Baci & abbracci di Trump aspettando l’incontro con Meloni

Baci & abbracci, firmato Donald Trump. Baci al suo fondoschiena e abbracci mortali a chi gli si avvicina troppo o troppo poco, dipende dallo stato emozionale del giorno. L’ultima deriva della guerra dei dazi che sta sconvolgendo il mondo è tracimata anche nel lessico dei ‘peggiori bar di Caracas’ e avvicina, sotto il profilo della lucidità, l’attuale presidente al suo predecessore. Non che ci stupisca il turpiloquio, perché la new society si sta abituando anche a molto di peggio, piuttosto sorprende che al di là dell’Oceano, nella lussuosa stanza dello Studio Ovale, si sia smarrito un certo standing istituzionale da parte dell’uomo più potente del Pianeta che guida la nazione più potente del Pianeta, eccetera eccetera. Là dove si sono accomodati George Washington e Thomas Jefferson, Abramo Lincoln e Theodore Roosevelt, fino Ronald Reagan e Barack Obama, ora è domiciliato il Tycoon che si diverte a capovolge le regole del bon ton dopo aver sconvolto quelle commerciali. Insomma, un comportamento più da fast food della Georgia che da inquilino della Casa Bianca.

La prossima settimana, il 17 (alla faccia della scaramanzia), la premier Giorgia Meloni sarà a colloquio bilaterale con il presidente americano, nel delicato tentativo di strappare qualcosa di diverso per l’Europa e per l’Italia, investita del carico di responsabilità da Ursula von der Leyen e da una parte della Ue. Non tutta, infatti, solo una parte. Perché l’Ungheria si è defilata proprio oggi dall’avvio delle contromisure, confermando che ‘questa’ Europa così come è strutturata non ha ragione di esistere perché non esiste nemmeno in una situazione di massima allerta.

L’appuntamento di Washington sarà nodale ma non sarà un giudizio universale, cioè un dentro o fuori, proprio perché tra i 27 c’è una parcellizzazione di posizioni che non giova alla tenuta del Vecchio Continente, anche se ieri – sempre in tema di nuovo lessico – qualcuno in Commissione ha parlato di “bazooka sul tavolo”. Ma minacciare un americano – o gli americani – con le armi è abbastanza rischioso, là dove persino i bambini girano con la pistola di ordinanza in ‘saccoccia’. Però da questo meeting in terra statunitense, che anticipa di poche ore quello del vice presidente JD Vance a Roma, qualcosa deve emergere, anche perché il crollo dei mercati azionari e il tracollo di gas e petrolio, stanno facendo alzare il livello di tensione internazionale.

La premier sa che ci si aspetta molto dalla sua missione americana, anche in chiave nazionale, dove la maggioranza non sempre è stata allineata sulla strategia da adottare e dove l’opposizione sta pronta a impallinarla, non proprio con un bazooka ma per lo meno con un fucile da caccia.

Nelle varie letture di questa congiuntura squassante a livello mondiale c’è chi si è spinto come Arthur Leffer, stratega di Ronald Reagan, a ipotizzare lo scoppio di una guerra se i dazi saranno mantenuti per un anno. Dazi Usa e controdazi europei e controdazi cinesi. E chissà chi altro. Trump assicura di non essere matto e di riportare l’America allo splendore di una volta, mentre il suo (ex?) amico Elon Musk bolla come ‘cretino’ Navarro, lo stratega dei dazi, e comincia a prendere le distanze. Lui come altri. Perché qualche fessurina comincia a comparire qua e là. Vedremo come si comporterà The Donald, giovedì prossimo. Ogni previsione rischia di essere sballata ma che almeno i saluti con la nostra presidente del Consiglio si limitino a una stretta di mano. Tuttalpiù a un bacio. Sulla guancia.

Dazi, Meloni convoca vertice a Chigi. Poi spiega: “Non è catastrofe che tutti raccontano”

Nei palazzi di Roma, il ‘Liberation day’ after è frenetico. Dopo l’annuncio dei dazi di Donald Trump ai Paesi europei, Giorgia Meloni deve correre ai ripari. La premier annulla tutti gli impegni in agenda e convoca d’urgenza i ministri competenti a studiare una strategia per proteggere il Made in Italy da effetti potenzialmente devastanti. “Penso che la scelta degli Stati Uniti sia sbagliata, non favorisce né l’economia europea né quella americana, ma non dobbiamo alimentare l’allarmismo che sto sentendo in queste ore“, spiega in serata, in un’intervista al Tg1. “Non smetteremo di esportare negli Stati Uniti“, garantisce, pur ammettendo che “ovviamente abbiamo un altro problema da risolvere, ma non è la catastrofe che alcuni stanno raccontando“. Il ruolo dell’Italia è “portare gli interessi italiani, particolarmente in Europa“, ribadisce. Perché mentre si tratta con gli americani, osserva, “ci sono molte cose che possiamo fare per rimuovere i dazi che l’Unione europea si è autoimposta“. E sostiene che “forse una revisione del Patto di stabilità a questo punto sarebbe necessaria“.

A Palazzo Chigi arrivano il vice Matteo Salvini, con i ministri Giancarlo Giorgetti (Economia), Adolfo Urso (Imprese), Tommaso Foti (Rapporti europei), Francesco Lollobrigida (Agricoltura). In videocollegamento da Bruxelles c’è l’altro vicepremier, Antonio Tajani, reduce da un nuovo confronto con il commissario al Commercio Maros Sefcovic.

