Meloni rilancia l’alleanza tra scienza e politica: “Torniamo a pensare in grande”

Una nuova alleanza tra politica e scienza, per riportare l’Italia alle glorie del passato. Giorgia Meloni parla all’Italian scientists association per rilanciare la disponibilità a un dialogo rinnovato tra le istituzioni e la ricerca, necessario in tempi in cui si affacciano “copiose sfide complesse“, sottolinea.

L’Isa presenta un ‘Manifesto della Scienza‘ in sei punti per avviare, spiega l’associazione, non solo un dibattito con i decisori su questioni di interesse comune, ma anche la creazione di tavoli tematici dedicati all’approfondimento di argomenti specifici. La proposta degli scienziati è quella di istituire anche un Ufficio Scientifico e Tecnologico che fornisca supporto alla Presidenza del Consiglio in alcuni ambiti strategici. Il documento è “prezioso“, commenta la premier e assicura che il governo “intende farne tesoro”.

Tra le sfide che si affacciano, una delle più urgenti da affrontare, per la presidente del Consiglio, è quella dell’Intelligenza artificiale generativa che già oggi può essere sostituito l’intelletto, portando l’uomo in un mondo in cui “non è più al centro“. L’Ia apre quindi scenari con i quali “siamo chiamati a confrontarci molto più velocemente di quanto non si stia facendo”, rileva Meloni. Il timore è che si “baratti la libertà con la comodità” e che “quando ce ne accorgeremo potrebbe essere troppo tardi”, avverte.

Quanto all’enorme tema climatico e alla transizione ecologica necessaria, la premier non pensa solo alle energie rinnovabili, parla anche di gas, idrogeno, economia circolare. Senza dimenticare la “grande prospettiva“, si spinge a dire, di produrre in futuro energia pulita e illimitata dalla fusione nucleare. La presidente del Consiglio sogna un contributo determinante dell’Italia, patria di Enrico Fermi, per arrivare prima al traguardo: “Con le nostre eccellenze possiamo continuare a regalare al mondo un futuro migliore e diverso“.

D’altra parte, ricorda, spesso l’Italia è stata all’avanguardia dei tempi, ecco perché, ribadisce, “Scienza e politica devono tornare a quell’equilibrio che è stato alla base della nostra civiltà”: “L’Italia da un po’ di tempo ha dimenticato di sognare e ha dimenticato quello che è capace di fare quando sogna. La nostra sfida oggi è tornare a pensare in grande”. Anche perché, scandisce, “l’eredità ha un senso se si raccoglie e si tramanda“.

Confindustria, Orsini presidente designato: la sfida della doppia transizione

L’emiliano Emanuele Orsini è il presidente designato di Confindustria per il mandato 2024-2028. Cinquant’anni, l’imprenditore è vicepresidente uscente con delega al credito, amministratore delegato di Sistem Costruzioni e di Tino Prosciutti.

Una corsa iniziata da outsider, poi il passo indietro del presidente di Erg, Edoardo Garrone, a poche ore dalla riunione del consiglio generale in viale dell’Astronomia, a spianargli la strada. Su 187 aventi diritto, i presenti erano 173. Orsini ha incassato 147 preferenze, 17 le schede nulle e nove le bianche. L’unità tra gli industriali, dopo anni difficili per le imprese, sembra dunque ritrovata.
L’elezione effettiva si terrà il 23 maggio con il voto dell’assemblea e, intanto, il 18 aprile il consiglio generale dovrà esprimersi sul programma e sulla squadra dei vicepresidenti scelta da Orsini.

Dialogo, identità e dignità” sono le parole chiave scelte dal presidente designato, che all’uscita registra un clima positivo e alle telecamere assicura che lavorerà per convincere anche chi non l’ha votato. I temi prioritari, anticipa, saranno “competitività, energia e certezza del diritto”.

Garrone confessa sulle colonne della Stampa di non essersi sentito nelle condizioni di rappresentare gli interessi di tutte le imprese e di non aver intravisto la possibilità di costruire una “squadra forte e libera da condizionamenti esterni“. Per un grande imprenditore, sostiene, potrebbe essere demotivante candidarsi ed esporsi: “Quando sono sceso in campo ero convinto – e lo rimango ancora oggi – che fosse più importante garantire la governabilità di Confindustria rispetto al nome del presidente“, racconta. E usa parole dure contro il numero uno di Duferco, Antonio Gozzi: “Numeri alla mano, ha perso. Inoltre, con il suo comportamento ha fatto perdere anche Confindustria, quando ha contestato pubblicamente l’applicazione delle regole che sono alla base del nostro sistema associativo e del nostro codice etico“, denuncia.

Le congratulazioni per Orsini arrivano da tutto il mondo politico e associativo. Tra i primi a complimentarsi, sui social, c’è la premier Giorgia Meloni, che ringrazia il presidente uscente Carlo Bonomi per il “confronto avuto in questi anni” e ricorda come, per il suo Governo, lo Stato debba essere un alleato naturale delle imprese e degli imprenditori: “Come sempre – garantisce la presidente del Consiglio – non faremo mancare disponibilità e dialogo“.

