nucleare

Perché anche in Italia c’è bisogno dell’energia nucleare

La domanda di energia, e di energia elettrica in particolare, sta aumentando in tutto il mondo. Ciò accade non soltanto per lo sviluppo di nuove economie (si pensi a cosa è avvenuto in Asia negli ultimi trenta anni, e a cosa avverrà in Africa nei prossimi trenta): anche le economie già sviluppate, come Stati Uniti d’AmericaCanadaEuropaGiapponeAustralia ecc. vedono una crescita costante dei consumi elettrici. Questo tanto per l’elettrificazione progressiva dovuta alla necessità di decarbonizzazione e di lotta al cambiamento climatico dei processi industriali e dei sistemi di trasporto, quanto perché l’era dell’Intelligenza Artificiale, dei grandi centri di elaborazione dati e della digitalizzazione si presenta come estremamente energivora.

È ormai chiaro a tutti che le energie rinnovabili, in particolare fotovoltaico ed eolico, non bastano perché sole e vento sono intermittenti e non programmabili e quindi non possono soddisfare a pieno le esigenze di base load (energia di base continua) che è indispensabile nei settori industriali, compresi quelli delle nuove tecnologie digitali, ed ancor più nei servizi di base strategici come ospedali, difesa, sicurezza, trasporti e tutela ambientale, che devono funzionare 24 ore su 24. Anche la tecnologia degli accumuli e delle batterie che immagazzinano l’energia prodotta dalle rinnovabili nelle ore di funzionamento sono inefficienti e del tutto insufficienti per i grandi consumi industriali.

In questo contesto, sommariamente delineato, l’utilizzo di energia nucleare torna ad essere un elemento determinante. In molte parti d’Europa e del mondo questo è già realtà. In Italia la transizione energetica nel presente e nel prossimo futuro, oltre che delle rinnovabili, non potrà fare a meno del gas, che comunque ha un’impronta di CO2 decisamente più bassa del carbone, e all’utilizzo del quale possono essere applicate le tecnologie delle CCUS (carbon capture utilisation and storage) di cui parleremo un’altra volta; né potrà fare a meno, soprattutto per le esigenze di base load, del nucleare, che a poco a poco renderà il gas residuale.

La riflessione e il dibattito si sono ufficialmente riaperti nel nostro Paese. Prima con un voto del Parlamento a maggioranza con cui si è stabilito che “al fine di accelerare il processo di decarbonizzazione dell’Italia il Governo deve valutare l’opportunità di reinserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia”, poi con un’iniziativa del Ministro dell’Energia Pichetto Fratin, che ha incaricato un insigne giurista di predisporre uno schema legislativo da sottoporre al Parlamento che sia in grado di superare i limiti e vincoli discendenti dai referendum di moltissimi anni fa.

Nel frattempo si susseguono convegni, approfondimenti, prese di posizione in cui si torna a discutere della questione. La cosa interessante è che i cittadini mostrano una nuova attenzione al tema, e soprattutto che i giovani, liberi da pregiudizi ideologici tipici dell’ambientalismo militante, si dichiarano in maggioranza favorevoli al nucleare. Emerge con sempre maggiore chiarezza che il futuro energetico, completamente decarbonizzato, sta in un mix di rinnovabili e nucleare perché queste tecnologie mostrano una totale complementarietà.

Il nucleare tra l’altro consentirebbe di produrre idrogeno a costi contenuti, cosa che oggi non è se lo si produce con energia verde, e quindi darebbe un fondamentale contributo a risolvere il problema dei processi e settori industriali non elettrificabili (ceramica, cemento, vetro ecc.).

Se si vuole affrontare il tema senza contrapposizioni ideologiche e estremismi vari bisogna andare al merito, ed analizzare oggettivamente i problemi partendo innanzitutto dalla sicurezza e dai costi di questa fonte energetica.

Si parla qui di nucleare di quarta generazione, e cioè di un’evoluzione sostanziale della tecnologia attuale. Molte sono le novità che dovrebbero consentire di avere impianti di questo tipo funzionanti tra una decina d’anni. Parliamo innanzitutto di piccole unità da 250/350 MW (SMR che sta per Small Reactors) dai costi di impianto decisamente più contenuti rispetto a quelli degli impianti tradizionali e quindi abbordabili per investitori privati anche utilizzatori.

Il tema dei costi è uno dei più dibattuti. Gli avversari del nucleare sostengono che questa tecnologia è molto costosa se non la più costosa (vedi buon ultimo il Sindaco di Milano Sala sulle pagine del ‘Corriere della Sera’qualche giorno fa). In realtà molto spesso chi fa questi discorsi incorre in inesattezze. Quando si fa il confronto dei costi di installazione a MW delle varie tecnologie energetiche si deve considerare la loro producibilità: il fotovoltaico funziona da noi non più di 1400 ore l’anno, l’eolico non più di 2500, il nucleare ovviamente per tutte le 8700 ore dell’anno. Ciò significa che il costo della tecnologia va necessariamente correlato alla quantità di energia prodotta nell’anno. E se si fa questo confronto il nucleare di nuova generazione è imbattibile.

Inoltre, come è stato giustamente rilevato, i costi vanno considerati tutti, non solo quelli di generazione dell’energia. Una parte significativa dei costi odierni, anche delle rinnovabili, sono i costi accessori. Lo sanno bene le famiglie e le imprese perché leggono sulle bollette che la componente energia vale circa un terzo del prezzo totale. E ciò si deve appunto in gran parte ai costi accessori destinati a crescere esponenzialmente in uno scenario di sole rinnovabili. Si tratta di costi di sbilanciamento e cioè di supporto alla rete quando non c’è sole e non c’è vento, e di costi di trasporto e distribuzione, perché spesso le rinnovabili sono lontane dalla domanda, come succede oggi in Italia. Pannelli fotovoltaici e torri eoliche, infatti, sono installati prevalentemente al Sud quando il grosso dei consumi è al nord.

