Dazi, lettere Trump ad altri 6 Paesi: stangata del 50% sul rame e prodotti dal Brasile

Il Brasile e il rame sono i due nuovi obiettivi dell’offensiva doganale di Donald Trump, il primo in nome della difesa dell’ex presidente Jair Bolsonaro, sotto processo per tentato colpo di Stato, e il secondo per proteggere la “sicurezza nazionale”. “Annuncio un dazio aggiuntivo del 50% sul rame, che entrerà in vigore il 1° agosto 2025, dopo aver ricevuto una valutazione approfondita in materia di sicurezza nazionale”, spiega il presidente americano sul suo social network, senza dubbio in riferimento a un’indagine del Dipartimento del Commercio. “Il rame è il secondo materiale più utilizzato dal Ministero della Difesa!”, tuona, evocando le esigenze del Paese per la costruzione di semiconduttori, aerei, navi, munizioni, centri dati e sistemi di difesa antimissile, tra le altre cose.

In nome del riequilibrio delle relazioni commerciali a vantaggio degli Stati Uniti, Donald Trump ha imposto ad aprile un dazio minimo del 10% sulle importazioni, anche se non possono essere prodotte in loco, ma con alcune esenzioni, in particolare per oro, rame, petrolio e medicinali. Martedì è tornato sulle eccezioni, prevedendo ad esempio un dazio del 200% sui prodotti farmaceutici e del 50% sul rame, una minaccia che ha fatto salire il prezzo del metallo di quasi il 10% a New York martedì, superando il suo massimo storico. Se i dazi sul rame entreranno in vigore, i prezzi dei beni fabbricati con questo metallo (frigoriferi, automobili, ecc.) potrebbero aumentare, come per gli altri prodotti soggetti a sovrattassa all’importazione.

Mercoledì il presidente americano ha anche annunciato un dazio del 50% sui prodotti brasiliani, finora risparmiati, poiché gli Stati Uniti registrano un surplus commerciale nei loro scambi con il gigante sudamericano. In una lettera indirizzata al suo omologo Lula, Trump afferma che questi dazi doganali saranno imposti in risposta al procedimento giudiziario avviato contro Jair Bolsonaro, sotto processo nel suo Paese per tentato colpo di Stato. “Il modo in cui il Brasile ha trattato l’ex presidente Bolsonaro è una vergogna internazionale”, scrive Trump nella sua lettera, ritenendo che il procedimento contro l’ex leader brasiliano di estrema destra sia “una caccia alle streghe che deve cessare immediatamente”. “Qualsiasi misura unilaterale di aumento dei dazi doganali avrà una risposta alla luce della legge brasiliana sulla reciprocità economica”, risponde il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva in un comunicato.

Da lunedì, una ventina di paesi hanno ricevuto una lettera che annuncia il sovrattassa che si applicherà a partire dal 1° agosto sui loro prodotti in entrata negli Stati Uniti.

Nel dettaglio, i prodotti algerini dovrebbero essere tassati al 30% (invariato rispetto all’annuncio iniziale di inizio aprile), così come quelli provenienti dalla Libia (-1 punto percentuale), dall’Iraq (-9pp) e dallo Sri Lanka (-14pp), quelli provenienti dalla Moldavia e dal Brunei saranno tassati al 25% (rispettivamente -6 pp e +1 pp). Per quanto riguarda i prodotti filippini, la sovrattassa sarà del 20% (+3 pp). Lunedì, quattordici capitali, principalmente asiatiche, hanno ricevuto una lettera con un sovrattassa che va dal 25% (Giappone, Corea del Sud, Tunisia in particolare) al 40% (Laos e Birmania) passando per il 36% (Cambogia e Thailandia). Martedì Donald Trump aveva fatto sapere che avrebbe inviato altre lettere questa settimana, in particolare all’Unione europea. Ieri, un portavoce della Commissione europea ha assicurato che l’Ue intende raggiungere un accordo con gli Stati Uniti “nei prossimi giorni”. L’obiettivo dell’Ue è quello di evitare qualsiasi sovrattassa (oltre la soglia minima del 10%), con esenzioni per settori chiave come l’aeronautica, i cosmetici e le bevande alcoliche. Inizialmente, i nuovi dazi avrebbero dovuto essere riscossi a partire dal 9 luglio, dopo un precedente rinvio, ma all’inizio della settimana Trump ha firmato un decreto per posticipare la data al primo agosto. Nelle sue lettere, Trump avverte che qualsiasi ritorsione sarà punita con un’ulteriore sovrattassa di pari entità. All’inizio di aprile, il presidente americano aveva annunciato dazi punitivi fino al 50% sui prodotti dei paesi con un surplus commerciale con gli Stati Uniti, prima di concedere, di fronte al panico dei mercati, una pausa di 90 giorni per negoziare accordi bilaterali. Per il momento ne sono stati annunciati solo due, con il Regno Unito e il Vietnam, mentre è stato raggiunto un compromesso con la Cina.

Prosegue negoziato Ue-Usa su dazi. Trump: “Tra due giorni la lettera ai 27. No altri rinvii”

L’Unione europea prende atto del rinvio al primo agosto della scadenza della pausa sui dazi più severi imposti dagli Stati Uniti d’America, ma continua a lavorare per arrivare a un accordo il prima possibile perché il punto centrale ora è superare l’instabilità e dare certezze al mondo economico.

“Quello che vogliamo raggiungere è una soluzione negoziata con gli Usa ed evitare una ulteriore escalation delle tensioni commerciali“, afferma in conferenza stampa dopo l’Ecofin il commissario europeo all’Economia, Valdis Dombrovskis, che ricorda che l’Unione ha lavorato “avendo in mente la scadenza del 9 luglio”. “A quanto pare però gli Usa hanno posticipato al primo agosto la scadenza. Ciononostante, i negoziati tra Ue e Usa proseguono a livello politico e tecnico per raggiungere un accordo di principio prima di tale data”, sottolinea. E se da un lato la nuova scadenza “ci dà più tempo”, dall’altro “rimaniamo concentrati”.

La scorsa settimana, con la missione a Washington di una squadra tecnica Ue e del commissario al Commercio, Maros Sefcovic, “ci sono stati intensi colloqui per un accordo di principio e sono stati compiuti progressi in tal senso”. E “stiamo portando avanti i negoziati sia politici che tecnici nel merito. Quindi, in un certo senso, prima riusciremo a raggiungere l’accordo, meglio sarà perché ciò eliminerebbe l’incertezza sulla questione dei dazi e vediamo che è atteso dall’economia e dalle aziende nelle loro decisioni di investimenti”, osserva.

