche ambientali europee ha effetti “disastrosi” sull’industria, perché “inseguire la decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione è un suicidio, ed è una strada che noi non intendiamo seguire“. Ancora una volta, Giorgia Meloni denuncia le conseguenze del Green Deal, che derubrica a un “errore del passato” da non ripetere.

In un messaggio inviato per il decennale dell’Associazione italiana Pressure equipment, che rappresenta i produttori italiani che operano nel settore degli apparecchi in pressione, ricorda che il suo esecutivo, fin dall’insediamento, lavora per mettere le imprese e i lavoratori “nelle condizioni di esprimere al massimo il loro potenziale, non creando difficoltà e ostacoli”.
La ricetta del governo per la transizione ecologica parte dal principio di neutralità tecnologica: “Abbiamo bisogno di tutte le tecnologie che ci permettono di trasformare l’economia da lineare a circolare, e tutte le tecnologie utili alla transizione devono essere prese in considerazione“, spiega la premier.

Non parla solo di rinnovabili, ma anche di gas, biocarburanti, idrogeno, cattura dell’anidride carbonica e, non ultima, la “grande prospettiva” che arriva dalla possibilità di produrre, in un futuro che definisce “non troppo lontano“, energia dal nucleare da fusione. “L’Italia è la Patria di Enrico Fermi, e su questo fronte non è seconda a nessuno, grazie all’expertise tecnologico di cui disponiamo, alla nostra formazione accademica superiore e all’attività di ricerca e sviluppo, portata avanti dai nostri centri d’eccellenza e dal nostro sistema produttivo“, rivendica, considerando la fusione un “obiettivo nel quale possiamo e dobbiamo credere“.

Parole che non piacciono alle opposizioni. “E’ la presidente Meloni che porta al suicidio la nostra economia non il Green deal“, tuona Angelo Bonelli, che grida alla “miopia” e alla “totale mancanza di visione” di fronte all’emergenza climatica in atto. Le “lobby del fossile – denuncia – si ostinano a mantenere lo status quo“. Intanto, ricorda Bonelli, la devastazione degli eventi meteo estremi legati alla crisi climatica e ai danni economici e sociali, ogni anno costano all’Italia 300 euro per abitante “un record in Europa“.

Meloni “frigna“, accusano i parlamentari delle commissioni Attività Produttive di Senato e Camera del Movimento 5 Stelle, ma “la crisi è colpa del suo immobilismo”: “Con i patrioti alla gricia, del resto, è sempre colpa di qualcun altro”, scrivono. Certi “piagnistei“, sostengono, “cominciano a stancare, in primis agli imprenditori italiani, i quali sanno benissimo che anche quest’anno in manovra rimarranno all’asciutto“. I pentastellati definiscono Transizione 5.0 un “reticolo informe di ostacoli burocratici, creato ad hoc per far sì che le imprese rinuncino a priori a investire su sé stesse“. E parlano del “down” in cui sta sprofondando il settore delle costruzioni, dall’eliminazione del Superbonus: “Dopo due anni di becera e fasulla narrazione sui bonus edilizi, presto Meloni si accorgerà che la paralisi dell’edilizia porterà con sé nell’abisso tanti altri segmenti industriali“, osservano i parlamentari, chiedendo che si eviti un “impresicidio di massa“.

Tridico: “In Europa serve politica industriale, tassa unica e reddito di cittadinanza”

Dice Pasquale Tridico, capolista per il Movimento 5 Stelle alle elezioni europee nella circoscrizione Sud, ex presidente dell’Inps ed economista, che qualora dovesse venire eletto al Parlamento si “trasferirà a Bruxelles”. E, aggiunge, “la famiglia sarà con me. L’impegno deve essere nelle istituzioni europee, come fanno altri parlamentari francesi o tedeschi. Invece, molti nostri parlamentari considerano il Parlamento europeo un taxi con cui tornare più forti, per creare un partito o per affari che poco c’entrano con la posizione con cui si è eletti. Questo ha allontano i cittadini italiani dal voto europeo”.

Nel pieno della campagna elettorale, Tridico espone durante un #GeaTalk quali sono gli obiettivi che si dà come uomo di punta del Movimento nella corsa al seggio europeo. Racconta, ad esempio, che “dovremmo migliorare il mercato unico europeo, perché non si regge con questo dumping. Per cui l’Unione dovrebbe iniziare a pensare a una tassa unica sul capitale”. Ma non basta: “Poi iniziamo a fare un welfare dell’Unione europea”, spiega. E, tra le altre cose, cita un reddito di cittadinanza europeo che farà drizzare le antenne all’attuale esecutivo che quello italiano, di reddito di cittadinanza, lo ha appena cancellato: “E’ quello che vogliamo portare in Europa, un reddito minimo universale che sia un dividendo sociale per tutti i cittadini europei che stanno al di sotto della soglia di povertà relativa in tutti i Paesi membri. E questo verrebbe finanziato con una nuova fiscalità, che non è nuova, ma avremmo un bilancio comune più vicino al 5 per cento in modo che gli shock dei Paesi possano essere gestiti in modo comune. Quello che manca è la gestione comune della crisi, che abbiamo visto col Covid e non con le crisi finanziarie”.