Il nucleare di quarta generazione, poi, affronta in maniera radicale il problema della sicurezza. Parliamo di impianti progettati per essere estremamente sicuri dal punto di vista strutturale e capaci di utilizzare uranio impoverito riducendo così anche il problema e il costo dello smaltimento delle scorie.

Questi tipi di impianti, per le loro dimensioni contenute, potrebbe essere tranquillamente installati in singoli distretti industriali, supportando così il fabbisogno energetico delle industrie italiane energivore, che pagano oggi l’energia elettrica molto di più di quanto la pagano le loro concorrenti francesi, spagnole e tedesche.

Le imprese siderurgiche italiane hanno recentemente avviato una collaborazione con EDF, Edison, Ansaldo Nucleare proprio sul supporto a progetti di installazione di SMR volti anche a soddisfare la domanda elettrica delle imprese dell’acciaio italiano.

La copertura di una parte dei fabbisogni di energia elettrica di queste imprese con energia nucleare magari comprata in Francia, in attesa che si realizzino gli impianti in Italia, consentirebbe al nostro Paese di essere il primo al mondo a produrre acciaio completamente ‘verde’ e cioè decarbonizzato. Già oggi, infatti, gli elettrosiderurgici italiani consumano energia elettrica prevalentemente prodotta con fonti rinnovabili.

Una bella prospettiva, un obiettivo realistico e ravvicinato che consentirebbe di dire che, come in molti altri campi ambientali e di economia circolare, il nostro Paese è all’avanguardia.

Manovra, completata la lista degli emendamenti ‘segnalati’. Al Parlamento 120 milioni

Adesso il quadro è completo. La seconda tranche dei ‘segnalati’ compone il mosaico degli emendamenti alla legge di Bilancio 2025, su cui ora si procederà con l’iter dei voti in commissione Bilancio alla Camera, per portare il testo in aula per l’approvazione, cui dovrà seguire il secondo passaggio in Senato per il via libera definitivo, a meno che non ci siano modifiche a Palazzo Madama. La deadline insuperabile resta comunque il 31 dicembre.

La scrematura è notevole rispetto agli oltre 4.500 presentati in prima istanza. La maggioranza riduce le proposte di modifica, ma le forze politiche che sostengono il governo non rinunciano ad alcuni capisaldi. In alcuni casi c’è addirittura convergenza su alcune misure: ad esempio sulla sulla necessità di modificare la norma che prevede revisioni del Mef nelle società che direttamente o indirettamente percepiscono contributi pubblici non inferiori a 100mila euro. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia, infatti, confermano l’interesse alle rispettive proposte emendative (speculari) che chiedono di innalzare la soglia almeno a 1 milione di euro. FI, comunque, non rinuncia al proprio emendamento che cancella in toto quella parte di Manovra.

Gli azzurri sono molto attivi con 56 ‘segnalazioni’ totali, tra i quali emergono quelli sul rinnovo fino al 2027 dell’alleggerimento degli oneri per mutui e prestiti sottoscritti dagli enti locali, in modo da fornire risorse utili a far fronte alle maggiori spese energetiche. O ancora di stanziare 9 milioni, dal 2025 al 2027, per progetti di rilancio industriale delle aree di Brindisi e Civitavecchia dopo la chiusura delle centrali a carbone. Ma FI tiene anche al rinvio al 2026 della Sugar tax e alla detrazione al 50% della quota Irpef per chi compra un’abitazione di classe energetica A e B entro il 31 dicembre 2027.

Confermato l’interesse pure sugli emendamenti firmati da Noi Moderati, Forza Italia e Azione che, pur da posizioni politiche differenti, chiedono di istituire presso il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica un fondo da 20 milioni per “potenziare le attività di ricerca e sviluppo di tecnologie innovative nel campo dell’energia nucleare da fissione.

La Lega, invece, non rinuncia alle proposte di modifica per aumentare a circa 14,7 miliardi i fondi per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina o al bonus elettrodomestici da 200 euro per l’acquisto di apparecchi con classe energetica non inferiore alla nuova classe B.

Tra le opposizioni il M5S accende i riflettori su 90 emendamenti presentati alla Manovra. Tra questi ci sono anche il ripristino del fondo Automotive e nuovi aiuti per far fronte ai rincari della bolletta energetica. Temi che ora dovranno passare il vaglio della commissione Bilancio, guidata da Giuseppe Mangiavalori, che oggi ha incontrato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, e i rappresentanti delle opposizioni. Lo spazio di manovra lasciato al Parlamento conferma che è di 500 milioni nell’arco temporale di tre anni, ma “per il 2025 sono 120 milioni“.

Meloni a Baku: “Al momento no alternativa a fossili”. Pichetto: “Nodo contribuzioni”

L’Italia è in prima linea per raggiungere gli obiettivi climatici fissati a Dubai, ma al momento “non c’è alternativa ai combustibili fossili”. Giorgia Meloni non lancia il cuore oltre l’ostacolo dal palco della Cop29 di Baku, in Azerbaigian, dove fa una ‘toccata e fuga’ per intervenire in presenza, prima di riprendere l’aereo per Roma.

Dalla Cop la premier rilancia la necessità di adottare un approccio pragmatico e “non ideologico” per la decarbonizzazione, sfruttando tutte le tecnologie a disposizione. Anche per questo, gli sforzi di Roma si concentrano sulla fusione nucleare, che potrà fornire in futuro energia illimitata a una popolazione mondiale in continua espansione.

I negoziati non saranno semplici, ricorda in radio il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto. Quella di Baku è destinata a essere considerala una Cop delle assenze. Non ci saranno il presidente americano uscente Joe Biden, la presidente della Commissione europea Von der Leyen, il francese Macron, il cancelliere tedesco Scholz, il presidente cinese Xi Jinping, il presidente indiano Modi e il brasiliano Lula, nonostante riceva il testimone della prossima conferenza delle parti, che si terrà proprio in Brasile.
Per Pichetto, che sarà a Baku da lunedì 18, pesa non poco “il cambio al governo negli Stati Uniti“. Uno dei temi è determinare le regole per le contribuzioni sui Paesi in via di sviluppo, che al momento, ricorda, “è su base volontaria“. Essendo un meccanismo volontaristico, osserva, non è “completamente equilibrato“, in questi dieci giorni serviranno “confronti serrati” per arrivare al documento finale.