Nell’incontro europeo, fa sapere la Farnesina, “i due hanno convenuto sulla necessità di mantenere un approccio fermo ma basato sul dialogo, volto ad evitare un’ulteriore escalation sul fronte commerciale”. Il piano prevede la diversificazione dei mercati dell’export. Solo per l’Italia, gli Stati Uniti valgono il 10%. Si guarda dunque a nuovi accordi commerciali con Paesi terzi, come i Paesi del Mercosur, l’India (dove Tajani andrà tra qualche giorno) e altre economie emergenti chiave nell’Indo-Pacifico, in Africa e nel Golfo. Ieri, il ministro degli Esteri ha annunciato anche la nomina del nuovo inviato speciale dell’Italia nell’Imec (il corridoio India-Medio Oriente-Europa) Francesco Maria Talò. Al Commissario, il ministro consegna la strategia per l’export italiano lanciata a Villa Madama qualche giorno fa per rafforzare la presenza delle imprese italiane in tutti i mercati in crescita. “Il mio disegno sarebbe quello di avere un mercato unico transatlantico, zero tariffe di qua e zero tariffe di là, quello sarebbe il modo migliore per sviluppare il commercio e rinforzare la posizione dell’Occidente“, confessa il titolare della Farnesina, che affida a Sefcovic la lista dei prodotti italiani su cui bisognerebbe intervenire per essere tutelati (“compreso il whisky e tutta la produzione vinicola”), nella trattativa che ci sarà all’interno dell’Ue in vista della decisione del Consiglio di lunedì in Lussemburgo. “Ci sono cibi – riferisce -, settori che riguardano il settore della gioielleria, le pietre preziose”. Insomma, “una lunga lista di una trentina di punti“.

Mentre il ministro degli Esteri è in riunione col commissario europeo, da Roma il leader del Carroccio però fa trasmettere una nota in cui continua a difendere la strategia di Trump e ad attaccare l’Europa: “Nelle ultime ore Matteo Salvini si è confrontato con il gruppo economico della Lega, ribadendo che se gli Stati Uniti hanno deciso di tutelare le proprie imprese, è necessario che l’Italia continui a difendere con determinazione il proprio interesse nazionale anche alla luce dei troppi limiti dell’Europa“, scrive il partito. Che nel tardo pomeriggio firma un’altra nota, più diretta ancora verso l’Ue: “Prima di pensare a guerre commerciali o contro-dazi che sarebbero un suicidio, l’Unione europea tagli burocrazia, vincoli e regole europee che soffocano le imprese italiane, azzerando il Green deal e il tutto elettrico“.

A riportare le intenzioni del governo dopo il vertice, però, è Urso rispondendo a un’interrogazione durante il question time al Senato. “Noi guidiamo il fronte delle riforme in Europa“, rivendica, elencando una serie di richieste del governo a Bruxelles. L’immediata sospensione delle regole del Green Deal che “hanno portato al collasso il settore delle auto“; un immediato “shock di deregulation” che liberi da lacci e lacciuoli le imprese; l’introduzione del principio del “Buy European“, speculare al Buy American; la preferenza in ogni appalto pubblico del Made in Europe; la finalizzazione di accordi di libero scambio con altre aree del mondo per mercati alternativi; una politica industriale come delineata nei documenti sulla revisione del Cbam. Questo è un pacchetto d’azione che proteggerebbe il tessuto imprenditoriale europeo senza entrare in scontro aperto con gli Stati Uniti. Perché, spiega l’inquilino di Palazzo Piacentini, “rispondere ai dazi su beni con altri dazi su beni aggrava l’impatto sull’economia europea“. Secondo la Bce i dazi americani avrebbero un impatto dello 0,3% sulla nostra crescita e le eventuali contromisure aggraverebbero l’impatto allo 0,5. Ma, avverte Urso: “Secondo altri istituti, l’effetto moltiplicatore negativo sarebbe ancora peggiore”. La prima regola, quindi, è “non farci altro male da soli innescando un’escalation di ritorsioni che scatenerebbe una devastante guerra commerciale“, spiega il ministro a Palazzo Madama. Occorre reagire “in modo intelligente, mantenendo la calma per valutare le conseguenze dirette e indirette e quindi la migliore risposta, tenendo anche conto che le misure americane differiscono in modo sostanziali: sarebbero pari al 20% per i beni europei ma ben maggiori per altri Paesi, in alcuni casi oltre il 50%”, scandisce. Nei prossimi giorni, il ministro incontrerà le associazioni di impresa per valutare con loro le possibili contromisure da prendere.

Domanda cautela anche Foti: “Dobbiamo capire se dietro questa iniziativa vi è una volontà di andare fino in fondo o di cercare, nazione per nazione, di riequilibrare una bilancia commerciale che nel caso degli Stati Uniti è pesantemente deficitaria rispetto a quanto viene esportato“, afferma. La prima risposta, ribadisce, la deve dare l’Unione europea e “certo non bisogna dare delle risposte di pancia”. In generale, per Foti, “più che scendere in una polemica serve fermezza e idee chiare su come si vuole agire, cioè la reazione deve esserci ma non deve essere una reazione di pancia, deve essere una reazione che suggerisce anche al nostro interlocutore americano che è meglio sedersi a un tavolo”.

Dazi, Meloni: “Dialogo, ma non escludere risposta adeguata”. Mattarella: “Ue sia compatta”

Col passare delle ore la tensione è sempre più palpabile. I dazi spaventano i mercati e rendono anche la risposta politica molto complicata. Il governo italiano ha scelto la via della prudenza, ripetendo con quasi tutti i suoi ministri l’invito a mantenere aperto il dialogo, ma ora la premier comprende che è arrivato il momento di prendere posizione. “Resto convinta che si debba lavorare per scongiurare una guerra commerciale” dice Giorgia Meloni, sottolineando che questo “non esclude di immaginare risposte adeguate a proteggere le nostre produzioni”.

