Tinelli (Confagricoltura): Ingresso Ucraina in Ue avrà impatto enorme

“Le ultime due riforme della politica agricola” europea “sono state una rivoluzione copernicana e hanno visto una modifica del modello agricolo europeo. L’entrata dell’Ucraina è sicuramente un atto dovuto. D’altra parte l’impatto sull’agricoltura europea sarà enorme, quindi da questo punto di vista la Commissione dovrebbe cominciare a studiare quali saranno, prima di tutto, gli effetti dell’allargamento e verificare il budget che sarà destinato alla politica agricola”. Lo ha dichiarato a GEA Cristina Tinelli, responsabile relazioni Ue e internazionali di Confagricoltura a margine della decima edizione dell’evento ‘How can we govern Europe?’, organizzato da Withub con la direzione editoriale di Eunews e GEA, in corso a Bruxelles, presso la residenza dell’ambasciatore d’Italia in Belgio. “E’ chiaro – ha aggiunto – che non possiamo accettare una diminuzione del budget, per cui dovranno essere studiati dei meccanismi di phase in nei confronti dell’Ucraina, come è stato – d’altra parte – per l’adesione degli ex nuovi paesi dell’Est. Insomma, quindi auspichiamo che comunque le risorse a disposizione rimangano le stesse per per la politica agricola, anche se sicuramente bisognerà studiare dei meccanismi tali per cui si possa continuare in questo senso”.

In Ucraina guerra anche contro l’ambiente: danni per 56 miliardi di dollari

Foreste devastate, città allagate… Dall’inizio dell’invasione russa e dopo quasi due anni di guerra, la distruzione dell’ambiente in Ucraina è una “tragedia” di rara portata, che colpirà “diverse generazioni”. Sebbene “tutti i conflitti” siano dannosi per la natura, la guerra in Ucraina lo è “in modo particolare”, secondo Doug Weir, direttore della ricerca dell’Ong britannica Conflict and Environment Observatory. A differenza dei conflitti limitati a un’area ristretta, questa volta la linea del fronte è “incredibilmente lunga”, coprendo centinaia di chilometri, e i combattimenti si trascinano, moltiplicando i danni.

All’intenso fuoco di artiglieria si aggiunge l’inquinamento causato dai frequenti attacchi alle infrastrutture energetiche e le tonnellate di detriti generati dai bombardamenti nelle aree urbane, afferma l’esperto, per il quale la natura è “una vittima massiccia della guerra in Ucraina”. Il costo dei danni ambientali è stato stimato all’inizio di novembre in 56 miliardi di dollari, “una somma impressionante”, afferma Jaco Cilliers, rappresentante del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) in Ucraina.
Quasi il 30% delle aree forestali ucraine e circa il 20% dei parchi naturali nazionali sono stati colpiti dalla guerra, spiega Ruslan Strilets, ministro ucraino della Protezione ambientale e delle Risorse naturali. Gli alberi distrutti durante i combattimenti “erano cresciuti per decenni, a volte per secoli, e in pochi giorni (i russi) hanno bruciato questi preziosi ecosistemi”, dove vivevano molte specie animali.

Nell’est del Paese, dove i combattimenti sono stati particolarmente feroci, una foresta di querce di oltre 300 anni è stata “completamente distrutta dalla guerra”, secondo Bohdan Vykhor, direttore del Wwwf Ucraina, che non vede come potrebbe “essere ricostituita nel prossimo futuro”. Per quanto riguarda lo sminamento del 30% circa del territorio che è stato o potrebbe essere stato minato, ci vorranno probabilmente “decenni”, aggiunge Strilets.

Gran parte del territorio ucraino è inaccessibile, a causa dell’occupazione russa o della vicinanza della linea del fronte. Da lontano, gli esperti devono procedere per tentativi, spesso affidandosi alle immagini satellitari o a quelle pubblicate sui social network. “La visione che abbiamo al momento è quindi ancora incompleta”, si rammarica Doug Weir.

