Petrolio, gas, difesa e commercio: ecco perché l’Artico fa gola al mondo

Il ghiaccio marino si scioglie e la voglia di Artico esplode. L’America di Donald Trump, i Paesi nordici, la Russia di Vladimir Putin e anche la Cina sono impegnati in una competizione per l’influenza su questo territorio, mentre si rivela il potenziale economico e il valore strategico della regione polare. “Si dice che l’Artico nel suo complesso contenga il 25% delle riserve mondiali non scoperte di idrocarburi convenzionali”, spiega Mikaa Blugeon-Mered, docente di geopolitica a Sciences Po, riferendosi a un rapporto del Servizio geologico statunitense (USGS). Ed è, quindi, facile intuire il perché delle ambizioni geopolitiche ed economiche sul territorio da parte del resto del mondo.

Il riscaldamento globale sta causando un rapido scioglimento dei ghiacci polari nell’Artico, che sta stimolando l’attività economica, compreso il turismo, nonostante l’ambiente inospitale. Secondo l’osservatorio Copernicus, l’Artico europeo è la regione che si riscalda più rapidamente al mondo.

I Paesi confinanti cercano di accedere al petrolio, al gas e ai minerali che abbondano sotto la superficie, oltre che alle vaste riserve ittiche della zona. Per quanto riguarda il Passaggio a Nord-Est, una rotta marittima al largo delle coste della Siberia che è diventata gradualmente praticabile a causa del riscaldamento globale, promette di far risparmiare tempo – da una a due settimane – e carburante per collegare l’Europa e l’Asia rispetto alla rotta tradizionale attraverso il Canale di Suez.

Ma l’Artico ha anche implicazioni militari. “Da un punto di vista geopolitico, la regione è centrale. Per gli aerei e i missili, la via più breve tra (…) la Russia e gli Stati Uniti passa attraverso l’Oceano Artico. È anche un’area dove ci sono molti sottomarini che pattugliano e dove i russi hanno le loro più grandi basi militari”, spiega Njord Wegge, professore dell’Accademia militare norvegese.

Una “linea di faglia” che sta stuzzicando l’appetito del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il quale ha espresso a gran voce il suo progetto di annettere l’enorme isola artica della Groenlandia. Sabato ha promesso che gli Stati Uniti “prenderanno” il territorio autonomo danese. Come, però, non è ancora chiaro.

La fine della Guerra Fredda ha inaugurato un’era di cooperazione tra gli otto Stati costieri: Norvegia, Danimarca (attraverso il territorio autonomo della Groenlandia), Svezia, Finlandia, Russia, Stati Uniti, Canada e Islanda. Ma il Consiglio Artico, che riunisce questi Paesi dal 1996, ha perso la sua capacità di azione, soprattutto dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022.

“La linea di demarcazione è di tipo militare, poiché sette degli otto Paesi della regione artica sono membri della NATO”, sottolinea Blugeon-Mered. Oltre il 50% delle coste artiche è russo e Mosca sfrutta l’area da decenni. Secondo una raccolta di dati compilata da questo ricercatore, oltre l’80% del gas russo e il 60% del petrolio sono prodotti nell’Artico. Per Max Bergmann, del think tank americano CSIS, è la Russia a rappresentare la più grande minaccia per gli Stati Uniti. “La minaccia è rappresentata dalla continua militarizzazione dell’Artico da parte della Russia e dalla nostra scarsa presenza”, dice l’esperto. Tuttavia, il ricercatore non approva l’espansionismo di Donald Trump, che considera “inutile”. A suo avviso, “prendere la Groenlandia (…) sovrastima la minaccia alla sicurezza nazionale”. “L’unico motivo per possedere la Groenlandia sarebbe quello di avere accesso a minerali” come le terre rare utilizzate nella transizione energetica e presenti in grandi quantità sull’isola danese, ritiene, ma il presidente “ha firmato decreti per fermare la transizione”.