Auguri anche dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto. Entrambi evidenziano l’impegno che ci vorrà nei prossimi anni per riaffermare la centralità delle imprese nella duplice transizione green e digitale. “E’ doveroso – sottolinea Pichetto – valorizzare un’imprenditoria che ha colto prima degli altri la necessità di investire su energie rinnovabili e filiere innovative, economia circolare e sostenibilità dei processi produttivi“. Occhi puntati sulle Europee di giugno anche per gli industriali: la sfida della sostenibilità si giocherà a partire da Bruxelles.

Coesione, al Molise 445 milioni. Meloni: “Fondamentale nesso ambiente-energia”

Quasi mezzo miliardo di euro (445 milioni) va alla Regione Molise grazie agli accordi di Sviluppo e coesione con il Governo. Quello di oggi è il 16esimo siglato dalla premier Giorgia Meloni con i presidenti – 13 Regioni e due Province autonome -, nel solco della riforma per ridurre i divari e le disparità tra i territori.

In molte zone – ricorda Meloni – buona parte dei fondi per lo sviluppo e la coesione non veniva spesa“. Sulla programmazione 2014-2020 su 126 miliardi disponibili ne erano stati spesi 47. “In una nazione come l’Italia non possiamo permetterci che miliardi e miliardi di euro fondamentali per i cittadini vengano disperse“, osserva la presidente del Consiglio.
I fondi sono destinati a 42 progetti, divisi in diverse aree di interesse, che vanno dalla ricerca sull’intelligenza artificiale al campo biomedico, dai servizi per le università a quelli a sostegno delle persone fragili, fino alla valorizzazione dell’attrattività turistica, alla tutela ambientale e alla mobilità stradale.

Tra questi, “sul nesso ambiente-energia stanziamo 60 milioni di euro, anche per impianti di energia idroelettrica“, precisa la premier. Un ambito quanto mai fondamentale, scandisce Meloni: “Nel dramma che affrontiamo, delle conseguenze del conflitto in Ucraina, si nasconde un’occasione e una di queste è il tema dell’energia. C’è in Europa un problema di approvvigionamento. Si guarda a forme di energia pulita, il Mezzogiorno d’Italia è un potenziale produttore di energia pulita. Nel Sud Italia, con i giusti investimenti possiamo costruire un futuro e un pezzo di strategia per la nazione“.

Siamo al sedicesimo Accordo per la Coesione finanziato con le risorse Fsc per il periodo 2021-2027 – ribadisce il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto -, il terzo per il Mezzogiorno e, a dimostrazione che il Governo sta lavorando alacremente anche per definire gli Accordi con le regioni del Sud, tra poche ore sigleremo il quarto con la regione Basilicata”, rivendica.
La Regione è piccola, ma “con tanta voglia di fare, i numeri lo dimostrano“, evidenzia il governatore Francesco Roberti. Questi fondi, è certo, “faranno da volano per la nostra realtà”.

Ue, Meloni: “Agricoltura in Consiglio, basta guerra santa in nome del clima”

L’agricoltura sarà sul tavolo del Consiglio europeo del 21 e 22 marzo e Giorgia Meloni si intesta il merito di aver fatto inserire il tema in agenda. Perché, spiega nell’informativa in Senato, ritiene doveroso intervenire a sostegno di un settore che è stato “troppo a lungo dimenticato e oggetto di attenzioni non sempre benevole“.

La pandemia prima, la guerra in Ucraina poi, hanno colpito le catene di approvvigionamento alimentare e “gravato le imprese agricole di un aumento dei costi fissi che ne ha ulteriormente ridotto la redditività“, osserva la premier. A questo si sono aggiunti da un lato “l’appesantimento burocratico” introdotto dalle misure di “inverdimento” della Pac e dall’altro, denuncia, “l’accanimento ideologico” di molte norme del Green Deal, del pacchetto Fit for 55 e della strategia Farm to Fork. E’ così che l’Europa “si è risvegliata con i trattori nelle strade”. Ma Meloni rivendica di guidare il governo che “più ha investito in agricoltura nella storia repubblicana” (Con la rimodulazione del Pnrr, ha destinato fino a 8 miliardi di euro al comparto).

La presidente del Consiglio punta il dito ancora una volta contro una certa visione “ideologica” di Bruxelles sulla transizione green, che sostiene abbia individuato nell’agricoltore, nel pescatore, negli operatori economici che lavorano a contatto con la natura, dei “nemici da colpire in nome della guerra santa contro il cambiamento climatico“. Quello su cui si dovrà lavorare ora, “con urgenza“, insiste, è la revisione della Pac, sostenuta in un momento in cui il contesto era diverso: quando cioè non si era ancora verificato lo shock dell’invasione russa in Ucraina. La Politica Agricola Comune che è stata votata, era comunque una “mediazione rispetto alle folli pretese dell’allora vicepresidente Timmermans“, affonda la premier, che voleva una Pac “ancora più sbilanciata verso le misure di inverdimento, tanto da voler ricomprendere al suo interno gli obiettivi di riduzione delle emissioni del Green Deal”.