E mentre oltre oceano il presidente Donald Trump esclude ulteriori rinvii“Le tariffe inizieranno ad essere pagate a partire dal 1 agosto 2025. Non vi è stata alcuna modifica a tale data e non vi saranno modifiche. In altre parole, tutte le somme saranno esigibili e pagabili a partire dal 1 agosto 2025. Non saranno concesse proroghe”, scrive su Truth -, nella plenaria del Parlamento europeo, a Strasburgo, Sefcovic si mostra ancora una volta aperto a tutte le possibilità: “Continuiamo a collaborare strettamente con le nostre controparti statunitensi sui dazi imposti sui prodotti europei. Voglio assicurarvi che stiamo lavorando a pieno ritmo per assicurare soluzioni negoziate eque e reciprocamente vantaggiose. Ma dobbiamo essere preparati a ogni esito e pronti a riequilibrare, se necessario”, dettaglia. Non bisognerà aspettare molto:  “Mancano circa due giorni all’invio della lettera”, al blocco dei 27 Paesi dell’Unione europea, fa sapere il presidente degli Stati Uniti, durante una riunione di gabinetto. Trump sottolinea che sta ancora discutendo con i negoziatori del blocco, ma che è scontento delle politiche europee nei confronti delle aziende tecnologiche statunitensi.

Se il lavoro tecnico di Bruxelles continua, la politica alza la voce. In particolare dai primi due gruppi politici al Parlamento europeo, popolari e socialisti. “Parliamo di milioni di posti di lavoro, un enorme impatto sull’Europa, del futuro della nostra economia europea”, commenta in conferenza stampa a Strasburgo il presidente del Partito popolare europeo (Ppe), Manfred Weber. “Von der Leyen e Sefcovic stanno facendo un lavoro eccellente e il mio primo messaggio è che l’Unione europea e gli Stati Uniti, dal punto di vista del mercato, sono sullo stesso piano: loro rappresentano il 25% del Pil mondiale, noi il 22% del Pil mondiale. Nessuno può metterci sotto pressione come sta facendo Donald Trump con altre economie, probabilmente più piccole, a livello globale“, afferma. Per il capo della famiglia politica più numerosa dell’aula, e che esprime la presidente della Commissione, “la precondizione è stare uniti”. In più, “se si arriverà a un accordo generale, la questione della reciprocità sarà sul tavolo” anche perché “i dazi orizzontali del 10% sono una sfida” per gli europei. “Dal mio punto di vista, tenendo presente la forza del mercato unico europeo, siamo potenti. Siamo forti. Credo che dobbiamo parlare di reciprocità, quando si parla del 10%”, illustra.

Nel frattempo, a margine della plenaria a Strasburgo, il secondo gruppo al Parlamento europeo, quello dei Socialisti e democratici, ha avuto un incontro con Sefcovic. Al temine, la presidente del gruppo, la spagnola Iratxe Garcia Perez ha espresso rammarico per “questa guerra commerciale, che aumenta i costi, danneggia posti di lavoro e aggrava la disuguaglianza globale” e ha ricordato che “l’Ue ha bisogno di una strategia ferma e unita, con chiare linee guida, conseguenze concrete e prontezza ad agire”. E ha avvertito: “Non ci piegheremo al bullismo” ed “è ora di guidare un commercio globale equo e basato su regole”. Anche l’eurodeputato del Pd (S&d), Brando Benifei, ha sottolineato l’importanza di una risposta ferma da parte di Bruxelles. “Le tariffe statunitensi attualmente in vigore, così come l’incertezza giuridica che avvolge il futuro delle relazioni commerciali transatlantiche, danneggiano le imprese e i cittadini europei. Abbiamo negoziato in buona fede, come si fa tra alleati. Non possiamo continuare ad essere trattati come un Paese terzo ostile”, ha affermato nel briefing organizzato dal gruppo S&d con la partecipazione di Bernd Lange, presidente della commissione Inta, e Kathleen Van Brempt, vice presidente del gruppo S&d. “Se non vi sarà una chiara volontà da parte statunitense di sospendere immediatamente queste misure, mentre i negoziati procedono su un accordo quadro i cui dettagli saranno da definire nelle successive settimane, l’Unione europea dovrà adottare subito contromisure serie”, ha scandito.

Dazi, si scaldano prezzi per festa 4 luglio Usa: +13% per grigliate, utensili barbecue e birra

I rincari indotti dai dazi (e dall’inflazione) non risparmiano nemmeno la sentitissima festa del 4 luglio negli Stati Uniti. Tutto ciò che utilizzeranno gli americani nelle tradizionali gite fuori porta e per le grigliate sono infatti soggetti ad aumenti che in certi casi raggiungono la doppia cifra. Secondo un nuovo rapporto della minoranza democratica al Congress Joint Economic Committee del Senato, il tipico ‘paniere dei beni’ composto da carne, birra e altri articoli comuni da barbecue, costeranno in media il 12,7% in più rispetto al 2024. Il calcolo si basa sull’indice dei prezzi al consumo per i prodotti alimentari e le bevande più richiesti per una grigliata estiva di 10 persone dal 2 aprile, ovvero dall’annuncio del presidente Donald Trump sull’introduzione dei dazi.

Le confezioni da 6 di due delle birre più popolari (Miller Lite e Coors Light) sono aumentate di oltre il 13% da Walmart da prima dell’ormai famigerato ‘Liberation Day’. Anche i costi delle birre importate più diffuse sono aumentati. Una confezione da 6 bottiglie di Peroni Nastro Azzurro (Italia) ha subito un aumento del 10,5%, una di Modelo Especial (Messico) è rincarata del 9,5% Si prevede che i dazi sull’acciaio e sull’alluminio imposti dall’amministrazione Trump porteranno a ulteriori aumenti dei prezzi. I piccoli produttori di birra, in particolare, spesso non sono in grado di assorbire i costi delle tariffe su prodotti come l’alluminio: “Una confezione di birra da 12,99 dollari finirà a 18,99 dollari”, ha dichiarato di recente Bill Butcher, proprietario di una piccola impresa della Virginia. Anche le grandi aziende produttrici di birra potrebbero essere costrette a fare scelte difficili: secondo stime indipendenti, le tariffe potrebbero far salire di 1 o 2 dollari il costo di una confezione, ovvero fino a un aumento del 32% sul prezzo mediano.

Lo studio dei Dem rileva che “il prezzo di due dei più importanti cibi da barbecue – la carne macinata e il gelato – ha raggiunto livelli record da quando i dati sono stati resi disponibili negli anni ’80. Il prezzo di altri prodotti popolari associati alle grigliate è salito di oltre il 10%”, spiega lo studio. Anche i costi di altri prodotti popolari associati alle grigliate sono aumentati negli ultimi mesi. Su Amazon il prezzo della griglia a gas più popolare è aumentato di 30 dollari, ovvero del 5%, tra l’1 aprile e il 26 giugno. Altre inserzioni per le principali categorie di attrezzature da barbecue indicano costi lievitati di 55 dollari, pari al +7,7%. Ad esempio, una sedia pieghevole da esterno costa il 47,7% in più dall’1 aprile, il kit base da 35 utensili è soggetto a un +17,7% e persino i rotoli di alluminio costano il 7% in più.