La presidente del Consiglio lancia anche un messaggio (indiretto) agli storici alleati Usa: “Bisogna ricordare che sono il secondo mercato di destinazione, con un export salito del 17%: l’introduzione di nuovi dazi avrebbe risvolti pesanti e penso che sarebbe un’ingiustizia per gli americani”. Il tema è al centro delle agende delle varie cancellerie europee.

Lo dimostra il fatto che sia stato discusso anche nell’incontro al Quirinale tra il capo dello Stato, Sergio Mattarella, e il presidente della Repubblica di Estonia, Alar Karis, in visita ufficiale in Italia. Mattarella definisce l’inasprimento delle tariffe sulle importazioni un “errore profondo”, ma allo stesso tempo auspica “una risposta compatta, serena, determinata” da parte dell’Europa. Che lo scenario stia cambiando rapidamente lo si capisce anche dai toni usati dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani. “Il quadro è particolarmente complesso, la sfida dei dazi mette alla prova i rapporti commerciali”, dice in aula alla Camera durante il question time. Il vicepremier domani sarà a Bruxelles, dove in programma c’è anche un incontro con il commissario Commissario Ue al commercio, Maros Sefcovic: “Dobbiamo avere un approccio pragmatico e dialogante mantenendo la schiena dritta. Se sarà necessario – spiega – dovremo avere una decisione che comporti reazioni a livello europeo” e con tempi decisamente diversi rispetto a quelli cui l’Ue ci ha abituato in questi anni: “Non si deve andare alle calende greche”, avverte Tajani. Che, assicura, discuterà di dazi con il vicepresidente Usa, JD Vance, durante la visita che farà in Italia dal 18 al 20 aprile prossimi.

Un suggerimento sulla contromossa più utile per rispondere alle scelte dell’Amministrazione Trump arriva dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso: “Alla Commissione Ue chiediamo di cogliere le nuove opportunità sui mercati globali, piuttosto che pensare solo a reagire ai dazi con altri dazi: cosa che aggraverebbe il peso per l’Europa”. L’idea è puntare su “accordi bilaterali di libero scambio” sulla scorta di quelli sottoscritti in passato con Cile, Canada, Corea del Sud e Mercosur, verso aree “di maggiore crescita che abbiamo definito e indicato: Messico, Indo-Pacifico, India, Malesia, Indonesia, Vietnam e Giappone”. Resta sulla strada della prudenza, invece, Tommaso Foti: “Meno alziamo i toni sotto il profilo delle parole e meglio è, la reazione non deve essere di pancia ma di ragione”, ammonisce il ministro per gli Affari europei, il Pnrr e le Politiche di coesione.

Nel governo c’è anche chi, come Francesco Lollobrigida, scommette che l’Italia non ne uscirà ridimensionata sui mercati. Di sicuro non quello agroalimentare: “L’apprensione di questi giorni non ci deve far dimenticare i record raggiunti in questi anni. L’Italia è una superpotenza in questo settore e saprà vincere qualunque sfida”, rasserena il ministro dell’Agricoltura. Anche se Coldiretti chiede di “fare prevalere il buonsenso ed evitare a tutti i costi un’escalation della guerra commerciale che avrebbe effetti disastrosi sulle economie europee e statunitense – avverte il presidente, Ettore Prandini – , dove i primi ad essere penalizzati sarebbero i cittadini e gli agricoltori di entrambe le sponde dell’Atlantico”. Mentre Confagricoltura chiede all’Europa una risposta “unita e allineata con la medesima strategia” per proteggere un export da circa 70 miliardi di euro. E la Cia-Agricoltori italiani teme che dazi al 25% “ridurrebbe fortemente la competitività delle eccellenze del Made in Italy”. Un danno che Uninimpresa stima complessivamente in 2 miliardi circa. In questo quadro si inserisce pure lo scontro politico. Perché le opposizioni accusano il governo di troppo immobilismo. Il Pd si schiera sulle posizioni di Mattarella: “I dazi americani sono un errore profondo – sostiene la vicepresidente dem, Chiara Gribaudo -. Trovo inquietanti gli effetti che ricadranno sulla nostra economia, ma è altrettanto inquietante il sovranismo di chi appoggia l’amministrazione Trump, lasciando l’Italia e l’Europa in questa situazione”. Per la Cinquestelle Chiara Appendino “Meloni minimizza”, quindi “è complice del disastro che sta facendo non tutelando le nostre imprese”. Dura anche Avs, che lancia la campagna ‘Trump tax’. Per Iv, invece, le differenti posizioni nella maggioranza di governo lasciano l’Italia “appesa”, mentre Azione non boccia la scelta della premier di dialogare con Washington, purché in accordo con l’Ue.

Meloni si schiera: su critiche a Ue ha ragione Vance. E Salvini vara missione in Usa

In uno dei momenti più tesi tra le due sponde dell’Atlantico, Giorgia Meloni rilascia la sua prima intervista a una testata straniera, il Financial Times, e si schiera. Non apertamente, ma confessa di condividere l’attacco del vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance all’Unione, per aver abbandonato il suo impegno a favore della libertà di parola e della democrazia: “Lo dico da anni, l’Europa si è un po’ persa“, commenta.

