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Oggi Connact Industry & Market 2025: nuova rotta su sostenibilità e competitività industriale

Sostenibilità e competitività industriale sono le parole chiave per lo sviluppo e il rafforzamento del mercato interno in Italia e nell’Ue, in un contesto globale caratterizzato da incertezze, conflitti e tensioni commerciali. Si discuterà di questo e delle linee guida tracciate dal Clean Industrial Deal e dalla Single Market Strategy della Commissione Europea durante il nuovo evento di Connact, la piattaforma di eventi che favorisce il confronto tra soggetti privati e istituzioni attraverso momenti di incontro e networking.

L’evento, organizzato in collaborazione con il Parlamento europeo e sostenuto dai più alti patrocini istituzionali, si terrà a Roma mercoledì 19 novembre presso lo spazio Europa Experience. A Connact Industry & Market 2025 autorevoli rappresentanti delle istituzioni chiamate a dare concretezza normativa ai documenti strategici europei si confronteranno con le più rappresentative aziende e organizzazioni di categoria sulle problematiche da risolvere e le soluzioni da adottare la risposta UE alle sfide globali, con il rafforzamento del Mercato Unito e del commercio estero.

Dopo i saluti istituzionali di Carlo Corazza, Direttore dell’Ufficio del Parlamento europeo in Italia e Claudio Casini, Direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione UE, interverranno alla tavola rotonda l’Eurodeputato Brando Benifei, membro della Commissione per il Commercio Internazionale (INTA), della Commissione per gli Affari Costituzionali (AFCO), della Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori (IMCO), e della Commissione giuridica (JURI); l’Eurodeputato Stefano Cavedagna, Vicepresidente della Commissione speciale sullo scudo europeo per la democrazia (EUDS) e membro della IMCO e della Commissione per l’ambiente, il clima e la sicurezza alimentare (ENVI); l’Eurodeputata Isabella Tovaglieri, membro della Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia ITRE), della INTA, della Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale (AGRI) e della Commissione speciale sulla crisi degli alloggi nell’Unione europea (HOUS); Luca Squeri, Deputato e Segretario della Commissione Attività produttive; Gianfrancesco Romeo, Dirigente generale Consumatori e Mercato del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT); Gabriele Scabbia, membro del Dipartimento Politiche per le Imprese del MIMIT; Salvatore D’Acunto, Capo unità della Direzione generale del Mercato interno, dell’industria, dell’imprenditoria e delle PMI GROW E.2 della Commissione UE; Marco Granelli, Presidente di Confartigianato Imprese; Carmelo Di Marco, Vice Presidente del Consiglio Nazionale del Notariato; e infine Paolo Fantoni, Vicepresidente Vicario di FederlegnoArredo e Presidente di Assopannelli.

Modera l’incontro Vittorio Oreggia, Direttore di GEA – Green Economy Agency. L’evento è realizzato da Connact in collaborazione con l’Ufficio in Italia del Parlamento europeo. Tra i promotori dell’iniziativa ci sono Confartigianato Imprese, Consiglio Nazionale del Notariato e FederlegnoArredo.

La competitività dell’Ue passa anche dal settore farmaceutico. Foti: “Ridurre burocrazia”

Un’industria che investe 37 miliardi all’anno in ricerca e sviluppo, che dà lavoro a 800 mila persone altamente qualificate e che rappresenta un valore aggiunto di oltre 100 miliardi sui mercati internazionali. Ma un settore ancora altamente frammentato e in cui le carenze rischiano di divenire strutturali. È il complesso stato dell’arte dell’industria farmaceutica europea fotografato oggi all’evento Connact Pharma dal titolo ‘Il rilancio della competitività europea attraverso il settore farmaceutico’. Il rilancio passa inevitabilmente dalle riforme in cantiere a Bruxelles, il pacchetto farmaceutico e la legge sui medicinali critici.

In apertura alla tavola rotonda, il direttore dell’ufficio del Parlamento europeo in Italia, Carlo Corazza, ha fissato l’obiettivo: “Dobbiamo rafforzare un settore che è assolutamente essenziale per la nostra autonomia strategica”. Per farlo, la Commissione europea ha messo sul tavolo già nell’aprile del 2023 un pacchetto di riforma della legislazione farmaceutica, pronto ora per approdare ai negoziati interistituzionali tra Consiglio dell’Ue ed Eurocamera. A corredo della riforma, questa primavera, il commissario per la Salute, Olivér Varhelyi, ha presentato una legge per assicurare ai Paesi membri l’approvvigionamento di farmaci essenziali.

In un videomessaggio, Varhelyi ha sottolineato alla platea che di fronte ci sono “enormi opportunità di porre l’Ue all’avanguardia nel mondo”. I segnali positivi non mancano: il surplus commerciale di prodotti medicinali e farmaceutici – ha sottolineato l’ungherese – “è passato da 157 miliardi nel 2023 a 194 miliardi nel 2024”. Secondo il commissario, il primo passo è la creazione di uno spazio europeo dei dati sanitari, “un sistema federato senza precedenti per l’uso di big data nella ricerca medica”.