Un altro rapporto di maggio di Rabobank, banca globale del settore alimentare e agroalimentare, ha rilevato che il costo di un barbecue per 10 persone è aumentato del 4,2% quest’anno e raggiungerà i 100 dollari per la prima volta in assoluto. Il suo indice del barbecue ha evidenziato come un fattore contribuente sia stato l’aumento dei prezzi della carne bovina. Costi notevolmente superiori a quelli stimati dall’American Farm Bureau Federation (Afbf), secondo cui quest’anno una grigliata per il Giorno dell’Indipendenza costerà 70,92 dollari per 10 persone. Facendo la media, con 7,09 dollari a persona, il 2025 potrebbe essere il secondo anno consecutivo con il costo più alto da quando Farm Bureau ha avviato l’indagine nel 2013: l’anno scorso l’indice dell’inflazione alimentare tra aprile e giugno era al 2,2%, lo stesso tasso rilevato quest’anno dal governo in merito ai prezzi al consumo per gli alimenti consumati a casa.

“L’inflazione e la minore disponibilità di alcuni prodotti alimentari continuano a mantenere i prezzi ostinatamente alti per le famiglie americane – ha spiegato Samantha Ayoub, economista dell’Afbf -. Tuttavia, i prezzi alti non significano più soldi per gli agricoltori. Gli agricoltori subiscono i prezzi, non li determinano. La loro quota del fatturato della vendita al dettaglio di prodotti alimentari è solo del 15%. I costi di gestione delle loro aziende agricole sono in aumento, dalla manodopera e dai trasporti, alle tasse”. L’indagine MarketBasket evidenzia un aumento del costo della carne di manzo, dell’insalata di patate e della carne di maiale e fagioli in scatola, mentre si registrano cali nel costo delle costolette di maiale, delle patatine fritte e dei panini per hamburger. Il prezzo al dettaglio di 2 libbre di carne macinata di manzo è aumentato del 4,4%, raggiungendo i 13,33 dollari. La carne di maiale con fagioli costerà 2,69 dollari, con un aumento di 20 centesimi rispetto al 2024. L’insalata di patate è aumentata del 6,6%, raggiungendo i 3,54 dollari.

Diversi fattori influenzano questi aumenti, riflettendo le difficoltà che gli agricoltori affrontano regolarmente. Sono disponibili meno bovini per la lavorazione, il che sta incidendo sulle forniture. I dazi su acciaio e alluminio comportano un aumento dei prezzi dei prodotti in scatola. Il costo delle uova, utilizzate nell’insalata di patate, è ancora elevato, sebbene molto inferiore ai massimi storici di inizio anno, poiché le popolazioni di galline ovaiole si stanno riprendendo dall’influenza aviaria. Il sondaggio di fine giugno dell’Afbf ha comunque rilevato anche una riduzione del costo di 5 prodotti ‘essenziali’ per le grigliate. Tra questi, una confezione da 1,35 kg di costolette di maiale, in calo dell’8,8% rispetto all’anno scorso, a 14,13 dollari. Le patatine fritte costano in media 4,80 dollari al sacchetto, dieci centesimi in meno rispetto al 2024. I panini per hamburger costano il 2,6% in meno, a 2,35 dollari.

Tagli di Trump agli aiuti internazionali rischiano di causare oltre 14 mln morti nel mondo

Il crollo dei finanziamenti statunitensi destinati agli aiuti internazionali, deciso dall’amministrazione di Donald Trump, potrebbe causare oltre 14 milioni di morti in più entro il 2030 tra le persone più vulnerabili, di cui un terzo bambini, secondo una proiezione pubblicata su The Lancet.

Questi tagli rischiano di interrompere bruscamente, o addirittura di invertire, due decenni di progressi nella salute delle popolazioni vulnerabili. Per molti paesi a basso e medio reddito, lo shock che ne deriverebbe sarebbe di portata paragonabile a quella di una pandemia globale o di un conflitto armato su larga scala“, ha commentato Davide Rasella, coautore dello studio e ricercatore presso il Barcelona Institute for Global Health, citato in un comunicato.

La pubblicazione di questo studio sulla prestigiosa rivista medica coincide con una conferenza sul finanziamento dello sviluppo che riunisce in Spagna i leader di tutto il mondo, con gli Stati Uniti tra gli assenti. L’incontro si svolge in un contesto particolarmente cupo per gli aiuti allo sviluppo, duramente colpiti dai massicci tagli ai finanziamenti decisi da Donald Trump dal suo ritorno alla Casa Bianca a gennaio.

Esaminando i dati di 133 paesi, il team internazionale di ricercatori ha stimato retrospettivamente che i programmi finanziati dall’USAID hanno evitato 91 milioni di morti nei paesi a basso e medio reddito tra il 2001 e il 2021. E, secondo i loro modelli, il taglio dell’83% dei finanziamenti statunitensi – cifra annunciata dal governo all’inizio del 2025 – potrebbe causare oltre 14 milioni di morti in più entro il 2030, di cui oltre 4,5 milioni di bambini sotto i cinque anni, ovvero circa 700.000 morti in più all’anno. Infatti, secondo i calcoli dei ricercatori, i programmi sostenuti dall’USAID hanno portato a una riduzione del 15% dei decessi per tutte le cause. Per i bambini sotto i cinque anni, il calo dei decessi è stato doppio (32%). L’impatto maggiore di questi aiuti è stato osservato per le malattie prevenibili. Secondo lo studio, la mortalità dovuta all’HIV/AIDS è stata ridotta del 74%, quella dovuta alla malaria del 53% e quella dovuta alle malattie tropicali trascurate del 51% nei paesi che hanno beneficiato del livello di aiuti più elevato rispetto a quelli con finanziamenti USAID scarsi o nulli.

Un’altra fonte di preoccupazione è che altri importanti donatori internazionali, principalmente europei, come Germania, Gran Bretagna e Francia, hanno annunciato tagli ai loro bilanci per gli aiuti esteri sulla scia degli Stati Uniti. Ciò rischia di “causare ancora più morti nei prossimi anni”, ha avvertito Caterina Monti, coautrice dello studio e ricercatrice presso l’ISGlobal. Circa 50 capi di Stato e di governo, tra cui il presidente francese Emmanuel Macron e la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen, partecipano alla conferenza sul finanziamento dello sviluppo a Siviglia per quattro giorni, insieme a 4.000 rappresentanti della società civile. “È il momento di aumentare, non di ridurre” gli aiuti, ha affermato Davide Rasella. Prima dei tagli al finanziamento, l’USAID rappresentava lo 0,3% della spesa federale statunitense. “I cittadini americani versano circa 17 centesimi al giorno all’USAID, ovvero circa 64 dollari all’anno. Penso che la maggior parte delle persone sarebbe favorevole al mantenimento dei finanziamenti all’USAID se sapesse quanto un contributo così piccolo possa essere efficace per salvare milioni di vite”, ha dichiarato James Macinko, coautore dello studio e professore presso l’Università della California (UCLA)

Nato, impegno per 5% Pil. Trump: “Monumentale”. E attacca Spagna: “Pagherà dazi doppi”

Come prevedibile, i paesi della Nato si sono impegnati ad aumentare drasticamente le spese militari, in quella che il presidente americano Donald Trump ha definito una “grande vittoria” intestandosi il merito. Nella dichiarazione finale del summit dell’Aia, i 32 membri dell’Alleanza Atlantica si impegnano dunque a investire il 5% del Pil nazionale annuo nella difesa entro il 2035.

