Quando l’Ue ‘esporta’ la lotta al cambiamento climatico

Molti dicono che è inutile, se non dannoso, per l’Unione europea andare avanti con determinazione nella sua battaglia contro il cambiamento climatico. C’è chi dice che è “inutile, perché tanto il resto del Mondo continua a inquinare, e dunque non serve a nulla” e anche chi sostiene che con strette regole contro le emissioni si favoriranno i Paesi che invece queste regole non le hanno, e che continueranno a produrre a costi più bassi, vendendo poi a prezzi più bassi, il tutto a danno delle imprese dell’Ue. Non è vero. Il 13 dicembre il Parlamento europeo e il Consiglio europeo hanno raggiunto un accordo preliminare su un meccanismo per rendere verdi le importazioni industriali nell’Unione europea. Le aziende importatrici, dovranno pagare una “tariffa sul carbonio alla frontiera”, che sarà commisurata in base alle emissioni di carbonio che sono state necessarie a produrre il bene.
Considerando che l’Unione europea è il più grande e ricco mercato del Mondo, non stiamo parlando di un dettaglio nel commercio globale, ma di un “meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera” (Cbam) dovrebbe allineare il prezzo da pagare per le emissioni di carbonio dei prodotti coperti dal sistema europeo di scambio di quote di emissione (Ets) con quello delle merci importate.
Ecco che il problema della concorrenza distorta viene drasticamente ridimensionato, almeno nei settori interessati: ferro e acciaio, cemento, alluminio, fertilizzanti, elettricità e idrogeno. Contemporaneamente però questo provvedimento darà un grande incentivo ai produttori che esportano verso l’Unione a rivedere il loro sistema industriale in maniera ‘green’, se vorranno continuare a vendere in Europa. È un percorso lento, certo, anche perché questo accordo, una volta formalizzato, entrerà in vigore a ottobre 2023. Ma il percorso c’è.

Caro-bollette, Antitrust contesta 7 società: “Aumenti ingiustificati per 2,6 milioni di famiglie”

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato sette procedimenti istruttori e deciso di adottare altrettanti provvedimenti cautelari nei confronti delle principali società fornitrici di energia elettrica e di gas sul mercato libero, che rappresentano circa l’80% del mercato. Secondo l’Authority, infatti, solo “metà degli operatori interessati ha rispettato la legge evitando di modificare le condizioni economiche – dopo il 10 agosto 2022 – ovvero revocando gli aumenti illecitamente applicati”. In altri termini, non tutti gli operatori si sono attenuti all’articolo 3 del Decreto Aiuti Bis – approvato il 9 agosto e convertito in legge il 21 settembre, che recita testualmente: “Fino al 30 aprile 2023 è sospesa l’efficacia di ogni eventuale clausola contrattuale che consente all’impresa fornitrice di energia elettrica e gas naturale di modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto relative alla definizione del prezzo ancorché sia contrattualmente riconosciuto il diritto di recesso alla controparte. Fino alla medesima data (…) sono inefficaci i preavvisi comunicati per le suddette finalità prima della data di entrata in vigore del presente decreto, salvo che le modifiche contrattuali si siano già perfezionate”.

L’Antitrust contesta a Enel, Eni, Hera, A2A, Edison, Acea ed Engie la mancata sospensione delle comunicazioni di proposta di modifica unilaterale delle condizioni economiche, inviate appunto prima del 10 agosto e, in seguito, “le proposte di aggiornamento o di rinnovo dei prezzi di fornitura, di carattere peggiorativo, giustificate sulla base della asserita scadenza delle offerte a prezzo fisso”. Ad Acea viene anche contestata “l’asserita efficacia delle comunicazioni di modifica unilaterale del prezzo di fornitura perché inviate prima dell’entrata in vigore del Decreto Aiuti bis (10 agosto 2022) e non ‘perfezionate’ prima della stessa data”.
Questi ultimi interventi vanno ad aggiungersi ai quattro procedimenti istruttori e agli altrettanti provvedimenti cautelari adottati nei confronti delle società Iren, Dolomiti, E.On e Iberdrola e fanno seguito a un’ampia attività preistruttoria svolta nei confronti di 25 imprese. In base a questa mole di dati, all’Auhority “risulta che i consumatori, i condomini e le microimprese interessati dalle comunicazioni di variazione delle condizioni economiche sono 7.546.963, di cui circa 2.667.127 avrebbero già subito un ingiustificato aumento di prezzo”.