Torna a difendere, tra gli ultimi in Ue, Donald Trump. Le critiche del tycoon al vecchio continente non sono rivolte al popolo, spiega, ma alla sua “classe dirigente e all’idea che invece di leggere la realtà e trovare il modo di dare risposte alle persone, si possa imporre la propria ideologia alle persone“. L’Italia, per la presidente del Consiglio, non deve essere obbligata a “scegliere” tra Stati Uniti ed Europa, sarebbe “infantile” e “superficiale“. Non solo Trump non è un avversario, chiosa, ma è il “primo alleato” dell’Italia.

Mentre la Commissione europea si prepara a reagire ai dazi imposti dal presidente americano, Meloni invita l’unione alla calma. “A volte ho l’impressione che rispondiamo semplicemente d’istinto. Su questi argomenti devi dire, ‘State calmi, ragazzi. Pensiamoci’“, spiega, ricordando che “ci sono grandi differenze sui singoli beni” e chiedendo di “lavorare per trovare una buona soluzione comune“.

Tra Trump che lavora per la pace e l’asse Macron-Von der Leyen che parlano di guerra e armi, non abbiamo dubbi da che parte stare“, le fa eco Matteo Salvini, che torna però a ‘scavalcare’ presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, annunciando una missione con le imprese italiane per rafforzare la partnership con gli Stati Uniti, “come da dialogo con J.D. Vance“, che gli è già costato un round di scontri con Antonio Tajani.

Il chiarimento tra i tre, Meloni-Tajani e Salvini, si è rotto dopo 48 ore”, osserva il leader di Avs, Angelo Bonelli: “Salvini scommette sull’esenzione dai dazi per l’Italia da parte di Trump e su questo vuole arrivare prima della Meloni per commissariare Tajani“, afferma, denunciando di aver “venduto la dignità del popolo italiano e quindi europeo a chi ci ha definiti parassiti. È un governo in cui ognuno va per conto proprio“.

Per il Partito democratico, la presidente del Consiglio ha la “sindrome di Stoccolma“: “Sembra prigioniera, incapace di distinguere tra chi attacca e chi si difende”, scrive il capogruppo democratico nella commissione Bilancio della Camera, Ubaldo Pagano. “Ha scelto di indossare il cappellino Maga, ammainando di fatto da palazzo Chigi la bandiera italiana e quella europea“, denuncia la segretaria Elly Schlein. E’ agli italiani, sostiene Schlein, che Giorgia Meloni “dovrà spiegare perché ha scelto Trump come ‘primo alleato’, quando il prossimo 2 aprile entreranno in vigore i dazi Usa del 25% sulle nostre merci, sulle nostre eccellenze, che pagheranno le imprese, i lavoratori e le famiglie italiane. Giorgia Meloni vada dire a loro ‘state calmi, ragazzi, ragioniamoci‘”.

Meloni “doveva e poteva diventare la Merkel europea, trasformandosi in leader conservatrice moderna, ma rompe con l’Europa sul tema fondamentale della difesa europea e si ritrova ad essere una modesta Orban al femminile“, scrive sui social il vicepresidente di Italia Viva Enrico Borghi. A questo punto, insiste, “va detto con chiarezza che l’Italia non può sottrarsi da una iniziativa europea nel campo della sicurezza, della pace e della stabilità internazionale“.

Meloni: “Per difesa no chiusura su prestiti ma valutiamo. Ventotene? Sconvolta dalla sinistra”

Dopo il primo giorno di Consiglio europeo, Giorgia Meloni rivendica già due vittorie dell’Italia: la neutralità tecnologica inserita nelle capitolo industria delle conclusioni (“una lunga battaglia italiana”) e, nella competitività, il riferimento alla proposta italiana legata ad InvestEU per il piano della difesa, per aggiungere un’iniziativa che possa mettere garanzie europee sugli investimenti privati. Non è una “chiusura totale” sui prestiti, assicura la premier, ma una scelta da valutare.

Meloni ricorda che l’Unione europea non ha una competenza esclusiva sulla difesa, quindi la materia è in capo agli Stati nazionali. Quello che l’Ue può fare è mettere a disposizione un ventaglio di strumenti, poi saranno i Paesi membri a valutare se e quali di questi strumenti utilizzare: “Alcuni dettagli sono ancora in discussione e finché non abbiamo chiarezza non capiamo neanche l’impatto che hanno”, spiega. Di sicuro, la difesa è una materia da rafforzare, in Italia come in Europa, per la presidente del Consiglio, per “contare di più”: “Il punto è che se chiedi a qualcun altro di difenderti poi rischi anche che sia qualcun altro a decidere per te e io credo che l’Italia debba decidere per se stessa e credo che anche l’Europa, quando ritiene, debba decidere e questo passa anche dalla sicurezza”, insiste.

“Lucida” per Meloni la scelta dell’Unione di rinviare di qualche giorno la reazione sui dazi di Trump. Se ne occuperà personalmente, tornando alla Casa Bianca, fa sapere, anche se non comunica una data. La premier richiama ancora una volta alla “prudenza” nella risposta, e cita le preoccupazioni di Christine Lagarde: i dazi producono una spinta inflattiva che può portare all’aumento dei tassi della Banca centrale europea, se aumentano i tassi la crescita si comprime. “Lagarde ha dato un dato che secondo me è molto interessante – ricorda -. Parlava di una stima di possibile contrazione della crescita in Europa con i dazi dello 0,3%, che arriverebbero 0,5% se noi rispondessimo. E quindi si conferma che dobbiamo fare attenzione al tipo di risposta da dare”.