È impossibile, ad esempio, sapere quanti delfini siano stati uccisi nel Mar Nero, diventato anch’esso una zona di guerra. “Abbiamo registrato ufficialmente un migliaio di animali morti”, alcuni dei quali disorientati dal rumore delle attività militari, spiega Strilets, ma “gli scienziati parlano di decine di migliaia”.
Iegor Hrynyk, esperto del Gruppo ucraino per la conservazione della natura (UNCG), teme che il conflitto stia avendo anche effetti meno visibili, come quello di spingere il Paese a “sfruttare maggiormente le risorse naturali”, in particolare abbattendo più alberi, per far fronte ai costi della guerra. “Non dimentichiamo che le battaglie si vincono con gli eserciti e le guerre si vincono con le economie”, risponde Strilets, che tuttavia promette che la ripresa economica non avverrà “a spese del nostro ambiente”.

Al via a Bruxelles il Vertice Ue: i leader spingono per il picco delle emissioni entro il 2025

Sostegno umanitario in Medioriente e militare all’Ucraina, ma non solo. Si apre oggi e proseguirà fino a venerdì a Bruxelles il Vertice dei capi di stato e governo dell’Ue, con una agenda totalmente stravolta dalle conseguenze del conflitto tra Hamas e Israele, che ancora una volta ha restituito l’immagine di un’Unione europea poco unita di fronte alla politica estera e di sicurezza. Non più solo guerra in Ucraina, competitività dell’industria europea e EuroSummit. “Il nostro incontro avviene in un momento di grande instabilità e insicurezza globale, esacerbata più recentemente dagli sviluppi in Medioriente”, ammette il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nella tradizionale lettera di invito ai capi di stato e governo dell’Ue pubblicata ieri mattina. E non è difficile da immaginare che le tensioni in Medioriente saranno dominanti nelle discussioni tra i leader, anche se non è l’unico dossier caldo sul tavolo.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, sarà connesso in video-collegamento con i leader Ue nel corso delle discussioni sul sostegno all’Ucraina, in cui i leader dovrebbero riaffermare il pieno sostegno militare, finanziario, umanitario a Kiev di fronte all’aggressione dell’Ucraina. In agenda per la prima giornata di Vertice europeo anche la revisione del bilancio pluriennale (2021-2027). Più di una fonte vede nel vertice un Consiglio prettamente di transizione, per cercare di arrivare a un accordo il “prima possibile”, possibilmente al Vertice europeo di dicembre, l’ultimo prima della fine dell’anno. Sarà l’occasione per i leader di mettere a fuoco quali e quante dovranno essere le priorità per la revisione intermedia del bilancio comunitario, sulla base della proposta della Commissione che ha dato priorità a Ucraina (50 miliardi), migrazione (15 miliardi) e competitività industriale.

Proprio sul tema della competitività dell’industria europea, a quanto si apprende, l’Italia starebbe insistendo per includere nel testo delle conclusioni un riferimento al ‘level playing field’, ovvero alla necessità di garantire parità di condizioni economiche non solo nel rapporto con Stati terzi (in particolare, spiegano fonti, la concorrenza con i sussidi a pioggia della Cina sulle tecnologie verdi e degli Stati Uniti attraverso l’Inflation Reduction Act) ma anche internamente, a causa del rilassamento delle regole sugli aiuti di stato.

In vista della 28esima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre, i leader inseriranno all’interno delle conclusioni anche un riferimento alla necessità di raggiungere il picco delle emissioni “al più tardi entro il 2025” per limitare il riscaldamento a circa 1,5 C°, come si legge nell’ultima versione della bozza di conclusioni domani sul tavolo dei leader. Fissando la data per il picco di emissioni nel 2025 i leader Ue si spingono oltre rispetto al mandato dell’Unione europea adottato lo scorso 16 ottobre dai ministri europei dell’ambiente che si sono limitati a dire che il picco massimo nel consumo di combustibili fossili sia registrato “in questo decennio”.

Allarme di Kiev: “La Russia ha ricominciato con il terrore energetico”

La Russia ha ricominciato con azioni destinate a diffondere il “terrore energetico” in Ucraina con l’avvicinarsi dell’inverno. A lanciare l’allarme è il primo ministro ucraino, Denys Shmyhal.