Ad ascoltare ancora Tridico, “negli ultimi decenni nel nostro Paese vedo una follia, una tendenza a fare investimenti a scarso contenuto tecnologico. Si aprono bar e ristoranti a ogni angolo di città, che non portano produttività ma sfruttano il lavoro. Potrei fare esempi di altri tipi di investimento che non hanno una responsabilità sociale, ma che al contrario sfruttano il costo del lavoro e la flessibilità per galleggiare, per fare competizione”. Non basta, l’ex presidente dell’Inps va oltre: “Noi abbiamo bisogno di investire in automotive, nella frontiera delle tecnologie, per quello c’è l’esigenza di un grande piano industriale. Stiamo facendo morire le industrie, Melfi chiude, Mirafiori chiude, Stellantis delocalizza. Negli anni ’90 producevamo 1,8 milioni di veicoli all’anno, oggi ne produciamo 900mila, e questo rappresenta il declino industriale del Paese. Se questo è sostituito da bar e ristoranti non cresceremo mai”.

Garbato ma severo, Tridico. Sul Superbonus ‘sgrida’ il ministro Giorgetti: “Il Superbonus nasce nel luglio del 2020, nel febbraio 2021 il governo Conte cade, arriva il governo Draghi col ministro Giorgetti che fa i decreti attuativi al ministero dello Sviluppo economico. Abbiamo il governo Draghi dunque e dopo il governo Meloni, con ancora il ministro Giorgetti. Cioè, il Superbonus è gestito da tre anni e mezzo dai governi Draghi e Meloni con Giorgetti ministro. Possiamo dirne bene o male, ma con certezza possiamo dire che è stato gestito da Giorgetti, che si lamenta senza mai modificarlo”. Meno garbato, ma ugualmente severo in merito al Ponte sullo Stretto considerato “non sostenibile, non economicamente efficiente , non prioritario, inutile”. Perché spiega “dal Nord della Calabria al Sud della Calabria ci vogliono cinque ore e mezzo. Non c’è Alta Velocità, non ci sono strade adeguate. Se arrivo e passo il ponte in venti minuti, cinque minuti, un minuto, cosa me ne faccio? Qual è la priorità per noi calabresi? Passare il ponte in un minuto o avere strade che ad esempio collegano Reggio Calabria con Bari?”.

Rimandata Ursula von der Leyen (“Sulla pandemia ha fatto bene, dopo mi ha deluso”), non promosso Mario Draghi (“Ha contribuito a quella governance del passato, dalla Bce e poi da premier. Sono certo che alcune cose che ha scritto si possano e si debbano fare ma non si possono fare con le stesse persone che hanno contribuito a creare quella governance”), l’euro-ricetta sta nel libro che Tridico ha scritto con un titolo emblematico ‘Governare l’economia per non essere governati dai mercati’. Sostiene l’ex numero uno dell’Inps: “Noi non siamo un Paese in via di sviluppo, non possiamo fare competizione sul lavoro, ma sull’innovazione e la tecnologia. Il lavoro deve essere ben retribuito, ben qualificato, dignitoso. Questo vuol dire governare i mercati”. Il lavoro, sottolinea, “non va considerato un mercato come il carciofo, come il pesce, ma governare i mercati vuol dire governare l’economia, attraverso regole che partono dal mercato del lavoro: il salario minimo, il reddito minimo, i tempi di lavoro, la tecnologia, lo smart working e la produttività che deriva anche dalle competenze acquisite”.

L’ultimo passaggio è sul Green Deal. Che non ha funzionato, perché “ha bisogno di essere sostenuto dagli Stati. Se pensiamo che il costo debba essere supportato da agricoltori, cittadini e aziende, vuol dire che questa transizione non solo non avverrà mai, ma creerà dei ‘perdenti’. Fondi pubblici, perché siamo a un bivio”. In fondo, il ragionamento finisce sempre lì: “In Europa abbiamo avuto una legislazione che ha vincolato, con il divieto agli aiuti di stato le politiche pubbliche. Per questo abbiamo accumulato ritardi nella transizione. Dobbiamo capire che questa transizione deve essere guidata da grandi investimenti pubblici”.

Inflazione, Urso: “Italia al minimo in Ue grazie a carrello tricolore”. Ira opposizioni

L’Eurostat comunica che a dicembre l’inflazione in Italia è scesa ancora allo 0,5%, mentre in Ue è cresciuta al 2,9%, con Francia al 4,1%, Germania al 3,8% e Spagna al 3,3%. “Un’ottima notizia per le famiglie italiane“, festeggia il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che rivendica il “pieno successo” del ‘carrello tricolore’. “Smentiti i profeti di sventura!”, chiosa su X.

Di “profeti di sventura” smentiti parla anche il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Tommaso Foti: “La sinistra anti-Meloni e che gioca contro l’Italia cambi disco perché quello che da un anno manda in onda è rotto“, ironizza.

Una lettura che scatena le ire delle opposizioni. Daniela Torto, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Bilancio della Camera, giudica le parole di Urso “abominevoli“: “Dire che il merito del calo dell’inflazione italiana sia da ascrivere al ‘carrello tricolore’ è una pagliacciata di proporzioni mai viste”, tuona. Per l’esponente pentastellata il calo dell’inflazione di deve solo alla discesa dei prezzi dei beni energetici. “Purtroppo ad aumentare in modo clamoroso sono i prezzi dei beni alimentari non lavorati, ovvero carne fresca, frutta fresca, pesce fresco, la cui dinamica a dicembre è passata dal +5,6 al +7%, secondo quanto riportato da Istat“, evidenzia, additando il ‘Carrello Tricolore’ come una “buffonata di centrodestra“.