“Sconvolta” si dice invece dalla bagarre in Aula alla Camera sul manifesto di Ventotene. La prima ministra considera quella delle opposizioni una reazione “totalmente spropositata”. Continua a dissociarsi dai passaggi del documento di Spinelli e Rossi, quando “sostengono che il popolo non è in grado di autodeterminarsi e che quindi va educato e non ascoltato”. Un’analisi “purtroppo abbastanza strutturata nella sinistra anche di oggi e ne abbiamo avuti moltissimi esempi”, chiosa, citando alcuni editoriali di Eugenio Scalfari, dove “spiegava che l’unica forma di democrazia è l’oligarchia”. E’ un concetto che non condivide, ribadisce. Ma accusa: “Sono arrivati sotto i banchi del governo con insulti e ingiurie”. La sinistra “sta perdendo il senso della misura, penso che stia uscendo fuori un’anima illiberale e nostalgica”, l’affondo. Poi rivendica: “Io non ho difficoltà a confrontarmi con le idee degli altri, ma sono molto convinta delle mie e penso che questa sia la base della democrazia e quindi il problema ce l’hanno altri”.

Meloni: L’Europa di Ventotene non è la mia. E’ bufera alla Camera

Non so se questa è la vostra Europa ma certamente non è la mia”. Alla fine del suo intervento alla Camera, in una mattinata piuttosto tesa, Giorgia Meloni legge alcuni passaggi del manifesto di Ventotene, ne prende le distanze e nell’Aula si scatena l’inferno. Le opposizioni fischiano, urlano “vergogna”, i banchi diventano ring, a destra si applaude, a sinistra si grida. La seduta viene sospesa due volte.

Le frasi del testo scritto nel 1941 da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi richiamano a una rivoluzione europea “socialista“, in cui “la proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso”. Ogni frase scandita tra sguardi e pause. “Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente – prosegue la premier leggendo il testo -. Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni”. Tra gli scranni risuona l’ira delle opposizioni, Meloni si interrompe, il presidente della Camera Lorenzo Fontana richiama all’ordine, tutto viene spostato di qualche ora, al primo pomeriggio, per rimettere in ordine le idee e il bon ton istituzionale.

E comunque, prima della bufera, in sede di replica, la premier accarezza già l’argomento dell’Europa, che deve occuparsi di “meno cose” e “meglio”. Meloni si prepara al Consiglio europeo di domani bollando come un errore la “pretesa” di affidare a Bruxelles “qualsiasi materia di riferimento”, comprese quelle sulle quali gli stati nazionali sarebbero un valore aggiunto. La prima ministra cerca una via d’uscita per rispondere ai dazi di Donald Trump senza apparire debole o suddita di certe dinamiche.

Ma se, a cascata, l’ombrello della difesa degli Stati Uniti dovesse chiudersi definitivamente per il Vecchio Continente, non ci troverebbe ancora pronti. Per questo, l’invito è quello di riflettere su una risposta che non danneggi noi, prima che gli americani. “Non c’è dubbio che per noi siano un problema”, ribadisce. L’Italia è una nazione esportatrice, la quarta al mondo. Al momento, c’è un surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti nei beni e gli Stati Uniti hanno nei nostri confronti un surplus commerciale nei servizi. Potrebbe essere una carta da giocare per cercare una soluzione che eviti una guerra commerciale.

Sulla difesa, il punto è capire come pagare gli 800 miliardi per il Piano proposto da Ursula von der Leyen. L’Italia ha chiesto e ottenuto lo scorporo delle spese della difesa dal calcolo del patto di stabilità. Ma Meloni va oltre e domanda l’intervento dei privati. “Non possiamo non porre il problema che l’intero piano si basa quasi completamente sul debito nazionale degli Stati”, chiosa in Aula. E’ la ragione per la quale con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sta elaborando una proposta che ricalca quello che accade attualmente con InvestEU: “garanzie europee per gli investimenti privati”.

I fondi di Coesione, in Italia, non saranno toccati, garantisce. Resta da chiarire cosa si intenda per spese di difesa. Per questo il governo ha posto la questione: “Io penso che Rearm Europe confonda i cittadini”, sottolinea. La maggioranza sull’investimento nelle armi è spaccata. Oggi da Bruxelles lo stesso Matteo Salvini lancia un avvertimento chiaro alla premier: “Giorgia Meloni ha mandato per difendere l’interesse nazionale italiano, punto. Non penso che quello di cui sta parlando qualcuno a Bruxelles corrisponda all’interesse nazionale italiano, e neanche all’interesse dei cittadini europei”, mette in chiaro. Ma la presidente del Consiglio allarga il perimetro del dominio della sicurezza, “molto più ampio del banale acquisto di armi”, spiega. “Nel tempo in cui viviamo – ripete – riguarda le materie prime critiche, riguarda le infrastrutture strategiche, riguarda la cyber sicurezza, riguarda la difesa dei confini, riguarda la lotta ai trafficanti, riguarda la lotta al terrorismo, sono spesso materie che non si fanno, che non si affrontano comprando armi. Quando mi occupo di cyber sicurezza non lo faccio con le armi, lo faccio per esempio con l’intelligenza artificiale”.

Meloni cambia cliché: meno passionaria e più ‘istituzionale’ per mettere insieme Ue e Trump

Nel suo passaggio al Senato dopo due mesi e rotti di silenzio, in attesa di presentarsi alla Camera, Giorgia Meloni ha in qualche modo cambiato il suo cliché. Non ha usato toni perentori, non ha quasi mai alzato la voce, è stata molto dialogante, si è prodigata per far capire “ai colleghi” che sbarcherà a Bruxelles per trovare un punto di caduta che non trasformi gli Stati Uniti in nemici e non riduca l’Europa a una comparsa. Il feeling con Trump e i buoni rapporti con von der Leyen, lei nel mezzo la ‘semplificatrice’ di una situazione complessa e delicassima.