 “La fase del terrore energetico è già iniziata”, ha dichiarato il premier durante un forum economico, citato dall’agenzia di stampa Interfax-Ucraina. “Lo possiamo vedere nella distruzione delle infrastrutture energetiche” e nei “primi attacchi” contro le sottostazioni elettriche “nelle ultime due settimane”, ha aggiunto.

Il premier ucraino ritiene, però, che il Paese sia meglio preparato rispetto all’inverno precedente, quando gli attacchi di Mosca alle infrastrutture energetiche hanno regolarmente gettato milioni di persone nel buio e nel freddo. “Siamo molto più preparati e forti dell’anno scorso”, ha sottolineato, grazie soprattutto alla fornitura di sistemi di difesa aerea occidentali. “L’inverno sarà sicuramente duro, non certo più facile dell’ultimo”, ma “sappiamo cosa sta facendo il nemico e quali sfide ci attendono”, ha aggiunto Shmygal.

Quasi ogni notte, la Russia bombarda le città ucraine con missili e droni kamikaze. Giovedì, una nuova salva di oltre 40 missili da crociera ha ucciso tre persone a Kherson, nel sud, e ne ha ferite sette nella capitale, Kiev. Sebbene la maggior parte dei missili sia stata abbattuta, alcuni hanno colpito infrastrutture civili, secondo le autorità ucraine.

Per la prima volta in sei mesi, gli impianti energetici nell’ovest e nel centro del Paese sono stati danneggiati dagli attacchi russi, causando interruzioni di corrente in diverse regioni, ha riferito il fornitore ucraino Ukrenergo su Telegram.

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I giganti mondiali del grano: Russia è primo esportatore al mondo

La Cina produce molto ma non esporta, la Russia domina il commercio e detta le regole: una panoramica del mercato del grano, cereale essenziale per il pane, che solo una decina di Paesi al mondo è in grado di esportare.
Semola, farina o pane: “Tutti mangiano il grano, ma non tutti sono in grado di produrlo“, sintetizzava l’economista francese Bruno Parmentier, autore di ‘Nourrir l’humanité’, nel luglio 2022.

Frutto dei climi temperati, nato in Mesopotamia, il grano tenero consumato oggi da miliardi di esseri umani può diventare un vettore di guerra, quando manca o la sua mobilità è ostacolata.
Ad agosto, l‘International Grain Council (IGC), che riunisce i principali Paesi importatori ed esportatori del mondo, ha previsto una produzione mondiale di grano di 784 milioni di tonnellate nel 2023-24, in leggero calo del 2,4% rispetto all’anno precedente.

Solo una decina di Paesi produce abbastanza da poter esportare: la Cina, di gran lunga il maggior produttore mondiale con 138 milioni di tonnellate nel 2022-23, importa ancora più di 10 milioni di tonnellate all’anno per nutrire i suoi 1,4 miliardi di abitanti, tenendo sempre a disposizione un’enorme scorta.
Dopo un raccolto record di 92-100 milioni di tonnellate nel 2022-23, a seconda delle fonti, la Russia è “sulla buona strada per avere il secondo miglior raccolto di sempre“, secondo Sébastien Poncelet, specialista del mercato dei cereali di Agritel (gruppo Argus media), che prevede circa 90 milioni di tonnellate.

In quanto primo esportatore mondiale, con 46 milioni di tonnellate nel 2022-23 secondo le stime dell’USDA, la Russia da sola potrebbe rappresentare un quarto del commercio mondiale di grano quest’anno. Dietro Mosca, i principali esportatori sono il Canada, l’Australia, gli Stati Uniti, che dovrebbero scendere sotto i 20 milioni di tonnellate, il livello più basso degli ultimi 50 anni, e la Francia. L’Ucraina, che prima della guerra stava per diventare il terzo esportatore mondiale, dovrebbe esportare solo 10 milioni di tonnellate, secondo l’USDA.

Secondo Sébastien Abis, ricercatore associato presso l’Institut de relations internationales et stratégiques (Iris), dal 2018 la Turchia è il principale cliente di grano della Russia, seguita dall’Egitto: questi due Paesi rappresentano il 40% delle esportazioni russe. Seguono Iran e Siria. L’esperto sottolinea che il grano russo sta facendo progressi costanti sul mercato delle esportazioni e si sta ritagliando uno spazio tra i clienti tradizionali, dall’Europa occidentale al Maghreb e all’Africa subsahariana.

