Difesa, il piano di Macron: Proteggere l’Ue sotto lo scudo nucleare francese

Emmanuel Macron vuole “aprire la discussione strategica” sulla protezione dell’Europa con il nucleare francese, in un momento di riavvicinamento tra Mosca e Washington, specificando tuttavia che la decisione di premere il pulsante rimarrebbe “nelle mani” del presidente francese.

Rispondendo alla storica richiesta del futuro cancelliere tedesco (Friedrich Merz), ho deciso di aprire il dibattito strategico sulla protezione dei nostri alleati del continente europeo attraverso la nostra deterrenza”, ha dichiarato il capo dello Stato francese in un discorso televisivo. Tuttavia, “qualunque cosa accada, la decisione è sempre stata e rimarrà nelle mani del presidente della Repubblica, capo delle forze armate”, ha precisato, rispondendo alle critiche di alcuni politici francesi dell’opposizione.

Macron è intervenuto mentre la nuova amministrazione Trump fa temere un disimpegno degli Stati Uniti in Ucraina e una rottura storica della loro alleanza con gli europei.
La minaccia russa è reale e colpisce i paesi europei, colpisce noi”, ha sottolineato il capo dello Stato, ricordando che la Russia ‘ha già trasformato il conflitto ucraino in un conflitto mondiale’, ‘viola i nostri confini per assassinare gli oppositori, manipola le elezioni in Romania e in Moldavia’ e ‘tenta di manipolare le nostre opinioni con bugie diffuse sui social network’. Per Emmanuel Macron, “questa aggressività non sembra conoscere confini” e di fronte a questa situazione, “rimanere spettatori sarebbe una follia”. Secondo lui, “rimaniamo fedeli alla NATO e alla nostra partnership con gli Stati Uniti ma dobbiamo fare di più. Il futuro dell’Europa non deve essere deciso a Washington o a Mosca”.

Tutte queste questioni promettono di essere al centro di un vertice straordinario dell’Unione europea, oggi a Bruxelles, che mira, secondo la presidenza francese, a dimostrare che i Ventisette stanno “accelerando” in questo settore. Subito dopo il suo discorso, Emmanuel Macron ha ricevuto a cena il primo ministro ungherese Viktor Orban, sostenitore di Donald Trump e Vladimir Putin, e una delle voci più discordanti nell’UE.

Secondo Macron, al termine del vertice di oggi “i Paesi membri potranno aumentare le spese militari senza che questo venga considerato nel loro deficit. Verranno decise massicce sovvenzioni comuni per acquistare e produrre sul suolo europeo munizioni, carri armati, armi e attrezzature tra le più innovative”.
Lo scenario di una deterrenza europea si scontra con numerosi ostacoli, tra cui l’autonomia decisionale rivendicata da Parigi. Fin dall’inizio, la dissuasione francese si basa infatti sulla valutazione di una minaccia ai vitali interessi del paese da parte di un solo uomo, il presidente della Repubblica.

Evocando inoltre l’altro tema scottante delle relazioni tra Stati Uniti ed Europa, il presidente francese ha ritenuto necessario preparare l’Europa “a una decisione degli Stati Uniti di imporre tariffe doganali sulle merci europee”, come hanno appena confermato nei confronti di Canada e Messico. “Questa decisione, incomprensibile sia per l’economia americana che per la nostra, avrà conseguenze su alcuni dei nostri settori“, ha avvertito. “Mentre prepariamo la risposta con i nostri colleghi europei, continueremo a fare tutto il possibile per convincere che questa decisione sarebbe dannosa per tutti noi”.

atomo

Nucleare a livelli record nel 2025, Pichetto auspica ok delega entro autunno

L’energia nucleare nel 2025 “è destinata a raggiungere livelli record”. Sarà dunque necessario affrontare le varie sfide correlate, tra cui i costi relativi a questa tecnologia, i ritardi dei progetti e il loro finanziamento. E’ la previsione contenuta nel rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (Aie) presentato nella sede di Confindustria a Roma. Nell’analisi è sottolineato l’impulso che sta avendo il nucleare ultimamente su nuove politiche, progetti, investimenti e progressi tecnologici, vedi gli Small modular reactor (SMR). Dal suo rinnovato slancio, sostiene dunque l’Aie, si può ottenere quel potenziale per aprire una nuova era per questa fonte di energia sicura e pulita, vista la domanda di elettricità fortemente cresciuta in tutto il mondo. La conferma arriva dal direttore esecutivo dell’Aie, Fatih Birol: “Il forte ritorno dell’energia nucleare previsto dall’Agenzia diversi anni fa è ormai ben avviato”, “il nucleare è destinato a generare un livello record di elettricità nel 2025”. E ancora: più di 70 GW di nuova capacità nucleare sono in costruzione a livello globale, “è uno dei livelli più alti degli ultimi 30 anni”, precisa Birol. E più di 40 paesi in tutto il mondo hanno piani per espandere il ruolo del nucleare nei loro sistemi energetici, con gli SMR in particolare che offrono un potenziale di crescita notevole. Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin sposa il percorso: “Il dovere mio, del governo e del parlamento è mettere il Paese nelle condizioni di poter scegliere tra 3-4 anni”. Quanto allo schema di ddl delega al Governo in materia di nucleare sostenibile, il Mase lo ha inviato nei giorni scorsi a Chigi. “Sono state fatte alcune piccole modifiche”, precisa il ministro. Al suo interno c’è la trasformazione dell’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin) in ente certificatore, mentre Arera rimane l’ente regolatore. L’obiettivo ora è inserirlo “quando faremo un Consiglio dei ministri che vada anche oltre la contingenza attuale”. Il ddl “è pronto, può darsi che arrivi presto in Cdm insieme al dl Bollette”. La speranza è che poi il parlamento “riesca, senza comprimere nel modo più assoluto il dibattito, ad approvare la delega entro l’autunno”. Della stessa opinione Confindustria. “Se vogliamo garantire al Paese di avere energia sicura, energia a prezzi competitivi e un futuro decarbonizzato – afferma Aurelio Regina, delegato del presidente di Confindustria per l’energianon possiamo che puntare sul nucleare”. Però prima si deve intervenire sul meccanismo di formazione del prezzo. “Abbiamo un differenziale di prezzo con Germania, Francia e Spagna oggi ingiustificato ed è dovuto principalmente al nostro mix produttivo”, termina Regina.