Insomma, una premier assolutamente ‘istituzionale’, che non ha parlato solo di Ucraina (Non è immaginabile costruire garanzie di sicurezza efficaci e durature dividendo l’Europa e gli Usa. E’ giusto che l’Europa si attrezzi per svolgere la propria parte, ma è folle pensare che oggi possa fare da sola senza la Nato”) e di Difesa (L’Italia non intende distogliere un solo euro dal fondo di Coesione, spero che almeno su questo saremo tutti d’accordo) ma ha cominciato dalla competitività (“Non è una parola astratta”) per lanciarsi sulla desertificazione industriale, per planare successivamente sulla decarbonizzazione (che deve essere sostenibile per imprese e cittadini), per sfiorare il costo fuori controllo dell’energia elettrica fino ad atterrare sui dazi (ai quali non bisogna rispondere con altri dazi, serve reciproco rispetto) e sull’Europa che a rischio di regole e regolamenti rischia di non farcela. Argomenti prevedibili, così come i contenuti.

Meloni ha espresso le posizioni del suo governo mentre Ursula von der Leyen raccontava in Danimarca come la sua Ue debba attrezzarsi per non finire schiacciata stile sandwich da Stati Uniti e Russia e poco dopo che Mario Draghi, sempre in Senato, aveva toccato gli stessi temi con l’autorevolezza che lo accompagnala. In sintesi, l’ex presidente del Consiglio ha detto che la Difesa comune è un passaggio obbligato, che gli 800 miliardi previsti per riarmare l’Europa non basteranno, che il Rapporto sulla competitività non è obsoleto e va attuato con urgenza, che la questione energetica è prioritaria, dal disaccoppiamento di gas fino al costo delle bollette. In fondo, si finisce per andare sbattere sempre lì e da lì bisogna trovare la migliore via d’uscita.

La premier non ha cercato una sponda in Senato, questo no, ma è stata abbastanza accondiscendente quando ha sostenuto che l’etichetta di Rearm al piano di von der Leyen è inaccettabile e dunque va cambiata perché è necessaria la Difesa comune ma “senza tagliare sanità e sociale”. Un refrain già sentito su un’altra sponda.

Campi Flegrei, torna la paura: firmato stato mobilitazione. Mattarella sente Manfredi

Torna la paura nei Campi Flegrei. Una scossa di magnitudo 4.4 getta in strada e nel panico la comunità, estenuata da due anni di sciame sismico praticamente ininterrotto. Si tratta della più forte scossa registrata in epoca strumentale nella zona, insieme a quella del 20 maggio 2024.

Undici le persone rimaste ferite, un uomo è stato sepolto dal crollo del controsoffitto a Pozzuoli, contuso ed escoriato ma salvato dai vigili del fuoco. Altre tre persone sono state ferite da schegge di vetro e per sette i ricoveri sono stati dovuti a crisi di panico. In tutto il territorio ci sono crolli non strutturali, tra cui parte del campanile della chiesa di Sant’Anna a Bagnoli. Anche una scuola, la Viviani di Pozzuoli, è interessata da ‘distaccamenti’ non strutturali, in forma precauzionale e per consentire le verifiche, tutte gli istituti della zona vengono chiusi. “Abbiamo seguito le vicende attentamente, la situazione complessiva ci lascia moderatamente tranquilli”, spiega il prefetto di Napoli, Michele Di Bari.

E’ stato uno stress test importante per il patrimonio edilizio e non ci sono stati danni strutturali. La convivenza col grande sisma è l’unica risposta“, ammette il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, che nel primo pomeriggio viene contattato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Il capo dello Stato si informa sulla situazione che vive il territorio ed esprime vicinanza ai cittadini.

La premier, Giorgia Meloni, fa sapere dal mattino di monitorare costantemente l’evolversi della situazione. Si tiene in contatto con il sottosegretario Alfredo Mantovano, con il ministro per la Protezione Civile, Nello Musumeci, e con il capo del dipartimento della Protezione Civile, Fabio Ciciliano.

Il ministro per la protezione Civile ha firmato lo stato di mobilitazione nazionale chiesto dal presidente della Regione, Vincenzo De Luca. “E’ una delle zone più complesse al mondo, ve lo dico senza ipocrisia, chiedetela agli altri l’ipocrisia”, tuona Musumeci, denunciando una mancanza di attenzione delle istituzioni precedenti per una zona su cui insiste sia il rischio vulcanico che quello bradisismico. Una delle soluzioni, per il ministro, passa dalla prevenzione non strutturale, che prevede anche di istruire i ragazzi del territorio dei rischi e su come comportarsi in caso di evento. La mobilitazione nazionale permette al Dipartimento di Protezione Civile di coordinare gli interventi e le strutture operative, a supporto delle autorità regionali, garantendo assistenza alle popolazioni e interagendo direttamente con forze dell’ordine, vigili del fuoco, ambulanze.

Al momento, l’ipotesi di evacuazione dei “non è da scartare”, spiega il ministro, ma avverrà solo ascoltati i vulcanologi e sarà oggetto di esame tra i tecnici “solo qualora dovessero dirci di essere in prossimità di evoluzione accentuata”. Il piano che prevede l’evacuazione e il gemellaggio con le altre Regioni, però, è solo sulla pianificazione del rischio vulcanico. Il piano di emergenza per rischio bradisismico prevede lo spostamento persone che voglio lasciare la propria casa in aree di accoglienza.