L’Unione europea non è indifferente ai piani di Trump per la Groenlandia. Diversi leader hanno espresso le loro preoccupazioni negli ultimi giorni. Ad aggravare le tensioni regionali, la Cina, un altro attore importante ma non rivierasco nell’Artico, sta avanzando la sua posizione nella regione. “I russi non hanno altra scelta che collaborare con la Cina (…) il principale acquirente a lungo termine delle risorse dell’Artico russo”, analizza Blugeon-Mered, riferendosi alle perdite commerciali di Mosca in Europa dall’inizio della guerra in Ucraina.

Washington non vede di buon occhio il crescente potere di Pechino nell’Artico. A luglio, il Pentagono ha messo in guardia contro una maggiore cooperazione sino-russa nella regione. Mentre la Russia ha rafforzato la sua presenza militare nell’Artico riaprendo e modernizzando diverse basi e campi d’aviazione abbandonati dalla fine dell’era sovietica, la Cina ha iniettato fondi nell’esplorazione e nella ricerca polare. “Mentre i russi cedono spazio alla Cina, la Cina penetra di fatto. E per gli americani, siano essi repubblicani o gran parte dei democratici, questo è percepito come un rischio”, spiega Blugeon-Mered.

Effetto Trump su petrolio e Gnl: il greggio cala, il gas ritorna a 50 euro

Il giorno il giuramento di Trump e il giorno dopo le promesse del neo presidente degli Stati Uniti su petrolio e gas – “trivelleremo, baby, trivelleremo” e “esporteremo il nostro gas in tutto il mondo” – i mercati navigano a vista. Greggio e gas prendono direzioni opposte, ma il sottofondo non è dei più accomodanti. C’è come la sensazione che tutto possa succedere.

I contratti futures sul petrolio Brent hanno registrato oscillazioni intorno ai 79 dollari al barile, in calo dell’1% dopo la discesa di ieri, a seguito dell’annuncio di Trump riguardo l’intenzione di aumentare la produzione di petrolio e gas negli Stati Uniti, dichiarando un’emergenza nazionale. Un’importante misura proposta da Trump prevede l’introduzione di tariffe del 25% sulle importazioni provenienti da Canada e Messico, che entreranno in vigore il 1° febbraio. Questa proposta ha contribuito a smorzare le aspettative di un rallentamento nelle politiche commerciali, ma la decisione di rimandare l’introduzione di imposte sulle importazioni cinesi ha mantenuto i mercati in un’incertezza relativa. Oltre alle tariffe commerciali, gli investitori seguono con attenzione anche la possibilità che l’amministrazione Trump imponga nuove sanzioni contro importanti esportatori di petrolio come Russia, Iran e Venezuela. Parallelamente, comunque, un calo del rischio geopolitico ha contribuito a contenere le oscillazioni dei prezzi, soprattutto dopo il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, che ha portato a un accordo sul rilascio degli ostaggi.

Sul fronte del gas naturale, i prezzi in Europa sono tornati con un balzo di quasi il 3% fino a 50 euro per megawattora. I flussi di gas naturale russo attraverso l’Ucraina sono stati interrotti all’inizio dell’anno, dopo che i due governi non sono riusciti a raggiungere un accordo, ma sebbene l’International Energy Agency abbia osservato che questa interruzione non rappresenti un rischio immediato per la sicurezza dell’approvvigionamento dell’Ue, si prevede un aumento delle importazioni di Gnl in Europa, con stime che indicano un incremento di oltre il 15% nel 2025. Attualmente, i livelli di stoccaggio del gas dell’Ue si aggirano intorno al 60% della capacità totale, con gli esperti che suggeriscono che la situazione potrebbe comportare una maggiore dipendenza dalle importazioni di Gnl nei prossimi anni. Anche perché, come ha riportato Bloomberg, Trump ha invitato l’Europa ad acquistare il suo gas, o saranno dazi.
Sul fronte americano, va infine specificato, che per i trader la revoca della moratoria sulle nuove licenze per le esportazioni di gas naturale liquefatto potrebbe aprire la strada a nuovi permessi, con un impatto potenzialmente positivo sulla domanda di Gnl da parte dell’Europa e dell’Asia. Magari a prezzi più bassi.