Secondo l’Istituto africano per gli studi sulla sicurezza (ISS), nel 2020 il commercio totale tra Russia e Africa ammontava a circa 14 miliardi di dollari, rispetto ai 295 miliardi di dollari con l’Unione europea, ai 254 miliardi di dollari con la Cina e ai 65 miliardi di dollari con gli Stati Uniti. Inizialmente incentrato su energia e armi, questo commercio si è esteso sempre più alle materie prime agricole, in particolare al grano.

Sebbene il grano non sia un alimento base nella maggior parte dell’Africa, rimane un’importante fonte di calorie in molti Paesi, in particolare nei centri urbani, dove la mancanza di pane può portare rapidamente a rivolte.

Secondo uno studio dell’IFPRI (International Food Policy Research Institute), tra il 2019 e il 2021, il grano destinato all’Africa subsahariana rappresenterà in media circa il 18% delle esportazioni annuali totali di questo cereale da parte della Russia. I volumi, pur non essendo enormi, non sono insignificanti: 3,9 milioni di tonnellate di grano russo nel 2022-23 (poco meno del 20% delle importazioni di grano della regione, ma in calo rispetto ai 4,5 milioni di tonnellate del 2021-22).
La Russia, che ha intensificato le promesse di forniture a basso costo all’Africa, “non ha compensato” il calo delle esportazioni ucraine, che si sono più che dimezzate a 701.000 tonnellate nel 2022-23, sottolinea lo studio. Il Corno d’Africa, la Liberia e il Madagascar sono tra i Paesi più dipendenti dalle importazioni di grano russo.

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Mosca annuncia la fine dell’accordo sul grano. Onu: “Milioni di persone ne pagheranno le spese”

Fine degli accordi del Mar Nero. La Russia ha annunciato di non essere disposta a rinnovare l’intesa – in scadenza il 17 luglio – sull’esportazione di grano ucraino, cruciale per le forniture alimentari mondiali. E la conferma è arrivata a poche ore dall’attacco ucraino che ha parzialmente distrutto per la seconda volta il ponte strategico che collega la Russia alla penisola di Crimea, annessa nel 2014.

Firmata nel luglio 2022 con Russia e Ucraina sotto l’egida della Turchia – Paese facilitatore – e delle Nazioni Unite e già rinnovata due volte, la ‘Black Sea Grains Initiative’ mira ad alleviare il rischio di carestia nel mondo assicurando, nonostante la guerra, l’immissione sul mercato di prodotti agricoli ucraini. Garantendo la sicurezza del traffico merci nel Mar Nero in partenza dai porti ucraini, l’accordo, che richiede l’ispezione delle navi da parte dei rappresentanti dei quattro firmatari, ha consentito l’esportazione di quasi 33 milioni di tonnellate sin dal suo inizio, il 1 agosto 2022, principalmente grano e mais.

Ma il Cremlino ha ignorato gli appelli che si sono moltiplicati negli ultimi giorni per il rinnovo dell’accordo, spiegando che la decisione “è definitiva”. Tuttavia, il ministero degli Esteri, ha rilanciato la palla: “se le capitali occidentali apprezzano davvero l’iniziativa del Mar Nero“, allora dovrebbero prendere “seriamente” in considerazione “l’adempimento dei loro obblighi e rimuovere effettivamente i fertilizzanti e i prodotti alimentari russi dalle sanzioni”. Solo quando si otterranno “risultati concreti, e non promesse e rassicurazioni”, la Russia sarà pronta a prendere in considerazione il ripristino dell’accordo. E il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è detto convinto che il suo “amico Putin” voglia ripensarci.

Immediata la replica dell’Onu, che attraverso il Segretario generale Antonio Guterres, ha spiegato che “centinaia di milioni di persone stanno affrontando la fame” e saranno proprio loro a “pagare il prezzo” dello stop all’accordo. Per Save the children saranno “milioni di bambini in più in tutto il mondo” a soffrire maggiormente.