Dopodiché, c’è bisogno di norme “moderne, flessibili e snelle”. La legislazione farmaceutica vigente, d’altronde, risale a più di vent’anni fa. Ora, le priorità sono “ridurre la burocrazia, accorciare i tempi di valutazione per l’autorizzazione di nuovi medicinali nel mercato, semplificare la struttura dell’agenzia Ue per i medicinali”. Ma soprattutto, rispondere alle preoccupanti carenze periodiche di medicinali che si verificano in alcuni Stati membri. Come certificato proprio ieri dalla Corte dei conti europea, secondo cui su farmaci e medicinali esistono ancora “troppe barriere alla libera circolazione”.

L’innovazione “deve raggiungere chi ne ha bisogno, indipendentemente da dove viva nell’Ue”, ha affermato Varhelyi, convinto che la riforma in cantiere “creerà le condizioni per un migliore accesso dei pazienti senza compromettere gli interessi delle aziende”. In particolare, il Critical Medicines Act prevede un nuovo regime per gli aiuti di Stato, un maggior supporto a progetti strategici e l’istituzione di appalti collaborativi transfrontalieri e partenariati internazionali.

Gli Stati membri hanno adottato la propria posizione sul pacchetto farmaceutico prima della pausa estiva, ed hanno iniziato le discussioni sulla legge sui medicinali critici. Sul primo, “l’Italia in stretto coordinamento con la Francia ha ribadito l’importanza di un giusto equilibrio tra accesso ai farmaci e sostegno all’innovazione”, ha spiegato Tommaso Foti, ministro per gli Affari europei. Sul secondo, Roma ha evidenziato “l’impianto molto burocratico e non adeguato alla natura strategica del tema”.

Il ministro ha avvertito sul rischio di “indebolimento della proprietà intellettuale” insito alla riforma della legislazione europea, sottolineando che per l’Italia “la priorità è valorizzare i distretti produttivi nazionali e garantire il ruolo decisionale degli Stati membri nelle valutazioni della vulnerabilità della filiera”. Per rafforzare la capacità produttiva europea e scongiurare dipendenze da Paesi terzi, Foti suggerisce di puntare su “incentivi semplici, criteri di aggiudicazione degli appalti che non siano basati esclusivamente sul prezzo” e soprattutto sull’eliminazione di “duplicazioni di obblighi per i produttori”, una “follia che produce burocrazia su burocrazia del tutto inutile”.

“Senza soluzioni concrete per ricerca, produzione e accesso, l’autonomia strategica dell’Europa in materia di salute rischia di diventare una chimera. Servono urgentemente soluzioni per allineare le aspettative sul settore e riconoscere pienamente il valore dell’innovazione e della produzione a 360°” ha commentato Paolo Saccò, global public affairs del Gruppo Chiesi per le politiche interne. “Il settore farmaceutico europeo – ha detto Piero Rijli, corporate director regulatory affairs&market access del Gruppo Menariniè da sempre fondamentale per la salute dei cittadini, ma oggi rischia di vacillare. Senza interventi mirati, l’Europa rischia di diventare meno competitiva e sempre più dipendente dall’estero, anche per quei farmaci essenziali che dovrebbero essere la base della nostra autonomia strategica”.

Industria, Gozzi: “Non c’è più tempo, l’Ue deve cambiare. Ma sono pessimista”

Il Rapporto Draghi sulla Competitività ha avuto una cassa di risonanza enorme sull’Europa un anno fa. Dodici mesi dopo, sembra essere rimasta solo la eco, o quasi. Lo stesso ex presidente della Bce, su invito della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha fatto il punto sullo stato delle cose dalla pubblicazione di quel documento, notando e annotando che molti dei punti sono rimasti ancora nella lista delle cose da fare. Con tanto di aumento a 1.200 miliardi di euro del conto delle risorse necessarie a realizzarle. “Il problema è che le cose devono accadere o è finita anche la funzione di stimolo di Draghi, che non può ogni sei mesi dire all’Europa ‘fate qualcosa’. Questo è il vero nodo”. A dirlo è il presidente di Federacciai e Special Advisor di Confindustria per l’Autonomia strategica europea, Piano Mattei e competitività, Antonio Gozzi, che a GEA commenta, a mente fredda, l’intervento dell’ex premier.

Presidente Gozzi, come giudica il quadro disegnato da Draghi?

In termini di analisi facciamo un grosso passo avanti, nel senso che una persona così autorevole, con questa reputazione e questa credibilità, dice ciò che noi sosteniamo da anni: questo ci rincuora perché non eravamo proprio fuori strada, ma se qualcuno ci avesse ascoltato, probabilmente avremmo perso meno tempo. Colpisce il fatto che inizialmente Draghi disse che ci volevano 500 miliardi all’anno per recuperare il gap, poi al Parlamento disse che ci sarebbero voluti 800 miliardi, mentre ieri ha parlato di 1.200 miliardi di euro l’anno. Questo significa che il fattore tempo non è neutrale, cioè la distanza continua ad aumentare e l’ex Bce all’Europa dice che non c’è più tempo”.