Nel dettaglio, gli alleati vogliono destinare “almeno il 3,5% del Pil” alle spese militari e un ulteriore 1,5% per misure di sicurezza più ampie, come la “protezione delle infrastrutture critiche” e la “difesa delle reti”. La motivazione principale è ‘difendersi’ dalla minaccia “a lungo termine” rappresentata dalla Russia per la sicurezza euro-atlantica e “alla persistente minaccia del terrorismo”, di fronte alla quale gli alleati restano “uniti”.

In particolare, chiarisce il segretario generale Mark Rutte, “il presidente Trump è stato chiaro: l’America si impegna nella Nato ma si aspetta che gli alleati facciano di più. E gli alleati di Ue e di Canada faranno di più“.

L’obiettivo sarà difficile da raggiungere, hanno avvertito diversi leader europei, tra cui la Spagna, che lo ha ritenuto “irragionevole”. Il premier Pedro Sanchez ha sostenuto che destinare il 2,1%, e non li 5%, del PIL alla difesa è “sufficiente, realistico e compatibile” con il modello sociale e lo stato sociale spagnolo. E ha ricordato: “gli alleati sanno che siamo affidabili”. Non è d’accordo il presidente americano: “È terribile quello che ha fatto la Spagna, si rifiuta di pagare la sua quota” ha detto Trump in conferenza stampa minacciando Madrid di “pagare il doppio dell’accordo sui dazi”. Nella dichiarazione, comunque, tutti gli alleati si impegnano “ad ampliare rapidamente la cooperazione transatlantica nel settore della difesa e a sfruttare le tecnologie emergenti e lo spirito di innovazione per promuovere la nostra sicurezza collettiva”. Obiettivo è “eliminare le barriere commerciali nel settore della difesa” e fare leva sulle partnership “per promuovere la cooperazione”.

“L’impegno dell’aumento della spesa militare si chiamerà la dichiarazione de L’Aja, è una vittoria monumentale per gli Usa, perché portavamo un peso ingiusto, ma è anche una vittoria per l’Europa e la civiltà occidentale”, ha dichiarato Trump in conferenza stampa. “Non so se è merito mio ma penso che sia merito mio”. L’inquilino della Casa Bianca, che ha spesso criticato i “fannulloni” europei, ha adottato un tono conciliante al vertice dell’Aia.

Gli alleati “molto presto” spenderanno quanto gli Stati Uniti, ha esultato. “Chiedo loro da anni di arrivare al 5%, e arriveranno al 5%. È una cifra enorme. La Nato diventerà molto forte con noi”, ha sottolineato il presidente americano. Al summit dell’Aja, di fatto, è stato fatto ogni sforzo per non irritare l’imprevedibile miliardario. Rutte lo ha definito “un buon amico”, le cui azioni “meritano di essere lodate”, sia per quanto riguarda la questione iraniana sia per il modo in cui ha costretto gli alleati ad aumentare le loro spese per la difesa.

Lo stesso segretario Nato ha liquidato con fermezza le preoccupazioni sul coinvolgimento degli Stati Uniti nella NATO. “Per me, è assolutamente chiaro che gli Stati Uniti sostengono pienamente” le regole dell’Alleanza, ha affermato.

Il giorno prima, a bordo dell’Air Force One, Trump aveva nuovamente sconcertato gli alleati rimanendo evasivo sulla posizione degli Stati Uniti in caso di attacco a un membro della Nato. Il cosiddetto articolo 5 del Trattato dell’Alleanza Atlantica può “essere definito in diversi modi“, ha affermato, riferendosi al pilastro fondamentale dell’alleanza, che stabilisce il principio di difesa reciproca: se un Paese membro viene attaccato, tutti gli altri accorrono in suo aiuto. In effetti ,nella dichiarazione finale, i leader hanno sottolineato il loro “incrollabile impegno” a difendersi a vicenda in caso di attacco. “Un attacco a uno è un attacco a tutti – si legge nella nota conclusiva – Rimaniamo uniti e risoluti nella nostra determinazione a proteggere il nostro miliardo di cittadini, difendere l’Alleanza e salvaguardare la nostra libertà e democrazia”.

In conclusione del vertice, il presidente Trump ha chiarito la sua posizione: “Quando sono venuto qui era qualcosa da fare ma me ne vado diverso. Ho visto i capi di Stato e la loro passione per il loro paese, non ho mai visto nulla di simile, vogliono proteggere i loro paesi e senza gli Usa non sarebbe lo stesso. Ora me ne vado sapendo che queste persone amano davvero i loro Paesi e noi siamo qui per aiutarli a farlo”. I membri della Nato hanno inoltre “riaffermato” il loro “impegno sovrano e duraturo” a fornire supporto all’Ucraina, “la cui sicurezza contribuisce alla nostra”.

A tal fine, includeranno i contributi diretti alla difesa ucraina e alla sua industria di difesa nel calcolo della spesa per la difesa degli Alleati. “Siamo al fianco dell’Ucraina nella sua ricerca della pace e continueremo a sostenerla nel suo percorso irreversibile verso l’adesione alla Nato”, ha poi precisato Rutte. “Il nostro messaggio chiaro  Volodymyr Zelensky (presente all’Aia per incontrare Trump a margine del summit) e al popolo ucraino è che l’Ucraina ha il nostro continuo sostegno, incluso oltre 35 miliardi di euro già promessi solo quest’anno, con altri in arrivo. Tutto questo ha come obiettivo mantenere l’Ucraina nella lotta oggi, affinché possa godere di una pace duratura in futuro”, ha aggiunto.

Trump: Usa in guerra, decisione entro due settimane. Iran minaccia su gas e petrolio

Due settimane. E’ il tempo che si è dato Donald Trump per prendere una decisione se schierare anche gli Stati Uniti nella guerra contro l’Iran. Non è la viva voce del presidente Usa a spiegarlo, né un messaggio sui suoi canali social, ma una dichiarazione letta alla Casa Bianca dalla sua portavoce, Karoline Leavitt: “Considerando che esiste una possibilità concreta che nei prossimi giorni possano o meno avere luogo dei negoziati con l’Iran, deciderò entro le prossime due settimane se procedere o meno“, ha fatto sapere il tycoon.