Di “parodia” parla Stefano Patuanelli, presidente dei senatori del M5S, per cui il trimestre salva-spesa è stato una delle “tante misure spot del Governo Meloni, bellissime sul piano comunicativo ma decisamente inutili sul piano dell’economia reale“. Un “fallimento totale – accusa -, ma annunciato e rivendicato dal Governo come un provvedimento che ha fatto scendere l’inflazione“.

Si chiede “dove vivano e quali negozi frequentino” il ministro Urso, gli altri esponenti del Governo e della destra che “esultano per dati Istat che confermano il salasso subito dalle famiglie italiane” la deputata del Pd Debora Serracchiani.Uno zero-virgola in meno di inflazione viene spacciato come un successo mentre l’esperienza quotidiana delle persone è fatta di prezzi che aumentano, di rinunce e di sacrifici“, scandisce. Fa riferimento a beni di consumo essenziali, come i trasporti o gli alimentari, “contro cui è stato ininfluente il ‘carrello tricolore’ della Meloni. C’è una questione sociale ed economica – sostiene – che va affrontata“.

Manovra, scintille in commissione ma il governo tira dritto: “Il Superbonus è un’allucinazione”

Le opposizioni chiedono a gran voce un confronto e Giancarlo Giorgetti non si sottrae, presentandosi in commissione Bilancio per dare spiegazioni sulla legge di Bilancio 2024. Ma soprattutto sul ‘no’ al Mes in Parlamento e sul ‘sì’ alla riforma del Patto di stabilità in Europa. Il ministro dell’Economia sceglie la linea dura, ascolta poi contrattacca. Rivendicando tutte le scelte compiute, a partire da quelle degli unici emendamenti passati in Senato in prima lettura, a firma dell’esecutivo: “Hanno portato un miglioramento di tutti i saldi di finanza pubblica”.

Altro passaggio delicato è il Ponte sullo Stretto, con la decisione di spostare una parte delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione destinate a Calabria e Sicilia per assegnarle alla realizzazione dell’opera. Giorgetti ne parla quasi subito, ma parte con un approccio soft: “Abbiamo mantenuto l’impianto originario, non mi sono perso in quelle piccole situazioni che in qualche caso evidentemente suscitano curiosità. E’ stata modificata solo la spalmatura sulle annualità”. Poi, però, il tono sale di intensità politica: “Non trovo per nulla scandaloso che alcune Regioni, soprattutto quelle interessate, contribuiscano alla realizzazione dell’opera”.

Altro capitolo delicato è il Superbonus, misura varata negli anni del governo giallorosso M5S-Pd e oggi di fatto archiviato dall’esecutivo di Giorgia Meloni. La questione è nota: oltre ad una parte di opposizioni, c’è anche un pezzo di maggioranza (Forza Italia) a non rassegnarsi all’idea che la serranda sul provvedimento venga tirata giù di colpo. Pd e M5S (in particolare) chiedono di ripristinarla, mentre gli azzurri sono disposti anche ad accettare una prorogare per chi ha già completato parte di lavori di riqualificazione energetica nel 2023.

Purtroppo per loro, il muro resta alto: “I dati degli ultimi mesi sul Superbonus dicono che, dal punto delle uscite di finanza pubblica, vanno peggio rispetto alla Nadef”, mette subito in chiaro Giorgetti. Riconoscendo che “il Parlamento deciderà, ma per quanto riguarda il ministro dell’Economia, in cuor mio so quale il limite entro il quale non si può andare e lo proporrò al Cdm”. Anche in questo caso, l’affondo arriva qualche secondo dopo. Dopo aver confermato di definire il 110% “radioattivo” , rincara la dose: “Tutti quanti noi ci lamenteremo al momento in cui entreremo l’anno prossimo al 70% delle detrazioni” ma “quello che a noi da dentro sembra poco, visto da fuori è tantissimo”. Ragion per cui “dico che dobbiamo uscire da questa allucinazione vissuta negli ultimi anni in cui tutto ci sembra dovuto. Quando fai debito lo paghi, e caro. Sono soldi sottratti alle famiglie italiane”.

Ovviamente non ci stanno le opposizioni: “Giorgetti in commissione Bilancio si attacca a tutto per cercare un alibi ad una Manovra ingiusta e senza prospettive”, commenta la capogruppo Pd a Montecitorio, Chiara Braga. Per il M5S, invece, “paragonare una misura che ha generato valore economico, occupazione e maggiori entrate fiscali all’Lsd definisce bene il personaggio, lo stesso che da un anno parla di buchi di bilancio immaginari senza fornire numeri e soprattutto senza approntare correzioni”.

Forza Italia tenta invece una mediazione, facendo sapere al ministro di stare “stimolando a trovare una soluzione per il comparto edilizia sul Superbonus, su cui non c’è contrarietà degli alleati ma solo una criticità riguardo la copertura economica”, spiega il portavoce nazionale, Raffaele Nevi. Magari con una proroga (anche di due o tre mesi) per chi ha già completato lavori oltre il 70%, come sostiene anche il segretario nazionale, Antonio Tajani.