Pretese“, commenta, che non si materializzarono allora, ma che si sono verificate successivamente con la definizione degli eco-schemi e delle condizionalità verdi, ed è “proprio da quelle che si deve partire, semplificando al massimo le procedure ed eliminando con effetto retroattivo l’obbligo di messa a riposo del 4% dei terreni e l’obbligo di rotazione delle colture, che limiterebbe in maniera sensibile la produttività delle nostre imprese“, afferma. Bene per Meloni la recente proposta della Commissione di ampia revisione della Pac: “Ora è importante lavorare rapidamente alla riforma, a partire dal prossimo Consiglio Agricoltura e Pesca di fine marzo“. Roma lavora perché possano trovare spazio altre proposte italiane, come l’estensione del Quadro temporaneo per gli aiuti di Stato, prevedendo comunque un incremento del regime de minimis, oltre che una moratoria dei debiti delle imprese agricole. Dopo anni di “emarginazione” nei più importanti consessi internazionali, “l’agricoltura torna centrale in Europa“, le fa eco il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che ricorda il documento sulla Pac presentato all’Agrifish a febbraio, con cui sono state rappresentate le criticità e “gli errori” che l’Europa ha compiuto fino ad ora, con delle indicazioni su una “strada per correggerlo“. Per il titolare del dicastero di via Venti Settembre, oggi l’Europa comincia a rendersi conto che “se manca l’agricoltura, viene giù tutto”. L’obiettivo dell’Italia è “ripensare la sovranità alimentare in Europa”: “La sfida della sicurezza alimentare è dare buon cibo a tutti e non possiamo raggiungerla – ribadisce – se non diamo valore a chi ogni giorno lavora per garantire la qualità delle nostre produzioni“.

Piano Mattei, Meloni attiva cabina di regia: Progetti pilota in 9 Paesi africani

Nove Paesi per dare avvio ai progetti pilota del Piano Mattei. Sono quelli individuati dal governo, tra i partner storici con cui il livello delle relazioni è già molto avanzato, per dare avvio al progetto che dovrà trasformare l’Italia nell’hub energetico dell’Europa e cambiare totalmente il paradigma della cooperazione con il continente africano in sei macroaree: istruzione e formazione, sanità, acqua e igiene, agricoltura, energia e infrastrutture. La premier, Giorgia Meloni, convoca nella Sala Verde di Palazzo Chigi la prima riunione della cabina di regia con tutti gli attori coinvolti, dai ministri alle grandi aziende partecipate, agli enti, agenzie e associazioni (anche del terzo settore) che sono chiamati a ‘fare sistema’, come si suol dire, per la messa a terra dei vari progetti.

La ricognizione è utile per capire se tutti hanno memorizzato la stessa rotta e sensibilizzare la ‘squadra Italia’ sull’importanza di non fallire l’appuntamento: “Il Piano Mattei è una grande sfida strategica“, ricorda la presidente del Consiglio. Si parte dal Vertice Italia-Africa di gennaio, spiega Meloni, che ha certificato “un’apertura di credito” da parte di un gran numero di leader della sponda sud del Mediterraneo nei confronti del nostro Paese. In quell’occasione fu presentata “la cornice, cioè le sei grandi aree su cui riteniamo che l’Italia possa costruire questa cooperazione, anche sulla base delle sue storiche capacità“, aggiunge la premier. Che ora, però, vuole andare a dama. “Partendo dalle relazioni già in piedi, abbiamo immaginato quali potessero essere le nazioni in cui mettere più velocemente a terra i nostri progetti. Sono nove: Algeria, Congo, Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia, Kenya, Marocco, Mozambico e Tunisia“. Nelle ultime settimane la struttura di missione ha già svolto le prime missioni operative: “A Bruxelles, per condividere anche a livello europeo, poi è stata ad Addis Abeba e in Costa d’Avorio“, dice ancora Meloni, annunciando che “nei prossimi giorni sono previste ulteriori visite in Kenya, Marocco e Tunisia“. Mentre “in parallelo si sono svolte alcune riunioni con le principali istituzioni finanziarie internazionali, che saranno molto importanti” nello sviluppo dei progetti. Così come l’Ue, ma non solo: “Scrivere questa nuova pagina è qualcosa che non possiamo o vogliamo fare da soli. E’ fondamentale coinvolgere tanti altri a livello internazionale“.

Domenica prossima, infatti, la premier sarà in Egitto con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e altri primi ministri per “un’iniziativa simile a quella portata avanti in Tunisia, un Memorandum of understanding e in parallelo una cooperazione bilaterale che riguarda il Piano in ambito agricolo e di formazione, ma firmeremo anche delle intese su salute, Pmi e investimenti“, anticipa.

Tanta carne sul fuoco, dunque. Ma perché tutto fili liscio serve massima collaborazione. Il mondo produttivo risponde ‘presente’ alla chiamata di Palazzo Chigi. Coldiretti, ad esempio, porta al tavolo il progetto promosso con Bf, Filiera Italia e Consorzi Agrari d’Italia: oltre 40mila ettari coltivati per la crescita dell’Africa con la creazione di posti di lavoro, la fornitura di beni e servizi, lo sviluppo delle agroenergie da fonte rinnovabile e la trasmissione di conoscenza e tecnologia per la produzione locale e lo sviluppo di nuove reti di vendita con i farmers market per fornire un’alternativa concreta al fenomeno delle migrazioni, sviluppando le economie locali e potenziando la cooperazione. L’obiettivo è generare entro il prossimo biennio un indotto di migliaia di posti di lavoro che si regga su delle filiere che si sviluppano partendo dell’agricoltura.