Nel frattempo incassa le parole al miele di Benjamin Netanyahu, che in un’intervista andata in onda oggi nel programma ‘Seven with Ayala Hasson‘, su Kan News, riconosce di sentire il “sostegno” di Washington, a differenza del recente passato, quando l’amministrazione di Joe Biden ha cercato di impedire a Israele di “trattare con i delegati dell’Iran. Il primo ministro, poi, accoglie “con favore” tutto l’aiuto che potrà arrivare al suo Paese per colpire i siti nucleari iraniani. Sul piano militare, poi, il leader di Israele assicura che le sue truppe sono “in grado di colpire tutti gli impianti nucleari” di Teheran e che, dall’inizio del conflitto, “abbiamo distrutto più della metà dei loro lanciamissili“. Nell’intervista c’è spazio per parlare anche delle dichiarazioni del suo ministro della Difesa, Yisrael Katz, secondo cui “Khamenei non deve continuare a esistere“. Netanyahu si limita a dire di aver “dato istruzioni che nessuno in Iran avrà l’immunità“, ma “oltre questo, non è appropriato né necessario aggiungere altro. Dobbiamo lasciare che i fatti parlino più delle parole“.

A distanza di migliaia di chilometri si sente anche la voce di Papa Leone XIV, che in un’intervista esclusiva al Tg1, parlando della crisi internazionale, la definisce “davvero preoccupante“. Il Pontefice afferma, poi, che “giorno e notte cerco di seguire ciò che sta succedendo in tante parti del mondo. Si parla soprattutto del Medio Oriente oggi, però non è soltanto lì“. Prevost rinnova l’appello per la pace: “Cercare a tutti i costi di evitare l’uso delle armi e cercare, attraverso gli strumenti diplomatici, il dialogo: ci mettiamo insieme a cercare soluzioni. Ci sono tanti innocenti che stanno morendo e bisogna promuovere la pace“, mette in luce.

L’Iran, dal canto suo, minaccia la possibile chiusura dello stretto di Hormuz, se gli Stati Uniti dovessero unirsi al conflitto con Israele: la sola ipotesi ha fatto schizzare il prezzo del gas che in Europa viene scambiato in chiusura a 41,7 euro per megawattora in rialzo di quasi l’8%.

La decisione, come annunciato dalla nota dello stesso Trump, arriverà nei prossimi giorni, mentre nella situation room aperta a Washington il Gabinetto del presidente passa al vaglio effetti e conseguenze. Molto attivo, in questo senso, è il segretario di Stato americano, Marco Rubio, che ha avuto una conversazione telefonica anche con il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani. La Farnesina fa sapere che nel colloquio il vicepremier “ha ribadito l’impegno italiano per una de-escalation che favorisca una soluzione diplomatica nel conflitto fa Israele e Iran“. Inoltre, con Rubio “Tajani ha concordato sul fatto che l’Iran non deve avere la bomba atomica” e il ministro ha ricevuto dall’alleato americano “l’indicazione che gli Stati Uniti sono pronti a negoziati diretti con le controparti iraniane, come annunciato dal presidente Trump“.

Inoltre, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, assicura che, al di là di quelle che saranno le scelte di Washington, “sicuramente l’Italia non pensa di entrare in guerra con l’Iran“.

La giornata è intensa per Tajani, che poco dopo sente al telefono anche il ministro degli Affari esteri della Repubblica Islamica dell’Iran, Seyed Abbas Araghchi, confermandogli – riporta sempre la Farnesina – “la contrarietà italiana al fatto che l’Iran si doti dell’arma atomica“. Allo stesso tempo il vicepresidente del Consiglio ripete “l’impegno del governo italiano per arrivare rapidamente a una de-escalation che porti alla fine degli scontri militari tra Iran e Israele“.

Il settimo giorno di conflitto si era aperto con un attacco missilistico iraniano contro un ospedale. A Beersheba, nel sud di Israele, che “completamente distrutto” diversi reparti del Centro Medico Soroka, e l’intero ospedale ha subito “danni significativi, come dichiarato dal direttore della struttura, Shlomi Codish. “L’edificio colpito direttamente era vuoto. Altri reparti del centro, che ricevevano pazienti, sono stati colpiti. Abbiamo 40 feriti, la maggior parte dei quali con ferite lievi“, ha aggiunto. Il portavoce dell’ospedale ha specificato che l’edificio distrutto era stato “evacuato nei giorni scorsi”. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha chiesto che gli ospedali siano “rispettati” e “protetti”. “Il codardo dittatore iraniano sta deliberatamente sparando contro ospedali ed edifici residenziali in Israele. Questi sono tra i più gravi crimini di guerra e Khamenei sarà ritenuto responsabile per i suoi crimini“, ha reagito Katz. Ali Khamenei “considera la distruzione di Israele il suo obiettivo“, ha affermato. “Non si può permettere a un uomo simile di continuare a esistere“.

Immagini televisive hanno mostrato una colonna di fumo nero che si alzava dal complesso di Soroka, il più grande ospedale del sud di Israele e, in quanto tale, un centro sanitario di riferimento per le comunità beduine del Negev, che accoglie regolarmente soldati israeliani feriti nella guerra a Gaza. Per Teheran, a essere preso di mira è stato “il centro di comando e intelligence del regime, situato vicino a un ospedale”. Ma il premier israeliano Benjamin Netanyahu non ci sta: “Faremo pagare un prezzo pesante ai tiranni“, ha avvertito, dopo aver dichiarato lunedì che l’uccisione dell’Ayatollah Khamenei avrebbe “posto fine al conflitto“. Durante una visita all’ospedale di Soroka, ha ribadito gli obiettivi dichiarati della guerra: “Il nostro obiettivo è duplice: armi nucleari e missili balistici. Li elimineremo. Stiamo completando l’eliminazione di questa minaccia“, ha affermato.

Il ministro Katz ha affermato che insieme al premier ha ordinato un’intensificazione degli attacchi contro l’Iran per “eliminare le minacce allo Stato di Israele” e “scuotere il regime degli ayatollah“. Dopo un attacco di decine di missili iraniani, nella mattinata è stato attivato un allarme in diverse regioni di Israele, tra cui Tel Aviv. I servizi di emergenza hanno segnalato 47 feriti. Dal canto suo, l’esercito israeliano ha dichiarato di aver colpito decine di siti in Iran, tra cui un “reattore nucleare incompiuto” ad Arak e “un sito di sviluppo di armi nucleari a Natanz“, nel centro del Paese. L’Iran “continuerà a esercitare il suo diritto all’autodifesa“, ha ribadito il ministro degli Esteri Araghchi. In attesa di capire le quali saranno le decisioni di Trump, Vladimir Putin e Xi Jinping hanno “condannato fermamente” gli attacchi israeliani in Iran, chiedendo una risoluzione politica e diplomatica del conflitto. Mosca poi ha messo in guardia Washington contro qualsiasi “intervento militare” che avrebbe “imprevedibili conseguenze negative“.