Fukushima

Clima, il Giappone punta a ridurre le emissioni del 60% entro il 2035 rispetto al 2013

Il Giappone si è impegnato a ridurre le emissioni di gas serra del 60% entro il 2035 rispetto al 2013, nell’ambito di un piano climatico con obiettivi ambiziosi, accompagnato da una revisione della strategia energetica. La quarta economia mondiale, ancora molto dipendente dai combustibili fossili e accusata di avere il mix energetico più inquinante tra le potenze del G7, si è già posta l’obiettivo di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.

L’impegno annunciato oggi fa parte del nuovo “contributo determinato a livello nazionale” (NDC) che Tokyo, come tutti i Paesi firmatari dell’Accordo di Parigi sul clima del 2015, avrebbe dovuto presentare all’Onu entro il 10 febbraio. Secondo i dati delle Nazioni Unite, solo dieci dei quasi 200 paesi interessati lo hanno fatto in tempo.

L’obiettivo deve essere raggiunto nel corso dell’esercizio finanziario giapponese 2035, che si concluderà alla fine di marzo 2036. L’arcipelago mira inoltre a ridurre le proprie emissioni del 73% entro il 2040, sempre rispetto al 2013, ha precisato il Ministero giapponese dell’Ambiente. “Questi ambiziosi obiettivi sono in linea con l’obiettivo globale” previsto dall’Accordo di Parigi, che mira a limitare il riscaldamento globale a meno di 1,5°C rispetto all’era preindustriale, e rientrano nella prospettiva della “neutralità carbonica”, ha sottolineato il ministero.

Nel suo precedente contributo nazionale presentato all’Onu nel marzo 2020, il Giappone si era impegnato a ridurre le proprie emissioni solo del 26% entro il 2030, suscitando aspre critiche da parte di Ong ed esperti del clima. Di conseguenza, un piano più ambizioso, presentato nell’ottobre 2021, ha fissato un obiettivo di riduzione del 46% entro il 2030 rispetto al 2013.

Il nuovo obiettivo “è una grande opportunità mancata per mostrare al mondo la leadership del Giappone nella lotta contro il cambiamento climatico”, ha spiegato all’AFP Masayoshi Iyoda, responsabile per il Giappone dell’Ong ambientalista 350.org. “Gli scienziati hanno avvertito che il Giappone deve ridurre le sue emissioni dell’81% entro il 2035 per allinearsi all’ obiettivo di 1,5 °C. Il primo ministro Shigeru Ishiba ha ceduto alle pressioni dell’industria, che deve molto agli interessi dei combustibili fossili”, si è rammaricato, denunciando “un grave fallimento per una transizione verso un futuro di energia rinnovabile giusto ed equo”.

Le sfide per il Giappone sono enormi. Nel 2023, quasi il 70% del suo fabbisogno di elettricità era soddisfatto da centrali termiche a carbone e idrocarburi. Le importazioni di combustibili fossili, pari al 23% delle importazioni totali del Giappone, costano al Paese l’equivalente di circa 470 milioni di dollari al giorno, secondo i dati doganali giapponesi per il 2024. Per porre rimedio a questa situazione, il governo di Shigeru Ishiba ha annunciato a metà dicembre un progetto preliminare volto a rendere le energie rinnovabili la prima fonte di elettricità del paese entro il 2040, aumentando al contempo il ricorso al nucleare.

Tanto più che Tokyo punta a un aumento del 10-20% della produzione di elettricità del Paese entro il 2040, rispetto al 2023, a fronte di una domanda crescente legata in particolare all’intelligenza artificiale (IA) e alla produzione di semiconduttori. Questo ‘Piano strategico energetico’ è stato perfezionato e dettagliato martedì. Entro il 2040, secondo gli obiettivi adottati, le centrali termiche dovranno rappresentare solo tra il 30 e il 40% del mix elettrico giapponese. Al contrario, la quota di energie rinnovabili nella produzione di elettricità sarà aumentata fino a raggiungere il 40-50%, rispetto al solo 23% nel 2023. L’obiettivo precedentemente fissato era del 38%. Il contributo del solare al mix elettrico dovrebbe salire al 23-29% entro il 2040, quello dell’eolico al 4-8% e quello dell’idroelettrico all’8-10%, secondo le fasce dettagliate.