Ance, poi, plaude alla scelta di finanziare Studi di fattibilità per opere infrastrutturali. Il contesto presentato al governo dal vicepresidente per l’internazionalizzazione, Federico Ghella, vede circa 12 miliardi di commesse in corso delle imprese associate, di cui 5 in Nord Africa e 7 in Africa Sub sahariana, che rappresentano circa il 12% delle commesse totali. Per questo i costruttori promuovono la nuova struttura di assistenza sartoriale per le imprese del settore, supportata da Farnesina e Ice, sui Bandi di gara delle banche multilaterali di sviluppo. La proposta è “rendere subito operativa la struttura con il supporto di Ance, Confindustria e Oice”. Inoltre, l’associazione lavora alla creazione di un Fondo di Investimento in equity, denominato primAfrica.

Per Confapi è fondamentale “valorizzazione del ruolo della piccola e media industria“, dice il presidente, Cristian Camisa, chiedendo più formazione in Africa, partendo dai giovani e dalle esigenze delle imprese, anche per ovviare alla carenza di personale qualificato, in problema che investe il 63% delle aziende associate. Senza dimenticare che “l’Italia deve fare un grande lavoro sulle terre rare per evitare problemi nel reperimento dei minerali utili alla produzione, nella fase di transizione ecologica“. Andando avanti, Copagri condivide obiettivi come quelli di “diversificare e ampliare i mercati del nostro interscambio commerciale, promuovere con sempre maggiore determinazione la cooperazione allo sviluppo ed esportare l’eccellenza e l’unicità del nostro know how“.

Mentre Cna vede nel Piano Mattei “una preziosa opportunità per sviluppare nuovi canali commerciali a sostegno dei settori del Made in Italy“. Il prossimo appuntamento con la cabina di regia sarà ad aprile. Per quella data Meloni si augura di poter presentare agli attori coinvolti “una struttura consolidata del testo” del piano, dopo aver presentato una prima nota di sintesi. Perché il tempo stringe e la partita sul campo deve finalmente cominciare.

G7, Meloni in Usa e Canada: Piano Mattei e Ia sul tavolo

Ucraina, Medio Oriente e Indo-Pacifico. Ma anche attenzione all’Africa, per costruire un “partenariato vantaggioso per tutti“, secondo il modello del Piano Mattei, e alle sfide che l‘intelligenza artificiale impone. Sono le priorità della presidenza italiana del G7, che Giorgia Meloni si prepara a presentare a Joe Biden, domani a Washington, e a Justin Trudeau sabato a Toronto.

La visita segue la missione in Giappone di inizio febbraio, in cui la premier italiana ha raccolto il testimone della presidenza del G7 da Fumio Kishida, e la prima riunione dei leader sotto la presidenza italiana che si è svolta in videoconferenza da Kiev il 24 febbraio. Sarà proprio il Canada, nel 2025, a prendere la presidenza del G7 dall’Italia.

In entrambi gli incontri, assicurano fonti italiane, si parlerà anche delle “relazioni bilaterali di eccellenza, in tutti i settori“, tra l’Italia e gli Stati Uniti e tra l’Italia e il Canada, oltre che delle prospettive di un loro “ulteriore rafforzamento“.

Con Biden, nel dettaglio, le relazioni bilaterali hanno come base la dichiarazione congiunta adottata durante la prima visita di Meloni a Washington, il 27 luglio scorso. Negli Stati Uniti c’è una presenza di una comunità italo-americana numerosa e bene integrata: si parla di oltre 20 milioni di persone, alle quali si aggiungono più di 325mila italiani residenti negli Stati Uniti. Nel 2023 Washington è stato il terzo mercato di destinazione dell’export italiano, con un interscambio di circa 102 miliardi di dollari (con surplus di 44 a favore dell’Italia), e presenze di imprese italiane in ogni settore economico-industriale, inclusi quello della difesa e quello aerospaziale.

Con il Canada, Roma ha già relazioni commerciali e di investimento forti, con economie complementari, che fanno leva sulle piccole e medie imprese. Il Paese è un partner importante per l’Italia, con un interscambio di circa 12 miliardi di euro fra gennaio e novembre 2023 (+1,1% sull’anno precedente). La bilancia commerciale è favorevole all’Italia (+4,2 miliardi nei primi 11 mesi del 2023) e c’è un elevato livello di complementarietà, con la specializzazione manifatturiera e di innovazione in Italia da un lato l’abbondanza di materie prime in Canada dall’altro. Importante anche qui è il ruolo della comunità di origine italiana: 1,6 milioni di persone circa, per metà residenti nell’Ontario.

Entrambi i colloqui saranno insomma occasione di confronto sulle principali questioni internazionali: in primo luogo l’aggressione russa all’Ucraina e il “continuo sostegno a Kiev” che l’Italia intende ribadire. Poi, la situazione in Medio Oriente e la prevenzione di una escalation regionale con il “sostegno umanitario a Gaza“, spiegano le fonti, e la sicurezza e la stabilità nel Mar Rosso. Sulla cooperazione con il Continente africano si parlerà di Piano Mattei, nella prospettiva, trapela, di “verificare opportunità di collaborazione in aree di comune interesse“. Al centro pure la sicurezza delle catene di approvvigionamento e il coordinamento transatlantico rispetto alle sfide e alle opportunità poste dalla Cina. Leader al lavoro anche per preparare il prossimo vertice Nato, che si terrà proprio a Washington dal 9 all’11 luglio, in occasione del 75esimo anniversario dell’Alleanza atlantica.

lollobrigida

Agricoltura, da Italia pacchetto di proposte a Ue. Lollobrigida: “Tornati centrali”

L’Italia presenta le sue proposte alla Ue e cerchia in rosso le date del 21 e 22 marzo prossimi. Il giorno dopo il consiglio Agrifish più difficile, con la guerriglia urbana che ha messo a ferro e fuoco Bruxelles, il responsabile del Masaf, Francesco Lollobrigida, spiega la posizione italiana in Europa, sottolineando che la premier, Giorgia Meloni, ha chiesto di mettere anche l’agricoltura all’ordine del giorno del prossimo Consiglio Ue. Per battere il ferro finché è caldo, lascia intendere il ministro della Sovranità alimentare.