La premier richiama tutti alla cooperazione per raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030, “a partire dai maggiori emettitori” e avendo a disposizione un “supporto finanziario adeguato”. Si lavora per raggiungere nuovi obiettivi finanziari, un compromesso efficace, ma, insiste, “c’è bisogno di responsabilità condivise, c’è bisogno di superare le divisioni, le divergenze tra i paesi emergenti e quelli già sviluppati”.

Come tutte le altre Cop, il successo dipenderà dai governatori dei singoli Paesi: “Sappiamo che potremmo non trarre dei benefici personali dagli sforzi che stiamo facendo – ammette Meloni -, ma questa non è la cosa importante”. La leader italiana torna sul tema della maternità: “Io sono una madre e come madre nulla mi dà più soddisfazione di quando lavoro per delle politiche che permetteranno a mia figlia e alla sua generazione di vivere in un mondo migliore”, scandisce. E prende in prestito le parole del filosofo statunitense William James: “L’azione è quello che fa la differenza, perché lo farà”.

Nucleare, Pichetto conferma dialogo su newco. Meloni: “Fissione ponte per fusione”

Il Gruppo Mondiale per l’Energia da Fusione si riunisce per la prima volta a Roma, alla Farnesina, su iniziativa dell’Italia e dell’Aiea. Il governo punta tutto sull’atomo, tanto che a Roma proseguono le trattative per una newco tra Enel, Ansaldo e Leonardo che si occupi di produrre mini-centrali di nuova generazione. Gilberto Pichetto lo conferma, ma non si sbilancia: “C’è una interlocuzione, ma non ancora un punto di convergenza sui soggetti che possono partecipare. Quello che possiamo dire è che il soggetto dovrebbe avere un ruolo importante nel sistema“, spiega in conferenza stampa.

Pichetto incontra la stampa con il direttore dell’Aiea, Rafael Grossi, in una pausa dei lavori del gruppo, che riunisce i più importanti rappresentanti dei settori pubblico e privato, dell’industria, del mondo accademico, degli enti di ricerca e della società civile.
Lo scopo è quello stimolare una collaborazione incentrata sulla ricerca, sullo sviluppo e sulle applicazioni dell’energia da fusione, per accelerare la transizione dell’energia da fusione dall’attuale fase di ricerca a quella dello sviluppo commerciale.

Con la ‘Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile‘, istituita dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, si è già avviato un percorso per valutare l’opportunità di riprendere l’utilizzo dell’energia nucleare in Italia, sia a breve-medio termine tramite le nuove tecnologie da fissione nucleare, sia a medio-lungo termine con l’energia da fusione, per raggiungere gli obiettivi di de-carbonizzazione al 2050 e per accrescere la sicurezza e la sostenibilità degli approvvigionamenti di energia.

Proprio la fissione di quarta generazione può fare da ponte “dall’idrocarburo alla futura fusione“, prospetta Giorgia Meloni, in un messaggio inviato al tavolo e letto dal sottosegretario Alfredo Mantovano. La premier non partecipa in presenza, bloccata da un’influenza, ma ribadisce l’importanza della tecnologia per il governo: “L’Italia – rivendica – resta il più nucleare tra i Paesi non nucleari“. Si colloca all’ottavo posto in Europa per numero di addetti, circa 40.000, “è un punto di riferimento della catena di approvvigionamento internazionale, dispone di un’expertise tecnologica di altissimo livello, il sistema universitario forma un numero importante di ingegneri, di fisici nucleari apprezzati a livello internazionale, le realtà d’eccellenza si distinguono per ambiziosi progetti di ricerca e di sviluppo“, spiega la presidente del Consiglio. Se lo scopo è quello di portare avanti una transizione energetica “sostenibile e non ideologica“, per farlo, garantisce Meloni, saranno usate “tutte le tecnologie, quelle già in uso, quelle che stiamo sperimentando, quelle che dobbiamo ancora scoprire“.

I tempi per la fusione dipenderanno da quanto ingenti saranno gli investimenti, ma Grossi azzarda prospettive molto ottimistiche: “Siamo in un momento in cui il processo passa dalla fase di pura ricerca alla dimostrazione e poi alla commercializzazione. Credo 5-10 anni, ma si vedrà, all’orizzonte si intravede un risultato possibile e a portata di mano“, afferma.

Al momento, gli investimenti di Stato si concentrano tramite Enea su Euratom e Iter. “Siamo sull’ordine dei centinaia di milioni, non oltre“, fa sapere Pichetto. Si cercherà di coinvolgere massicciamente i privati e la speranza è che gli incentivi non serviranno, “che la competitività porti a una condizione tale per cui non sarà necessario intervenire con integrazioni pubbliche sul sistema“, spiega.

Il tema energetico è diventato fondamentale per l’intera Europa. L’iniziativa voluta dall’Italia avviene in un “momento critico“, osserva la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson, riferendosi alle alluvioni che hanno colpito la Spagna, “segnali di qualcosa che non va nel pianeta, di una crisi climatica in corso“, risultato “dell’uso scriteriato dei fossili“. Al tempo stesso però, ammette, “il mondo ha bisogno di sempre più energia”. E’ necessario quindi che questa sia “sicura e pulita“, come quella “rivoluzionaria” che potrà offrire la fusione.