 

La bolletta del gas tutelato sale ancora. Pichetto: “Rivedere price cap europeo”

Il mese di dicembre 2024 segna un nuovo aumento dei prezzi del gas in Italia, con il costo di riferimento per il cliente tipo che arriva a 125,22 centesimi di euro per metro cubo, in crescita del 2,5% rispetto a novembre. L’incremento è stato determinato dall’aumento dei prezzi all’ingrosso, un fattore che incide direttamente sulla spesa per la materia prima. La conferma arriva dall’Arera, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, che ha comunicato anche il valore della materia prima per il Servizio di Tutela della Vulnerabilità gas, che per dicembre 2024 si attesta a 47,59 euro/MWh. Attualmente, circa 2,36 milioni di clienti domestici usufruiscono di questo servizio di protezione, che in due mesi – tra novembre e dicembre – hanno visto la loro tariffa aumentare di ben oltre il 20%. In particolare, secondo Arera, la spesa per la materia prima gas naturale incide per il 42,98% del totale della bolletta, pari a 53,82 centesimi di euro. La spesa per il trasporto e la gestione del contatore, che copre la distribuzione, la misura e i servizi correlati, rappresenta il 22,4%, pari a 28,03 centesimi. Gli oneri di sistema e le imposte incidevano rispettivamente per il 2,35% e il 27,36%.

A complicare ulteriormente la situazione, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha sottolineato l’impatto dello stop al transito delle forniture di gas da parte di Gazprom attraverso l’Ucraina. Sebbene l’Italia abbia continuato a ricevere gas dalla Russia nel corso del 2024, Pichetto ha rassicurato sullo stoccaggio nazionale, che ha raggiunto l’80% della quota di dosaggio. “Abbiamo una decina di miliardi di metri cubi di disponibilità e riusciamo a far fronte al passaggio invernale“, ha dichiarato il ministro, facendo riferimento anche ai rifornimenti verso l’Austria attraverso il punto di Tarvisio.

Tuttavia, la principale preoccupazione resta l’incremento dei prezzi, legato non solo alla riduzione dei quantitativi di gas disponibili per l’Europa, ma anche ai possibili rischi di speculazione nel mercato spot. Pichetto ha suggerito che uno degli strumenti per contrastare tale fenomeno sia rappresentato dai contratti di lungo termine, che permettono una maggiore stabilità e protezione contro le fluttuazioni improvvise dei prezzi. Per quanto riguarda le soluzioni politiche, Pichetto a Radio Radicale ha sottolineato che “l’Unione europea dovrebbe, a questo punto, e lo abbiamo chiesto, rinnovare l’eventuale price cap, ma non a 180 euro come il precedente, ma a 50-60 euro – ha sottolineato il responsabile del Mase -. Questo significherebbe porre anche un freno a quelle operazioni puramente finanziari che non c’entrano niente con la materia prima, ma pesano sulle famiglie e sulle imprese“.

Intanto, l’eurodeputata Annalisa Corrado, responsabile Ambiente del Partito Democratico, in una nota sottolinea che “occorre proteggere in maniera strutturale e solida le fasce più fragili della popolazione, a partire dai consumatori cosiddetti ‘vulnerabili’, difendendoli dalle speculazioni di un mercato fuori controllo; occorre accelerare ogni azione possibile per far penetrare nelle bollette i benefici del basso costo delle rinnovabili, il modo più rapido ed efficace che abbiamo di correre ai ripari, abbassando la nostra dipendenza dal gas di qualunque provenienza, che rende elevati e instabili i costi. Torniamo a chiedere al Governo e a tutte le forze politiche di prendere in considerazione la nostra proposta di riforma dell’Acquirente Unico, che risponde in maniera strutturale a diverse delle problematiche qui illustrate, innanzitutto a immediata tutela dei consumatori vulnerabili“, conclude la nota della Corrado.