“Ogni giorno – commenta il presidente di Consumerismo No Profit, Luigi Gabriele – ancora oggi, decine di consumatori scaricano la modulistica sul nostro sito per diffidare i gestori dall’applicare qualsiasi aumento delle tariffe di fornitura per luce e gas, a indicare come il fenomeno sia ancora molto esteso”. Incalza il Codacons, che invoca l’intervento della magistratura: “Dopo i provvedimenti adottati oggi dall’Antitrust, abbiamo deciso di presentare un nuovo esposto a 104 Procure della Repubblica di tutta Italia, affinché si indaghi a tutto campo sul comportamento delle società del mercato libero, accertando se le pratiche adottate possano configurare eventuali fattispecie penalmente rilevanti, dalla truffa all’appropriazione indebita, fino all’interruzione di pubblico servizio”.
Dal comunicato dell’Antitrust si legge infine che Enel, Eni, Hera, A2A, Edison, Acea ed Engie adesso “dovranno sospendere l’applicazione delle nuove condizioni economiche, mantenendo o ripristinando i prezzi praticati prima del 10 agosto 2022 e, inoltre, dovranno comunicare all’Autorità le misure che adotteranno al riguardo”.
Le imprese hanno sette giorni per difendersi e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato potrà confermare o meno i provvedimenti cautelari. Hera, Edison ed Enel hanno già comunicato le proprie posizioni in merito e che si riservano di tutelare le proprie ragioni nelle sedi competenti. Il Gruppo Hera “ritiene di avere sempre operato in modo conforme alle norme vigenti e nel pieno rispetto degli impegni contrattuali con i propri clienti”, Edison ribadisce di essersi limitata “ai rinnovi delle condizioni economiche alla naturale scadenza contrattuale” ed Enel precisa “di non avere modificato alla propria clientela le condizioni economiche durante il periodo di validità dei contratti”.

 

 

Meloni: “Su energia da Ue risposta insoddisfacente e inattuabile”

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni  interviene alla Camera in vista del Consiglio europeo del 15 e 16 dicembre e sottolinea come l’Italia sia “da mesi  in prima fila per un tetto dinamico dei prezzi. La posta in gioco per il Paese è alta perché si definisce la possibilità di difendersi senza prevaricazioni dei singoli a discapito di chi ha scarsa possibilità di spesa e che, dunque, potrebbe essere lasciato indietro”. E non usa mezzi termini per definire la proposta della Commissione europea sul price cap: “Insoddisfacente perché inattuabile”.
Nel discorso alla Camera, la presidente del Consiglio affronta il tema dell’elettrodotto Terna-Steg. “La nostra nazione è cerniera e ponte energetico naturale tra il Mediterraneo e l’Europa – ribadisce – in virtù della sua posizione geografica. L’obiettivo strategico che questo governo vuole realizzare è far diventare l’Italia uno snodo energetico che colleghi, tramite gasdotti – che in prospettiva dovranno traportare idrogeno verde -, ed elettrodotti la sponda Sud del Mediterraneo al resto d’Europa”. Giorgia Meloni fa riferimento al recente via libera della Commissione europea allo stanziamento di 307 milioni di euro per co-finanziare la nuova interconnessione elettrica tra Italia e Tunisia: “Un’opera che sarà realizzata da Terna e dalla società tunisina Steg e costituirà un nuovo corridoio energetico tra Africa ed Europa, favorendo la sicurezza di approvvigionamento energetico e l’incremento di produzione di energia da fonti rinnovabili”. Un’azione che Giorgia Meloni definisce “un Piano Mattei per l’Africa, un modello virtuoso e di crescita tra l’Unione europea e i paesi africani”. Un Piano “che non sia predatorio ma collaborativo e che garantisca crescita, dignità e lavoro. E che garantisca il diritto a non dover emigrare”.

La premier ricorda inoltre l’impegno assunto nei confronti della Lukoil: “Questo governo ha approvato un decreto per la raffineria di Priolo, che è stata messa nella condizione di lavorare anche dopo il 15 settembre. Abbiamo difeso i livelli occupazionali, mettendo in sicurezza 10 mila lavoratori e abbiamo tutelato un nodo energetico”. Un doppio passaggio importante, sottolinea la premier, in quanto “non dobbiamo scaricare sui cittadini i costi delle sanzioni alla Russia”.


Rispetto al tema delle sanzioni, la premier sottolinea che “abbiamo ripreso i colloqui per il nono pacchetto di sanzioni europee alla Russia. Siamo impegnati con sanzioni dolorose ma efficaci”. E, aggiunge: “Abbiamo approcciato alla discussione con spirito aperto, i costi imposti alla Russia devono essere superiori a quelli europei”.
Nell’affrontare la questione, Giorgia Meloni ribadisce il pieno appoggio dell’Italia a Kiev. “Non abbiamo cambiato idea – afferma – perché le nostre convinzioni non mutano a seconda del fatto che siamo al Governo o all’opposizione. L’Europa è unita contro il conflitto russo, sosteniamo il cammino europeo dell’Ucraina e ribadiamo che il conflitto riguarda tutti”. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ribadisce con forza l’appoggio italiano ed europeo all’Ucraina parlando alla Camera in vista del Consiglio europeo del 15 e 16 dicembre. Un appoggio che non è “facile propaganda” ma “concreto, anche sul piano militare; l’Italia deve continuare a fare la propria parte, con le azioni inaccettabili russe contro le infrastrutture ucraine, lo spazio di manovra per un cessate il fuoco appare assai limitato. Il Consiglio Europeo ci ha chiamati alla ricostruzione dell’Ucraina: sono stati destinati 349 miliardi di euro, temo ne serviranno molti di più. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo, sarà necessario un coordinamento inteso, internazionale, europeo ma, come ribadito ieri nel corso del G7, che coinvolgerà anche gli Stati terzi e settore privato”.