La Commissione per il momento ha inserito il nucleare nella tassonomia delle attività economiche sostenibili, “cosa che schiude anche importanti prospettive, cioè il nucleare non è inquinante“, scandisce il padrone di casa, Antonio Tajani, aprendo i lavori dell’evento inaugurale, a livello ministeriale, del Gruppo. La lotta contro il cambiamento climatico, afferma, va fatta “con intelligenza, con scelte pragmatiche“. E la scelta del nucleare, insiste, va in questa direzione, perché “riesce a conciliare crescita, politica industriale e ambiente“, perché ribadisce il vicepremier: “Non è detto che la lotta al cambiamento climatico e la politica industriale siano due cose inconciliabili, anzi sono scelte che si possono conciliare benissimo“.

Il tema sarà protagonista della Cop29, che si apre la prossima settimana a Baku, dall’11 al 22 novembre. “L’energia nucleare svolge un ruolo fondamentale, come la capacità di essere pulita, che utilizza una quantità minima di risorse e a basse emissioni di carbonio“, chiosa il ministro dell’Energia dell’Azerbaigian Parviz Shahbazov. Le nuove sfide sono quelle di “rafforzare le norme per una corretta gestione delle scorie radioattive, il sostegno finanziario e l’aumento della fiducia del pubblico“. Il Paese, storico produttore di idrocarburi, punta a cambiare passo sulla la decarbonizzazione: “Siamo mettendo in pratica progetti su larga scala per portare le rinnovabili nel Paese al 35%. Siamo capofila nella transizione energetica nella Regione avendo creato dei corridoi energetici. La priorità – sostiene – è diventare un Paese a crescita verde“. Per questo, gli “smr possono essere un grande sostegno“.

Green Deal, Meloni: “Effetti disastrosi sull’industria”. Avs-M5S: “La crisi è colpa sua”

L’approccio “ideologico” delle politiche ambientali europee ha effetti “disastrosi” sull’industria, perché “inseguire la decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione è un suicidio, ed è una strada che noi non intendiamo seguire“. Ancora una volta, Giorgia Meloni denuncia le conseguenze del Green Deal, che derubrica a un “errore del passato” da non ripetere.

In un messaggio inviato per il decennale dell’Associazione italiana Pressure equipment, che rappresenta i produttori italiani che operano nel settore degli apparecchi in pressione, ricorda che il suo esecutivo, fin dall’insediamento, lavora per mettere le imprese e i lavoratori “nelle condizioni di esprimere al massimo il loro potenziale, non creando difficoltà e ostacoli”.
La ricetta del governo per la transizione ecologica parte dal principio di neutralità tecnologica: “Abbiamo bisogno di tutte le tecnologie che ci permettono di trasformare l’economia da lineare a circolare, e tutte le tecnologie utili alla transizione devono essere prese in considerazione“, spiega la premier.

Non parla solo di rinnovabili, ma anche di gas, biocarburanti, idrogeno, cattura dell’anidride carbonica e, non ultima, la “grande prospettiva” che arriva dalla possibilità di produrre, in un futuro che definisce “non troppo lontano“, energia dal nucleare da fusione. “L’Italia è la Patria di Enrico Fermi, e su questo fronte non è seconda a nessuno, grazie all’expertise tecnologico di cui disponiamo, alla nostra formazione accademica superiore e all’attività di ricerca e sviluppo, portata avanti dai nostri centri d’eccellenza e dal nostro sistema produttivo“, rivendica, considerando la fusione un “obiettivo nel quale possiamo e dobbiamo credere“.

Parole che non piacciono alle opposizioni. “E’ la presidente Meloni che porta al suicidio la nostra economia non il Green deal“, tuona Angelo Bonelli, che grida alla “miopia” e alla “totale mancanza di visione” di fronte all’emergenza climatica in atto. Le “lobby del fossile – denuncia – si ostinano a mantenere lo status quo“. Intanto, ricorda Bonelli, la devastazione degli eventi meteo estremi legati alla crisi climatica e ai danni economici e sociali, ogni anno costano all’Italia 300 euro per abitante “un record in Europa“.

Meloni “frigna“, accusano i parlamentari delle commissioni Attività Produttive di Senato e Camera del Movimento 5 Stelle, ma “la crisi è colpa del suo immobilismo”: “Con i patrioti alla gricia, del resto, è sempre colpa di qualcun altro”, scrivono. Certi “piagnistei“, sostengono, “cominciano a stancare, in primis agli imprenditori italiani, i quali sanno benissimo che anche quest’anno in manovra rimarranno all’asciutto“. I pentastellati definiscono Transizione 5.0 un “reticolo informe di ostacoli burocratici, creato ad hoc per far sì che le imprese rinuncino a priori a investire su sé stesse“. E parlano del “down” in cui sta sprofondando il settore delle costruzioni, dall’eliminazione del Superbonus: “Dopo due anni di becera e fasulla narrazione sui bonus edilizi, presto Meloni si accorgerà che la paralisi dell’edilizia porterà con sé nell’abisso tanti altri segmenti industriali“, osservano i parlamentari, chiedendo che si eviti un “impresicidio di massa“.

Urso: Nuovo tavolo Stellantis. Orsini: Impensabile aspettare modifiche Green Deal

Il confronto tra il governo e Stellantis non si ferma. Adolfo Urso, convoca un nuovo tavolo con l’azienda: “Ci vogliamo confrontare con la nostra multinazionale“, spiega, assicurando che farà capire al gruppo che “deve restare in Italia, perché l’ecosistema che c’è qui non c’è da nessun’altra parte nel mondo“.

Il ministro si dice soddisfatto dell’unità d’intenti che si è trovata in Parlamento, in occasione dell’audizione dell’ad Carlos Tavares: “Cancelliamo il passato, è nata unità nel Parlamento nelle condizioni da porre a Stellantis. Questa unità va mantenuta e crediamo sia un bene prezioso del Paese”, scandisce.

Urso parla dal palco dell’assemblea generale di Assolombarda. Spiega che da due anni tutta la politica industriale messa in campo è stata “assertiva” e che l’Italia in Europa ha guidato la battaglia contro l’Euro 7 (“sarebbe stata una tagliola impossibile”) e quella sul regolamento del packaging (“sempre a tutela dell’industria”).