Le guerre fatte sulle tasche dei cittadini e la retromarcia della Ue

Schiacciati tra la guerra in Ucraina e gli orrori di Gaza, onestamente non si sentiva necessità di un altro fronte conflittuale, ancor più pericoloso, aperto da Israele contro l’Iran. Le evidenze di questi giorni testimoniano una svolta nell’accezione politica a questa terza guerra: mentre sull’Ucraina a tratti le posizioni non sono allineate, mentre sulla Striscia la condanna del mondo è univoca per ciò che ha scatenato la mattanza e per la reazione inusitata che continua a esserci, sulle incursioni dell’esercito di Netanyahu a Teheran e dintorni c’è la quasi sintonia del pianeta, al massimo (ed è il caso della Russia) si registrano silenzi imbarazzati. La minaccia atomica di un regime poco incline alla salvaguardia dei diritti umani, quello degli ayatollah, sta mettendo tutti d’accordo nella speranza che il conflitto non si allarghi e da regionale diventi planetario.

Fatta questa premessa, c’è la poi la sostanza delle cose che va a impattare sul cittadino comune, in Europa e in Italia. Già fiaccati dal ‘tiraemolla’ di Donald Trump che minaccia di mettere dazi anche ai sogni – a proposito, manca meno di un mese alla tregua di luglio – i sistemi economici occidentali devono rifare i conti con altri rincari, in particolare quelli dell’energia, cioè gas e petrolio. E’ vero che l’Iran attualmente ha un’incidenza minima nel mercato globale ed è vero che non si è verificato uno sconquasso dei prezzi (a giugno 2022, quattro mesi dopo l’invasione russa, aveva toccato i 122 dollari al barile, oggi è a 75), però la timida ripresa delle scorse settimane è andata a farsi benedire. E al signor Brambilla o alla signora Pautasso, che smaniano per andare in vacanza e magari non posseggono tutta questa sensibilità geopolitica, l’unica cosa che li rende irascibili sono il rincaro delle bollette e il pieno di diesel o benzina. Perché, alla resa dei conti, è sempre l’energia a fare da discriminante.

Prima c’erano gli Houty, adesso c’è lo stretto di Hormuz, che è grande come il Mare Adriatico e collega il Golfo Persico e il Golfo di Oman, là dove transitano ogni giorno 20 milioni di barili via nave. Se l’Iran decidesse di bloccare quel passaggio, mezzo mondo resterebbe a secco con conseguente impazzimento dei prezzi, perché una goccia di greggio varrebbe quanto un’oncia d’oro. Non a caso, l’Unione europea ha innestato la marcia indietro per quanto riguarda il tetto al petrolio russo, che doveva passare da 60 dollari (stabiliti nel 2022) a 45, in maniera da intaccare i ricavi di Vladimir Putin e togliergli le sovvenzioni per continuare il conflitto con l’Ucraina. Ma di fronte all’incedere minaccioso della guerra tra Israele e Iran e all’inevitabile aumento del prezzi, Ursula von der Leyen ha detto che conviene pazientare. Al contrario dell’Alta Commissaria Kaja Kallas che non vorrebbe arretrare di un millimetro, testimonianza di una distonia strategica all’interno della Commissione. A metterle d’accordo è intervenuto Trump, con un no secco e ultimativo all’inasprimento delle misure contro Mosca. E allora?

Allora lo spauracchio è quello degli Anni Settanta e delle targhe alterne legate alla crisi petrolifera. Assetati di benzina, vennero introdotte misure di austerity – mutuate da un’idea americana – per limitare la circolazione dei veicoli privati la domenica: una era vietata alle targhe pari, quella dopo alle targhe dispari. Tornare indietro di cinquant’anni senza capire il perché…

Iran, Trump valuta di entrare in guerra: “Sappiamo dov’è Khamenei, urge resa incondizionata”

Donald Trump valuta di entrare in guerra in Iran, al fianco di Israele. E’ l’ultima decisione presa dopo aver lasciato in anticipo il vertice del G7 a Kananaskis, in Canada, e prima di riunire alla Casa Bianca il Consiglio di sicurezza nazionale. “Sappiamo esattamente dove si nasconde il cosiddetto ‘Leader Supremo’. È un bersaglio facile, ma lì è al sicuro“, annuncia su Truth il tycoon newyorkese, facendo riferimento ad Ali Khamenei. “Non lo elimineremo (uccideremo!), almeno non per ora – fa sapere -. Ma non vogliamo che vengano lanciati missili contro civili o soldati americani. La nostra pazienza sta finendo. Grazie per l’attenzione dedicata a questa questione“. In un altro messaggio, poi, Trump chiede in caratteri cubitali la “resa incondizionata”.

Il presidente americano spiega di avere il “controllo completo e totale” dei cieli sopra l’Iran, nonostante Teheran disponga di ottimi sistemi di tracciamento satellitare e di altre attrezzature difensive, comunque non “paragonabili a quelle progettate, concepite e prodotte negli Stati Uniti”: “Nessuno – rivendica – lo fa meglio dei buoni vecchi Stati Uniti”. Trump potrebbe prendere “ulteriori misure” contro il programma nucleare iraniano, aveva scritto in precedenza il suo vice presidente, J.D. Vance, su X.

Intanto, secondo quanto riferito dall’esercito israeliano, è stato attivato un allarme rosso nella zona di Dimona, dove si trova una centrale nucleare nel sud di Israele, dopo il lancio di missili iraniani. Le raffiche di bombe reciproche non si placano. In Iran, una serie di potenti detonazioni sono state udite nel pomeriggio nel centro e nel nord di Teheran, e un media locale ha riferito di esplosioni a Isfahan (centro). L’esercito israeliano ha dichiarato di aver bombardato “decine” di obiettivi nell’Iran occidentale, dopo aver colpito durante la notte nella regione “decine di infrastrutture di stoccaggio e lancio” di missili terra-terra e terra-aria e “siti di stoccaggio di droni”. In Israele, i missili iraniani hanno fatto scattare le sirene di allarme nel pomeriggio intorno a Tel Aviv – dove missili e frammenti di proiettili erano caduti in mattinata senza fare vittime – e nel nord, secondo l’esercito. Quest’ultimo ha affermato di averne intercettati la maggior parte. Teheran ha giurato di bombardare Israele senza sosta per porre fine all’attacco israeliano di portata senza precedenti lanciato il 13 giugno, con l’obiettivo dichiarato di impedire all’Iran di dotarsi della bomba atomica.