Giorgia Meloni ricorda che “non consentiremo che Putin utilizzi la carenza di cibo come arma” e sottolinea l’impegno umanitario dell’Italia che, ad oggi, ha consegnato 66 tonnellate di beni: “Siamo fieri della solidarietà italiana all’Ucraina. Molti Paesi hanno dimostrato un grande spirito di fratellanza, primo tra tutti la Polonia; anche l’Italia però ha contribuito a questo sforzo”.
Nel discorso della premier trova spazio anche la questione del Mediterraneo, divenuta per la prima volta “centrale” e inserita in un documento della Commissione europea “grazie alla posizione dell’Italia, nel rispetto della legalità internazionale e nella consapevolezza che ci sia la necessità di affrontare il fenomeno delle migrazioni in maniera strutturale, passando dalla ridistribuzione dei migranti alla difesa dei confini. Per raggiungere questo obiettivo, occorre un quadro di collaborazione basato su flussi legali, fermando le partenze e lavorando sulla gestione europea dei rimpatri”. La Meloni ricorda i “44 mila arrivi” che sta sostenendo l’Italia, che ha “l’onere maggiore della protezione delle frontiere europee dal traffico di esseri umani”. Chiede con fermezza di non fingere “che vada tutto bene, anche perché quando si leggono notizie di scafisti che buttano persone in mare mi convinco una volta di più che tutto questo non ha nulla a che fare con il concetto di solidarietà” .
Giorgia Meloni conclude il proprio intervento definendo l’Italia fondatrice di “un processo di integrazione, colonna indispensabile per la crescita economica dell’intera Europa. Questa è l’Italia che vogliamo rappresentare”. 

Tanto freddo, poco vento: il prezzo dell’energia elettrica si impenna

Gelo in mezza Europa. Nevica a Londra. Temperature in picchiata. Caloriferi a tutto gas e boom della domanda di energia elettrica. Inevitabile una impennata dei prezzi della luce, dato che parecchie abitazioni nel Vecchio Continente si riscaldano con l’elettricità. In Italia il Pun, prezzo unico nazionale, oggi e domani sarà di 422 euro per megawattora, una quotazione che non si vedeva da fine estate, quando il valore del gas era alle stelle, la siccità aveva prosciugato le centrali idroelettriche e ridotto ai minimi la produzione eolica. Anche in questi giorni, la produzione di energia dal vento è ai minimi termini. Non parliamo di fotovoltaico. Infatti anche nella Svezia green il prezzo dell’energia elettrica è addirittura superiore a quello italiano: 439 euro/Mwh nel Sud dello stato scandinavo. Quotazione simile nella Norvegia, primo fornitore europeo di gas. A Stoccolma oggi l’eolico ha funzionato al 36% delle capacità e l’idroelettrico al 65%. Ad Oslo l’idroelettrico è invece girato al 55%.
In Gran Bretagna, per timore di black out, sono state riattivate d’urgenza centrali a carbone, con l’eolico usato al 28% della sua potenza. Carbone che invece ha ormai sostituito il metano russo in Germania. Nella classifica, aggiornata quasi in tempo reale da Electricity Maps, emerge come il 44,95% dell’elettricità tedesca è prodotta dal carbone, rappresentando il 75,87% delle emissioni, secondo Paese europeo per intensità di carbonio. In Polonia invece la luce deriva per l’81% dal carbone, ovvero il 92,45% delle emissioni.
In Italia la prima fonte per produzione di energia elettrica resta il gas (46,72%). In Francia invece il 59% dell’elettricità deriva dal nucleare. Piccolo particolare: le centrali lavorano ancora a metà della loro potenza. Risultato: La Francia non ha mai importato così tanta elettricità come nella settimana dal 5 all’11 dicembre. Compreso dall’Italia, che continua a beneficiare di importanti forniture via gasdotto da Algeria, Azerbaigian e pure dalla Russia.
Gli stoccaggi di gas comunque sono scesi dalla fatidica soglia di 90%. Secondo i dati di Agsi, Aggregated gas storage inventory, le riserve – aggiornate al 10 dicembre – sono scese in Italia all’87,86%, mentre la media europea è calata a 88,48 per cento. Il prezzo ad Amsterdam del Ttf in realtà è sceso di oltre il 3% a circa 135 euro/Mwh, avendo in parte scontato l’arrivo del freddo artico e quindi la riduzione delle scorte. E’ invece salito di oltre il 10% il prezzo del gas in America, proprio in vista di temperature gelide nei prossimi giorni.
Picchi o non picchi meteorologici, l’Unione Europea dovrà affrontare un potenziale deficit di quasi 30 miliardi di metri cubi di gas naturale nel 2023, afferma l’Aie in un nuovo rapporto pubblicato oggi. Ma secondo l’Agenzia questo divario può essere colmato e il rischio di carenze evitato attraverso maggiori sforzi per migliorare l’efficienza energetica, distribuire energie rinnovabili, installare pompe di calore, promuovere il risparmio energetico e aumentare le forniture di gas. Nel frattempo l’energia elettrica torna a impennarsi e a gennaio non sembra esserci speranza di vedere una riduzione della bolletta.