Oggi, soprattutto sull’anticipo della revisione sullo stop ai motori endotermici a partire dal 2035, ancora una volta, la parola d’ordine è “velocità“. Per questo motivo il ministro italiano ha presentato in Europa un non-paper sull’auto. “Se vogliamo mantenere gli obiettivi del green deal, dobbiamo creare le condizioni per raggiungerli“, sostiene Urso. Si tratta, per l’inquilino di Palazzo Piacentini, di “cambiare le condizioni” per raggiungere questi obiettivi. La ricetta di Roma passa per un fondo con risorse comuni regolato da un piano automotive europeo, una piena visione di neutralità tecnologica (“perché nessuno aveva previsto la pandemia, la rottura degli approvvigionamenti, l’aggressione della Russia in Ucraina e l’escalation in Medio Oriente“, ricorda Urso) e per l’indipendenza sulle materie prime critiche, estraendo dal sottosuolo europeo quello che serve al Continente.

Anche gli industriali chiedono di non concentrarsi solo sull’elettrico. Propongono una riflessione molto più ampia sull’energia, considerata il problema numero uno dell’Italia, dove i costi sono di molto superiori agli altri Paesi competitor, anche europei.
La via individuata è quella del nucleare, con gli small modular reactor. Entro fine dell’anno, assicura Urso, sarà predisposto un quadro legislativo per garantire che anche in Italia si possano installare “reattori di terza generazione avanzata e di quarta generazione“: “Il nucleare deve tornare a essere l’orgoglio del Made in Italy“, afferma. L’impegno del Mimit è anche quello di realizzare una newco italiana con partnership tecnologica straniera per i reattori di terza generazione.
L’energia per noi significa indipendenza strategica. Gli smr sono la via, lo hanno detto anche Google e Amazon”, osserva il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini. E l’energia nucleare, precisa il presidente di Assolombarda, Alessandro Spada, “è un esempio concreto” del “cambio di passo necessario” per la futura politica industriale europea in un’ottica di transizione green. Per gli industriali lombardi è una “fonte imprescindibile“, insieme al gas naturale, alle rinnovabili, all’idrogeno, per assicurare una “equilibrata e sostenibile strategia di transizione energetica“. L’investimento porterebbe anche un incremento significativo in termini di crescita e di posti di lavoro. Secondo alcuni studi, 20 impianti small modular reactor porterebbero a più di 50 miliardi di euro di Pil aggiuntivi, attivando fino a 117mila occupati dal 2030 al 2050. “Non possiamo rischiare di ritrovarci nel 2030 a vedere i risultati degli altri – mette in guardia Spada – mentre noi stiamo ancora discutendo“.

Nucleare, Pichetto: “A inizio 2025 in Parlamento il disegno di legge”. Il Governo valuta l’uso degli impianti esistenti per le scorie

La road map è chiara: entro fine ottobre i risultati del lavoro della Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile, poi entro la fine del 2024 una bozza di testo per la legge-delega che possa abilitare la produzione da fonte nucleare tramite le nuove tecnologie nucleari sostenibili e, nei primi mesi del 2025, il vaglio del Parlamento proprio sul testo. Nel mezzo, lo studio del quadro giuridico, avanti con la ricerca e l’ipotesi di “ammodernare le strutture esistenti, eventualmente ampliandole”, per il deposito delle scorie radioattive. Senza dimenticare la valutazione della “necessità di istituire un soggetto attuatore nazionale, in grado di mettere a sistema il lavoro sin qui sviluppato”.

DECARBONIZZAZIONE AL 2050. L’audizione presso le Commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera è l’occasione per il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, per fare il punto sul ruolo dell’energia nucleare nella transizione energetica. E su questo il titolare del Mase non ha dubbi: “sarà centrale anche in un’ottica di decarbonizzazione al 2050” in modo “sostenibile, sicuro e competitivo”, senza “preconcetti ideologici o politici” e “abilitando tutte le tecnologie, sia quelle esistenti sia quelle future”. Buone sarebbero anche “le ricadute sul Pil”, perché produrre energia nucleare in Italia consentirebbe di “aumentare l’occupazione”, e di rappresentare “un motore per il settore industriale nazionale”, capace anche di ridurre la dipendenza dalla Cina, leader nei settori “del fotovoltaico e dei sistemi di accumulo elettrochimici”. Inoltre, “non produce emissioni di CO2” e “tutela il paesaggio” perché richiede uno scarso consumo di suolo.

PICCOLI IMPIANTI MODULARI. Pichetto garantisce che non si sta ragionando per “riaprire le centrali nucleari di grandi dimensioni della prima o seconda generazione”, ma solo sui “piccoli impianti modulari, i cosiddetti Small Modular Reactor, che presentano livelli di sicurezza molto superiori alla grande maggioranza” delle strutture esistenti. Nucleare di terza o quarta generazione, dunque, da integrare – come ricorda “la letteratura scientifica” – con le rinnovabili “non programmabili (eolico e fotovoltaico)”, per arrivare a una quota tra l’11% e il 22% del totale dell’energia richiesta al 2050. “In base ai dati tecnici forniti dalla Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibiledice Pichettoè stato possibile prevedere anche una piccola quota di energia da fusione a ridosso dell’anno 2050″.

IL GRUPPO DI LAVORO.  Il lavoro da fare, però, è tanto. Entro la fine del mese la Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile presenterà i suoi risultati che “rappresenteranno una base oggettiva di dati e valutazioni tecniche, non politiche” per tracciare la strada del governo. La Piattaforma è stata istituita presso il Mase in collaborazione con Enea e Rse ed è articolata in sette gruppi di lavoro. Collaborano aziende, industrie, università, enti regolatori, istituti di ricerca e associazioni di categoria. La scelta del nucleare, ricorda Pichetto, non solo è “sostenibile”, ma anche economicamente vantaggiosa. In uno scenario al 2050, integrare il nucleare con le fonti rinnovabili consentirebbe di risparmiare almeno 17 miliardi di euro.