Giorgetti per ora vuole portare a casa il risultato senza brutte sorprese e per il futuro spiega che “buona parte della possibilità di crescita di questo Paese dipende da come riusciamo a spendere le importanti risorse del Pnrr e della componente RePowerEu, che deve essere considerata a tutti gli effetti come parte integrante della legge di Bilancio a favore delle imprese”. Inoltre, “le previsioni e le correzioni della Nadef sono coerenti con quello che è previsto dal nuovo Patto di stabilità”, quindi “non sono previste manovre diverse o aggiuntive”. La legge di bilancio compirà, quindi, il suo ultimo giro di boa alla Camera come previso. Il testo è atteso in aula oggi, ma è praticamente scontato che il governo porrà la questione di fiducia per chiudere la partita entro la serata di venerdì 29 dicembre. Le polemiche, invece, quasi sicuramente non se le porterà via il voto.

Cdm approva nuovo dl Energia da 27,4 miliardi. Non c’è la proroga del mercato tutelato

A pochi giorni dall’approvazione definitiva in Parlamento del decreto varato nello scorso mese di settembre, il Consiglio dei ministri vara un nuovo dl Energia. Avanti sulle rinnovabili e sulla decarbonizzazione delle aziende gasivore ed energivore. Avanti sull’approvvigionamento, con la norma che sblocca i rigassificatori di Gioia Tauro e Porto Empedocle. Non c’è la proroga del mercato tutelato, ma non è una novità: il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, lo aveva anticipato la scorsa settimana, parlando di uno spacchettamento degli utenti, in modo da tutelare i fragili.

Una scelta che fa saltare sulla sedia l’opposizione. “È davvero sconcertante l’atteggiamento di questo governo che, su un tema come il mercato tutelato, fa orecchie da mercante e gioca a scarica barile“, tuona Annalisa Corrado, responsabile Ambiente nella segreteria Pd. E annuncia una conferenza stampa sul tema al Nazareno con la segretaria Elly Schlein, Pierluigi Bersani, la capogruppo alla Camera, Chiara Braga, e Antonio Misiani. I deputati M5S in commissione Attività Produttive della Camera bollano la mancata proroga come “furia cieca verso le famiglie” e Luana Zanella, capogruppo di Avs a Montecitorio, avverte: “Famiglie e imprese si preparino al salasso voluto da una destra pericolosa e irresponsabile“.

Il titolare del dicastero di via Cristoforo Colombo rivendica però lo sforzo fatto per un decreto che definisce “molto variegato“, con una serie di misure riconducibili a “una solida e pragmatica visione energetica”. Si liberano, scandisce, “le grandi potenzialità del Paese“, per renderlo “riferimento nel Mediterraneo sulle rinnovabili“.

Il provvedimento vale 27,4 miliardi di investimenti: “Vogliamo sostenere famiglie e imprese, per renderle ancor più protagoniste di una transizione bilanciata e realistica”, spiega Pichetto.

C’è il sostegno all’eolico offshore nel Mezzogiorno, con l’individuazione di due porti del Sud per sviluppare investimenti nel settore, funzionali a ospitare piattaforme galleggianti, da individuare dopo le manifestazioni di interesse.

Si sostengono i settori produttivi impegnati nel percorso di decarbonizzazione, “fornendo ad esempio importanti risposte per migliaia di imprese a forte consumo di energia elettrica e gas“, afferma Pichetto. Al via anche un nuovo studio per valorizzare la filiera della cattura e stoccaggio di carbonio. Per accelerare sullo sviluppo delle rinnovabili verso gli obiettivi 2030, si spingono le Regioni a realizzare impianti fotovoltaici in aree idonee con un fondo per opere compensative. Il fondo, per Regioni e Province Autonome, ammonta a 350 milioni l’anno fino al 2032.

Il provvedimento adotta poi un sistema di incentivazione a installare impianti a fonti rinnovabili rivolto a circa 3.800 imprese a forte consumo di energia elettrica come quelle della chimica, del vetro e del tessile, che potranno vedersi anticipare dal GSE gli effetti della realizzazione di questi impianti, da restituire nei successivi venti anni.

Approviamo inoltre una norma per considerare di pubblica utilità, indifferibili e urgenti, le opere per la costruzione e l’esercizio di terminali di rigassificazione di gas naturale liquido on-shore, nonché le infrastrutture connesse: una norma importante per impianti come Porto Empedocle e Gioia Tauro“, precisa. Avanti anche sul geotermoelettrico e sul bioetanolo, sul teleriscaldamento.

Un portale digitale raccoglierà dati e informazioni sullo sviluppo della rete elettrica nazionale. Gli enti territoriali potranno infine autocandidarsi a ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. “Un passo necessario – insiste il ministro – per accelerare i tempi di individuazione di un’area di cui il Paese ha forte bisogno”.

Sul termovalorizzatore di Roma è sfida aperta tra Pd e M5S

Sfida tra opposizioni sul termovalorizzatore di Roma. Gli ordini del giorno presentati da Alleanza Verdi Sinistra e Movimento 5 Stelle al decreto sulla riorganizzazione della governance del Pnrr, che sostanzialmente chiedono di stoppare il progetto del Campidoglio, anche se ormai è in avanzata fase di avviamento. Una mossa che dalle parti del Pd non è stata presa certo bene. “Scopro dai giornali che nel Pnrr compare il tema del termovalorizzatore a Roma, che col Pnrr non c’entra nulla. Noi facciamo opposizione al governo Meloni, mi auguro che gli altri partiti di opposizione facciano lo stesso, perché se c’è qualcuno che si illude con un odg di provare a creare problemi ad altri partiti di opposizione, io penso che questa pratica non aiuti nessuno“, dice il capogruppo dem al Senato, Francesco Boccia. Che rincara la dose: “Troviamo inaccettabile aprire una discussione su un ordine del giorno che non c’entra nulla col provvedimento di cui si sta discutendo“.