L’Occidente sospetta che l’Iran persegua questo obiettivo, cosa che Teheran nega, difendendo il proprio diritto a un programma nucleare civile. Israele, che mantiene l’ambiguità sul proprio possesso di armi atomiche, possiede 90 testate nucleari, secondo l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri). Da venerdì, l’aviazione israeliana ha colpito centinaia di siti militari e nucleari, uccidendo i principali alti ufficiali iraniani e scienziati nucleari.

Oggi, l’esercito ha annunciato di aver ucciso un importante comandante militare iraniano, Ali Shadmani, in un attacco notturno a Teheran. Israele ha avuto “il coraggio” di fare “il lavoro sporco per tutti noi” di fronte al “terrorismo del regime” iraniano, commenta il cancelliere tedesco Friedrich Merz, giudicando che il potere iraniano è stato “notevolmente indebolito”. Uccidere l’ayatollah Ali Khamenei “porrà fine al conflitto”, aveva precedentemente assicurato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ai media internazionali, invitando gli iraniani a sollevarsi. I bombardamenti hanno anche ucciso civili da entrambe le parti in zone urbane. L’ultimo bilancio ufficiale iraniano di domenica riportava almeno 224 morti e più di mille feriti. In Israele, il bilancio ufficiale è di almeno 24 morti finora.

L’Iran ha minacciato Israele di “attacchi massicci con droni” e ha affermato di aver distrutto durante la notte con dei droni “obiettivi strategici” a Tel Aviv – tra cui il Mossad, il servizio di intelligence estero israeliano – e Haifa, la grande città nel nord di Israele. In serata, Teheran annuncia “imminenti” attacchi punitivi contro Israele. Il capo di Stato Maggiore delle forze armate iraniane, Abdolrahim Mousavi, esorta i residenti di Haifa e Tel Aviv a evacuare: “Presto saranno condotte operazioni punitive”, ha detto Mousavi in una dichiarazione video trasmessa dalla televisione di Stato. Dopo il lancio dell’attacco israeliano, gli Stati Uniti hanno dichiarato di rafforzare il loro “dispositivo difensivo” in Medio Oriente e di inviare la portaerei Nimitz. Donald Trump è tornato alla Casa Bianca abbreviando la sua presenza al vertice del G7 in Canada. Inizialmente aveva affermato di volere “una fine reale” del conflitto e “non un cessate il fuoco”, ma ha dichiarato di non essere “particolarmente dell’umore giusto per negoziare” con l’Iran, con cui gli Stati Uniti avevano riavviato i colloqui sul nucleare ad aprile. Ieri Trump ha consigliato agli abitanti di Teheran di evacuare “immediatamente” e oggi lunghe code si sono formate davanti ai panifici e alle stazioni di servizio della capitale iraniana, dove i negozi di alimentari rimangono aperti, ma non il Grand Bazaar, il principale mercato. Secondo quanto riferito da Baku ed Erevan, dal 13 giugno oltre 700 cittadini stranieri provenienti da una quindicina di paesi sono stati evacuati dall’Iran verso l’Azerbaigian e l’Armenia. I medici e gli infermieri iraniani sono stati requisiti, ha riferito martedì l’agenzia Isna. Un attacco informatico ha paralizzato la banca Sepah, una delle principali banche iraniane, secondo l’agenzia di stampa Fars. I media iraniani hanno poi riferito di un’interruzione generalizzata di Internet, senza specificarne l’origine. Israele ha affermato di aver distrutto “la principale struttura” dell’impianto di arricchimento dell’uranio di Natanz, nel centro dell’Iran. L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) ha riferito martedì di “elementi che indicano un impatto diretto sulle sale sotterranee” del sito.

Guerra aperta tra Trump e Musk. Il presidente: “E’ impazzito per lo stop ai sussidi sulle auto elettriche”

E’ ormai guerra aperta tra Elon Musk e il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump e all’indomani della “litigata” a distanza la situazione non accenna a migliorare. Così come la loro alleanza è stata spettacolare e intensa, lo è altrettanto loro rottura: il tycoon e il patron di Tesla hanno litigato pubblicamente, accusandosi di “follia” da una parte e “ingratitudine” dall’altra. Ma di ‘fare la pace’ il presidente non ci pensa proprio, almeno non adesso. Una fonte della Casa Bianca assicura che non ci sarà alcuna telefonata chiarificatrice tra i due. Anzi, intervistato da Abc News, Trump ha mostrato indifferenza verso la questione. Alla domanda di un eventuale colloquio con l’imprenditore, il repubblicano ha risposto: “Ti riferisci all’uomo che ha perso la testa? Non sono particolarmente interessato” a parlargli. Ma non solo: secondo il Wall Street Journal sarebbe anche pronto a vendere la Tesla che aveva acquistato. 

Ma cosa è successo tra i due? Trump ha confermato sul suo social network Truth Social di aver posto fine alla missione governativa di Musk, secondo lui “impazzito”, a causa di una decisione sfavorevole ai contributi sui veicoli elettrici. “Il modo più semplice per risparmiare miliardi e miliardi di dollari nel nostro bilancio sarebbe quello di annullare i sussidi e i contratti governativi” del capo di Tesla e SpaceX, ha scritto. Il botta e risposta si è poi trasferito su X, di cui l’ormai ex capo del Doge è proprietario. SpaceX “inizierà immediatamente a mettere fuori servizio la sua navicella spaziale Dragon”, utilizzata in particolare dalla Nasa per trasportare gli astronauti alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), ha promesso Musk. Salvo poi fare marcia indietro poche ore dopo: “Va bene, non metteremo fuori servizio Dragon”. Nel frattempo, la disputa ha mandato in picchiata le azioni Tesla, che hanno perso decine di miliardi di dollari di capitalizzazione a Wall Street, chiudendo a -14,26%.

Da quando l’uomo più ricco del mondo ha lanciato la scorsa settimana un attacco frontale contro un megaprogetto di legge finanziaria dell’amministrazione Trump, era chiaro che fosse solo questione di tempo prima che il divorzio fosse definitivamente consumato. È stato durante una riunione nell’Ufficio Ovale con il cancelliere tedesco Friedrich Merz, ridotto al ruolo di comparsa muta, che il presidente ha ufficializzato la rottura. Durante uno scambio con i giornalisti, trasmesso in diretta, Donald Trump si è detto “molto deluso”. “Elon e io avevamo un buon rapporto. Non so se sia ancora così”, ha ammesso riferendosi al suo ex “consigliere speciale”, che venerdì scorso ha lasciato l’incarico di responsabile della riduzione della spesa pubblica alla Casa Bianca.