GLI ASPETTI GIURIDICI. Il governo sta lavorando anche sugli aspetti giuridici legati all’utilizzo di questa forma di energia, perché “è necessario un quadro legislativo e normativo chiaramente definito”. Nell’ambito della Piattaforma per il nucleare sostenibile, ha ricordato Pichetto, “sono già state definite una serie di proposte di revisione di aspetti essenzialmente autorizzativi, ma serve un riordino complessivo della normativa del settore, integrandola in un quadro unificato”. Il primo passo del gruppo di esperti, ha annunciato il ministro, è la presentazione entro la fine del 2024 una bozza di testo per la legge-delega che possa abilitare “la produzione da fonte nucleare tramite le nuove tecnologie nucleari sostenibili come gli SMR, AMR e microreattori”. Questo disegno di legge-delega “sarà quindi sottoposto al vaglio parlamentare nei primi mesi del 2025”.

DEPOSITO DELLE SCORIE NUCLEARE. Tasto dolente è quello del Deposito nazionale delle scorie radioattive, la cui mancata definizione è già costata all’Italia una procedura di infrazione da parte della Commissione europea. Ma il processo è lungo, perché per le 51 aree idonee per la costruzione del Deposito serve il completamento della procedura di Valutazione Ambientale Strategica. passaggi burocratici che si uniscono anche alle proteste dei territori. Ma, dice Pichetto, si tratta di una questione “cruciale “per il nostro futuro, che dobbiamo affrontare con la massima serietà e trasparenza”. Ecco perché, annuncia, “negli ultimi tempi stiamo anche valutando soluzioni alternative, con pari livello di sicurezza”, che è quella di “ammodernare le strutture esistenti, eventualmente ampliandole, sfruttando la possibilità di farlo in località potenzialmente già idonee alla gestione in sicurezza di rifiuti radioattivi, anche nell’ottica del rientro dall’estero dei rifiuti ad alta attività che lì si trovano per riprocessamento da diversi anni”. Si tratta di 100 depositi su 22 siti, distribuiti su tutto il territorio nazionale “perché in Italia di producono dai 300 ai 500 metri cubi di rifiuti medicali di bassa e media attività all’anno”. “Spesso si tratta di strutture, presenti al Sud, al Centro e al Nord, isole comprese – ricorda – con le quali il territorio convive da molti anni e che in alcuni casi necessitano semplicemente di un ammodernamento in termini strutturali e tecnologici”.

LA REPLICA DELL’OPPOSIZIONE. Per Angelo Bonelli, portavoce di Europa Verde e parlamentare di Avs, Pichetto “non ha risposto” in merito agli “impatti economici che graveranno sulla finanza pubblica” e “ha omesso di sottolineare che i reattori SMR sono ancora solo prototipi e che gli Stati Uniti hanno abbandonato il progetto Nuscale a causa dei costi eccessivi”. Sul piede di guerra anche il Movimento 5 Stelle. “La narrazione del ministro Pichetto Fratin sugli scenari del nucleare in Italia non ha alcun supporto tecnico”, attacca il deputato Enrico Cappelletti, secondo il quale effettivamente resta il nodo dei costi. “Alcune stime –dice – parlano di 50 miliardi di investimenti, e chi sarà a pagare l’ipotesi di riavviare la produzione di energia nucleare, consapevole che importanti istituti finanziari indicano questa tecnologia tra le più costose?”.

Per il Pd si tratta di “un progetto irrealizzabile, gravato da costi enormi e difficoltà tecniche insormontabili”, ma anche “di un percorso insostenibile sia dal punto di vista ambientale che economico, senza contare i tempi decisamente più lunghi rispetto a quanto finora dichiarato dal governo”, dicono i capigruppo democratici nelle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera, Marco Simiani e Vinicio Peluffo e i deputati Christian Di Sanzo e Augusto Curti.

 

 

 

 

Pichetto: “Le e-car sono il futuro, ma ora diciamo no alla monocultura dell’elettrico”

Le e-car saranno sicuramente il futuro “tra 15-20 anni“, ma per il momento l’Italia dice “no alla monocultura dell’elettrico“. Parola di Gilberto Pichetto. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, ospite del panel sui cambiamenti climatici alla quinta edizione della ‘Venice Soft Power Conference‘, riprende la vecchia ‘battaglia‘ sulla neutralità tecnologica e annuncia una delle prime mosse che il governo intende portare avanti una volta che si sarà insediata la nuova Commissione Ue: “Chiederemo di iscrivere i biocarburanti nella tassonomia europea, allargando il loro uso oltre aviazione e marina“.

Il concetto base non cambia: “Per raggiungere i nostri ambiziosi obiettivi dobbiamo fare in modo che la politica climatica vada di pari passo con la nostra economia e la nostra società”, dunque anche l’Europa deve attivarsi per tenere insieme la tutela ambientale, i target climatici ma anche la sostenibilità per le tasche dei cittadini. Altrimenti “il rischio che si corre è di introdurre riforme e provvedimenti che rendano la transizione ecologica invisa all’opinione pubblica – avverte -. Che il cambiamento sia vissuto come un peso, un limite, non come un’opportunità”. Non a caso, sfruttare appieno le opportunità che arrivano dallo sviluppo della tecnologia è proprio la strada che Roma suggerisce a Bruxelles: “Non abbiamo bisogno di un’Europa proibizionista, ma di un’Europa innovativa che ponga le esigenze economiche, finanziarie e sociali dei suoi cittadini al centro del futuro approvvigionamento energetico”.

In questo senso non si può rinviare ancora la discussione su uno dei temi maggiormente divisivi nel dibattito pubblico e politico. “Sul nucleare il Parlamento si è espresso per andare avanti con ricerca e sperimentazione, ma tutte le forze politiche devono essere coscienti, e ancor di più lo devono essere i cittadini, perché ci sono stati due referendum sul tema, che senza questa tecnologia non ci sono altre forme di energia per raggiungere gli obiettivi”, sia energetici che ambientali.