L’Italia, da protagonista, nell’ambito del Consiglio Agrifish ha presentato un documento che invita la Commissione Ue a fare un passo indietro rispetto alle politiche ideologiche e folli che, in nome di un presunto ambientalismo, hanno messo in ginocchio il nostro settore primario“, dice Lollobrigida. Sottolineando che “tutti gli Stati membri si sono espressi favorevolmente”. Al centro del piano c’è la revisione della Pac, “perché l’ultima è scritta male: porta criticità operative che creano problematiche“.

Il paper italiano avvisa che “se il modello di transizione ecologica dell’agricoltura promosso dal Green Deal continuasse ad essere portato avanti solitariamente dall’Ue o senza il necessario correttivo della reciprocità a livello di scambi commerciali, il saldo degli effetti ambientali a livello globale sarebbe addirittura negativo“. Il concetto base è che “la minore produzione agricola nell’Unione europea derivante da vincoli ambientali più severi e la sua conseguente delocalizzazione verso Paesi caratterizzati da regole meno rigorose, farà crescere l’inquinamento a livello mondiale, penalizzando la lotta ai cambiamenti climatici che, per sua stessa natura, non può che essere condotta a livello globale“. In pratica, spiega il ministro, “se le scelte tengono conto solo del principio della sostenibilità ambientale, ci sono conseguenze sulla desertificazione e sul dissesto idrogeologico“, oltre al fatto che “con consumo invariato e riduzione delle produzioni si incentivano le importazioni da nazioni che non rispettano le nostre stesse regole. Anzi, si aumentano quelle produzioni a livelli esponenziali, con conseguenze sull’ambiente“.

Dunque, per il governo italiano va rivista la Pac 2023-2027, con azioni a breve termine come la rimodulazione della normativa sugli aiuti di Stato, incrementando l’importo in ‘de minimis’ nel settore agricolo a 50mila euro, con un quadro temporaneo per l’emergenza agricola e una moratoria sul credito agricolo sulla scorta di quanto accaduto con la pandemia e la crisi energetica.

Ancora, incentivare soluzioni alternative alla messa a riposo dei terreni per salvaguardare l’ambiente, il cui obbligo va rimosso con una deroga temporanea fino alla prossima Politica agricola comune, dove poi cancellarlo definitivamente. Servono, inoltre, adeguate risorse finanziarie per sostenere il reddito degli agricoltori, assicurare la sicurezza alimentare e mantenere un tessuto rurale vitale, ma soprattutto aumentare gli aiuti ai giovani per consentire il ricambio generazionale. Tra le proposte c’è quella di riflettere sugli eco-schemi, soprattutto sulla possibilità di remunerare la produzione di beni pubblici e le esternalità positive prodotte dal settore agricolo.

Ovviamente, ci sono anche interventi settoriale: la produzione commercializzata dell’olio extra vergine di oliva non dovrà scendere al di sotto del 15%, l’innalzamento al 60% dell’aiuto di spesa agli operatori ortofrutticoli, i limiti temporali previsti per le autorizzazioni e il reimpianto di vigneti devono essere eliminati o ampliati ad almeno 8 anni, il finanziamento dell’estirpazione dei vigneti per problemi fitosanitari e il suo reimpianto e la copertura del mancato reddito.

L’Italia chiede il rafforzamento degli interventi sul mercato Ue con l’apertura di stoccaggi di prodotti agricoli europei e nazionali, lo sviluppo rurale con un piano straordinario per il ricambio generazionale (incentivi under 40 oltre i 5 anni, costi standard per investimenti di piccola taglia, rafforzamento degli strumenti di gestione del rischio e contratti di filiera), la creazione di una riserva di crisi. Poi, semplificare: “L’Ue è un contesto politico, non solo burocratico in cui si svolgono i compitini“, tuona Lollobrigida. Che indica la parola d’ordine: “Semplificazione, di cui tutti si riempiono la bocca ma ogni volta che si deve delineare un percorso, si cercano orpelli sempre maggiori“.

Nella strategia non mancano contromisure per evitare la concorrenza sleale, in particolar modo dal Mercosur, irrobustendo l’impianto della direttiva europea. “Nessun accordo commerciale tra Commissione europea e Paesi terzi può essere stipulato se non si garantiscono gli stessi standard in vigore nel mercato Ue, in termini di sicurezza sanitaria, alimentare ed ambientale, sicurezza sul lavoro e diritti dei lavoratori“, si legge nel documento. Inoltre, va rivista la legge europea sul ripristino della natura, evitando nuovi oneri a carico degli agricoltori: “E’ l’elemento cardine dell’impostazione ideologica“, prosegue il ministro che aspetta dal Parlamento Ue “un segnale chiaro su questa dinamica, che credo sia l’evoluzione di un processo che deve chiudersi, in cui è stata prevalere un’impostazione che ha messo in ginocchio il sistema produttivo e che rischia di ucciderlo“.