Inoltre, il nucleare dovrebbe rappresentare il 20% della produzione elettrica entro il 2040, più o meno l’obiettivo già fissato per il 2030, ma al di sotto del 30% che il nucleare civile rappresentava prima del 2011. Quattordici anni dopo la catastrofe di Fukushima, il Giappone vuole che l’energia nucleare svolga un ruolo importante nel soddisfare il crescente fabbisogno energetico. Il governo aveva chiuso tutte le centrali nucleari dell’arcipelago dopo questa tripla catastrofe (terremoto, tsunami, incidente nucleare) ma le ha gradualmente rimesse in funzione, nonostante le proteste, e prevede che tutti i suoi reattori esistenti saranno attivi entro il 2040.

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Nucleare, restano dubbi su costi e rischi. Ma per le imprese è fondamentale

Il nucleare è “fondamentale” per le imprese, ma restano diversi punti interrogativi su costi e rischi. L’indagine conoscitiva delle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera allarga ancora l’orizzonte verso la tecnologia scelta dal governo per arrivare all’ampliamento del mix energetico futuro dell’Italia.

A Montecitorio è Confindustria a spiegare il punto di vista delle aziende, con una premessa che è anche un allarme lanciato alle istituzioni: “Oggi paghiamo l’energia in maniera consistentemente maggiore rispetto ai partner europei. A gennaio il mercato dell’energia elettrica ha superato i 150 euro al megawattora e il gas naturale ha sfondato quota 50 euro: sono cifre sensibilmente maggiori degli altri Paesi Ue e stanno minando sensibilmente la competitività”, è l’incipit del ragionamento condotto dal delegato del presidente per l’Energia, Aurelio Regina. Il target che auspicano gli industriali è “integrare l’opzione nucleare, che riteniamo fondamentale, nei meccanismi che già oggi in parte operano sulle rinnovabili, in un mercato unico sganciato dalla produzione termoelettrica”.

Sugli strumenti, poi, l’attenzione è focalizzata sugli Small modular reactors, che si prevede entrino in funzione non prima del 2030, “anche se molto probabilmente non sarà ancora del tutto matura”, ammette l’esperto. Anche sui costi resta qualche incertezza. O meglio, al momento “l’unico studio a cui fare riferimento è quello sviluppato da Edison, secondo cui il costo al MWh del nucleare di nuova generazione è simile a quello delle rinnovabili”, dice Regina. Annunciando che entro pochi sarà presentato uno studio Confindustria-Enea proprio per chiarire diversi aspetti del tema, compreso quello economico.

Anche le pmi soffrono “costantemente del prezzo dell’energia, non solo in termini assoluti ma anche relativi”, avverte Confapi, rimarcando la “assoluta esigenza di creare una fonte di energia regolare” come il nucleare.

Ma c’è anche chi suggerisce di tirare il freno a mano su questa tecnologia, come la Fondazione per lo sviluppo sostenibile. Dati alla mano, “la produzione nel 2023 è stata più bassa di quella di vent’anni fa”, superata anche da eolico e fotovoltaico, mette in luce il responsabile Energia, Andrea Barbatella. Che prende a modello le cifre dell’Agenzia internazionale dell’energia: “Eolico e fotovoltaico dispacciano attorno ai 50-60 euro/MWh, mentre il nucleare oltre 160 euro/MWh”. Pure sugli Smr ha qualche dubbio: “Affidare le sorti del clima, quindi dell’umanità, a una promessa non testata dai fatti sembra un rischio eccessivo da correre”.

Altro aspetto che la Camera analizza è quello sanitario, con l’audizione del direttore del Centro nazionale per la protezione dalle radiazioni e fisica computazionale dell’Istituto superiore di Sanità, Francesco Bochicchio. “Il Piano nazionale di emergenza che l’Italia ha prende in esame solo incidenti in impianti posti fuori dal territorio nazionale”, ma dovrebbe considerare anche quelli al suo interno, ecco perché “andrebbe rivisto completamente”. Non solo, ci sono anche altre criticità, come quella legata al trasporto di combustibile nucleare, necessario per i due terzi ogni anno, con “rischi durante questa fase maggiori, come probabilità, rispetto a incidenti o atti dolosi”. E lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, che hanno “entità delle radiazioni emesse e durata dei radionuclidi ben superiori rispetto a quella degli altri rifiuti per usi medici e industriali, anche per migliaia di anni”, spiega Bochicchio.

Il dibattito è in corso, ma il sentiero sembra essere ancora lungo da percorrere per il nucleare. Di certo, per ora, c’è che la strada è aperta.

Pichetto: “Con questi prezzi servirà intervento su gas. Nucleare per far fronte a domanda”

Con i prezzi del gas alle stelle e l’aumento della domanda di elettricità che richiede lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, il tema energia continua a tenere banco nel governo. La strategia è orientarsi su un mix che punti all’autoproduzione, investendo intanto sul nucleare, l’unica tecnologia che, secondo il ministro Gilberto Pichetto, potrà garantirci di far fronte alle esigenze del Paese.

Intanto, però, Mase e Mef ragionano in sinergia sui costi del gas, fa sapere Pichetto, ricordando l’energy release adottato per i grandi energivori. “E’ chiaro che se tenesse questi livelli dovremo intervenire anche sul prezzo complessivo che riguarda tutti, imprese e utenze domestiche“, avverte.

Federconsumatori ha stimato aumenti nel 2025 per 1.000 euro in più a famiglia, e secondo la Cgia di Mestre le imprese italiane dovranno sostenere spese energetiche supplementari per 13,7 miliardi.