Sappiamo che siamo nel mezzo di un complesso sciame sismiche che dura da un paio di anni, con migliaia di scosse. Per questo, lo dico alle amministrazioni, le tendopoli devono essere allestite costantemente, non dopo la scossa“, avverte Musumeci. Le aree di accoglienza sono comunque state allestite “in modo molto tempestivo”, assicura Ciciliano.
Il ministro rivendica di aver “aperto una breccia” nel “muro della rassegnazione” con le esercitazioni previste dal piano. Andrebbero fatte ogni 3-4 mesi e lo scorso anno con questo governo se ne sono organizzate tre: “Alla prima hanno partecipato 140 persone, alla seconda 200, la terza ha visto la partecipazione di 1.500 persone”, chiosa il ministro. E alle opposizioni che chiedono di riferire in Parlamento risponde di “non avere nessuna nessuna difficoltà”, ma “non abbiamo novità”: “Lo sciame sismico c’è e lo sappiamo tutti, lo riferirò con piacere”, scandisce.

Per poter convivere con il bradisismo, è indispensabile mettere in sicurezza gli edifici.Abbiamo un patrimonio edilizio discreto che può essere migliorato. Dobbiamo agire sull’edilizia pubblica, ma sono importanti anche gli interventi sull’edilizia privata”, fa appello Manfredi, ricordando che chi ha un edificio ha l’occasione di migliorarne la sicurezza sismica. “Certo che oggi il patrimonio edilizio non è quello degli anni 80, ma si può sempre migliorare”, osserva e a chi gli fa notare che ci sono ancora edifici fatiscenti risponde: “La responsabilità dell’edilizia privata è del proprietario, il proprietario se ha una catapecchia si dia da fare, ovviamente anche con l’aiuto pubblico”.

Italia apre a riarmo Ue, ma senza toccare fondi Coesione e con contabilizzazione Nato

Il bilancio del Consiglio Ue straordinario non è né buono né cattivo, ma interlocutorio per l’Italia. Al tavolo di Bruxelles la premier, Giorgia Meloni, porta una posizione di apertura ma allo stesso tempo fissa alcuni paletti. Innanzitutto il nome, che a Roma proprio non è piaciuto: Rearm Europe, ritenuto infelice. Alla vigilia del vertice il vicepremier, Antonio Tajani, suggeriva invece ‘Piano per la sicurezza dell’Europa’.

Anche sulla sostanza l’Italia ha da ridire, non tanto per il concetto di alzare le difese del continente, quanto per il perimetro in cui attualmente la Commissione vorrebbe delimitare l’operatività. In poche parole, a Palazzo Chigi accoglierebbero con ben altro spirito l’iniziativa se oltre alla questione del riarmo si aprissero gli orizzonti anche a sfide globali come quelle della cybersicurezza e della difesa delle infrastrutture strategiche, puntando molte fiches sulla ricerca e lo sviluppo. In questo modo – è il ragionamento – lo scudo dell’Europa sarebbe più ampio e, di conseguenza, più efficace.

Dal vertice emergono anche novità sostanziali di grande interesse per il nostro Paese, come l’esclusione delle spese di difesa dai fattori che concorrono al computo del rapporto deficit/Pil. Ma non solo, perché l’Italia è favorevole alla proposta avanzata dalla Germania, arrivando a una revisione organica del Patto di stabilità che comprenda più materie, come la competitività. Che in una fase storica come questa, con la Spada di Damocle dei dazi in arrivo dagli Stati Uniti e la corsa delle industrie cinesi e indiane può rivelarsi una mossa necessaria (oltre che vincente) per il sistema economico europeo.

C’è, però, un nodo da sciogliere e riguarda i fondi di coesione che Bruxelles vorrebbe spostare in parte sul riarmo. Scelta che non convince il governo italiano, in buona compagnia con altri partner Ue. Meloni si è comunque battuta sul principio di volontarietà, in considerazione del fatto che alcuni Stati membri si trovano al confine con la federazione russa, dunque è plausibile che considerino una priorità l’acquisto di nuove armi, a differenza del nostro Paese.

Il punto, però, apre una nuova crepa nel dibattito politico interno con le opposizioni. Elly Schlein, infatti, attacca definendo “un errore madornale e inaccettabile, prendere i fondi per la coesione sociale e dirottarli sulle spese militari. Questo vorrebbe dire lasciare indietro tutte quelle priorità che erano intrecciate nel Next generation Eu”. Ma la segretaria del Pd ci tiene a chiarire: “Noi siamo favorevoli a una difesa comune, siamo contrari al riarmo dei 27 Stati membri. Sono due cose diverse”. Posizione condivisa anche da altre forze di opposizione, da Avs al M5S.

Ma anche nella maggioranza ci sono divisioni sul tema, con la Lega che non nasconde affatto la contrarietà al piano. Critiche mosse non solo da Matteo Salvini, ma anche dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha definito il piano Rearm Europe “frettoloso e senza logica”. Opinione che cozza con quella del vicepremier, Antonio Tajani: “Penso, invece, sia un buon piano, che dovremmo applicare, vedere, studiare. Io lo sostengo. Come sostengo che non bisogna utilizzare i fondi di Coesione”.