Pnrr, spesa metà fondi ottenuti. Fitto: “Cifre sottodimensionate”

L”interlocuzione con l’Europa corre più veloce dell’attuazione del Pnrr. Quello appena trascorso, è stato un semestre di “intensa attività”, illustra la quarta relazione. Ci sono state le trattative per la revisione, poi, il 9 ottobre, il pagamento della terza rata, l’8 dicembre l’approvazione finale del nuovo Piano da parte del Consiglio dell’Unione europea, il 28 dicembre il pagamento della quarta rata e il 29 dicembre la presentazione formale della richiesta di pagamento della quinta rata.

Con l’approvazione della richiesta di quinta rata, l’Italia avrà conseguito 113 miliardi di euro, cioè oltre il 58% dei 194,4 miliardi di euro stanziati in sede europea. Al 31 dicembre 2023, il Paese ha incassato 101,93 miliardi di euro (il 52% del totale). Di questi fondi, però, tra il 2021 e il 2023, sono stati spesi 45,6 miliardi di euro, quindi meno della metà. In più, il dato si riferisce al Pnrr prima della revisione, che considera anche le spese (circa 2,7 miliardi di euro) relative alle misure spostate dal Piano.

Ma ci sono due fattori da tenere in considerazione. Il primo riguarda il sistema di monitoraggio Regis: ”E’ importante segnalare che il dato si riferisce alla spesa effettuata dai soggetti attuatori come riscontrabile dal sistema di monitoraggio e potrebbe, quindi, in alcuni casi risultare incompleto qualora le amministrazioni non abbiano provveduto a registrare le singole operazioni”, viene sottolineato. Il secondo riguarda la quantità di fondi spesa, che è stata incrementale nel tempo: 24,48 miliardi sono stati spesi in due anni (2021-2022), 21,17 miliardi sono stati spesi solo nel 2023. “Leggere in modo disaggregato i dati fa capire quanto lavoro ci sia dietro“, spiega il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, che osserva come la spesa comunicata, in considerazione del monitoraggio Regis sia quasi sicuramente “sottodimensionata”.

Il lavoro non è finito“, ricorda la premier, Giorgia Meloni, nella premessa alla relazione. “Abbiamo ancora molto da fare, ma i tanti obiettivi centrati finora ci rendono fieri e ci incoraggiano a dare sempre di più. Nell’interesse dell’Italia e degli italiani“, chiosa.

Ora il governo lavora al decreto legge in cui ci saranno le indicazioni per le coperture finanziarie per i progetti usciti dal piano dopo la revisione e per l’attuazione degli obiettivi oggetto di revisione. “I tempi non sono lunghi e stiamo lavorando bene, il compito è di dare risposte. Confermo quindi l’impegno del governo nel finanziare tutti i progetti“, assicura Fitto. “Con Giorgetti – tranquillizza – stiamo lavorando da sempre in modo positivo, c’è un’interlocuzione aperta perché parliamo di un decreto che non ha scadenza, ed è necessario fare bene e velocemente ma non in fretta, perché dovrà dare copertura a tutti i progetti e che dovrà affrontare la questione sulla loro attuazione“. Molte misure riguarderanno la revisione del Piano Transizione 5.0, “penso a quelle per le imprese sulla transizione energetica“, precisa il ministro.

A valle della revisione dei Piani nazionali di tutti gli Stati membri, l’Italia si conferma il maggiore beneficiario del dispositivo di ripresa e resilienza e “si distingue per una significativa allocazione di fondi al capitolo REPowerEU per nuovi investimenti e riforme di ampia portata”, mette in luce la relazione. “Questo – viene spiegato – non solo sottolinea l’importanza attribuita dall’Italia alla transizione ecologica e alla digitalizzazione, ma evidenzia anche una gestione attenta e proattiva delle risorse a disposizione per massimizzarne l’impatto sul tessuto economico e sociale del Paese”.
Nel Rapporto della Commissione europea sulla valutazione intermedia “si riconosce che l’Italia è la prima nazione europea per numero di obiettivi e traguardi raggiunti”, ribadisce la premier, rivendicando un lavoro “incessante” per raggiungere tutti gli obiettivi programmati e “rafforzare la portata strategica del Piano”. I nuovi investimenti e le nuove riforme permetteranno all’Italia, scandisce Meloni, “di rispondere alle sfide del mutato scenario internazionale e di salvaguardare le risorse e la realizzazione delle opere già pianificate”.

La premier non perde occasione per difendere la scelta di rivedere il piano dopo lo scoppio della guerra in Ucraina e le nuove esigenze energetiche del Paese: “L’Italia si è dotata a tutti gli effetti di un nuovo Piano caratterizzato dall’introduzione della missione REPowerEU, da sette ulteriori riforme mirate all’ammodernamento e alla semplificazione normativa e dal finanziamento di investimenti aggiuntivi per circa 25 miliardi di euro, volti a rafforzare la competitività del tessuto produttivo, favorendo la transizione verso energie pulite e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico dell’Italia e dell’Europa”.

G7, passaggio di consegne Meloni-Kishida. La premier: “Da Giappone lavoro immenso”

Passaggio di consegne sulla guida del G7 a Tokyo, tra Giorgia Meloni e Fumio Kishida. La collaborazione tra i due Paesi c’è e crescerà, assicurano entrambi, con alcuni focus molto precisi.
L’intelligenza artificiale, innanzitutto. Ma anche lo spazio, i semiconduttori, l’energia.