Secondo le previsioni, la domanda “esploderà nei prossimi anni”, osserva il ministro, che citando gli analisti prospetta un raddoppio nei prossimi 20 anni. “Dobbiamo andare verso la neutralità, con emissioni zero al 2050, ma per fare questo non possiamo basarci solo sulla produzione di energie neutre odierne”, sottolinea Pichetto. Con l’idroelettrico, il geotermico, il fotovoltaico, l’eolico e l’idrogeno, infatti, non si riuscirebbe secondo il ministro ad avere la continuità necessaria. “Servirà una quota di nuovo nucleare”, insiste.

Sullo strumento da utilizzare, il titolare del dicastero di via Cristoforo Colombo non si sbilancia. Ma, gli fa eco il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti, “se non ci muoviamo per rompere il muro del sospetto rispetto ad alcune tecnologie continueremo a essere dipendenti da Paesi terzi”.

Il copresidente del Gruppo Ecr al Parlamento europeo, Nicola Procaccini, guarda alla fusione, una fonte che “sprigiona un fascino che travolge”, scandisce, intervenendo a un convegno di Fratelli d’Italia su ambiente ed energia, organizzato in Senato. Una “grande prospettiva” anche per il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, che precisa: “Se riusciamo a essere competitivi sulla fissione bene, ma dobbiamo puntare a essere l’avanguardia planetaria della fusione, piuttosto che la retroguardia della fissione”.

Fissione o fusione, resta il nodo costi. “Non c’è energia che non sia integrata a tariffa in Italia”, spiega Pichetto. In questo momento, infatti, lo Stato interviene su tutte le fonti, dal termoelettrico all’eolico, al fotovoltaico, all’idroelettrico e al geotermico. Quando si arriverà a poter utilizzare l’atomo, “si valuterà di quanto integrare”, sostiene, parlando di parificazione nelle stesse modalità delle altre fonti, “per creare il maggior vantaggio possibile al Paese”.

Una prospettiva che non piace alle opposizioni. Pichetto “conferma che il nucleare lo pagheranno gli italiani con l’aumento del costo delle bollette”, mette in guardia il co-portavoce di Europa Verde, Angelo Bonelli. “Hanno ammazzato le rinnovabili, condannando l’Italia alla dipendenza dal gas e al caro bollette – denuncia -. Il risultato? Oltre 60 miliardi di extraprofitti per le grandi società energetiche in due anni e mezzo, una rapina sociale ai danni di famiglie e imprese”.

“Forse il ministro Fratin fino a oggi ha vissuto sulla Luna”, concordano le deputate M5S Emma Pavanelli e Ilaria Fontana, per le quali “sentire da un esponente di governo che, se il prezzo del gas non scende, si dovrà intervenire significa ammettere che fino a ora non hanno fatto nulla”. Per le pentastellate, “servono proposte concrete, come quelle che il Movimento 5 Stelle ha presentato con una mozione alla Camera, invece di parlare di un nucleare che ancora non esiste e di una tecnologia che va avanti a colpi di ricerca e sperimentazione”.

ROBERTO CINGOLANI

Nucleare, spinta dal mondo produttivo. Cingolani: “Si può investire nella IV generazione”

Il nucleare resta il tema principale del dibattito sul futuro dell’energia. Il disegno di legge delega del governo è atteso in uno dei prossimi Consiglio dei ministri, ma già si accendono i riflettori del mondo politico, ma anche di quello produttivo.

In questa partita l’esecutivo può contare sull’appoggio di buona parte delle imprese, da tempo ormai impegnate in quella che un tempo sarebbe stata chiamata ‘l’arte dei salti mortali’ per resistere ai colpi del caro bollette. La parte più difficile – ma questo lo sanno bene dalle parti di Palazzo Chigi e del Mase – sarà semmai la campagna di comunicazione tra i cittadini per convincere gli italiani sull’utilità di inserire anche questa tecnologia nel nostro mix.

Già nelle sue vite precedenti, da professore e ministro dell’Ambiente, Roberto Cingolani è stato uno dei pochi a parlare di nucleare come fonte di approvvigionamento sicura, pulito e stabile, con impatti economici meno gravosi rispetto ad altre forme di energia. Oggi che è a capo di un colosso come Leonardo non ha di sicuro cambiato idea. Anzi: “Ho detto in tempi forse meno popolari che era la tecnologia che produceva meno anidride carbonica per unità di energia e aveva tutta una serie di altri parametri buoni”, ribadisce a margine della presentazione della Fondazione Leonardo Ets. Ma ora “tutti i Paesi stiano capendo che per accelerare la decarbonizzazione il nucleare va potenziato e credo che l’Italia si stia muovendo nella direzione di rivedere la sua posizione in materia”.

Leonardo, assieme a Enel e Ansaldo Energia sta dando vita a una newco che avrà il compito di approfondire la ricerca sul tema. Non c’è ancora la firma, ma Cingolani assicura “si sta procedendo, ci siamo scambiati l’ultima versione, l’accordo è quello, adesso dovremmo trovare il momento per chiudere”.

Il lavoro di questa nuova società potrebbe essere molto utile per le imprese. “La quarta generazione è quella che non fa utilizzo di Uranio 135 e in questo momento, secondo me, nella fase intermedia in attesa della fusione, potrebbe essere qualcosa su cui investire”, sottolinea infatti l’amministratore delegato di Leonardo. Mettendo l’accento sull’importanza di “costruire un percorso che ci porti da oggi alla fusione termonucleare, che sarà la soluzione per l’umanità in futuro. Che poi avvenga in tre decadi, in due decade o 5 decadi questo dipenderà da tante cose”.