Sul punto è intervenuto anche il vicepresidente della Commissione Ue, Raffaele Fitto: “Gli Stati membri possono cogliere l’occasione dei fondi della politica di coesione per la difesa, su questo è logico avere un approccio equilibrato”, dice a margine di un incontro a Roma con l’Anci, spiegando che questa potrebbe essere un’occasione per i Paesi del nord-est europeo. Al Consiglio straordinario dell’Ue, infine, il governo italiano sottolinea l’importanza che il totale fondi previsti venga destinato a spese per la difesa ammissibili in ambito Nato. L’Italia, infatti, è al lavoro su una proposta che consenta di ottenere un meccanismo automatico grazie al quale gli investimenti sulla difesa europea possano essere contabilizzati in ambito delle Nazioni Unite con una rendicontazione obiettiva, omogenea e trasparente.

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Siglate oltre 40 intese Italia-Eau, in arrivo investimenti per 40 mld dollari

Oltre 40 intese bilaterali per rafforzare su più settori la cooperazione Italia-Emirati Arabi Uniti. E’ il risultato della visita di Stato nel nostro Paese del presidente emiratino, Sheikh Mohamed bin Zayed Al Nahyan. Accolto ieri in Italia dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Zayed ha partecipato oggi con la premier Giorgia Meloni al Business Forum di Roma, evento organizzato dal ministero degli Esteri, dai Ministeri dell’Economia e degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, con la collaborazione dell’ICE Agenzia e il supporto di CDP e SACE. E’ stata l’occasione per annunciare investimenti dagli Emirati in Italia per 40 miliardi di dollari.

L’incontro – che è stata un’occasione di confronto per i due leader sulle principali sfide globali, come Ucraina e Medio Oriente – ha confermato il livello di straordinaria eccellenza raggiunto nelle relazioni bilaterali tra i due Paesi negli ultimi due anni. Le oltre 40 intese sottoscritte sono a livello governativo, incluso un accordo per un ulteriore rilancio della cooperazione nel settore della difesa, e nel settore privato.

Per la premier Meloni si tratta di “una giornata storica, un’altra tappa fondamentale nei nostri rapporti”. I due leader hanno infatti concordato di sviluppare un partenariato strategico complessivo, concentrando la cooperazione nei settori dell’economia più̀ orientati al futuro, sfruttando la capacità di innovazione italiana ed emiratina in settori come intelligenza artificiale, creazione di data centre, industria avanzata, nuove tecnologie, interconnessioni digitali ed energetiche, tecnologie in ambito subacqueo, minerali critici e spazio. Meloni ha salutato “con soddisfazione la decisione degli Emirati di investire 40 miliardi di dollari in Italia”, definendolo “uno dei più rilevanti e imponenti investimenti per la storia della nostra nazione, una straordinaria manifestazione di amicizia nei confronti dell’Italia, del suo sistema produttivo e della sua economia”. Meloni e Zayed hanno inoltre confermato, nel quadro del Piano Mattei per l’Africa, la volontà̀ di rafforzare la cooperazione trilaterale con le Nazioni del continente africano sulla base di un apposito partenariato istituito in occasione della visita, oltre ad accordi col settore privato emiratino finalizzati ad agevolare co-investimenti nell’ambito energetico e dell’acqua nel continente africano.

L’interscambio commerciale tra Italia ed Emirati Arabi Uniti nei primi undici mesi del 2024 ha raggiunto il valore di 9 miliardi di euro, con un incremento del 14,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nel Paese operano oltre 600 aziende italiane, mentre il livello di investimenti italiani negli Emirati nel 2023 è stato di oltre 11 miliardi di euro. “Gli Emirati Arabi Uniti sono un partner economico strategico per l’Italia e primo mercato di destinazione dell’export italiano nell’area Medio Oriente Nord Africa”, ha sottolineato il ministro degli Affari esteri, Antonio Tajani. Per la Farnesina, l’interscambio commerciale “è di fondamentale importanza”. Tajani ha infatti ricordato come il 40% del prodotto interno lordo della Repubblica Italiana derivi dall’export. “La nostra intenzione – ha concluso il ministro – è incrementare anche il giro di affari. Siamo arrivati a 626 miliardi lo scorso anno. L’obiettivo è quello di arrivare ai 700 miliardi alla fine di questa legislatura”.

Cinque gli accordi strategici siglati dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, per consolidare la cooperazione economica e industriale tra i due Paesi. Le intese sono finalizzate a promuovere investimenti reciproci, innovazione tecnologica e collaborazione nei settori chiave dell’economia, realizzando un’alleanza strategica sul futuro dall’intelligenza artificiale ai data center, dalle materie prime critiche allo spazio, alle fibre ottiche, alla connettività e alle infrastrutture, alla farmaceutica e alle scienze della vita. Uno degli accordi principali riguarda il partenariato strategico sugli investimenti, siglato tra il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e il Ministero dell’Industria e delle Tecnologie Avanzate degli Emirati Arabi Uniti. L’intesa prevede la creazione di un Gruppo di Lavoro dedicato all’identificazione di progetti congiunti e opportunità di investimento in settori di interesse comune, creando una cornice adeguata alla mobilitazione dei capitali.

Nell’ambito di questa intesa, Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e Abu Dhabi Investment Office (ADIO) hanno firmato un Memorandum of Understanding per facilitare la collaborazione tra imprese italiane ed emiratine e agevolare l’accesso agli investitori ai mercati di riferimento. Accordi analoghi sono stati siglati tra Confapi e AIM Global Foundation, per favorire l’internazionalizzazione delle PMI, e tra la Abu Dhabi Chamber of Commerce e Confindustria Lazio, con l’obiettivo di incentivare investimenti privati nei due Paesi.