In molti punti è sembrato di sentire le voci degli imprenditori italiani, e anche la sua.

Draghi è molto critico sul Green Deal, dice che i presupposti sulla base dei quali è stato pensato e disegnato non ci sono più, che il mondo è cambiato. Inoltre, dice una cosa molto forte sul 2035, che bisogna garantire transizione energetica e decarbonizzazione fatti secondo la neutralità tecnologica, quindi che i motori endotermici, i plug-in, gli ibridi e i motori endotermici con biocarburanti e combustibili sintetici sono da lui sdoganati. Il fatto che sostenga queste cose è molto importante, ma non ha lui in mano le leve delle decisioni. Purtroppo, se vedo questo anno di governo von der Leyen II, sono usciti documenti in cui si faceva formale ossequio al rapporto Draghi, al tema della competitività e anche della neutralità tecnologica, poi però non c’è stato niente. Solo un po’ di semplificazione, con l’eliminazione degli obblighi di rendicontazione dei bilanci di sostenibilità per le piccole imprese, poi basta”.

Cosa prevede per il futuro?

Sono pessimista, perché in questo anno, al di là dei proclami, vedo un immobilismo totale. Di misure vere non ne sono state prese, si continua con questo tran tran e nella migliore delle ipotesi si va avanti a comprare tempo. Adesso vedremo cosa succederà sull’auto”.

L’Automotive resta uno dei temi più caldi in Europa, con il dibattito sullo stop ai motori endotermici al 2035 che riprende quota.

Draghi ha detto chiaramente che è sbagliato e ha avuto il coraggio di dire che hanno disintegrato un’eccellenza industriale europea. Mi ha colpito molto anche ciò che ha detto il presidente dell’Associazione europea dell’indotto automobilistico: nel 2025 il settore, in Europa, ha perso 80mila posti di lavoro e stimano che ne perderanno altri 20-30mila nel 2026. Questo vuol dire che in due anni, solo sull’indotto automobilistico, si saranno persi 100mila posti di lavoro. Poi si stupiscono che gli operai della Volkswagen votano Afd”.

Questo è un argomento interessante.

Se i temi dell’industria e degli effetti economici e sociali non interessano più a nessuno, e in particolare non interessano ai partiti socialisti perché sono tutti innamorati di Greta Thunberg, non ci si può lamentare che estremismi di sinistra e di destra stiano prevalendo in Europa. I non tutelati esprimono un dissenso di soddisfazione nei confronti di questa politica. In più, abbiamo questa aggressione cinese con prodotti ormai di altissima qualità tecnologica, a prezzi scottati del 30%, nei confronti dei quali l’Europa non riesce a difendersi. Spesso li fanno con le sovvenzioni dello Stato, quindi si rendono protagonisti di una competizione sleale nei confronti dell’industria europea”.

La situazione sta sfuggendo di mano?

Senza sistema industriale non esiste più il Welfare. Arrivo a dire che senza sistema industriale non esiste manco più la democrazia, perché gli estremismi di destra e di sinistra diventano talmente radicali che c’è anche al rischio di sommovimenti politici. Anzi, li stiamo rivedendo in Francia. In Germania non hanno coraggio di andare alle elezioni (anche se la Grosse Koalition è un elemento di blocco, perché i socialisti alcune cose non le vogliono fare) perché c’è il rischio che l’Afd sia il primo partito e in Olanda vinceranno i sovranisti di destra. Ciò che mi colpisce è che non c’è mai un accenno autocritico di chi ha gestito l’Europa negli ultimi 10-15 anni. Non voglio colpevolizzare nessuno, però l’autocritica serve per cercare di capire dove si è sbagliato e provare a non sbagliare più in futuro”.

Draghi, però, parla anche di energia ancora a prezzi troppo alti come freno per la competitività.

Non è successo niente sull’acciaio, nonostante sia uscito il documento sull’acciaio, e non è successo niente sull’energia, nel senso che continua a essere cara. Anche lì c’è un tema molto chiaro, Draghi non si è spinto fino là, ma io l’avrei fatto. Siccome in tutta Europa il prezzo dell’elettricità è determinata col sistema del marginal price, quindi vuol dire che il costo del megawatt è determinato dal costo della centrale turbogas più inefficiente, per l’order merit, questo metodo di calcolo del prezzo dell’elettricità porta in sé 25 euro di effetto ETS. Draghi ieri ha parlato di disaccoppiamento, ma questa è una norma assolutamente europea. Basterebbe eliminare transitoriamente l’ETS dai turbogas e immediatamente l’energia elettrica in Europa costerebbe 25 euro al Megawattora in meno. Ma non hanno il coraggio di farlo, perché il tema dell’ETS è un tabù. La proposta di Confindustria, che vede anche Elettricità Futura d’accordo, è dare i 20 Twh degli impianti a fondo corsa per gli incentivi al GSE, al presso di 65 euro al MWh, cioè quello dell’Energy Release, per ampliarne la potenza di fuoco, facendo un’operazione equilibrata dal punto di vista anche del climate change e della decarbonizzazione”.