Il Giappone è “una nazione amica con cui l’Italia sta lavorando con grandissima sintonia a 360 gradi“, scandisce la presidente del Consiglio. Parla di una “convergenza strategica bilaterale e multilaterale sul G7” e garantisce che darà “continuità ai temi al centro della presidenza nipponica“, perché “l’immenso lavoro svolto da Tokyo lo scorso anno ha posto l’accento su tematiche importanti“. L‘interscambio commerciale tra Italia e Giappone è di oltre 15 miliardi euro, cresciuto del 15 per cento.

La premier parla anche di automotive con i Ceo di alcune case automobilistiche e, sollecitata, non si sottrae al battibecco a distanza con Carlos Tavares. Confessa di non aver letto l’intervista completa del ceo di Stellantis, ma di trovare “bizzarre” alcune sue dichiarazioni. “Il rapporto deve essere equilibrato. Penso che l’Ad di una grande azienda non pensi che gli incentivi di uno Stato possano essere rivolti a una azienda nello specifico e che si sappia che abbiamo investito un miliardo di euro circa sugli incentivi. Mi è apparso bizzarro. Se si ritiene che produrre in altre nazioni sia meglio va bene, ma non mi si dica che l’auto prodotta è italiana e la si venda come italiana“, affonda.

Quanto al Giappone, l’obiettivo per i prossimi anni è quello di “sostenere questo importante rilancio“. Meloni pensa anche al rafforzamento dei partenariati industriali soprattutto nei settori ad alta tecnologia e all’attuazione di progetti congiunti di ricerca scientifica.

Il G7 italiano, assicura la premier, terrà alta l’attenzione sulla regione, ma anche all‘Expo di Osaka 2025, scandisce la premier, “intendiamo dare un grande contributo, all’altezza dello spirito di amicizia e cooperazione che stiamo vivendo“.

L’anno scorso la Presidenza giapponese del G7 “ha fatto un lavoro straordinario nel richiamare l’attenzione su una tecnologia che può generare grandi opportunità, ma può anche nascondere enormi rischi per le nostre società”, dichiara Meloni al quotidiano Yomiuri Shimbun. Perché, teme, “siamo di fronte alla reale possibilità che molte professioni, anche altamente qualificate, vengano rapidamente sostituite da algoritmi, causando crisi sociali e contribuendo ad ampliare il divario tra ricchi e poveri, spazzando potenzialmente la classe media”. Per questo, “da parte nostra, svilupperemo ulteriormente questo lavoro per garantire che l’IA sia incentrata sull’uomo e controllata dall’uomo, tenendo conto dei principi etici fondamentali dell’umanità”.

Oltre al vertice del G7 che si terrà in Puglia dal 13 al 15 giugno, la Presidenza italiana “prevede un intenso calendario di incontri ed eventi istituzionali“, ricorda la premier. L’Italia ospiterà 20 incontri ministeriali, affrontando questioni di grande importanza. Verrà confermato il sostegno all’Ucraina. Poi si parlerà del conflitto in Medio Oriente e delle relazioni con i Paesi in via di sviluppo e le economie emergenti, con un focus particolare sull’Indo-Pacifico e sull’Africa, a cui, afferma, “ho dedicato il primo evento internazionale di quest’anno, anche in vista del nostro Piano globale per l’Africa”.

Rispondendo a una domanda sull’addio alla Via della Seta ribadisce che “il Memorandum sulla Belt and Road Initiative è stato firmato da un governo precedente, in un contesto internazionale diverso, e non ha creato i benefici sperati”. La decisione di non prorogare l’accordo, chiarisce, è accompagnata da quella di “reindirizzare la collaborazione con Pechino verso strumenti più specifici e idonei a raggiungere migliori risultati economici per entrambi, perseguendo le nostre priorità e favorendo uno sviluppo costruttivo dei rapporti tra Italia e Cina. Ciò senza l’ampia condivisione strategica che comporta l’appartenenza alla Belt and Road Initiative”.

In Europa “in questi mesi il governo ha giocato un ruolo chiave a Bruxelles, facendo sentire con autorevolezza la voce dell’Italia e contribuendo al dibattito sui grandi temi“, ribadisce la premier rivendicando la “svolta culturale” con cui gli altri Stati e le istituzioni Ue hanno “progressivamente condiviso” la posizione italiana sulla gestione del fenomeno migratorio “privilegiando la dimensione esterna come modalità per limitare le partenze”.

Piano Mattei, Meloni rivede leader africani in 16 bilaterali. Ambientalisti su barricate

Dopo il vertice Italia-Africa, Giorgia Meloni rivede alcuni capi di Stato e di Governo del continente, per ascoltare le singole esigenze. Nel summit di ieri al Senato, il presidente della commissione dell’Unione africana, Moussa Faki Mahamat, ha denunciato una mancanza di coinvolgimento dei Paesi africani nella stesura del Piano Mattei.

L’ossatura del progetto c’è, ma “nulla è definito“, assicura la premier. Il piano conta su una dotazione iniziale di 5,5 miliardi e si articola su cinque pilastri (istruzione e formazione; salute; agricoltura; acqua; energia), ma il continente è immenso e le esigenze molto diverse. Nelle prossime settimane partiranno le prime missioni operative in una serie di Paesi pilota.