Tabarelli

Il prezzo del gas a 50 euro al megawattora. Tabarelli: “Rincari medi di 30mila euro anno per le imprese”

Il prezzo del gas resta intorno ai 50 euro per megawattora, ma potrebbe subire un nuovo aumento nel breve periodo, arrivando fino a 70 euro/MWh. A lanciare l’allarme è Gianclaudio Torlizzi, fondatore di TCommodity, intervistato da Class Cnbc. Secondo Torlizzi, infatti, l’interruzione delle forniture di gas russo verso l’Europa attraverso l’Ucraina sta mettendo sotto pressione i mercati energetici, già tesi da mesi. Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, sentito da GEA, non fa previsioni ma evidenzia che, nonostante l’alto livello delle scorte a gennaio, basta un lieve disallineamento tra domanda e offerta per far schizzare i prezzi alle stelle. “Il mercato è molto tirato e i traders non vedono l’ora di far salire i prezzi”, sottolinea, calcolando che nel 2025, “la previsione per una famiglia media è un aumento della bolletta energetica tra i 250 e i 300 euro annui. Le imprese, invece, potrebbero affrontare un incremento più consistente, che per una realtà con un consumo annuo di 1 milione di kWh potrebbe arrivare fino a 30.000 euro in più all’anno”.

Secondo Torlizzi, uno degli ostacoli principali alla competitività dell’Unione Europea nella “guerra economica” contro Mosca è il Green Deal. La necessità di accelerare la transizione verso fonti di energia rinnovabile potrebbe rendere più difficile per l’UE rispondere prontamente alle sfide imposte dalla crisi energetica in corso. E Tabarelli fa notare che le politiche annunciate dall’Unione Europea per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico non hanno portato ai risultati sperati. “La Commissione Europea sta continuando a diffondere ottimismo da anni, ma la realtà è che siamo ancora in piena crisi. E si è fatto poco per concretizzare le politiche di diversificazione”, osserva a GEA il presidente di Nomisma Energia.

Un altro aspetto che preoccupa gli esperti è la domanda debole, un fenomeno che ha caratterizzato la crescita economica negli ultimi anni. “Siamo in una fase di ‘decrescita felice’, se vogliamo definirla così”, commenta Tabarelli, mettendo in evidenza la necessità di risposte più rapide ed efficaci da parte delle istituzioni.

Tra le alternative al gas naturale, il biogas e il biometano sembrano essere soluzioni promettenti, ma non sufficienti a colmare il gap creato dalla crisi energetica. Tabarelli spiega che, sebbene ci siano buoni risultati nel settore delle energie rinnovabili, l’Italia consuma circa 61 miliardi di metri cubi di gas all’anno e solo una piccola parte di questo fabbisogno può essere soddisfatta dal biometano, che al momento produce circa 0,2 miliardi di metri cubi. “Se riusciremo a raggiungere 1 miliardo di metri cubi di biometano, sarà un grande successo, ma è un obiettivo ancora lontano”, spiega.

I rincari intanto vengono al pettine e venerdì l’Arera, Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, è attesa per l’annuncio dei nuovi prezzi del gas per il mese di dicembre, noto come ‘Componente CMEMm’. Le previsioni indicano che i clienti in tutela, cioè i più vulnerabili, potrebbero subire un incremento del 2,5% sulle bollette, mentre per chi è nel mercato libero con un’offerta indicizzata al PSV (Punto di Scambio Virtuale), il rincaro potrebbe essere simile, considerando che il prezzo medio del gas di dicembre è stato pari a 47,6 euro/MWh. E Tabarelli conferma: “Per il gas, ci aspettiamo aumenti tra il 4 e il 5% già nei primi mesi del 2025”.

Non sale però solo il gas. I future sul petrolio Wti salgono di quasi il 2,5% a 73,4 dollari al barile, raggiungendo il livello più alto da ottobre, alimentati dall’ottimismo sulla domanda di petrolio e da un rapporto che mostra una riduzione delle scorte di greggio statunitensi. L’ottimismo è cresciuto dopo il discorso di Capodanno del presidente cinese Xi Jinping, nel quale ha espresso fiducia nella ripresa economica della Cina nonostante le incertezze globali. Inoltre, il settore manifatturiero cinese ha continuato la sua leggera espansione per il terzo mese consecutivo, sollevando ulteriormente le aspettative di una forte domanda di petrolio. L’aumento dei prezzi è stato anche supportato da un rapporto dell’Eia, che ha mostrato che le scorte di greggio statunitensi sono diminuite di 1,178 milioni di barili la scorsa settimana, segnando la sesta settimana consecutiva di riduzione delle scorte