Favorevole al nucleare, e non da oggi, è anche Davide Tabarelli. “In questo momento è la prima fonte di produzione in Europa, con circa il 25% e se venissero meno le 56 centrali saremmo messi malissimo: le bollette sarebbero molto più alte e di notte saremmo in blackout”, spiega il presidente di Nomisma Energia in audizione davanti alle commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera. Osando quella che lui stesso definisce una “provocazione”, cioè “cominciare a pensare di riaprire la centrale di Caorso, mettendoci un nuovo reattore, piccolo o grande o quello che stanno costruendo in Polonia”. Proprio per rendere chiara a tutti l’urgenza di riprendere un percorso.

Di cui è straconvinto, ovviamente, il presidente dell’Associazione italiana Nucleare, Stefano Monti, che aspetta lo schema di legge dal governo con ansia. Per essere precisi, sono i decreti attuativi il suo obiettivo principale: “In particolare, è molto importante avanzare rapidamente sulla questione dell’autorità di sicurezza e della comunicazione o è impossibile avviare un programma nucleare nel nostro Paese”.

Il 2025 è l’anno dei record per il nucleare. Pechino si candida a superpotenza mondiale

L’elettricità generata dal nucleare raggiungerà un livello record nel 2025, rappresentando poco meno del 10% della produzione globale, ma il suo centro geografico si sta spostando verso la Cina a scapito di vecchi Paesi nucleari come gli Stati Uniti e la Francia. E’ quanto emerge dal nuovo rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia, ‘The Path to a New Era for Nuclear Energy’, che mostra il nuovo slancio del nucleare sotto forma di nuove politiche, progetti, investimenti e progressi tecnologici, come i piccoli reattori modulari (SMR).

In tutto il mondo sono in costruzione oltre 70 gigawatt di nuova capacità nucleare, uno dei livelli più alti degli ultimi 30 anni. La produzione di energia nucleare, che ha il vantaggio di essere “stabile e flessibile”, ammontava a 2.742 TWh nel 2023 e ha raggiunto i 2.843 TWh nel 2024. Entro il 2025 dovrebbe arrivare a circa 2.900 TWh.
Questa crescita è guidata dall’elettrificazione delle applicazioni, dall’industria al condizionamento dell’aria, dai veicoli elettrici ai data center, in un contesto di crescita dell’intelligenza artificiale, sottolinea l’Aie. Nel 2023 erano in funzione più di 410 reattori in oltre 30 Paesi. “Stiamo entrando in una nuova era per l’energia nucleare”, spiega Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Aie, in un’intervista all’AFP. “Quest’anno, nel 2025, la produzione di energia nucleare sarà la più alta della storia”.

Dopo anni di declino a seguito dell’incidente di Fukushima in Giappone nel 2011, causato da uno tsunami, la ripresa è guidata dalla Cina. Dei 52 reattori la cui costruzione è iniziata in tutto il mondo dal 2017, 25 sono di progettazione cinese. D’altro canto, Paesi come gli Stati Uniti e la Francia stanno prendendo tempo a causa degli alti costi di sviluppo delle centrali. “La geografia globale dell’industria nucleare sta cambiando”, sottolinea Birol, che ricorda che “dal 1970, l’industria nucleare globale è stata guidata da Stati Uniti ed Europa”.

In Europa, il 35% dell’elettricità proveniva dal nucleare negli anni ’90, rispetto a meno del 25% di oggi, e tra dieci anni questa cifra scenderà a meno del 15%. La situazione è simile negli Stati Uniti. “L’industria nucleare sta dando risultati insufficienti in questi Paesi”, dice il direttore dell’Aie. “I progetti sono in media in ritardo di sette anni rispetto alla tabella di marcia e i costi sono 2,5 volte superiori a quelli originariamente previsti. Tra cinque anni, la Cina supererà gli Stati Uniti e l’Unione Europea per diventare la prima potenza nucleare mondiale”.

L’altro problema riguarda le fonti di approvvigionamento dell’industria, che sono troppo concentrate. Oltre il 99% della capacità di arricchimento è attualmente detenuto da quattro società: China National Nuclear Corporation (CNNC) (15%), la russa Rosatom (40%), Urenco (un consorzio britannico-tedesco-olandese, 33%) e la francese Orano (12%). “La Russia da sola rappresenta il 40% della capacità di arricchimento mondiale, il che rappresenta una grande sfida”, avverte Fatih Birol.

L’industria nucleare si sta evolvendo anche con l’emergere di piccoli reattori modulari (SMR), progettati per alimentare siti industriali o produrre calore. Ed è questa la strada che sta cercando di intraprendere anche l’Italia. “I piccoli reattori modulari sono in fase di sviluppo in tutto il mondo, in Cina, Europa, Stati Uniti e Canada”, afferma Fatih Birol. Tra 15 anni, il loro costo “sarà competitivo con l’eolico offshore e i grandi progetti idroelettrici”. “Uno dei motivi del crescente interesse per l’SMR è legato al fabbisogno energetico delle aziende tecnologiche, in particolare di quelle che si occupano di intelligenza artificiale e di centri dati”, che hanno bisogno di elettricità 24 ore su 24, 7 giorni su 7, spiega Birol.