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Gas, Aie allarmata su forniture Ue per 2023. Von der Leyen: “Resistito al ricatto russo”

L’Unione europea ha compiuto progressi significativi nel ridurre la dipendenza dalle forniture di gas naturale russo, ma non è ancora fuori dalla zona di pericolo. Tutti gli sfrorzi ora sono concentrati sulla preparazione del 2023 e del prossimo inverno. E’ quanto emerge dal rapporto ‘Come evitare la carenza di gas nell’Unione europea nel 2023’, presentato dal direttore esecutivo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, Fatih Birol e dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in vista della riunione straordinaria dei ministri dell’Energia dell’Ue del 13 dicembre e della riunione del Consiglio europeo del 15 dicembre.

Il rapporto, di fatto, delinea una serie di azioni pratiche che l’Europa può intraprendere per sfruttare gli straordinari progressi già compiuti nel 2022 nel ridurre la dipendenza dalle forniture di gas russe e riempire lo stoccaggio di gas in vista di questo inverno. A seguito delle misure adottate dai governi e dalle imprese europee nel corso dell’anno in risposta alla crisi energetica, nonché alla distruzione della domanda causata da enormi picchi di prezzo, la quantità di gas nei siti di stoccaggio dell’Ue è stata ben al di sopra della media quinquennale all’inizio di dicembre, fornendo un importante cuscinetto in vista dell’inverno. Anche le azioni dei consumatori, l’aumento delle forniture di gas non russo e il clima mite hanno contribuito a compensare il calo delle consegne russe nel 2022.
Le misure già adottate dai governi dell’Ue in materia di efficienza energetica, energie rinnovabili e pompe di calore dovrebbero contribuire a ridurre le dimensioni del potenziale divario tra domanda e offerta di gas nel 2023. Anche una ripresa della produzione di energia nucleare e idroelettrica rispetto ai livelli minimi decennali nel 2022 dovrebbe contribuire a ridurre il divario che, tra domanda e offerta di gas dell’Ue, potrebbe raggiungere i 27 miliardi di metri cubi nel 2023 in uno scenario in cui le consegne di gas dalla Russia scenderanno a zero e le importazioni di Gnl dalla Cina torneranno ai livelli del 2021.
“L’Unione europea ha compiuto progressi significativi nel ridurre la dipendenza dalle forniture di gas naturale russo, ma non è ancora fuori dalla zona di pericolo”, ha commentato Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Aie. “Molte delle circostanze che hanno permesso ai paesi dell’Ue di riempire i loro siti di stoccaggio prima di questo inverno potrebbero non ripetersi nel 2023. La nuova analisi dell’Aie mostra che è vitale una maggiore spinta all’efficienza energetica, alle rinnovabili, alle pompe di calore e a semplici azioni di risparmio energetico per scongiurare il rischio di carenze e ulteriori violenti picchi di prezzo il prossimo anno”.

Il rapporto Aie raccomanda di ampliare i programmi esistenti e aumentare le misure di sostegno per la ristrutturazione delle case e l’adozione di elettrodomestici e illuminazione efficienti. Suggerisce inoltre di utilizzare tecnologie più intelligenti e di incoraggiare il passaggio dal gas all’elettricità nell’industria. Per accelerare le autorizzazioni per le energie rinnovabili, il rapporto propone di aggiungere risorse amministrative e semplificare le procedure. Propone poi un maggiore sostegno finanziario per le pompe di calore e modifiche alle leggi fiscali che penalizzano l’elettrificazione. Richiede inoltre maggiori e migliori campagne per convincere i consumatori a ridurre il loro consumo energetico e descrive in dettaglio vari programmi da un’ampia gamma di paesi che possono fungere da migliori pratiche.
“La Russia ha tagliato le forniture di gas all’Europa dell’80% e sappiamo tutti che questi tagli agli oleodotti hanno aggiunto una pressione senza precedenti sui mercati energetici globali, con gravi effetti a catena sul sistema energetico europeo. Tuttavia, siamo riusciti a resistere a questo ricatto energetico. Con il nostro piano REPowerEU per ridurre di due terzi la domanda di gas russo entro la fine dell’anno, con una mobilitazione fino a 300 miliardi di euro di investimenti. Il risultato di tutto questo è che siamo al sicuro per questo inverno”, ha affermato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Quindi ora ci stiamo concentrando sulla preparazione del 2023 e del prossimo inverno. Per questo, l’Europa deve intensificare i propri sforzi in diversi campi, dalla portata internazionale all’acquisto congiunto di gas, all’aumento e all’accelerazione delle energie rinnovabili e alla riduzione della domanda”.