Il Piano “non è certo un punto di arrivo ma di confronto, con tutti i vertici del continente africano, per fare sempre di più“, conferma il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, davanti alle commissioni Esteri di Camera e Senato. Le guerre in corso e la crisi nel Mar Rosso, ricorda, hanno ricadute strategiche ed economiche sui Paesi africani ma anche sull’Europa: “Sicurezza e prosperità dei due continenti sono strettamente legati, proprio per questo è fondamentale investire risorse in Africa in settori chiave“, scandisce.

La prima ministra approfitta della presenza dei leader e in due giorni organizza sedici bilaterali. Colloqui che, spiega Palazzo Chigi, “sono l’occasione per avere uno scambio di idee sul rilancio delle relazioni con il continente africano, anche alla luce della presidenza italiana del G7“.

La premier incontra il presidente di turno dell’Unione africana, Azali Assoumani, che, a differenza di Faki, considera il vertice un “successo, sia nella forma che nel contenuto“: “Il Piano Mattei nessuno può contestarlo, bisogna pubblicarlo perché tutti possano vederlo. E’ un piano molto buono, ora bisogna renderlo concreto e non si può fare in un giorno o in un anno“, ha spiegato nella conferenza stampa dopo il vertice Italia-Africa.

A un anno dalla sua visita a Tripoli, Meloni incontra il primo ministro del Governo di Unità Nazionale libico, Abdulhamid Dabaiba e fa il punto sulla cooperazione in ambito migratorio, anche alla luce della collaborazione instaurata con la Tunisia a livello di Ministri degli Interni. L’incontro serve anche a verificare le opportunità di rafforzare il partenariato in atto in ambito energetico, che la Libia “desidera estendere alle fonti rinnovabili“, fanno sapere fonti interne. Il Governo libico si dice pronto a cooperare per l’attuazione del Piano, dove avrebbe particolare interesse ai settori della formazione e dell’energia. Nell’ambito del processo politico, Meloni ribadisce il sostegno agli sforzi del Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’ONU, Abdoulaye Bathily, per sbloccare l’impasse e favorire un accordo politico di ampio respiro che possa spianare la strada verso le elezioni.

A margine del vertice, la premier incontra il Presidente tunisino Kais Saied. Tra Roma e Tunisi c’è un partenariato che abbraccia tutti i settori della cooperazione bilaterale. Con il Piano Mattei, in Tunisia, verranno potenziate le stazioni di depurazione delle acque non convenzionali per irrigare un’area di otto mila ettari e si creerà un centro di formazione dedicato al settore agroalimentare.

Tra i colloqui, c’è anche il Capo del Governo del Regno del Marocco, Aziz Akhannouch. A quasi vent’anni di distanza dall’ultimo incontro a livello Capi di Governo tra le due nazioni, il colloquio registra il sostegno marocchino al Piano Mattei per l’Africa e al progetto italiano di realizzare un centro di eccellenza per la formazione professionale sul tema delle energie rinnovabili. Trapela dal bilaterale anche la volontà di approfondire la collaborazione in ambito economico ed energetico, attraverso l’organizzazione di un “business forum” in Marocco. Gli altri incontri di Meloni sono con il presidente kenyota, William Samoei Ruto, quello del Mozambico, Filipe Jacinto Nyusi, e il presidente del Senegal, Macky Sall, il presidente dello Zimbabwe, Emmerson Dambudzo Mnangagwa. I lavori hanno permesso anche dei brevi incontri con il primo ministro di Sao Tome e Principe, Patrice Trovoada, e il presidente della Repubblica Centrafricana, Faustin-Archange Touadera. I colloqui proseguono con il primo ministro etiope, Abiy Ahmed Ali, vicepresidente della Costa d’Avorio, Tiémoko Meyliet Kone, il presidente dell’Eritrea, Isaias Aferweki, della Somalia, Hassan Sheikh Mohamud, e della Repubblica del Congo, Denis Sassou-N’Guesso, oltre che il presidente della Banca Africana di Sviluppo, Akinwumi Adesina.

Mentre la premier tesse i dettagli del piano con i singoli Paesi, però, le associazioni ambientaliste salgono sulle barricate. Nel capitolo energia, che è il più importante, le fonti rinnovabili diventano secondarie, lamentano. “Protagonista è ancora il gas, insieme ai disegni Eni sui biocarburanti. È una visione miope sul futuro energetico del Paese e sul concetto di transizione ecologica“, scrivono Greenpeace, Kyoto Club, Legambiente, e Wwf Italia.

L’unico obiettivo del Piano, per gli ecologisti, è quello di trasformare l’Italia in un “hub energetico del gas“, attraverso una cooperazione che passa dall’Africa e “dalle fonti inquinanti, aumentando la dipendenza energetica del Paese“. Una scelta che definiscono “insensata e anacronistica“, di più: “neocoloniale“, come è stato sottolineato in una lettera aperta della società civile africana.
Il Piano sembra lontano dagli impegni di Dubai, dove si è sancito l’impegno a una ‘transition away from fossil fuels’ cioè la fuoriuscita da gas, petrolio e carbone: “l’Italia dovrà dire in che modo intende procedere in tal senso“. Le associazioni chiedono un incontro all’esecutivo per un confronto sul tema e per presentare il “vero piano energetico green e sostenibile che serve al Paese”.