“Assurdità”, ha commentato Musk in un commento a un video del presidente in cui affermava che la sua rabbia era dovuta alla perdita dei sussidi per i veicoli elettrici. “Falso”, ha poi postato sopra un estratto in cui Trump spiegava che l’imprenditore conosceva in anticipo il contenuto del testo. Una “grande e bella legge” per il tycoon, un “abominio” per le finanze pubbliche per Elon Musk. Da qui in poi l’escalation. Il multimiliardario, che ha generosamente finanziato la campagna del repubblicano nel 2024, ha assicurato che “Trump avrebbe perso le elezioni” senza di lui e lo ha accusato di “ingratitudine”. Non ha esitato a colpire sotto la cintura, affermando, senza fornire prove, che il nome del presidente era presente nel fascicolo di Jeffrey Epstein, il finanziere americano al centro di un vasto scandalo di crimini e sfruttamento sessuale che si è suicidato in prigione prima di essere processato. In risposta, la Casa Bianca si è limitata a definire questi attacchi “deplorevoli”.

Nell’Ufficio Ovale, Trump ha descritto il suo ex alleato come un amante respinto: “Diceva le cose più belle su di me”. “Le persone lasciano il nostro governo, ci amano, e a un certo punto ne sentono così tanto la mancanza… E alcuni di loro diventano ostili”, ha continuato il repubblicano.

Fin dal fragoroso ingresso di Elon Musk nella campagna di Donald Trump lo scorso anno, sono sorti dubbi sulla longevità del rapporto tra i due. All’inizio l’idillio sembrava perfetto. Il repubblicano aveva difeso il suo alleato dalle critiche e aveva persino organizzato un’operazione promozionale per il marchio Tesla alla Casa Bianca. Musk aveva definito il presidente “re” il giorno del suo insediamento e aveva indossato un cappellino con la scritta “Trump aveva ragione su tutto” durante il consiglio dei ministri. Ma le tensioni sono cresciute tra il multimiliardario molto impopolare e i ministri e i consiglieri del presidente.

Secondo alcuni esperti, ciò che potrebbe aver segnato il destino di Elon Musk non è avvenuto a Washington, ma nel Wisconsin, dove ha fortemente sostenuto un giudice conservatore in una recente elezione alla Corte Suprema locale. Ma è stata la candidata democratica a vincere, con un ampio margine. Trump, che detesta essere associato alla sconfitta, ha inevitabilmente seguito con attenzione questa prima avventura politica in solitaria del suo alleato, che non sembra comunque essersi scoraggiato. Il sudafricano, che non può diventare presidente perché naturalizzato, ha chiesto se non fosse arrivato il tempo di “creare un nuovo partito politico” negli Stati Uniti.

La Cnn, poi, arricchisce di un nuovo tassello lo scontro tra Donald Trump e il suo ex consigliere, Elon Musk, Dopo l’addio del patron di Tesla al dipartimento Doge, con tanto di polemiche sulla legge finanziaria, e la risposta del tycoon durante il punto stampa alla Casa Bianca durante la visita del cancelliere tedesco, Merz, ora è il sito dell’emittente a rivelare che il presidente degli Stati Uniti avrebbe chiesto al suo vice, JD Vance, di parlare in termini “diplomatici della situazione con Musk, almeno pubblicamente. Cnn cita una “fonte bene informata“.

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Dazi, Ue: Dialogo con Usa per accelerare negoziati, proposta ‘0 per 0’ su tavolo

Proroga fino al 9 luglio e avanti con i negoziati. I presidenti della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, hanno trovato un punto di convergenza nel voler mettere velocità alle trattative in corso per risolvere la questione dei dazi commerciali e nel rimanere in contatto. La telefonata intercorsa tra i due leader, ieri, “è stata positiva”, ha commentato oggi la portavoce della Commissione europea, Paula Pinho, nel briefing quotidiano con la stampa. E anche se Bruxelles “non entra nei dettagli” della discussione, comunica che von der Leyen e Trump “hanno concordato di far avanzare velocemente i negoziati commerciali e di restare in stretto contatto”. Palazzo Berlaymont prende tempo: “Stiamo parlando della relazione commerciale più ampia e più stretta al mondo – ha precisato Pinho -, quindi questi negoziati sono complessi e richiederanno tempo”. Ma sottolinea pure che “con questa chiamata c’è un nuovo impeto per i negoziati e da lì partiremo” e che “è positivo vedere che c’è impegno anche a livello di presidenti”. Se “questo era il momento di contatti a livello di presidenti”, dall’altro lato non c’è tempo da perdere e “le discussioni andranno avanti già da questo pomeriggio quando il commissario Sefcovic avrà una telefonata con il segretario per il commercio Lutnick”, ha annunciato la portavoce. Intanto, dalla Commissione chiariscono che, nell’ambito del suo colloquio con Trump, ieri von der Leyen, ha avuto anche delle telefonate di aggiornamento con diversi leader Ue, tra cui la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. E mettono in chiaro che la proposta ‘zero per zero’ dazi è “ancora ampiamente” sul tavolo. “Riteniamo che sia un punto di partenza molto interessante per un buon negoziato che potrebbe portare benefici su entrambe le sponde dell’Atlantico, e certamente lo sosterremo con forza”, ha aggiunto il portavoce della Commissione Ue per il Commercio, Olof Gill. Intanto, a dirsi “fiducioso” rispetto ai colloqui tra Ue e Usa è stato il presidente francese Emmanuel Macron. “Le discussioni stanno procedendo bene. C’è stato un proficuo scambio tra il presidente Trump e la presidente von der Leyen, e spero che possiamo proseguire su questa strada, che dovrebbe portarci a tornare ai dazi più bassi possibili”, ha aggiunto. Mentre dal Consiglio Agricoltura e Pesca dell’Unione europea, il commissario Ue, Christophe Hansen, esprime il desiderio che si usi “saggiamente la nuova scadenza, fino al 9 luglio, per negoziare con gli Stati Uniti” e si possa “evitare qualsiasi dazio che sarebbe dannoso per gli agricoltori e i produttori alimentari su entrambe le sponde dell’Atlantico”.

E il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, osserva che “l’Europa deve parlare a una voce unica” e che “la prima affermazione che si deve fare è evitare ad ogni costo un qualcosa che possa somigliare a una guerra commerciale”. Infine, da un evento ospitato dalla Hertie School a Berlino, la presidente della Banca centrale europea (BCE), Christine Lagarde, ricorda che “l’economia globale ha prosperato grazie all’apertura e al multilateralismo, sostenuti dalla leadership americana” e che “qualsiasi cambiamento nell’ordine internazionale che porti a un declino del commercio mondiale o alla frammentazione in blocchi economici sarebbe dannoso”. Ma, allo stesso tempo, rileva come questi sviluppi potrebbero “aprire la strada a un ruolo internazionale più importante per l’euro”. E migliorare il ruolo internazionale dell’euro potrebbe “stimolare la domanda europea”, “proteggere l’Europa da flussi di capitali più volatili” e consentire all’Europa di “controllare meglio il proprio destino”.