Le sole fonti alternative non bastano è mantra ripetuto spesso da chi ha responsabilità di governo. Ma Pichetto coglie l’occasione per togliersi anche qualche sassolino dalle scarpe: “Il problema del consenso è fondamentale, anche se colgo qualche contraddizione in chi a Roma ci accusa di essere negazionisti e poi blocca le rinnovabili a livello locale dove governa”. Ogni riferimento al braccio di ferro con la Sardegna sulla legge per le aree idonee dove installare nuovi impianti, appare puramente voluto.

Nel discorso, molto articolato, che il ministro porta al tavolo della discussione a Venezia, c’è anche la necessità di cambiare approccio con i Paesi da cui oggi ci forniamo per gli approvvigionamenti energetici. Primo tra tutti l’Africa. L’Italia ha lanciato da tempo il Piano Mattei: “Il nostro Governo vuole invertire la rotta, puntando a un cambio di prospettiva per costruire con i nostri vicini della sponda Sud del Mediterraneo un rapporto partitario e non predatorio”, assicura Pichetto. Che allarga la riflessione: “Il Piano Mattei incarna una missione storica dell’Italia, che oggi si riprende con orgoglio il proprio spazio” nel Mediterraneo, dove “riveste un ruolo cruciale” anche come “ponte” con l’Europa.

Ma i vantaggi sono potenzialmente più ampi e importanti, per tutti. Perché “la diffusione delle rinnovabili in Nord Africa è un contributo essenziale alla transizione energetica, sia diminuendo le emissioni globali complessive sia fornendo energia pulita da esportare nell’Europa che ne ha bisogno”. La stagione politica è ripresa.

Con guerra in Ucraina e calo del nucleare francese elettricità in Italia costa il 33% in più

In base alla rilevazione settimanale del Gme, il Gestore dei mercati energetici italiani, il prezzo del gas all’ingrosso è stato di 40,67 euro per megawattora nella settimana 32 di quest’anno, quella tra il 5 e l’11 agosto, in rialzo del 7,3% nei confronti dell’ottava precedente. Lo scorso anno, sempre nella settimana 32, il prezzo del gas all’ingrosso era scambiato a 30,78 euro per megawattora. Rispetto allo stesso periodo del 2023, il gas in Italia costa dunque il 32,1% in più. A surriscaldare i prezzi c’è il pericolo che l’escalation Ucraina-Russia coinvolga gli impianti energetici, ma c’è anche la concorrenza asiatica per il Gnl.

Il contratto Ttf con scadenza settembre sale di oltre il 5% a 45,4 euro per megawattora, durante la seduta odierna, in seguito all’attacco delle forze armate ucraine alla centrale nucleare di Zaporizhzhia e all’annunciata riduzione di capacità nucleare di 2,4 Gwh da parte di Edf a causa dell’ondata di calore che sta colpendo la Francia e l’Europa. Poi in realtà chiude perdendo circa l’1,5% e torna sotto i 40 euro. Si resta comunque sui massimi da 8 mesi perché sullo sfondo il più grande assalto dell’Ucraina in territorio russo, dopo l’invasione del 2022, sta mettendo ancora più pressione alle quotazioni di una delle materie prime chiave dell’Europa. Si combatte nella regione russa di Kursk, sede di un punto chiave di immissione di gas. La stazione di Sudzha è infatti vicino al confine e fa parte dell’ultimo punto di transito del gasdotto russo verso l’Europa attraverso l’Ucraina.

I flussi per ora restano comunque in linea con le settimane precedenti, come sottolineato da Gazprom. C’è grande timore però per un’interruzione improvvisa e anticipata dei flussi, il che rappresenterebbe uno shock per nazioni come la Slovacchia e l’Austria, che attualmente dipendono da questa fornitura e potrebbero vedere prezzi del gas più elevati per aziende e consumatori se venisse bloccata.
I commercianti di gas europei evitano quindi lo stoccaggio in Ucraina dopo gli attacchi russi. E, oltre al confine orientale, l’attenzione è rivolta anche alla prossima manutenzione intensiva presso gli stabilimenti norvegesi a partire da fine agosto, che ridurrà inevitabilmente le forniture.

Non è solo la guerra però ad accendere il gas. Al 6 agosto il tasso di riempimento degli stoccaggi in Europa supera l’86%, al di sopra della media quinquennale del 78%, tuttavia i minori afflussi di Gnl hanno fatto sì che il ritmo delle costruzioni di stoccaggio sia un po’ più lento anno su anno, e quindi le scorte stanno iniziando a scendere al di sotto dei livelli dell’anno precedente quando, in questo periodo, erano all’87%. Il principale colpevole di questa lentezza è stato il minor afflusso di Gnl in Europa. La forte domanda asiatica di gas liquefatto ha garantito che il JKM – l’equivalente del Ttf nell’Asia nord orientale specialmente in Giappone e Corea – sia stata scambiata a un premio superiore rispetto a Ttf per gran parte del 2024, il che ha portato a una deviazione dei carichi di Gnl dall’Europa all’Asia. Gli invii di gas liquefatto alla Ue a luglio sono rimasti sostanzialmente invariati mese su mese, a poco meno di 7,6 miliardi di metri cubi. Tuttavia, questo lascia comunque i volumi di luglio in calo del 25% anno su anno e i volumi mensili più bassi visti dall’inizio della guerra Russia/Ucraina.