Nell’elenco degli ostacoli c’è da mettere anche l’accordo sui dazi Usa, non trova?

Abbiamo anche la beffa: nell’accordo fatto con Trump sui dazi c’è scritto che le imprese americane, in Europa, non sono tenute a rispettare quella norma sul CS3D”.

In questo scenario, l’Italia che ruolo può svolgere?

Siamo il secondo Paese industriale d’Europa, godiamo di una stabilità di governo che tutti ci invidiano e ci ammirano nel casino generale che c’è in Europa. Però, la stabilità non è un fine ma un mezzo e deve servire a fare qualcosa. Al tavolo europeo l’Italia deve rivendicare la forza del suo sistema industriale, la necessità di cambiare strada sulle politiche industriali e lo deve fare senza titubanze. In questo momento godiamo di una finestra che non abbiamo mai avuto. Bisogna sfruttare questa credibilità e questa reputazione per cercare di cambiare i destini europei. Poi si farà la battaglia e si perderà, magari. Però vale la pena giocare questa partita”.

Chiudiamo con una buona notizia, perché i dati di Federacciaio dicono che la produzione di acciaio in Italia è aumentata del 7,3% ad agosto e del 3% nei primi 8 mesi del 2025.

Guardiamo al 2026 con relativo ottimismo, pensiamo che non sarà un anno brutto. Abbiamo goduto del Pnrr, perché i grandi investimenti infrastrutturali hanno generato domanda d’acciaio, soprattutto nei prodotti lunghi, come travito e cemento armato, però non c’è solo quello. In questo momento c’è un po’ di rimbalzo di domanda, i clienti tornano ad acquistare, ma questo lo fanno quando pensano che domani il prezzo salirà. Gli acquisti e l’aumento di produzione derivano da un aumento della domanda e i clienti stanno andando a scale di anticipazione degli acquisti, perché prevedono che i prezzi domani saranno più elevati. Naturalmente, ci sono fattori geopolitici internazionali che sono imponderabili, ovvero le due guerre. Pensi cosa succederebbe se si fermassero i due conflitti, con le esigenze di ricostruzione che ci sono in Ucraina, in Medio Oriente e altrove. Cosa significherebbe in termini di domanda d’acciaio”.

Germania, fiducia delle imprese sale a sorpresa ma peggiorano giudizi su situazione attuale

Migliora a sorpresa la fiducia delle imprese tedesche, raggiungendo il livello più alto dal 2022. L’indice delle aspettative Ifo, il più importante in Germania, è aumentato per il quarto mese consecutivo, segnando su agosto 91,6 punti dai 90,8 di luglio, mentre quello di fiducia si è alzato leggermente a 89 punti dagli 88,6 di luglio (ottavo incremento di fila). Un aumento comunque inaspettato per il mercato che si attendeva un calo di circa un decimo di punto data l’incertezza causata dai dazi e da un Pil in contrazione nel secondo trimestre. Peggiora in effetti l’indicatore sulla situazione attuale (da 86,5 a 86,4, ai livelli di aprile), a segnalare che la ripresa dell’economia tedesca rimane debole. Nel settore manifatturiero, l’indice è sceso leggermente così come quello sulle aspettative. Non si registrano ancora segnali di ripresa degli ordini. Anche tra i servizi il clima è peggiorato (a 2,6 punti rispetto ai 2,8 di luglio): da un lato, la valutazione della situazione attuale è notevolmente migliorata, mentre dall’altro è aumentato lo scetticismo.

Secondo Carsten Brzeski, analista Ing, “non è ancora chiaro da dove provenga l’ottimismo” che ha innalzato l’indicatore Ifo, ma al momento tutte le speranze per una ripresa sostenibile della Germania risiedono nel maxi piano di investimenti in infrastrutture, energia e difesa del governo Merz. Tuttavia, spiega Brzeski “l’attuale dibattito politico sulle possibili misure di austerità potrebbe indebolire l’impatto, almeno psicologico, degli stimoli fiscali annunciati per le infrastrutture e la difesa”. Secondo Ifo, le aspettative dei datori di lavoro a 6 mesi sono migliori nei settori dell’edilizia e della vendita al dettaglio, ma sono peggiorate appunto nell’industria e nei servizi. A pesare sulla situazione attuale, invece, sono i dazi statunitensi sulle importazioni nonostante l’accordo di fine luglio tra Usa e Ue per un’aliquota al 15% che comprende anche auto e relativi pezzi di ricambio. “Le imprese stanno sfruttando l’accordo commerciale con Washington per migliorare la loro capacità di pianificazione piuttosto che l’innegabile peso delle tariffe doganali più elevate” ha spiegato Elmar Völkel di LBBW Bank.