In Italia non c’è allarme scorte di gas, ma il livello di attenzione diventa massimo

Lo stop al transito di gas russo via Ucraina in direzione Europa mette in allarme sugli stoccaggi. L’Ue minimizza, facendo sapere che avrò impatti minimi; l’Italia non fa drammi e tramite il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, assicura che le scorte sono “a un livello adeguato”, ma comunque “si stanno valutando ulteriori misure per massimizzare la giacenza”.

L’inverno 2024/2025 si sta rivelando più freddo di quello dell’anno scorso, ragion per cui i riscaldamenti sono a pieno regime già dallo scorso mese di novembre in tutta Italia, e in alcuni casi anche da fine ottobre. È ragionevole immaginare un consumo più alto, dunque, ma non oltre la soglia di attenzione. “L’interruzione dei transiti di gas dall’Ucraina è tutto meno che una sorpresa”, dice al ‘Corsera’ il presidente di Arera, Stefano Besseghini. Dall’Authority non arrivano allarmi, visto che “gli impatti sul sistema saranno ragionevolmente gestibili”, ma “appare in tutta la sua evidenza la delicatezza del sistema Gas ancora oggi a quasi tre anni dall’inizio della guerra”. Ragion per cui, raccomanda Besseghini, “molto è stato fatto, ma non deve scendere il livello di attenzione”.

La fine delle forniture di Gazprom via Ucraina non è di sicuro un fulmine a ciel sereno: da tempo era preventivata questa interruzione e “il sistema si era già preparato”, assicura il numero uno di Arera al ‘Sole 24 Ore’. Ricordando come la combo tra stoccaggi “coperti” nel breve periodo e temperature non estremamente rigide, con consumi tutto sommato sotto controllo, “non deve portarci a rallentare il percorso di rafforzamento del sistema”. Questo perché “non dobbiamo dimenticarci che siamo ancora in una situazione di mercato estremamente fragile ed è troppo presto per scordarsi dell’emergenza”.

Non a caso dal mondo delle imprese partono i primi, preoccupati appelli. “L’annuncio di Gazprom di interrompere le forniture di Gas alla Moldavia a partire dall’inizio di gennaio segnala un aumento del rischio di una grave crisi energetica e umanitaria in Europa”, avverte ad esempio il presidente di Confapi, Cristian Camisa.

Il tema, ovviamente, tiene banco anche nel mondo politico. Dall’opposizione è Angelo Bonelli ad attaccare: “La storia non ha insegnato nulla a chi governa l’Italia: ci ritroviamo a dover affrontare costi energetici inaccettabili per imprese e famiglie che ci riportano al 2021-2022 – sostiene il deputato di Avs -, quando l’aumento del prezzo del Gas portò alla triplicazione del costo delle bollette realizzando un vero e proprio salasso economico per i settori sociali ed economici più deboli. L’esecutivo è responsabile di questa situazione perché non ha una strategia energetica ed invece di puntare sulle rinnovabili è impegnato a riportare l’Italia nella produzione di nucleare da fissione che porterà a fare pagare l’energia più di quanto la paghiamo oggi”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il Cinquestelle, Davide Aiello, sottolineando che “la stangata sulle bollette di luce e gas nell’ex mercato tutelato registra un incremento del 18% per i prossimi mesi”. Il 2025, dunque, inizia già in salita ma senza (ancora) il suono d’allarme delle ‘sirene’.

Capodanno col botto: stop al gas russo in Europa via Ucraina, prezzo a 50 euro/Mwh

Il 2025 inizia con una crisi energetica per l’Europa. Capodanno col botto, viene da dire, considerando che dalle 6 dell’1 gennaio i flussi di gas russo verso l’Europa attraverso l’Ucraina potrebbero cessare per sempre, visto il decadere dell’accordo sul transito che legava Mosca e Kiev dal 2019. Secondo i dati forniti dall’operatore di rete ucraino, le richieste di gas alla stazione di aspirazione di Sudzha, al confine tra Russia e Ucraina, sono scese a zero, una cifra ben al di sotto dei 40 milioni di metri cubi al giorno solitamente registrati. L’interruzione dei flussi russi, salvo improvvise retromarce nelle prossime ore o nei prossimi giorni, avrà impatti diretti sull’Europa, che già fatica a fronteggiare l’alta domanda e la scarsità delle risorse.