La risposta di Giuseppe Conte non tarda. “Gualtieri, ministro dell’Economia del Conte 2, aveva sottoscritto con tutto il governo un programma che diceva no ai termovalorizzatori. Quindi è stata una ‘piroetta’, un capovolgimento a 360 gradi da parte del sindaco di Roma“, dice il presidente dei Cinquestelle. Che insiste: “Mi auguro recuperi la linearità che c’era prima di questa piroetta, confido che questa segreteria ce l’abbia la linearità, che voti con noi, anche se questo è un ordine del giorno rivolto al governo“. Anche Avs prova a “sgombrare il campo da qualunque equivoco: non c’è nessuno sgarbo fatto a Elly Schlein. C’è solo una questione di merito, l’inceneritore proposto da Gualtieri, che in campagna elettorale tra l’altro aveva detto cose diverse, porterà all’incenerimento 600mila tonnellate di rifiuti“, sottolinea il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi Sinistra, Angelo Bonelli.

Il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, invece, è favorevole all’infrastruttura. E sul rischio che il suo partito si spacchi, risponde: “Mi auguro di no, i gruppi parlamentari hanno la loro autonomia, si sa come la penso io e come la pensa la gran parte del Pd“. La segretaria del Pd, Elly Schlein, intanto, non si esprime ma domani (mercoledì 19 aprile) terrà la prima conferenza stampa, al Nazareno, dal varo della nuova segreteria. Proprio nel giorno in cui si voterà sugli odg. Segno che la partita è aperta e i dem già studiano le contromosse.

Bianchi: “Superbonus Lazio per green edilizia. Roma no pattumiera d’Europa”

Una vita vissuta tra le sue due grandi passioni: giornalismo e ambiente. Dopo essere diventata uno dei volti più amati della televisione pubblica con il programma ‘Lineablu’, Donatella Bianchi scende in campo per le elezioni regionali nel Lazio, correndo come candidata presidente del Movimento 5 Stelle. Ligure di La Spezia, romana di adozione, Bianchi muove i primi passi della sua carriera nella redazione del Secolo XIX, poi collaborazioni con radio e tv, per la quale realizza reportage e monografie su turismo, beni culturali e ambientali su scala internazionale, fino al grande lancio con la Rai. Ma nel curriculum può vantare anche esperienze importanti alla presidenza del Wwf Italia
e del Parco nazionale delle Cinque Terre, la medaglia d’oro al merito della Marina militare italiana, il ruolo di ambasciatore italiano sia del Green Book della Commissione europea che per la Biodiversità da parte del ministero dell’Ambiente. Con GEA parla del suo programma e dei progetti che ha in mente per il Lazio.

Bianchi, a che punto è la Regione Lazio nella transizione ecologica?

“Grazie al grande lavoro fatto dalle due assessore del M5S abbiamo raggiunto obiettivi che fino a pochi mesi fa sembravano utopie. Il cambio di passo in Regione si è visto negli ultimi 18 mesi, quando il Movimento 5 Stelle è entrato in giunta e ha spostato l’attenzione su questioni rimaste irrisolte da troppi anni. E mi riferisco alla legge sul turismo, ferma da 15 anni, o all’assessorato alla Transizione ecologica che abbiamo fortemente voluto. È notizia recente l’approvazione del piano di Transizione ecologica che vale oltre 5 miliardi di euro. Molto è stato fatto, ma molto vogliamo e dobbiamo fare ancora. La destra al governo sta dimostrando di non considerare strategica la transizione ecologica, nascondendo la testa sotto la sabbia quando parliamo di cambiamenti climatici o salvaguardia ambientale. Noi invece abbiamo il tema ambientale al centro della nostra agenda e non faremo un passo indietro su argomenti che per noi hanno un valore assoluto”.

Il tema dei rifiuti è sempre molto attuale sul territorio: sul termovalorizzatore di Roma la posizione del M5S è chiara, ma se fosse eletta quali correttivi apporterebbe al piano regionale?

“Il ciclo dei rifiuti nel Lazio, dopo quasi un ventennio di commissariamenti e inadeguata pianificazione, deve essere ripensato verso l’economia circolare riducendo il consumo di materie prime: si deve investire in filiere corte di aggiornamento tecnologico, ricondizionamento dei beni, riparazione e riuso in grado di prevenire la produzione di rifiuti e far crescere di pari passo le industrie che riutilizzano le materie prime seconde distinguendolo dal rifiuto residuo. Il futuro non è bruciare tonnellate di rifiuti o trasformare il Lazio nella pattumiera d’Europa come vorrebbe il commissario Gualtieri, una buona parte del Pd laziale o Bonelli. Il futuro è la transizione ecologica e solo noi siamo in grado di spingere la Regione in questa direzione”.

Tra le vostre proposte c’è anche la nascita di un Superbonus Regione.

“La Regione Lazio potrebbe essere la prima ad aprire un canale parallelo a quello nazionale di incentivi alla ristrutturazione in chiave green. Possiamo mettere in campo una società regionale per comprare i crediti fiscali dalle banche e fluidificare il mercato degli interventi di ristrutturazione. La Regione potrebbe costituire un Fondo di garanzia per il credito bancario a favore delle imprese edilizie che non riescono a monetizzare i loro crediti. Questo significherebbe rilanciare comparto edile e generare posti di lavoro. I cosiddetti ‘green jobs’ sono la chiave per ridurre il nostro impatto ambientale e creare nuovi posti di lavoro specializzati e meglio remunerati”.