Secondo l’istituto nazionale di statistica (Destatis), nel secondo trimestre il Pil tedesco è sceso dello 0,3% (annullando la crescita registrata tra gennaio e marzo), penalizzato proprio dalle difficoltà dell’industria, colpita dal primo giro di dazi doganali americani. Economia e industria tedesche saranno particolarmente influenzate dal commercio, dal tasso di cambio e dagli stimoli fiscali. “Sebbene i mercati finanziari sembrino essere diventati insensibili agli annunci di dazi, non dimentichiamo che i loro effetti negativi sulle economie si manifesteranno gradualmente nel tempo – ricorda Brzeski di Ing -. Le Pmi potrebbero diventare vittima prediletta dei dazi Usa, poiché avranno più difficoltà a delocalizzare la produzione rispetto alle grandi aziende”. Se a ciò si aggiunge il rafforzamento del tasso di cambio dell’euro, non solo rispetto al dollaro Usa ma anche con altre valute, “è difficile immaginare come l’economia tedesca, dipendente dalle esportazioni, riuscirà a uscire da una stagnazione apparentemente infinita nella seconda metà dell’anno”.

Ok Ue a Energy Release 2.0. Pichetto: Sosteniamo industria e acceleriamo su transizione

Disco verde della Commissione europea all”Energy Release 2.0‘ del Mase a sostegno dei grandi energivori. Bruxelles conferma la compatibilità della misura con le regole del mercato interno e con la disciplina in materia di aiuti di Stato.

“Abbiamo costruito un modello che tiene insieme competitività industriale, transizione ecologica e rigore europeo”, rivendica Gilberto Pichetto Fratin. Il sostegno ai grandi consumatori elettrici, osserva il ministro, “non è un privilegio, ma uno strumento per difendere l’occupazione, rafforzare le filiere strategiche e attrarre investimenti”. Il ministero dell’Ambiente risponde così al grido d’aiuto delle imprese, davanti a un caroprezzi che non sembra arrestarsi, vincolando al tempo stesso l’aiuto pubblico a un impegno industriale e ambientale chiaro: “restituire quanto ricevuto con nuova energia pulita”. Pichetto parla di un confronto con la Commissione Europea “leale e costruttivo”: “È una misura che guarda al futuro e rappresenta un esempio di buona collaborazione tra istituzioni nazionali ed europee”, spiega.

Iniziamo a dare una risposta reale a migliaia di imprese, per contenere i costi energetici e affermare le rinnovabili”, fa eco il ministro degli Esteri Antonio Tajani, secondo cui l’Italia si pone come “apripista in Europa di una misura innovativa, che coglie in pieno la necessità di sostenere le aziende energivore, in un’ottica di decarbonizzazione dei settori produttivi”.

Aiutare le aziende “significa tutelare occupazione, filiere strategiche e crescita. Questo risultato dimostra che è possibile unire supporto economico e responsabilità ambientale per rafforzare la competitività italiana”, sostiene la viceministra dell’Ambiente, Vannia Gava.

Il provvedimento si articola in due fasi: una prima di sostegno tramite fornitura di elettricità a prezzo calmierato, 65 euro al MWh, e una seconda fase che prevede l’obbligo, per i beneficiari, direttamente o tramite terzi, di restituire integralmente il vantaggio ricevuto attraverso la costruzione o il finanziamento di nuova capacità da fonti rinnovabili.

A seguito delle interlocuzioni con la Commissione sono state introdotte modifiche, tra cui la facoltà offerta agli energivori di trasferire l’impegno alla restituzione e alla realizzazione della nuova capacità a soggetti terzi individuati tramite una apposita asta da parte del GSE. Il meccanismo, basato sull’utilizzo dell’energia rinnovabile già gestita dal GSE e sull’attivazione di nuova capacità green, consente di sostenere le imprese più esposte al caro energia, contribuendo al tempo stesso agli obiettivi di decarbonizzazione, autonomia energetica e transizione giusta.

La produzione industriale italiana torna a salire oltre le stime dopo 26 mesi di calo

Il taglio continuo dei tassi e un calo degli ordini meno forte spinge la produzione industriale italiana a battere un colpo. Ad aprile segna un balzo dell’1% rispetto a marzo, superando le previsioni di una crescita zero. Inoltre, dopo 26 mesi consecutivi di calo tendenziale, si registra un +0,3% anno su anno. Nella media del periodo febbraio-aprile – evidenzia l’Istat – l’incremento del livello della produzione è dello 0,4% rispetto ai tre mesi precedenti. Mese su mese, buon andamento per beni di consumo (+1,8%), strumentali (+0,8%) e intermedi (+0,2%).