Col gas più caro, anche il prezzo dell’energia elettrica rincara. A luglio luglio il Pun – cioè il prezzo della luce all’ingrosso – è salito “a 112,32 euro/MWh (+9,15 euro/MWh), livello più alto da inizio anno”, riflettendo “soprattutto lo stagionale aumento della domanda, con gli acquisti in decisa crescita ai massimi da agosto 2019, dinamica a cui si affianca anche un calo dei volumi rinnovabili“, si legge nell’ultima newsletter del Gme, il Gestore dei mercati energetici italiano. E se le rinnovabili perdono peso nel mix energetico, lo riacquista inevitabilmente il gas. Risultato finale: secondo la rilevazione settimanale del Gme, il prezzo dell’elettricità all’ingrosso è stato di 128,7 euro per megawattora nella settimana 32 di quest’anno, quella tra il 5 e l’11 agosto, in rialzo del 7,1% nei confronti dell’ottava precedente. Lo scorso anno, sempre nella settimana 32, il Pun (prezzo unico nazionale) dell’energia elettrica era di 96,31 euro per megawattora. Rispetto allo stesso periodo del 2023, l’elettricità in Italia costa dunque il 33,6% in più.

Clima, Italia invia Pniec in Ue: 131 GW rinnovabili al 2030, 11% nucleare al 2050

Il Piano nazionale Energia e Clima è stato trasmesso a Bruxelles nei tempi. Conferma gli obiettivi raggiunti nella prima proposta trasmessa a giugno 2023, superando in alcuni casi anche i target comunitari.
Si punta a installare 131 gigawatt di rinnovabili al 2030 e, per la prima volta, nel mix compare uno scenario sul nucleare: 8 gigawatt al 2050 che coprirebbero l’11% della richiesta nazionale.
Di “grande pragmatismo” parla il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, che superato “approcci velleitari del passato”. Il documento è condiviso “con i protagonisti della transizione”, spiega, pur non nascondendo i passi ancora necessari per colmare alcuni gap. Nessuna preclusione, assicura, sulle “grandi opportunità dello sviluppo di tutte le fonti “. Nel dossier infatti si traccia uno scenario per il nucleare da fissione nel medio termine (a partire dal 2035) ma anche da fusione (a ridosso del 2050), che, ribadisce il ministro, “ci fa guardare avanti a un futuro possibile”.
Per elaborare il Piano, il Mase ha lavorato con altri ministeri (l’Economia, le Infrastrutture, le Imprese, l’Università e l’Agricoltura), il supporto tecnico di Gse, di Rse per la simulazione degli scenari energetici e di Ispra per quelli emissivi, con il Politecnico di Torino e di Milano per la parte di ricerca e innovazione. Una nuova consultazione nel 2024, dopo quella già svolta nell’anno precedente, ha coinvolto 133 soggetti tra imprese, istituzioni, associazioni e singoli cittadini.
Nell’aggiornamento del Piano è stato seguito un approccio tecnologicamente neutro, che prevede una forte accelerazione su alcuni settori. Oltre alle fonti rinnovabili elettriche, si punta sulla produzione di combustibili rinnovabili come il biometano e l’idrogeno, insieme all’utilizzo di biocarburanti che già nel breve termine possono contribuire alla decarbonizzazione del parco auto esistente, diffusione di auto elettriche, riduzione della mobilità privata, cattura e stoccaggio di CO2, ristrutturazioni edilizie ed elettrificazione dei consumi finali, in particolare attraverso un crescente peso nel mix termico rinnovabile delle pompe di calore.
L’area con performance più alte è quella delle FER: dei 131 Gigawatt che dovranno essere installati al 2030, si prevede che quasi ottanta (79.2) deriveranno dal solare, 28.1 dall’eolico, 19.4 dall’idrico, 3.2 dalle bioenergie e 1 Gigawatt da fonte geotermica (quota quest’ultima che potrebbe anche aumentare al raggiungimento di un adeguato livello di maturità di alcune iniziative progettuali in via di sviluppo).
In ambito efficienza energetica, si registra una importante riduzione dei consumi di energia primaria e finale, ma per il raggiungimento degli obiettivi, innalzati in considerazione dello scenario di crescita del prodotto interno lordo, bisognerà continuare a lavorare. È traguardato invece l’obiettivo relativo ai risparmi annui cumulati nei consumi finali tramite regimi obbligatori di efficienza.
Per quanto riguarda le emissioni e gli assorbimenti di gas serra, l’Italia prevede di superare l’obiettivo del ‘FitFor55’ sugli impianti industriali vincolati dalla normativa Ets, arrivando al -66% rispetto ai livelli del 2005 (obbiettivo UE, -62%).
Anche nei settori “non-ETS” (civile, trasporti e agricoltura) si registra un miglioramento degli indicatori emissivi e per raggiungere i target europei, ad oggi considerati nel dossier “ancora troppo sfidanti”, sarà necessario profondere ulteriori energie.
Sul fronte della sicurezza energetica, si registra una netta riduzione della dipendenza da altri Paesi favorita dalle azioni di diversificazione dell’approvvigionamento e dall’avvenuta pianificazione di nuove infrastrutture e interconnessioni.
Per quanto riguarda la dimensione del Mercato interno dell’energia, si prevede di potenziare le interconnessioni elettriche e il market coupling con gli altri Stati membri e di sviluppare nuove connessioni per il trasporto di gas rinnovabili, rafforzando il ruolo dell’Italia come hub energetico europeo e corridoio di approvvigionamento delle rinnovabili dell’area mediterranea.
Inoltre, il Pniec dà priorità agli obbiettivi nazionali di Ricerca, Sviluppo e Innovazione per accelerare l’introduzione sul mercato di quelle tecnologie necessarie a centrare i target definiti dal Green Deal nonché rafforzare la competitività dell’industria nazionale.
Una sezione specifica è dedicata ai lavori della “Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile”, che ha sviluppato delle ipotesi di scenario in cui si dimostra da un punto di vista tecnico-scientifico la convenienza energetica ed economica di avere una quota di produzione nucleare, in sinergia e a supporto delle rinnovabili e delle altre forme di produzione di energia a basse emissioni. Secondo le ipotesi di scenario sviluppate, il nucleare da fissione, e nel lungo termine da fusione, potrebbero fornire al 2050 circa l’11% dell’energia elettrica totale richiesta – con una possibile proiezione verso il 22%.