L’Aie propone tre scenari per i prossimi anni, che prevedono tutti un aumento della capacità nucleare mondiale. La capacità globale potrebbe aumentare di oltre il 50% fino a quasi 650 GW entro il 2050, o addirittura raddoppiare con un intervento governativo più incisivo, o superare i 1.000 GW. L’Agenzia
sottolinea che dal 1971 il nucleare ha permesso di evitare 72 gigatonnellate (Gt) di emissioni di CO2 evitando l’uso di carbone, gas naturale o petrolio. Ha inoltre migliorato la sicurezza energetica di molti Paesi, riducendo la loro dipendenza dai combustibili fossili. “Il contributo principale alle emissioni nette zero verrà dall’energia solare, eolica, idroelettrica e geotermica”, afferma Birol. “Ma sarà anche importante utilizzare l’energia nucleare per avere un percorso efficace dal punto di vista dei costi” verso questo obiettivo.

Arrigoni (Gse): “Bollette scese ma non a livelli pre-Covid. Sì nucleare, ma serve deposito unico”

Dalle bollette al nucleare, alle rinnovabili e agli Ets. Il presidente del Gse, Paolo Arrigoni, ospite del #GeaTalk, tocca diversi argomenti. “Preoccuparsi per l’aumento dei costi in bolletta? No, anche se il costo dell’energia elettrica e del gas incidono sui bilanci delle famiglie e delle imprese”, spiega. “Non siamo più ai prezzi del 2022, quando ci fu l’esplosione del caro energia anche conseguente al conflitto russo-ucraino – aggiunge -. Da allora i prezzi diminuiti ma non hanno raggiunto quelli pre-Covid. In Italia il prezzo medio giornaliero dell’energia nel 2024 segna 108 euro/MWh, quindi siamo oltre doppio rispetto agli anni pre-pandemia, ma quello che va segnalato è che il gap di prezzo rispetto ad altri Paesi Ue, che prima era intorno al 15%, è aumentato. In confronto alla Francia siamo a circa il doppio, rispetto alla Germania è circa il 50%, mentre il prezzo del gas bene o male è allineato”. L’autunno di quest’anno “è il meno mite degli ultimi due, probabilmente preannuncia un inverno importante, sta caratterizzando un aumento dei consumi gas che pone un incremento di questa commodity, che si trascina poi il prezzo dell’elettricità”.

Sullo sviluppo delle rinnovabili, Arrigoni invita a “fare attenzione a non dismettere gli investimenti nel gas, che è un fossile, anche se il meno inquinante rispetto a carbone e petrolio, perché è il vettore che servirà nella transizione energetica”. Dunque, “bene fa il governo, a maggior ragione dopo l’esperienza del conflitto in Ucraina e l’affrancamento dal gas russo, a investire in infrastrutture strategiche come i rigassificatori di Livorno e Ravenna. Perché il gas deve accompagnare lo sviluppo delle rinnovabili”. Tra l’altro, “l’obiettivo al 2030 scritto nel Pniec prevede l’installazione di 130 GW di rinnovabili, di cui 80 solare, 28 eolico, il resto idroelettrico e qualcosa sulla geotermia e biomasse. A ottobre del 2024 eravamo a 73 Gw installati, ne mancano 58 e abbiamo a disposizione ancora 6 anni”.

Bene anche le concessioni elettriche a 20 anni, come stabilito da un emendamento alla legge di Bilancio 2025. “Invitare attuali gestori di rete a presentare un piano investimenti per consentire una proroga delle concessioni delle reti di distribuzione è ragionamento che ci sta totalmente. Condivido la scelta governo”, dice il presidente del Gestore servizi energetici. Che tocca anche il tema del nucleare, con idee ben chiare: “Parlo a titolo personale, ritengo che il principale sponsor del nucleare sia la decarbonizzazione, la necessità di contrastare i cambiamenti climatici, di rallentare gli aumenti di temperatura del pianeta. Per fare questo occorre investire sulle rinnovabili per affrancarci dai fossili, ma le fonti trainanti sono fotovoltaico e eolico, che sono intermittenti e non programmabili. In abbinato serve il cosiddetto carico di base”.

Prima, però, il Paese deve liberarsi da paure e chiusure tipo la Sindrome da Nimby, di ‘Not in my backyard’ (‘Non nel mio giardino’), “in primis per realizzare il deposito unico dei rifiuti radioattivi”. Perché, aggiunge Arrigoni, “un Paese serio deve pensare a gestire responsabilmente da sé i rifiuti nucleari, che oggi sono sparsi in una trentina di depositi provvisori e che potrebbero anche presentare problemi di sicurezza. Quindi, meglio farli convergere in un unico deposito”.

Inoltre, è convinto che “il nucleare da fissione di ultima generazione, quello relativo agli Small modular reactor, può dare risposte a meno di dieci anni da oggi”, perché “la premier Meloni ha parlato a Baku di nucleare da fusione, sul quale il governo sta investendo, però la competitività delle imprese e la decarbonizzazione non possono attendere decenni”.

Infine, Arrigoni parla anche degli Ets, “un sistema che sta gravando sulle imprese, tra un po’ graverà anche sul trasporto marittimo”, poi il meccanismo “distinto ma parallelo degli Ets2 che graverà dal prossimo anno e per il 2026 e 2027, attraverso pagamenti sui trasporti su gomma, sull’edilizia residenziale, sul terziario, desta preoccupazione, perché di fatto sono altre tasse”. Ecco perché, Arrigoni avverte: “L’Europa sta correndo, si sta ponendo sempre più obiettivi sfidanti – aggiunge -, occorre fare attenzione, non incrementarli perché sono già sfidanti e traguardarli significa sforzi, impegni, costi dell’energia”.