A livello tendenziale energia +1,8% e beni di consumo +1,1%. Calano, invece, i beni intermedi (-0,4%) ei beni strumentali (-0,7%). In particolare i settori di attività economica che registrano gli incrementi tendenziali maggiori sono l’industria del legno, della carta e stampa (+4,7%), la fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (+4,3%) e la fabbricazione di computer e prodotti di elettronica (+3,3%). Le flessioni più ampie si registrano nella produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (-11%), nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-9,5%) e nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-5,0%). “Ad aprile l’indice destagionalizzato della produzione industriale registra un incremento congiunturale (+1,0%); si osserva una moderata crescita anche su base trimestrale (+0,4%).

“Anche oggi l’ Istat certifica il disastro delle politiche industriali del Governo Meloni. Non sarà certo il primo mese di flebile aumento della produzione industriale su base annua, ovvero aprile 2025, a cancellare l’immane gravità del record storico di 26 mesi precedenti di crollo della produzione stessa. Del resto i conti più importanti si fanno annualmente”, commentano in una nota i parlamentari M5S delle Commissioni bilancio, finanze e attività produttive di Camera e Senato. “La storia è nota: provvedimenti fallimentari o impalpabili come Transizione 5.0 o l’Ires premiale costituiti micidiali concause del peggior periodo industriale della storia italiana”, concludono i pentastellati. “La produzione industriale riparte dopo due anni di contrazione, e questo grazie alle politiche del governo Meloni. ritrovata linfa del nostro tessuto produttivo dopo due anni in cui la sinistra ha colto ogni occasione per mettere i bastoni tra le ruote al nostro esercizio senza peraltro riuscirsi. Appare ovvio che sia solo un inizio ma significativo sicuramente in cui va sottolineata la ritrovata capacità dell’Italia governata dalla destra con misure tese a sostenere imprese, famiglie, lavoratori ed artigiani”, replica il senatore di Fratelli d’Italia, Matteo Gelmetti, componente la Commissione Bilancio a Palazzo Madama.

Sul fronte sindacale, per il segretario confederale della Cisl Giorgio Graziani, “questo segnale positivo, pur contenuto, può rappresentare, pur in uno scenario di incertezza dovuto alle politiche americane sui dazi e ai conflitti in corso, un punto di svolta importante per il nostro sistema manifatturiero”. Ora però “serve urgentemente un Patto per l’Industria – prosegue Graziani – che coinvolga istituzioni, parti sociali e imprese in una strategia condivisa che trasforma la possibile ripresa in crescita strutturale, attraverso investimenti mirati in ricerca, digitalizzazione e transizione verde, affrontando il gap competitivo rispetto alla media europea negli investimenti industriali, valorizzando il potenziale del Mezzogiorno come risorsa strategica nazionale, accompagnando le transizioni senza sacrificare l’occupazione, investendo massicciamente in formazione e riqualificazione professionale”.

Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha invece usato la risoluzione della crisi de La Perla per commentare il dato diffuso da Istat. “Pochi credevano” al salvataggio “perché la materia era estremamente complessa”, ma “è importante che questo coincida proprio oggi coi segnali positivi per la ripresa industriale del Paese. E’ importante che accada proprio oggi che un’icona così significativa del Made in Italy ha una prospettiva di rilancio industriale importante grazie a investitori internazionali”, ha concluso.

La produzione industriale rialza la testa e vede la luce in fondo al tunnel

Rialza subito la testa la produzione industriale. Dopo il -3,1% mensile di dicembre, gennaio ha aperto l’anno con un +3,2% congiunturale. Un dato nettamente superiore alle attese che indicavano un +1,5%. Una volatilità così elevata nella misura destagionalizzata ha a che fare con la distribuzione dei giorni lavorativi nei due mesi.

Confrontando infatti il periodo novembre-gennaio con il trimestre precedente, abbiamo una crescita piatta, che è un quadro più credibile dello stato effettivo delle condizioni industriali. “La fase debole del settore manifatturiero non è ancora finita, ma si sta stabilizzando”, commentano gli analisti di Ing. Nel dettaglio a gennaio l’indice destagionalizzato della produzione industriale è aumentato del 3,2% rispetto a dicembre, confermando una crescita anche se più moderata rispetto al mese precedente. Tuttavia, nella media del trimestre novembre-gennaio, il livello della produzione è rimasto stabile rispetto ai tre mesi precedenti. Nonostante questo incremento, l’andamento mensile non è stato uniforme.

Aumenti significativi sono stati registrati per i beni strumentali, i beni intermedi e i beni di consumo, con rispettivamente +4,1%, +4,0% e +2,6%. Al contrario, l’energia ha subito una flessione del 3,4%, rappresentando l’unica categoria in negativo su base mensile. Anno su anno invece l’indice generale della produzione industriale ha visto una diminuzione dello 0,6% a gennaio, a causa della differenza nei giorni lavorativi rispetto al gennaio 2024.