Il nucleare è il ‘male assoluto’ o una strada percorribile per l’indipendenza energetica?

“Le mie non sono posizioni ideologiche sul nucleare, ma guardo ai numeri e ai fatti. L’Italia ha deciso di uscire dal nucleare nel 1987 e abbiamo dimostrato in tutti questi anni di non essere capaci di gestire le dismissioni, siamo circa al 30%. Numeri molto bassi. Siamo un Paese che non ha completato lo smantellamento delle centrali nucleari che abbiamo ereditato negli anni passati. Siamo in infrazione europea da 10 anni per un deposito di scorie che ancora non sappiamo dove mettere. Il nucleare di quarta generazione sarà disponibile forse tra dieci anni perché la maturità della tecnologia non è immediata. Il nostro no al nucleare è basato su motivazioni concrete. Chi oggi continua a parlare di nucleare non risponde mai alle seguenti domande: dove vorreste fare gli impianti? Come e quando? E dove andrebbero stoccate le scorie radioattive? Sono soluzioni miopi e pericolose, che tentano di risolvere il problema con la stessa mentalità che l’ha creato. Noi siamo coerenti. Lasciamo ad altri il populismo sul nucleare”.

Elezioni, gli ex M5S ripartono dalla Transizione ecologica

Il gioco di cerchi concentrici della politica si sta avvicinando alla definizione del primo anello: le alleanze. Manca davvero poco alla presentazione di simboli, programmi e liste: entro il 24 agosto tutto dovrà essere compiuto e, al netto della dialettica del momento, anche aspra, il tempo delle decisioni è arrivato. I dubbi sono ovviamente nel campo del centrosinistra, da qualcuno definito area progressista, da altri riformismo, ma la sostanza cambia poco. E’ questo il terreno di gioco dove sta nascendo qualcosa di nuovo, almeno cronologicamente. Soprattutto dalle formazioni che si sono staccate – nella maggioranza dei casi in maniera traumatica – dal Movimento 5 Stelle. Che in comune con il loro recente passato hanno un tema predominante: l’ambiente. Anzi, la transizione ecologica.

Il nuovo partito di Luigi Di Maio, Impegno civico, nato dal tandem con il Centro democratico di Bruno Tabacci, si prepara a spaziare nella prateria di centro dello scacchiere politico. E lo fa mettendo nel simbolo la serigrafia di un’ape, segno “della nostra coscienza ecologica“, spiega il ministro degli Esteri. Andando anche più a fondo: “Nel momento in cui scomparissero le api non esisterebbe nemmeno più l’essere umano – svela -. Questo è un aspetto poco conosciuto, ma racconta quello che sta accadendo sul nostro Pianeta. Metterla nel simbolo significa mettere al centro la transizione ecologica, che è fondamentale nel Pnrr; significa che non risolveremo il problema del cambiamento climatico singolarmente come Stati ma dobbiamo portarlo ai tavoli internazionale del G7, del G20, della prossima Cop27 in Egitto“.

Il cuore di Ic sarà il riformismo, “guardiamo con molta attenzione all’innovazione, all’ecologia, alla digitalizzazione e ai giovani“, mentre “non ci interessa parlare agli estremisti, a quelli che vogliono sfasciare tutto, a coloro che dicono solo dei ‘no’“. Ecco perché “la prima proposta non è divisiva” e riguarda la battaglia europea per il price cap sul gas. “Dobbiamo continuare a portare avanti la battaglia sul tetto massimo al prezzo del gas, che riduce l’inflazione e ferma gli aumenti per le famiglie in bolletta – dice Di Maio-. Oggi lo facciamo con un governo in carica per gli affari correnti, che non ha pieno mandato: magari saremo degli illusi, ma ci proviamo. L’unico modo per portare al tavolo il governo italiano col massimo della sua forza è fare in modo che tutti i leader dei partiti impegnati in questa campagna elettorale sottoscrivano la nostra proposta con una lettera alla Commissione europea in cui si sostiene il governo Draghi per ottenere il tetto massimo al prezzo del gas“. Un primo obiettivo ambizioso, il cui esisto ad oggi è ancora imprevedibile.

Oltre Impegno civico, dall’addio al Movimento 5 Stelle nasce anche un altro soggetto. Stavolta un’associazione, che si chiama ‘Ambiente 2050’, ed è animata dall’ormai ex capogruppo pentastellato alla Camera, Davide Crippa, dal ministro per i rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, e dai parlamentari Alessandra Carbonaro, Maurizio Cattoi e Niccolò Invidia. Sarà un “laboratorio“, un “contenitore” dove la parola d’ordine sarà una sola: “Ascolto“. Perché “vogliamo essere pronti a capire quali siano le richieste forti” che arrivano soprattutto dai giovani, sottolinea Crippa. “Vogliamo confrontarci con la società civile, innanzitutto“, spiega D’Incà. Ma “anche con quelle associazioni che sono state costituite, nel corso del tempo, da quei cittadini che ogni giorno si impegnano e danno l’esempio“, senza dimenticare un “forte collegamento anche con il mondo industriale e produttivo” oltre che con “tutti gli amministratori locali: consiglieri comunali, assessori, sindaci“. L’area è quella progressista, in dialogo con il Pd, ma non è prevista la presentazione di liste alle prossime elezioni politiche del 25 settembre: la situazione “è in divenire“, dunque “è prematuro” intavolare discorsi di alleanze. “Noi poniamo temi, vedremo se qualcuno vorrà raccoglierli“. Gli ex Cinquestelle partono. Anzi, ripartono dall’ambiente.