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Perché anche in Italia c’è bisogno dell’energia nucleare

La domanda di energia, e di energia elettrica in particolare, sta aumentando in tutto il mondo. Ciò accade non soltanto per lo sviluppo di nuove economie (si pensi a cosa è avvenuto in Asia negli ultimi trenta anni, e a cosa avverrà in Africa nei prossimi trenta): anche le economie già sviluppate, come Stati Uniti d’AmericaCanadaEuropaGiapponeAustralia ecc. vedono una crescita costante dei consumi elettrici. Questo tanto per l’elettrificazione progressiva dovuta alla necessità di decarbonizzazione e di lotta al cambiamento climatico dei processi industriali e dei sistemi di trasporto, quanto perché l’era dell’Intelligenza Artificiale, dei grandi centri di elaborazione dati e della digitalizzazione si presenta come estremamente energivora.

È ormai chiaro a tutti che le energie rinnovabili, in particolare fotovoltaico ed eolico, non bastano perché sole e vento sono intermittenti e non programmabili e quindi non possono soddisfare a pieno le esigenze di base load (energia di base continua) che è indispensabile nei settori industriali, compresi quelli delle nuove tecnologie digitali, ed ancor più nei servizi di base strategici come ospedali, difesa, sicurezza, trasporti e tutela ambientale, che devono funzionare 24 ore su 24. Anche la tecnologia degli accumuli e delle batterie che immagazzinano l’energia prodotta dalle rinnovabili nelle ore di funzionamento sono inefficienti e del tutto insufficienti per i grandi consumi industriali.

In questo contesto, sommariamente delineato, l’utilizzo di energia nucleare torna ad essere un elemento determinante. In molte parti d’Europa e del mondo questo è già realtà. In Italia la transizione energetica nel presente e nel prossimo futuro, oltre che delle rinnovabili, non potrà fare a meno del gas, che comunque ha un’impronta di CO2 decisamente più bassa del carbone, e all’utilizzo del quale possono essere applicate le tecnologie delle CCUS (carbon capture utilisation and storage) di cui parleremo un’altra volta; né potrà fare a meno, soprattutto per le esigenze di base load, del nucleare, che a poco a poco renderà il gas residuale.

La riflessione e il dibattito si sono ufficialmente riaperti nel nostro Paese. Prima con un voto del Parlamento a maggioranza con cui si è stabilito che “al fine di accelerare il processo di decarbonizzazione dell’Italia il Governo deve valutare l’opportunità di reinserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia”, poi con un’iniziativa del Ministro dell’Energia Pichetto Fratin, che ha incaricato un insigne giurista di predisporre uno schema legislativo da sottoporre al Parlamento che sia in grado di superare i limiti e vincoli discendenti dai referendum di moltissimi anni fa.

Nel frattempo si susseguono convegni, approfondimenti, prese di posizione in cui si torna a discutere della questione. La cosa interessante è che i cittadini mostrano una nuova attenzione al tema, e soprattutto che i giovani, liberi da pregiudizi ideologici tipici dell’ambientalismo militante, si dichiarano in maggioranza favorevoli al nucleare. Emerge con sempre maggiore chiarezza che il futuro energetico, completamente decarbonizzato, sta in un mix di rinnovabili e nucleare perché queste tecnologie mostrano una totale complementarietà.

Il nucleare tra l’altro consentirebbe di produrre idrogeno a costi contenuti, cosa che oggi non è se lo si produce con energia verde, e quindi darebbe un fondamentale contributo a risolvere il problema dei processi e settori industriali non elettrificabili (ceramica, cemento, vetro ecc.).

Se si vuole affrontare il tema senza contrapposizioni ideologiche e estremismi vari bisogna andare al merito, ed analizzare oggettivamente i problemi partendo innanzitutto dalla sicurezza e dai costi di questa fonte energetica.

Si parla qui di nucleare di quarta generazione, e cioè di un’evoluzione sostanziale della tecnologia attuale. Molte sono le novità che dovrebbero consentire di avere impianti di questo tipo funzionanti tra una decina d’anni. Parliamo innanzitutto di piccole unità da 250/350 MW (SMR che sta per Small Reactors) dai costi di impianto decisamente più contenuti rispetto a quelli degli impianti tradizionali e quindi abbordabili per investitori privati anche utilizzatori.

Il tema dei costi è uno dei più dibattuti. Gli avversari del nucleare sostengono che questa tecnologia è molto costosa se non la più costosa (vedi buon ultimo il Sindaco di Milano Sala sulle pagine del ‘Corriere della Sera’qualche giorno fa). In realtà molto spesso chi fa questi discorsi incorre in inesattezze. Quando si fa il confronto dei costi di installazione a MW delle varie tecnologie energetiche si deve considerare la loro producibilità: il fotovoltaico funziona da noi non più di 1400 ore l’anno, l’eolico non più di 2500, il nucleare ovviamente per tutte le 8700 ore dell’anno. Ciò significa che il costo della tecnologia va necessariamente correlato alla quantità di energia prodotta nell’anno. E se si fa questo confronto il nucleare di nuova generazione è imbattibile.