L’ambasciatrice statunitense presso le Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield, ha accusato Mosca di “prendere in ostaggio l’umanità“, mentre la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, insieme a Londra, Parigi e Berlino, ha definito “cinica” la decisione russa e ha spiegato che l’Unione europea “sta lavorando per garantire la sicurezza alimentare per le persone vulnerabili del mondo e le corsie di solidarietà continueranno a portare i prodotti agroalimentari dall’Ucraina ai mercati globali”.

La questione, ha invece assicurato il titolare della Farnesina, Antonio Tajani, sarà affrontata al vertice sulla sicurezza alimentare che si terrà a Roma il 24 luglio, ma in ogni caso “siamo già al lavoro per soluzioni alternative”. E per la premier, Giorgia Meloni, la decisione della Russia di interrompere l’accordo del grano “è l’ulteriore prova su chi è amico e chi è nemico dei paesi più poveri”. Riflettano –  ha detto – i leader di quelle nazioni che non vogliono distinguere tra aggredito e aggressore. Usare la materia prima che sfama il mondo come un’arma è un’altra offesa contro l’umanità”.

L’Ucraina, da parte sua, ha dichiarato di voler continuare a esportare il suo grano attraverso il Mar Nero, con o senza la firma dell’accordo da parte di Mosca. “Non abbiamo paura”, ha detto il presidente Volodymyr Zelensky.

Sul fronte economico, con la mancata proroga dell’accordo, mancheranno dai mercati mondiali 32,8 milioni di tonnellate di grano, mais e olio di girasole che sono partiti dai porti Ucraini del Mar Nero nell’anno di attuazione dell’intesa. Secondo i dati elaborati da Coldiretti, l’intesa è stata “anche per fronteggiare il pericolo carestia in quei 53 Paesi dove secondo l’Onu, la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione. Un pericolo quindi anche per la stabilità politica proprio mentre si moltiplicano le tensioni sociali ed i flussi migratori, anche verso l’Italia”.

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A rischio il ribasso dei prezzi di pane e pasta con lo stop della Russia all’accordo sul grano

“La Russia non vede alcuna ragione per estendere l’accordo sul grano ucraino”, ha annunciato il ministro russo degli Esteri Serghei Lavrov. Fra poche settimane dunque non dovrebbe essere prorogata l’intesa sui cereali provenienti dal mar Nero, che era stata firmata lo scorso anno per garantire gli approvvigionamenti nei Paesi più poveri dell’Africa e dell’Asia ed evitare carestie che potessero spingere i flussi migratori.

Il prezzo del grano, in seguito alla dichiarazione di Mosca, è schizzato di quasi il 10% per poi passare in negativo, anche perché i timori sull’offerta da parte dei principali produttori mondiali si sono attenuati: le piogge nel Midwest degli Stati Uniti hanno cancellato le preoccupazioni che le condizioni di siccità avrebbero danneggiato il raccolto imminente, recuperando le aspettative di forti livelli di produzione nel prossimo anno di commercializzazione. Tutta merce che sostituirà eventualmente quella ucraina in Italia.

Secondo Coldiretti le importazioni di frumento da Kiev sono aumentate del 326% per un quantitativo pari a oltre 115 milioni di chili nel primo trimestre 2023. Una sorta di invasione che ha fatto crollare del 30% le quotazioni del grano tenero nell’ultimo anno, su valori che sono scesi ad appena 26 centesimi al chilo. Prezzi che – secondo Coldiretti – non coprono i costi di produzione.

Solo il 55% dei prodotti agricoli che hanno lasciato l’Ucraina dopo l’accordo hanno raggiunto i Paesi in via di sviluppo, come quelli del Nord Africa e dell’Asia, come emerge dall’analisi della Coldiretti sulla base dei dati del Centro Studi Divulga sui prodotti agricoli partiti da agosto 2022 a febbraio 2023 dai porti di Chornomorsk (36,4% del totale), Yuzhny (35,8%) e Odessa (27,8%). La Cina con ben 5,2 milioni di tonnellate di prodotti agricoli tra grano, mais e olio di girasole, pari al 21,5% sul totale, è il Paese che ha beneficiato di più dell’accordo. La Spagna con 4,1 milioni di tonnellate di prodotti e la Turchia con 2,7 milioni di tonnellate di prodotti salgono comunque sul podio, ma l’Italia con 1,76 milioni di tonnellate si colloca al quarto posto. Nonostante questo i prezzi di pasta e pane sono lievitati, mentre quelli del grano sono precipitati. Una contraddizione che ha smosso il ministero del made in Italy e mister Prezzi, i quali hanno avviato indagini conoscitive per provare a scovare eventuali speculazioni.