Dal lato dell’offerta, il rapporto Aie afferma che mentre le opzioni dell’Europa per importare più gas naturale sono limitate, ci sono una manciata di Paesi con capacità di esportazione di riserva che potrebbero aumentare le esportazioni catturando il gas che è attualmente bruciato. Il rapporto descrive anche le opportunità per aumentare la produzione di biogas a basse emissioni.
Insieme, queste misure offrono un percorso per evitare picchi di prezzo, chiusure di fabbriche, un maggiore utilizzo del carbone per la produzione di energia e una feroce concorrenza internazionale per i carichi di Gnl, in modi coerenti con gli obiettivi climatici dell’Ue.
“Dobbiamo rendere gli acquisti congiunti – ha sottolineato Ursula von Der Leyen – una realtà, le discussioni con gli Stati membri, i partner e le compagnie energetiche sono in corso. Possiamo lanciare la prima gara per l’aggregazione della domanda (di acquisti comuni) entro la fine di marzo ma è necessario un accordo tra gli Stati membri sul regolamento di emergenza del 18 ottobre”.  Tra le misure di emergenza contro la crisi energetica, la Commissione europea ha proposto anche l’avvio degli acquisti congiunti di gas per abbassarne i costi. I ministri Ue dell’energia hanno già trovato un accordo politico, ma hanno ‘legato’ il via libera del pacchetto di emergenza al raggiungimento di un accordo sul ‘price cap’, che ancora non è stato trovato. Nel breve termine proporrà inoltre di potenziare finanziariamente il piano REPowerEu per gli investimenti in energia pulita. Un’azione che rappresenta “una parte della nostra risposta europea all’Inflation Reduction Act (IRA) degli Stati Uniti”, ha precisato la Presidente della Commissione europea. Concludendo che “nel lungo periodo dobbiamo andare oltre e stiamo valutando la creazione di un fondo di sovranità per continuare a essere leader delle tecnologie pulite”.

 

Attivisti per il clima italiani e francesi bloccano accessi al traforo del Monte Bianco

Una nuova azione dimostrativa per denunciare i ritardi nell’azione di contrasto al cambiamento climatico. Gli attivisti del collettivo ambientalista ‘Ultimo rinnovamento’ e del movimento italiano ‘Ultima generazione’, infatti, hanno bloccato per circa un’ora i due ingressi del traforo del Monte Bianco, a Chamonix sul versante francese e Courmayeur su quello italiano. Fino a quando non sono intervenuti gli agenti della Polizia Stradale, che hanno sgomberato i manifestanti, ai quali hanno fornito poi coperte termiche per difendersi dal freddo. “Con una sola voce, i cittadini chiedono che i nostri governi agiscano sul cambiamento climatico. Questo mondo viene condannato davanti ai nostri occhi”, rivendicano i manifestanti, che hanno impedito dalle 12.30 di venerdì 9 dicembre la circolazione nella strada che conduce al tunnel. “L’impatto economico di questo lockdown – lamentano – è nulla in confronto ai miliardi di euro sprecati ogni giorno bruciando combustibili fossili. I nostri governi sono chiusi in un atteggiamento attendista per troppo tempo e non sono nemmeno in grado di far fronte ai propri impegni”, continuano.

Secondo ‘Ultima generazione’ (che mercoledì 7 dicembre aveva imbrattato con della vernice la facciata del Teatro alla Scala in segno di protesta), “il tunnel del Monte Bianco simboleggia il legame che esiste tra i nostri popoli e le nostre nazioni, uniti anche oggi nel dramma del collasso climatico. Rappresenta, però, anche un passaggio simbolico da mettere in atto quanto prima, lasciandosi alle spalle un intero sistema di valori, una società insostenibile fondata su progresso e sfruttamento sconsiderati. Con oltre 600mila camion che lo attraversano ogni anno, il tunnel è un punto di passaggio privilegiato per le compagnie di trasporto. Questo tipo di traffico genera un elevato volume di inquinamento atmosferico e di gas serra. Qui, come altrove, questo modo di vivere non è più sostenibile e mette a rischio l’umanità”.

Per gli attivisti, che sottolineano lo sforzo coordinato messo in campo contro “la minaccia globale del cambiamento climatico”, l’impatto economico causato dal blocco di oggi “non è nulla rispetto ai miliardi di euro che vengono sprecati ogni giorno investendo nei combustibili fossili. I nostri governi si sono accontentati di non fare nulla per molto tempo e sono incapaci di mantenere i loro impegni in materia di cambiamento climatico. Ogni momento che passa – proseguono – questo comportamento suicida e omicida ci avvicina a un disastro globale senza precedenti nella storia. La quantità di denaro, anche pubblico, che ogni anno viene destinata alla distruzione dei nostri ambienti e delle nostre vite deve essere reindirizzata verso il finanziamento di provvedimenti che ci permettano di anticipare, adattare e rallentare il cambiamento climatico. Ne va della sopravvivenza dell’umanità”, concludono gli attivisti.

Ogni campagna che fa parte della rete A22 lavora per un obiettivo chiaro. Come si legge in una nota congiunta, in Italia, Ultima Generazione chiede al governo di tagliare i finanziamenti in combustibili fossili per portare risorse all’incremento di energia rinnovabile. In Francia, Dernière Rénovation chiede un ampio programma politico per isolare gli edifici e che i lavori siano interamente finanziati per le famiglie povere.