M5S non vota fiducia, Draghi si dimette. Ma Mattarella respinge

La maggioranza di unità nazionale che sosteneva Mario Draghi “non c’è più”, il governo Draghi invece ha ancora una chance. E’ il risultato di una giornata frenetica, rocambolesca, frutto di giorni di tribolazioni, soprattutto nel campo del Movimento 5 Stelle, che non partecipando al voto di fiducia, in Senato, sul decreto Energia 2, innesca di fatto la crisi che porta alle dimissioni del presidente del Consiglio, respinte dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che rimanda il premier alle Camere (mercoledì prossimo) per verificare se c’è ancora una maggioranza o certificare la fine dell’esecutivo. E con molta probabilità della legislatura. Letta tutta d’un fiato, la situazione appare quasi indecifrabile, proprio come è accaduto ai mercati: le principali piazze europee, infatti, chiudono tutte in ribasso (Francoforte -1,86%, Parigi -1,41%, Londra -1,63%). Ma è la Borsa di Milano a farne maggiormente le spese, con un calo del 3,44%. Meglio riavvolgere il nastro, quindi.

Che i pentastellati non avrebbero mai votato la fiducia sul decreto Energia 2 era ormai chiaro sin dalla tarda serata di mercoledì. Giuseppe Conte e i suoi confermano la linea seguita in Cdm, non votando il dl, e alla Camera, votando la fiducia ma non lo scrutinio finale, protestando contro la norma che autorizza il termovalorizzatore a Roma e – a loro giudizio – la scarsità di fondi per i bonus alle famiglie contro il rincaro delle bollette. Il problema è che a Montecitorio il voto disgiunto è possibile, mentre a Palazzo Madama coincide con la fiducia. Dunque, anche l’astensione è un fatto politico. Eppure il ministro per i rapporti con il Parlamento, il Cinquestelle Federico D’Incà, ci prova fino alla fine a evitare lo strappo, tentando un accordo con le forze di maggioranza per un voto ordinario. La verifica si infrange nella scelta di Draghi, che giudica però la questione di fiducia l’unica via percorribile.

In aula la tensione si taglia con il coltello. I partiti di centrodestra affondano colpi su colpi sul M5S, anche il Pd è in evidente imbarazzo, costretto all’equilibrio tra il totale dissenso rispetto alle scelte dell’alleato del campo largo e la responsabilità di non avallare la caduta del governo in una fase di crisi economica e geopolitica mondiale. Tutte le mediazioni falliscono: il risultato è che il decreto viene trasformato in legge dal Senato (172 sì e 39 no), ma Draghi trae la conclusione che “è venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo”. Così dopo il via libera di Palazzo Madama sale al Colle per un’ora di colloquio con il presidente della Repubblica, dal quale non esce nemmeno la minima indiscrezione. Nel tardo pomeriggio, quando si riunisce il Cdm, convocato e poi spostato a chiusura dei mercati, si capisce il perché. Draghi infatti annuncia ai suoi ministri le dimissioni, spiegando “le votazioni di oggi sono un fatto molto significativo dal punto di vista politico“, nonostante “in questi giorni da parte mia c’è stato il massimo impegno per proseguire nel cammino comune, anche cercando di venire incontro alle esigenze che mi sono state avanzate dalle forze politiche“. Alla fine prende atto che “come è evidente dal dibattito e dal voto in Parlamento questo sforzo non è stato sufficiente“.

Le parole sono dure ma non pietre tombali. “Dal mio discorso di insediamento in Parlamento ho sempre detto che questo esecutivo sarebbe andato avanti soltanto se ci fosse stata la chiara prospettiva di poter realizzare il programma di governo su cui le forze politiche avevano votato la fiducia – dice ancora in Cdm -. Questa compattezza è stata fondamentale per affrontare le sfide di questi mesi. Queste condizioni oggi non ci sono più“. Poi, dopo aver ringraziato i colleghi, invitandoli a “essere orgogliosi di quello che abbiamo raggiunto“, il premier è salito al Quirinale. Mentre i siti mondiali rilanciano la notizia, che arriva anche a Mosca, dove l’ex premier russo, Dmitri Medvedev, esulta su Telegram: “Dopo le dimissioni di Boris Johnson e Draghi, chi sarà il prossimo?“.