I pastai si difendono, ad esempio, sostenendo che i listini erano saliti perché la merce comprata mesi fa aveva quotazioni più elevate di quelle attuali, per tanto i prezzi al consumo dovrebbero calare man mano che i prodotti ‘cari’ saranno esauriti e il fabbisogno sarà rimpiazzato con materia prima più economica. Lo stop al grano ucraino tuttavia rischia di frenare questa tendenza positiva per l’acquirente finale. Il grano nuovo, fa sapere Coldiretti Puglia, è pagato 330 euro a tonnellata, un prezzo che non copre neppure i costi di produzione. Stesso discorso in Sardegna, dove sempre l’associazione territoriale spiega che a queste quotazioni un agricoltore ci perde 200-300 euro a ettaro, mettendo a rischio la continuità aziendale e, in ultima istanza, lo stesso prodotto made in Italy. Servirebbe dunque una remunerazione maggiore per gli agricoltori, in questo caso però non si avrebbe nessun ribasso sul costo finale di pasta o pane. Comunque sia difficilmente i produttori potranno aspirare a incassare di più, dato che la quantità di frumento proveniente dal Nord America abbatterebbe le quotazioni all’ingrosso.

Un cane che si morde la coda, dunque, dove agricoltori e consumatori italiani sembrano essere quelli che pagheranno di più questi ribaltamenti del mercato, nati dall’abolizione dei dazi sul frumento ucraino.

Al via il Vertice Ue tra sostegno a Ucraina e Fondo di sovranità per l’industria

Dal sostegno finanziario all’Ucraina all’assenza della richiesta di un vero Fondo europeo di sovranità per finanziare la transizione dell’industria verde. Prende il via oggi e durerà fino a venerdì a Bruxelles il Vertice europeo, l’ultimo – al netto di convocazioni straordinarie – prima della pausa estiva. Un Vertice di dibattito e confronto delicato, un Vertice di indirizzo politico e di orientamento, da cui però, fanno sapere fonti diplomatiche, come spesso accade non si attendono decisioni significative.

Il Vertice dei leader inizierà all’ora di pranzo dopo una colazione di lavoro con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il consueto scambio con la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. Il primo dibattito sarà quello sull’Ucraina, che sarà aperto dall’ormai tradizionale video-intervento del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. Il confronto arriva a meno di un mese dalla distruzione della diga della centrale idroelettrica di Kakhovka, situata nelle aree occupate dai russi della regione di Kherson, nel sud del Paese. I leader, stando alle prime versioni della bozza di conclusioni, condanneranno “con la massima fermezza” la distruzione della diga da parte russa e sottolineando i rischi che ciò comporta per la sicurezza della centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia. “La distruzione di infrastrutture civili si qualifica come crimine di guerra”, ricorderanno.

I capi di stato e governo dell’Ue ribadiranno il loro sostegno forte all’Ucraina oltre che la preoccupazione per il continuo rallentamento dell’attuazione dell’Iniziativa sul grano del Mar Nero. Le corsie di solidarietà dell’Ue continuano ad avere un ruolo fondamentale nel sostenere la sicurezza alimentare globale. I leader passeranno poi a discutere del capitolo economia, facendo un punto su tutte le misure adottate fino a questo momento per contrastare gli effetti della crisi economica ed energetica trainata dalla guerra di Russia in Ucraina. Nel testo delle conclusioni, a quanto apprende GEA, ci sarà un esplicito riferimento alla necessità di raggiungere un accordo politico tra co-legislatori entro la fine della legislatura sui pilastri normativi del Piano industriale per il Green Deal, presentato dalla Commissione Ue come una risposta ‘Made in Europe’ all’Inflation Reduction Act (Ira) il piano di sussidi verdi da 370 miliardi di dollari.