Estrazioni di gas in Adriatico, il governo ‘chiama’ Leonardo e Ispra

Il governo va avanti sulla strategia del gas release, ma non rinuncia al dialogo con il territorio. Al ministero dell’Ambiente e sicurezza energetica, infatti, si riunisce il primo tavolo di confronto sul tema delle estrazioni di nuovo gas italiano in Adriatico, al quale partecipano i ministri Gilberto Pichetto Fratin e Adolfo Urso, la vice ministra Vannia Gava e il governatore del Veneto, Luca Zaia, con i tecnici della Regione. La discussione si è incentrata sulla la necessità di approfondire le problematiche emerse, in particolar modo quelle legate al rischio subsidenza, oltre alle criticità segnalate dalle comunità locali e dai sindaci rispetto alla nuova possibilità di estrazione del metano, specialmente in Alto Adriatico, con la necessità di ottenere in via prioritaria garanzie tecnico-scientifiche a tutela dell’ambiente.

Non solo, perché i responsabili di Mase e ministero delle Imprese e il made in Italy concordano con il presidente della Regione Veneto di coinvolgere, in via preliminare, alcune eccellenze italiane nel campo della ricerca: da Leonardo a Ispra, insieme alle Università del territorio, che andranno così ad affiancare tecnici e studiosi nel percorso di analisi e approfondimento del tema. Per avere un’angolatura più ampia possibile, inoltre, il tavolo istituzionale sarà affiancato anche da un tavolo tecnico prettamente, che sarà utile per fornire strumenti e studi a carattere scientifico nell’ambito delle estrazioni di gas.

Restando sulla questione energetica, durante la prosecuzione dell’audizione davanti alla commissione Ambiente del Senato, Pichetto è tornato sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Perché conta di “chiudere nelle prossime settimane” alcune misure per favorire lo sviluppo delle fonti alternative. Tra queste c’è “il decreto attuativo per l’individuazione delle aree idonee alla realizzazione di impianti di energia rinnovabile“, che ormai “è in fase di finalizzazione. Ma non è l’unica novità, perché “anche per quanto riguarda il Fer 2, la cui gestazione è stata particolarmente lunga, siamo alle battute finali“, assicura il ministro. Il decreto, su cui sono stati già acquisiti i pareri del ministero dell’Agricoltura e dell’Arera, è in continuità con il Fer 1 e ha come obiettivo “l’incentivazione della produzione di energia elettrica dalle fonti geotermiche tradizionali a ridotte emissioni, geotermia a emissioni nulle, eolico offshore, impianti fotovoltaici, floating, impianti a energia mareomotrice e altre forme di energia marina, biomasse, biogas, solare termodinamico che presentino caratteristiche di innovazione e ridotto impatto su ambiente e territorio“. In totale, saranno liberati “complessivamente, 4.590 megawatt di impianti, circa 4,5 gigawatt“.

Per il nucleare, invece, i tempi saranno ben più lunghi. Visto che “le competenze su ricerca e impiego restano in capo ad Enea“, ma l’auspicio è che “nell’arco di 10-15 anni possa essere implementata la tecnologia di quarta generazione, che sarà un vettore tecnologico di transizione, propedeutico all’approccio finale di fusione nucleare“. Quindi – spiega Pichetto -, “non è un’immediatezza ma dobbiamo tenere il passo con la ricerca, le competenze e le capacità“. Non sarà lo stesso, fortunatamente, sul clima: il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, infatti, “a giorni dovrebbe essermi consegnato a seguito di una lunga procedura di confronti e valutazioni“.

Presidenza Ue tenta compromesso: price cap gas a 220 euro

Un accordo politico sul tetto al prezzo del gas al prossimo Consiglio straordinario dell’energia del 13 dicembre. Difficile, ma non impossibile. E la presidenza della Repubblica ceca di turno al Consiglio Ue fino al 31 dicembre tenta il tutto per tutto e prova a far convergere gli animi divisi dei 27 con una nuova bozza di compromesso (datata 5 dicembre) che abbassa entrambi i criteri di attivazione (i ‘trigger’) del tetto: il ‘cap’ si attiverebbe quando il prezzo del gas supera i 220 euro per 5 giorni (l’ultima bozza di compromesso parlava di una soglia di 264 euro per 5 giorni) e quando la differenza del prezzo del mercato Ttf e il prezzo di riferimento del Gnl supera i 35 euro per 5 giorni (la precedente bozza parlava di 58 euro).

La seconda bozza fatta circolare tra le capitali è un nuovo tentativo di avvicinare le posizioni a livello tecnico (nelle riunioni tra ambasciatori) prima del confronto politico della prossima settimana al Consiglio energia del 13 dicembre. Il meccanismo di correzione del mercato proposto dalla Commissione europea lo scorso 22 novembre, anche detto ‘tetto al prezzo del gas’, si attiverebbe a due condizioni: quando la soglia di prezzo va oltre i 275 euro per 14 giorni consecutivi, nell’arco delle quali lo spread fra i mercati Ttf e Gnl devono superare i 58 euro per 10 giorni di scambi. Così come concepito dalla Commissione europea, il meccanismo è di difficile applicazione e su ammissione della Commissione stessa non si sarebbe attivato neanche durante i picchi di prezzo registrati in agosto, vicini ai 350 euro.