E’ quasi calato il sole su Roma quando Mattarella scrive ancora un nuovo capitolo di questa giornata, respingendo le dimissioni. E invitando l’ex Bce “a presentarsi al Parlamento per rendere comunicazioni, affinché si effettui, nella sede propria, una valutazione della situazione che si è determinata a seguito degli esiti della seduta svoltasi oggi presso il Senato della Repubblica“. Comunicazioni e non informativa, dunque con voto. In pratica quella verifica invocata anche dagli altri partiti della maggioranza. Alla quale non è escluso che possa partecipare anche il Movimento 5 Stelle. Del resto, già il 18-19 luglio l’Italia è attesa a un appuntamento internazionale importante, il vertice intergovernativo con l’Algeria, in programma ad Algeri. Dove si discuterà di prospettive con il nostro nuovo principale partner-fornitore di gas. Presentarsi con un governo debole, di scopo elettorale o, peggio ancora, non presentarsi proprio sarebbe un passo falso grave. Sono tante le ragioni, dunque, che spingono la situazione politica a restare estremamente fluida. Nonostante il caldo e la confusione che regna nel panorama italiano

Draghi

Draghi vede sindacati, a luglio dl Aiuti “corposo”. Ma c’è incognita M5S

Novanta minuti per aprire un canale di dialogo con i sindacati, ma forse anche per lanciare messaggi alla sua maggioranza. Mario Draghi non parla di cifre, né di contenuti, se non per grandi linee, con i segretari di Cgil, Cisl e Uil, ma sonda il terreno per capire il clima che si respira in una fetta importante delle parti sociali sul suo governo. Si rivedranno entro una decina di giorni, tra il 25 e il 27 luglio, prima comunque che sul tavolo del Consiglio dei ministri arrivi il nuovo decreto Aiuti, che lo stesso premier definisce “corposo, prendendo in prestito le parole del suo sottosegretario alla Presidenza, Roberto Garofoli. “Ci sarà un intervento prima della fine di luglio che riguarderà prima di tutto gli strumenti per mitigare l’effetto dell’aumento del prezzo dell’energia“, dice in una conferenza stampa con i ministri Andrea Orlando e Giancarlo Giorgetti, per fare il punto dopo l’incontro con i sindacati.

Però “il dettaglio preferisco non anticiparlo in questo momento, quando è ancora in corso la valutazione, ma le aree su cui verterà sono comunque simili a quelle già trattate nel passato: bollette, accise sulla benzina e il gasolio. Poi ci saranno anche altri interventi“. Molto probabilmente la siccità, che continua a essere un problema enorme per l’agricoltura, ma non solo.

Draghi sa, comunque, che prima va superato lo scoglio più grande. Che riguarda, però, le fibrillazioni interne alla sua maggioranza. O meglio, dei Cinquestelle, che domani in Senato potrebbero astenersi dal voto di fiducia sul decreto Energia 2, che coincide con il voto finale, certificando di fatto la crisi di governo. Giuseppe Conte stamattina alle 8.30 riunirà il Consiglio nazionale, dove verrà presa la decisione finale. Ma il pressing è alto sul Movimento. L’ex capo politico, oggi fondatore di Ipf, Luigi Di Maio, spende parole durissime: “C’è una forza politica che sta generando instabilità, mettendo a repentaglio degli obiettivi da raggiungere per il Paese“. Nello specifico price cap sul gas, interventi per mitigare i rincari delle bollette e dei generi alimentari. Per il ministro degli Esteri “giovedì sarà la verifica di maggioranza” invocata da Silvio Berlusconi. Non serve altro. Sulla stessa linea sembra essere anche Draghi, che rimanda la palla nel campo di Sergio Mattarella sul punto specifico: “Se devo tornare davanti alle Camere lo decide il presidente della Repubblica“.

Però l’ex Bce, ribadendo che senza M5S non c’è il governo, nemmeno un Draghi-bis, un passo in più lo fa. Rivolgendosi, indirettamente, anche alla Lega, quando dice: “Con gli ultimatum non si può lavorare. Chi non ha piacere e non trova soddisfazione nei risultati di questo esecutivo, lo dica chiaramente“. Senza aspettare settembre (vedi alla voce Carroccio, in chiave raduno di Pontida) o risposte entro fine mese ai 9 punti portati a Palazzo Chigi da Conte: “Quando mi è stata consegnata la lettera ho trovato molti punti di convergenza con l’agenda del governo“, dice Draghi. Aggiungendo che se si trova anche un’intesa con i sindacati per portare a casa le misure “sono molto contento io, e forse anche lui“, riferendosi all’ex presidente del Consiglio.

A sentire il segretario della Cisl, Luigi Sbarra, un accordo non è lontano: “Quello di oggi è stato un incontro positivo, potenzialmente decisivo. Abbiamo chiesto di prorogare le misure contro i rincari di energia e materie prime, il taglio delle accise sui carburanti, ampliare la platea dei beneficiari degli sconti in bolletta, valutare la conferma del bonus dei 200 euro recuperando quei lavoratori precari, stagionali, autonomi, pensiamo agli operai agricoli, tolti dal decreto Aiuti“.

Per Maurizio Landini, invece, non c’è nulla di concreto ancora: “Abbiamo accolto positivamente il fatto che si incontreranno di nuovo con noi prima di prendere decisioni, quindi valuteremo il 26 o 27 luglio le risposte: oggi, da parte del governo, non sono stati fatti né numeri, né dimensioni, né indicazioni che lasciano intendere cosa vogliono fare“. Il leader della Cgil vuole misure strutturali subito, senza aspettare la legge di Bilancio. E lo stesso chiede Pierpaolo Bombardieri della Uil.

Draghi risponde poche ore dopo. “Il governo non è che non ha fatto nulla, abbiamo già fatto molto per famiglie e imprese: abbiamo stanziato 33 miliardi di euro“, ma oltre al prossimo decreto con gli aiuti “ora è importante mettere in campo misure strutturali per incrementare i salari, incrementare il netto salariale“. Sempreché domani si ricomponga la frattura in Senato con i Cinquestelle. Il passaggio è cruciale ma, considerati i fatti, dall’esito ancora pericolosamente imprevedibile.