I leader dovrebbero chiedere all’Esecutivo comunitario di realizzare una valutazione d’impatto sull’Ira, ma sembra che non ci sia per il momento l’intenzione di fare pressione sulla Commissione per presentare un Fondo di sovranità per finanziare la transizione dell’industria. La proposta doveva arrivare nel quadro della revisione intermedia del bilancio a lungo termine, la proposta di revisione del bilancio pluriennale è arrivata lo scorso 20 giugno ma di un Fondo di sovranità non c’è traccia.

La Commissione Ue ha messo la ‘competitività’ industriale tra le tre priorità di questa revisione di medio termine (insieme all’Ucraina e alle migrazioni, per un valore totale di 66 miliardi di euro) ma ha proposto la creazione di una nuova piattaforma per le tecnologie strategiche per l’Europa (chiamata con l’acronimo ‘Step’), attraverso cui Bruxelles chiede agli Stati membri di mobilitare altri 10 miliardi di euro per aumentare il budget di alcuni programmi già esistenti, tra cui InvestEu (3 miliardi), Horizon Europe (0,5), Fondo per l’innovazione (5 miliardi) e Fondo europeo per la difesa (1,5). A quanto si apprende non c’è intenzione di risollevare il punto o di inserire un riferimento esplicito alla richiesta di un Fondo di sovranità. Discussioni, spiegano fonti, andranno fatte a livello tecnico per capire se la portata della proposta della Commissione europea è sufficiente a coprire le necessità di finanziamento.

Crollo diga di Kakhovka è catastrofe ecologica: 150 tonnellate di petrolio viaggiano verso il Mar Nero

Distruzione degli ecosistemi, inondazioni, inquinamento, minacce energetiche: la distruzione della diga di Kakhovka, nell’Ucraina meridionale, potrebbe avere conseguenze ambientali e umane “senza precedenti, secondo quanto dichiarato mercoledì da diversi esperti e associazioni ambientaliste. Intanto, mentre continuano le accuse reciproche di aver portato a termine l’attacco fra Mosca e Kiev, si infila nella diatriba il presidente turco Recep Tayyp Erdogan. Che, dopo aver sentito i suoi omologhi Zelensky e Putin, propone di istituire una commissione d’inchiesta internazionale, con la partecipazione di esperti delle parti in conflitto, delle Nazioni Unite e della comunità internazionale, per condurre “un’indagine approfondita” ed eliminare “ogni sospetto“.

Ma nel frattempo, indipendentemente dalle responsabilità, la situazione nei pressi della diga rimane drammatica. E le conseguenze potrebbero essere ancora più catastrofiche. Secondo i funzionari ucraini, martedì si sono riversate nel fiume Dnieper 150 tonnellate di petrolio, “con il rischio di fuoriuscita di altre 300 tonnellate“, che rappresentano “una minaccia per la flora e la fauna“. Zelensky ha annunciato che la chiazza è stata portata dalla corrente verso il Mar Nero. Ma “non possiamo ancora prevedere quanta parte delle sostanze chimiche, dei fertilizzanti e dei prodotti petroliferi stoccati nelle aree alluvionate finirà nei fiumi e nel mare“, ha aggiunto.

La prima conseguenza legata al rilascio dei 18 miliardi di tonnellate d’acqua trattenuti dalla diga, però, è che il Dnieper, il quarto fiume più lungo d’Europa, subirà un grave sconvolgimento dei suoi ecosistemi, fino alle zone costiere del Mar Nero, che potrebbero essere temporaneamente desalinizzate in alcune aree, secondo l’ONG ucraina Ecoaction. Si prevede anche una “potenziale mortalità di massa degli organismi acquatici (pesci, molluschi, crostacei, microrganismi, vegetazione acquatica)” e dei roditori, alcuni dei quali sono già minacciati, “con conseguente deterioramento della qualità dell’acqua a causa della decomposizione degli organismi morti“. Il Gruppo ucraino per la conservazione della natura (UNCG) stima che le conseguenze per la fauna selvatica “si faranno sentire su un’area di almeno 5.000 km² (zona di inondazione e zona di drenaggio)” e “alcune specie potrebbero aver subito un colpo maggiore in un solo giorno il 6 giugno che negli ultimi 100 anni“. Solo per i pesci ci vorranno “almeno 7-10 anni per ripristinare” le perdite e gli uccelli che nidificano intorno alla diga (gabbiani, sterne, ecc.) scompariranno da quest’area. “Tutti gli organismi viventi che abitano il bacino di Kakhovka sono già morti o moriranno nei prossimi giorni“, stima l’associazione. Anche gli animali domestici e in cattività sono in pericolo, secondo il Fondo internazionale per il benessere degli animali (IFAW), che segnala già una “situazione disastrosa“. “I rifugi sono sommersi dalle richieste di soccorso. A Nova Kakhovka (…) un piccolo zoo è stato completamente allagato: tutti gli animali, tranne i cigni, sono morti“, spiega Natalia Gozak, funzionario dell’IFAW in Ucraina.