Solo i beni di consumo hanno visto una leggera crescita (+0,4%), mentre tutti gli altri settori principali hanno mostrato segnali di rallentamento, in particolare i beni strumentali e l’energia, che sono diminuiti dello 0,8%, e i beni intermedi, con un calo dello 0,6%. Tra i settori più dinamici, spiccano i prodotti farmaceutici, con un aumento del 21,7%, seguiti dall’industria del legno e della carta, che ha registrato un incremento del 6,2%, e dalla fabbricazione di prodotti chimici (+4,3%). D’altro canto, le flessioni più rilevanti si sono verificate nella produzione di mezzi di trasporto, che ha visto una contrazione del 13,1%, nell’industria tessile e dell’abbigliamento (-12,3%) e nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-6,2%).

Visti i dati di gennaio e il nuovo taglio dei tassi di interesse, il peggio potrebbe essere passato. A febbraio la fiducia delle aziende manifatturiere è leggermente cresciuto e l’indice Pmi manifatturiero è aumentato a 47,4: ancora in contrazione, ma registrando il tasso di declino più debole in cinque mesi. “Se le prospettive a breve termine sono stabili, il piano europeo Re-Arm e la spesa infrastrutturale tedesca probabilmente avranno un impatto positivo sull’industria italiana a lungo termine”, spiegano gli analisti di Ing. Certo, “ci vorrà del tempo prima che questi investimenti si riflettano in modo significativo nelle cifre della produzione italiana. Tuttavia, c’è un po’ di luce alla fine del tunnel”, sottolineano dalla banca olandese

Crolla l’industria in Italia. Opposizioni: “Urso si dimetta”. Il ministro: “Crisi in tutta Ue”

Crolla la produzione industriale in Italia. A dicembre 2024 l’Istat stima una perdita del 3,1% rispetto a novembre, del 7,1% su base annua. Nella media del quarto trimestre il livello della produzione si riduce dell’1,2% rispetto ai tre mesi precedenti, quando le stime erano solo per un -0,1% mensile dopo il +0,3% congiunturale di novembre.

Nel 2024, spiega l’istituto commentando i dati, la dinamica tendenziale dell’indice corretto per gli effetti di calendario è stata negativa per tutti i mesi, con cali in tutti i trimestri. Solamente per l’energia c’è un incremento nel complesso e, nell’ambito della manifattura, solo le industrie alimentari, bevande e tabacco sono in crescita rispetto all’anno precedente, mentre le flessioni più marcate si rilevano per industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori e fabbricazione di mezzi di trasporto.

Una catastrofe secondo le opposizioni, che chiedono la testa del ministro delle Imprese e del Made in Italy. “La crisi della produzione industriale non è italiana, ma europea, a partire da Paesi come la Germania“, si difende Alfonso Urso. L’idea è quella di rafforzare la posizione italiana come seconda industria manifatturiera europea, anche perché, osserva, “la Germania ha problemi strutturali maggiori dei nostri“.

Intanto però i parlamentari del Movimento 5 Stelle ricordano i 42 miliardi di ricavi “bruciati” nel 2024, oltre al “calo eclatante” della produzione. Si tratta del 23esimo mese in fila di “crollo inesorabile” che per i pentastellati è ascrivibile in toto alla “inesistente politica industriale del governo Meloni“. I deputati M5S domandano le dimissioni del titolare del Mimit, accusando la premier di aver affidato un ministero chiave a “una figura assolutamente inadeguata“.
Di “desertificazione industriale” in Italia parla il responsabile Economia nella segreteria nazionale del Pd, Antonio Misiani, un “disastro” di fronte al quale qualunque governo correrebbe ai ripari. Nell’ultima legge di bilancio, denuncia l’esponente Dem, è stato “drasticamente tagliato non solo il fondo automotive (-75%) ma l’insieme delle risorse stanziate per le politiche industriali, che passeranno dai 5,8 miliardi del 2024 a 3,9 miliardi nel 2025 fino a 1,2 miliardi nel 2027“. Il parlamentare chiede che il governo riferisca in Parlamento per spiegare all’Italia cosa ha intenzione di fare.
L’Italia “non è il Paese delle meraviglie come vuoi farci credere“, tuona il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avs, Angelo Bonelli, rivolgendosi alla premier: “E’ il Paese in cui la produzione industriale cala a picco, in cui il caro energia mette in ginocchio le famiglie italiane e la disoccupazione giovanile aumenta. Basta propaganda, Giorgia Meloni, comincia a raccontare il Paese reale“.

ROBERTO CINGOLANI

Nucleare, spinta dal mondo produttivo. Cingolani: “Si può investire nella IV generazione”

Il nucleare resta il tema principale del dibattito sul futuro dell’energia. Il disegno di legge delega del governo è atteso in uno dei prossimi Consiglio dei ministri, ma già si accendono i riflettori del mondo politico, ma anche di quello produttivo.