Inoltre, come è stato giustamente rilevato, i costi vanno considerati tutti, non solo quelli di generazione dell’energia. Una parte significativa dei costi odierni, anche delle rinnovabili, sono i costi accessori. Lo sanno bene le famiglie e le imprese perché leggono sulle bollette che la componente energia vale circa un terzo del prezzo totale. E ciò si deve appunto in gran parte ai costi accessori destinati a crescere esponenzialmente in uno scenario di sole rinnovabili. Si tratta di costi di sbilanciamento e cioè di supporto alla rete quando non c’è sole e non c’è vento, e di costi di trasporto e distribuzione, perché spesso le rinnovabili sono lontane dalla domanda, come succede oggi in Italia. Pannelli fotovoltaici e torri eoliche, infatti, sono installati prevalentemente al Sud quando il grosso dei consumi è al nord.

Il nucleare di quarta generazione, poi, affronta in maniera radicale il problema della sicurezza. Parliamo di impianti progettati per essere estremamente sicuri dal punto di vista strutturale e capaci di utilizzare uranio impoverito riducendo così anche il problema e il costo dello smaltimento delle scorie.

Questi tipi di impianti, per le loro dimensioni contenute, potrebbe essere tranquillamente installati in singoli distretti industriali, supportando così il fabbisogno energetico delle industrie italiane energivore, che pagano oggi l’energia elettrica molto di più di quanto la pagano le loro concorrenti francesi, spagnole e tedesche.

Le imprese siderurgiche italiane hanno recentemente avviato una collaborazione con EDF, Edison, Ansaldo Nucleare proprio sul supporto a progetti di installazione di SMR volti anche a soddisfare la domanda elettrica delle imprese dell’acciaio italiano.

La copertura di una parte dei fabbisogni di energia elettrica di queste imprese con energia nucleare magari comprata in Francia, in attesa che si realizzino gli impianti in Italia, consentirebbe al nostro Paese di essere il primo al mondo a produrre acciaio completamente ‘verde’ e cioè decarbonizzato. Già oggi, infatti, gli elettrosiderurgici italiani consumano energia elettrica prevalentemente prodotta con fonti rinnovabili.

Una bella prospettiva, un obiettivo realistico e ravvicinato che consentirebbe di dire che, come in molti altri campi ambientali e di economia circolare, il nostro Paese è all’avanguardia.

Manovra, completata la lista degli emendamenti ‘segnalati’. Al Parlamento 120 milioni

Adesso il quadro è completo. La seconda tranche dei ‘segnalati’ compone il mosaico degli emendamenti alla legge di Bilancio 2025, su cui ora si procederà con l’iter dei voti in commissione Bilancio alla Camera, per portare il testo in aula per l’approvazione, cui dovrà seguire il secondo passaggio in Senato per il via libera definitivo, a meno che non ci siano modifiche a Palazzo Madama. La deadline insuperabile resta comunque il 31 dicembre.

La scrematura è notevole rispetto agli oltre 4.500 presentati in prima istanza. La maggioranza riduce le proposte di modifica, ma le forze politiche che sostengono il governo non rinunciano ad alcuni capisaldi. In alcuni casi c’è addirittura convergenza su alcune misure: ad esempio sulla sulla necessità di modificare la norma che prevede revisioni del Mef nelle società che direttamente o indirettamente percepiscono contributi pubblici non inferiori a 100mila euro. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, infatti, confermano l’interesse alle rispettive proposte emendative (speculari) che chiedono di innalzare la soglia almeno a 1 milione di euro. FI, comunque, non rinuncia al proprio emendamento che cancella in toto quella parte di Manovra.

Gli azzurri sono molto attivi con 56 ‘segnalazioni’ totali, tra i quali emergono quelli sul rinnovo fino al 2027 dell’alleggerimento degli oneri per mutui e prestiti sottoscritti dagli enti locali, in modo da fornire risorse utili a far fronte alle maggiori spese energetiche. O ancora di stanziare 9 milioni, dal 2025 al 2027, per progetti di rilancio industriale delle aree di Brindisi e Civitavecchia dopo la chiusura delle centrali a carbone. Ma FI tiene anche al rinvio al 2026 della Sugar tax e alla detrazione al 50% della quota Irpef per chi compra un’abitazione di classe energetica A e B entro il 31 dicembre 2027.

Confermato l’interesse pure sugli emendamenti firmati da Noi Moderati, Forza Italia e Azione che, pur da posizioni politiche differenti, chiedono di istituire presso il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica un fondo da 20 milioni per “potenziare le attività di ricerca e sviluppo di tecnologie innovative nel campo dell’energia nucleare da fissione.

La Lega, invece, non rinuncia alle proposte di modifica per aumentare a circa 14,7 miliardi i fondi per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina o al bonus elettrodomestici da 200 euro per l’acquisto di apparecchi con classe energetica non inferiore alla nuova classe B.

Tra le opposizioni il M5S accende i riflettori su 90 emendamenti presentati alla Manovra. Tra questi ci sono anche il ripristino del fondo Automotive e nuovi aiuti per far fronte ai rincari della bolletta energetica. Temi che ora dovranno passare il vaglio della commissione Bilancio, guidata da Giuseppe Mangiavalori, che oggi ha incontrato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, e i rappresentanti delle opposizioni. Lo spazio di manovra lasciato al Parlamento conferma che è di 500 milioni nell’arco temporale di tre anni, ma “per il 2025 sono 120 milioni“.