Nei giorni scorsi, l’Italia si è fatta promotrice insieme al Belgio, Grecia, Polonia, Slovenia, Lituania e Malta di un documento tecnico fatto circolare con proposte alternative, chiedendo un meccanismo di correzione dei prezzi che fosse dinamico al 75%, esteso alle transazioni fuori borsa. Una proposta di tetto tutto dinamico è stata avanzata anche dalla Spagna, in un documento separato e solo ieri anche i Paesi Bassi (che insieme alla Germania è il Paese che ha frenato di più a livello europeo sul price cap) hanno presentato un documento informale (non-paper) sul meccanismo di correzione del mercato, proponendo nella sostanza un tetto solo sul gas necessario a riempire gli stoccaggi europei (una quota limitata rispetto ai volumi di gas complessivamente acquistati).

La presidenza di Praga cerca di andare incontro a sensibilità diverse e oltre ad abbassare la soglia di attivazione del cap per renderlo effettivamente applicabile, ha proposto una serie di altre modifiche per rafforzare il ruolo degli Stati membri e introdurre riferimenti più espliciti alla dinamicità del prezzo (visto che la maggior parte degli Stati è favorevole a un cap dinamico). La bozza di compromesso di Praga estende il price cap non solo ai derivati del mese prima sul mercato olandese TTF ma anche a tutti gli altri derivati con scadenza fino a tre mesi. Sui derivati il limite di prezzo diventa un “limite di offerta dinamica“.

Quanto ai procedimenti per sospendere o disattivare il meccanismo di correzione del mercato, la Commissione Ue ha previsto che il meccanismo possa essere sospeso o disattivato a seconda dei casi attraverso due procedimenti diversi: può essere disattivato automaticamente quando la seconda condizione di attivazione (ovvero la differenza tra il prezzo TTF e il prezzo di riferimento del GNL) viene meno per dieci giorni; oppure, la Commissione europea propone che possa essere solo sospeso (dietro decisione della Commissione stessa) “quando ci sono rischi per la sicurezza dell’approvvigionamento dell’Unione”. Sulla sospensione, Praga suggerisce che la Commissione possa sospendere il meccanismo attraverso una decisione di esecuzione, che prevede la consultazione con gli Stati membri; mentre sulla disattivazione, Praga propone che il meccanismo sia disattivato “dopo un mese, se il limite di offerta dinamica è inferiore a [220] euro per un certo periodo“, si legge nella bozza di cui GEA ha preso visione.

Non è chiaro se la proposta di mediazione di Praga sarà sufficiente a trovare la quadra politica. Ci “sono discussioni molto difficili tra gli Stati membri Ue, su cosa fare per evitare i prezzi così elevati che abbiamo sperimentato in agosto”, ha ammesso la commissaria europea per l’energia, Kadri Simson, riferendo di “opinioni diverse sui rischi” del meccanismo. Ad ogni modo, per Paesi come l’Italia la questione energetica “ha bisogno di essere affrontata immediatamente e riguarda il tema di come fermare i costi della speculazione. La proposta della Commissione non mi pare sufficiente, perciò continuiamo a lavorare“, ha detto la premier Giorgia Meloni, a margine del Vertice dei leader Ue-Balcani Occidentali a Tirana.

A quanto si apprende, è stata convocata per sabato 10 dicembre anche una riunione straordinaria degli ambasciatori al Coreper per discutere di tetto al prezzo del gas e spianare la strada a un accordo la prossima settimana. Un accordo che – essendo da raggiungere in un Consiglio straordinario – non potrà essere formalizzato dai ministri, ma dovrà essere seguito da procedura scritta (a livello di ambasciatori Ue) oppure formalizzato al prossimo Consiglio energia ordinario in programma il 19 dicembre. La proposta della Commissione fa leva sull’articolo 122 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dunque prevede l’approvazione a maggioranza qualificata degli Stati membri al Consiglio (quando il 55% degli Stati membri vota a favore, ovvero 15 paesi su 27; e quando gli Stati membri che appoggiano la proposta rappresentano almeno il 65% della popolazione totale dell’Ue).

Strada in salita per il price cap Ue sul gas. Pichetto: Criteri, non numeri

La strada verso un tetto europeo al prezzo del gas resta in salita. L’ultimo Consiglio energia non ha portato i frutti sperati (e attesi dalla scorsa estate), ma l’Italia non ha alcuna intenzione di mollare la presa. Anzi, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, elenca almeno un risultato ottenuto dalla riunione di ieri a Bruxelles. Perché “abbiamo unanimemente sgombrato il campo da quella ipotesi“, dice riferendosi alla proposta della Commissione Ue di fissare un price cap per il metano a 275 euro per megawattora. Cifra che non convince praticamente nessuno, né i Paesi favorevoli alla misura né quelli sfavorevoli. Perché “se noi applicassimo quella proposta – spiega il responsabile del Masesarebbe inefficace nel modo assoluto, quindi perfettamente inutile“.