E non sarà di certo risparmiata la vegetazione, soprattutto quella a monte della diga, che “morirà a causa del drenaggio, mentre le aree a valle saranno inondate, compresi i complessi steppici e forestali che non sono adattati alla sommersione, con conseguente ristagno e distruzione“, prevede Ecoaction. Diversi parchi naturali nazionali ucraini, tra cui la Riserva della biosfera del Mar Nero, inserita dall’Unesco, sono direttamente minacciati.

Mentre 40mila persone vivono in zone a rischio e sono in corso evacuazioni di massa, gravi problemi per la popolazione deriveranno anche dalla scarsità d’acqua. La diga di Kakhovka, infatti, era utilizzata per fornire acqua potabile e irrigazione alla parte meridionale dell’Ucraina, che è già una delle più aride del Paese. La sua distruzione rappresenta quindi un grave rischio per l’approvvigionamento idrico di milioni di persone. Senza contare la minaccia nucleare: al momento non si rilevano rischi, ma essendo l’acqua della diga utilizzata per raffreddare la centrale di Zaporizhzhia i timori rimangono sullo sfondo. Soprattutto quelli di natura economica: “La mancanza di raffreddamento per i sei reattori significa che l’impianto non sarà operativo nel prossimo futuro, con una conseguente perdita di circa il 13% della capacità di produzione di energia elettrica dell’Ucraina“, sottolinea Malte Janssen, della University of Sussex Business School.

Ucraina, Zelensky: Chiazza petrolio da 150 tonnellate verso il Mar Nero

Il più grande ecocidio mai commesso sul territorio ucraino. Così Volodomyr Zelensky definisce la distruzione della diga di Kakhovka avvenuta, ne è certo, “per mano dei russi”.

Il bacino idrico distrutto è uno dei più grandi del Paese. Contiene 18 miliardi di metri cubi d’acqua e tutte le strutture della centrale idroelettrica e della sua diga si trovavano, sottolinea il presidente ucraino, “nel territorio occupato”. La diga forniva acqua potabile a un’ampia parte dell’Ucraina – città e villaggi con centinaia di migliaia di persone. Forniva acqua agli agricoltori per la produzione agricola nel sud e nel centro dell’Ucraina.

La sua distruzione è, ribadisce Zelensky, “un colpo inferto dall’uomo all’ambiente, dopo il quale la natura dovrà riprendersi per decenni”. L’evacuazione delle persone dall’area allagata è in corso: quasi ottanta insediamenti sono a rischio. “Si è formata una chiazza di petrolio di almeno 150 tonnellate che è stata portata dalla corrente verso il Mar Nero. Non possiamo ancora prevedere quanta parte delle sostanze chimiche, dei fertilizzanti e dei prodotti petroliferi stoccati nelle aree alluvionate finirà nei fiumi e nel mare”, è l’allarme del presidente.

Per il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, questo è un momento che “cambia il conflitto”: “Non c’era mai stata un’aggressione così grave nei confronti di una infrastruttura, c’è una involuzione in negativo, vedremo quali saranno le conseguenze, peggiorano anche le condizioni di vita per i civili, questo è davvero inaccettabile”, tuona. “Rischiamo un peggioramento della situazione, per gli abitanti ucraini e per una escalation del conflitto. Avevamo previsto una zona franca intorno a Zaporizhzhia per evitare disastri del genere, ma – sottolinea il vicepremier -mi pare che non ci sia una volontà in questa direzione da parte dei russi”.