In questa partita l’esecutivo può contare sull’appoggio di buona parte delle imprese, da tempo ormai impegnate in quella che un tempo sarebbe stata chiamata ‘l’arte dei salti mortali’ per resistere ai colpi del caro bollette. La parte più difficile – ma questo lo sanno bene dalle parti di Palazzo Chigi e del Mase – sarà semmai la campagna di comunicazione tra i cittadini per convincere gli italiani sull’utilità di inserire anche questa tecnologia nel nostro mix.

Già nelle sue vite precedenti, da professore e ministro dell’Ambiente, Roberto Cingolani è stato uno dei pochi a parlare di nucleare come fonte di approvvigionamento sicura, pulito e stabile, con impatti economici meno gravosi rispetto ad altre forme di energia. Oggi che è a capo di un colosso come Leonardo non ha di sicuro cambiato idea. Anzi: “Ho detto in tempi forse meno popolari che era la tecnologia che produceva meno anidride carbonica per unità di energia e aveva tutta una serie di altri parametri buoni”, ribadisce a margine della presentazione della Fondazione Leonardo Ets. Ma ora “tutti i Paesi stiano capendo che per accelerare la decarbonizzazione il nucleare va potenziato e credo che l’Italia si stia muovendo nella direzione di rivedere la sua posizione in materia”.

Leonardo, assieme a Enel e Ansaldo Energia sta dando vita a una newco che avrà il compito di approfondire la ricerca sul tema. Non c’è ancora la firma, ma Cingolani assicura “si sta procedendo, ci siamo scambiati l’ultima versione, l’accordo è quello, adesso dovremmo trovare il momento per chiudere”.

Il lavoro di questa nuova società potrebbe essere molto utile per le imprese. “La quarta generazione è quella che non fa utilizzo di Uranio 135 e in questo momento, secondo me, nella fase intermedia in attesa della fusione, potrebbe essere qualcosa su cui investire”, sottolinea infatti l’amministratore delegato di Leonardo. Mettendo l’accento sull’importanza di “costruire un percorso che ci porti da oggi alla fusione termonucleare, che sarà la soluzione per l’umanità in futuro. Che poi avvenga in tre decadi, in due decade o 5 decadi questo dipenderà da tante cose”.

Favorevole al nucleare, e non da oggi, è anche Davide Tabarelli. “In questo momento è la prima fonte di produzione in Europa, con circa il 25% e se venissero meno le 56 centrali saremmo messi malissimo: le bollette sarebbero molto più alte e di notte saremmo in blackout”, spiega il presidente di Nomisma Energia in audizione davanti alle commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera. Osando quella che lui stesso definisce una “provocazione”, cioè “cominciare a pensare di riaprire la centrale di Caorso, mettendoci un nuovo reattore, piccolo o grande o quello che stanno costruendo in Polonia”. Proprio per rendere chiara a tutti l’urgenza di riprendere un percorso.

Di cui è straconvinto, ovviamente, il presidente dell’Associazione italiana Nucleare, Stefano Monti, che aspetta lo schema di legge dal governo con ansia. Per essere precisi, sono i decreti attuativi il suo obiettivo principale: “In particolare, è molto importante avanzare rapidamente sulla questione dell’autorità di sicurezza e della comunicazione o è impossibile avviare un programma nucleare nel nostro Paese”.

Ue, Tridico (M5S): Crisi industriale sia priorità della nuova legislatura

Oggi c’è “una crisi comune a livello industriale in Europa. In particolare il settore automotive è colpito da una grave crisi e qui, a mio parere, l’Europa deve concentrare i maggiori sforzi, i maggiori investimenti. Vediamo come la trasformazione tecnologica, l’intelligenza artificiale, la digitalizzazione stiano avanzando velocemente”. Lo ha detto Pasquale Tridico, capodelegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo, a margine dell’evento ‘Il sistema Italia nella nuova legislatura UE’, primo annual meeting di Connact, la piattaforma di eventi che favorisce il confronto tra soggetti privati e istituzioni attraverso momenti di incontro e networking, che si è svolto a Bruxelles.

Di fronte alla transizione ecologica e digitale, ha aggiunto, “gli Stati Uniti, i cinesi – partner e allo stesso tempo anche competitor importanti dell’Europa – le stanno affrontando con ingenti investimenti pubblici, con politiche pubbliche e importanti. Ecco io penso che la competitività europea, che certamente rimane il principale obiettivo per fronteggiare i giganti che sono nostri competitor, si possa e si debba a far crescere attraverso politiche pubbliche a partire da investimenti comuni”.

Durante il Covid, ha detto Tridico, “abbiamo affrontato la crisi in un modo comune, anche con investimenti pubblici e ne siamo usciti meglio. La crisi dell’industria e, in particolare, quella dell’automotive, a mio parere si può superare con un approccio europeo che finalizzi gli investimenti pubblici, anche attraverso gli Eurbond e quindi debito comune. Penso che sia una priorità per questa legislatura dell’Unione Europea”.