La fascia indicata da Bruxelles per il price cap, dunque, “non funziona, è inapplicabile” insiste. “Se prendessimo questa proposta di regolamento e la collaudassimo, o se volessimo fare una simulazione su cosa è avvenuto durante l’estate, sarebbe inefficace“, ribadisce Pichetto. Ricordando, invece, qual è stata l’idea portata al tavolo dall’Italia: “Abbandoniamo un numero di tetto, determiniamo invece dei parametri di intervento, allo scopo fondamentale di predisporre un intervento unitario da parte dell’Ue per evitare la speculazione“. Un vero e proprio “corridoio dinamico, che dovrebbe funzionare con una differenza rispetto ai prezzi medi di un certo periodo sull’oscillazione rispetto agli sbalzi“. Questo perché “non riusciamo a frenare il valore della quotazione internazionale, ma gli sbalzi e la speculazione possiamo frenarli“.

Da par suo, la Commissione europea fa sapere che non ne presenterà una nuova, ma la procedura seguirà l’iter normale. A chiarirlo è il portavoce, Eric Mamer, durante il briefing con la stampa, precisando che la proposta dell’esecutivo comunitario è stata già presentata al Consiglio Ue e che “non abbiamo dato indicazioni sul fatto che presenteremo una nuova proposta. Il processo legislativo seguirà la normale procedura“, per cui la proposta della Commissione europea può essere emendata e modificata. La puntualizzazione arriva dopo il Consiglio straordinario dell’energia, in cui i ministri hanno rimandato alla prossima riunione (che dovrebbe tenersi il 13 dicembre) la decisione sul meccanismo di correzione del mercato.

Sempre restando al vertice di ieri, Pichetto rivela un altro dettaglio: “Non c’è stato il muro contro muro, ma la disponibilità a ragionarci sopra, a valutare, a tentare di trovare soluzioni di mediazione e equilibrio“. Dunque la situazione non è così tesa come sembra agli osservatori esterni: “Il clima è che almeno ci parliamo – aggiunge il ministro -, che questo arrivi a una soluzione lo vedremo strada facendo“. Almeno “il fatto positivo è che già ieri sera le strutture tecniche, in modo informale, si parlavano. E non è qualcosa da non considerare“.

Sul fronte interno, poi, Pichetto torna sulla vicenda del rigassificatore galleggiante da installare a Piombino entro la prossima primavera, per accogliere le nuove forniture di Gnl provenienti dall’Algeria. Il Comune ha presentato ricorso al Tar, ma il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica annuncia l’opposizione del governo: “Noi abbiamo bisogno di quei 4-5 miliardi di metri cubi” o “la difficoltà per il 2023 ci sarebbe tutta“. Non avere il 4% di gas da Piombino vorrebbe dire “non riuscire a riempire gli stoccaggi o fare tanta fatica e dover cercare soluzioni alternative“. Un lusso che l’Italia proprio non può permettersi.

La beffa Ue sul price cap, il ministro Pichetto alzi la voce

Gilberto Pichetto Fratin, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, dice ‘no’ al price cap che la Commissione europea vorrebbe mettere a terra dopo sei mesi di sterile discussione. Era una battaglia di Mario Draghi e dell’ex ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, e sta diventando un punto fermo del nuovo governo. Pichetto Fratin ha rigettato una proposta che effettivamente scivola nel ridicolo e che non garantisce alcun tipo di tutela ai Paesi più soggetti ai rischi generati dalla crisi energetica. Bene: poi, però? Che l’Europa non voglia accollarsi questo genere di rogna e usi il price cap così strutturato solo come deterrente era abbastanza chiaro: sono troppo divergenti gli interessi dei 27 Stati membri per immaginare una convergenza comune. Che, a memoria, in tempi recenti si è avuta solo per la gestione ‘unitaria’ del Covid. Ma la pandemia era la pandemia, il gas è un’altra storia.

La misura del price cap non è congrua: lo hanno capito anche i sassi. Ma il ministro Pichetto Fratin può/poteva alzare di più la voce per far sentire anche la eco dell’ex premier. Ancorché ai primi passaggi nella nuova veste istituzionale, il tenutario del Mase possiede gli strumenti, pure esperienziali, per farsi ascoltare. I ripetuti viaggi a Bruxelles devono essere capitalizzati per consolidare la posizione dell’Italia e, nello specifico, dell’esecutivo appena nato. Se quello di Draghi era rispettato a prescindere, questo deve scalare inevitabilmente posizioni portandosi appresso molti pregiudizi.

La discussione è ancora aperta, nonostante i margini di manovra appaiano ristretti. Ha ragione Pichetto Fratin quando sostiene che il tetto sia esageratamente alto, che due settimane di tempo siano quasi una provocazione e che, in questo modo, si favorisca la speculazione. Ma come rimediare? La comunicazione dei processi operativi latita e tutto ciò non ne agevola la comprensione. Ci sarà davvero un fronte unito per spingere a una revisione del price cap o, come al solito, qualcuno si tirerà indietro sul più bello lasciando i soliti noti con il cerino in mano? In Europa spesso funziona così… Ecco la ragione per la quale auspichiamo da parte di Pichetto Fratin una posizione ferma, intransigente ed autorevole. Perché poi, alla resa dei conti, le bollette le pagheranno i cittadini. Che non hanno sensibilità politiche ma di portafoglio.