Nonostante la quantità di gas perduto rappresenti solo il 5% del fabbisogno complessivo, l’effetto sull’economia potrebbe “essere devastante, con una stima che parla di un aumento dei costi energetici per i consumatori europei fino a 120 miliardi di euro, tra gas e elettricità”, scrive Bloomberg. I prezzi del gas, infatti, hanno già cominciato a salire, superando anche i 50 euro per megawattora, il livello più alto da novembre 2023. L’Unione Europea, grande assente in questi mesi di tentativi di accordo andati a vuoto, ha cercato di rassicurare in questi giorni affermando che la sicurezza energetica non è a rischio grazie alla diversificazione delle fonti, tra cui le importazioni di gas naturale liquefatto, in particolare dagli Stati Uniti. Tuttavia, paesi come la Slovacchia, che dipendono ancora dalle forniture russe, potrebbero incontrare difficoltà nell’affrontare la carenza di gas, con conseguenti costi più elevati per il trasporto delle risorse alternative.

Le tensioni politiche tra Russia e Ucraina avevano già causato interruzioni nel 2006 – due settimane di stop – e nel 2009 – qualche giorno senza flusso di gas – ma la situazione attuale appare più complessa per via di una guerra ancora in corso. Il presidente ucraino Zelensky ha escluso qualsiasi accordo che possa rafforzare l’economia russa, mentre Putin ha dichiarato che non ci sarebbe stato tempo per trovare un compromesso prima della fine dell’anno. Mosca comunque continuerà a fornire gas a Serbia e Ungheria tramite il gasdotto TurkStream, che non attraversa l’Ucraina, ma questo non basta a compensare la perdita della rotta principale verso l’Europa centrale e, a cascata, levando materia prima e quindi potenziale elettricità ai Paesi attorno, fino all’Italia. Lo testimonia la galoppata del prezzo del gas, che in Europa è salito di oltre il 50% in un anno. Non siamo fortunatamente ai livelli dell’estate 2022. All’epoca il Ttf quotato ad Amsterdam arrivò al picco di 340 euro per megawattora perché si temeva che il Vecchio Continente non avrebbe avuto gas a sufficienza in vista dell’inverno e tutti i grandi Paesi spesero cifre folli per assicurarsi le forniture. Adesso siamo sui 50 euro/Mwh, ma è pur sempre il 200% in più rispetto a fine 2019. Le bollette non a caso hanno ripreso a salire a doppia cifra, con inevitabili conseguenze per inflazione, redditi familiari e competitività delle imprese. E l’inverno non è finito. Anzi…

Bollette, gas in aumento: per gli italiani il prossimo inverno sarà il più caro di sempre

L’inverno che sta per iniziare sarà il più caro di sempre per le famiglie italiane. Lo anticipa l’analisi presentata dal think tank italiano per il clima Ecco. Le previsioni per la bolletta del gas per la stagione invernale 2024-2025 mostrano infatti costi significativamente superiori al periodo della crisi prezzi del gas (2022-2023).

L’analisi dei ricercatori stima il costo della bolletta gas nel prossimo inverno per tre abitazioni tipo di 38, 70 e 110 mq in tre città italiane: Milano, Roma e Palermo. Per un’abitazione di 70 mq in classe energetica G, nel comune di Milano, il costo sarà maggiore del 20% rispetto al periodo di crisi e del 68% rispetto al periodo pre-Covid. Tra i motivi dell’aumento, l’incremento del prezzo del gas, che si è alzato a 48 euro MWh per effetto dell’instabilità geopolitica dei Paesi fornitori. Questo nonostante gli stoccaggi siano pieni e i gasdotti di importazione siano stati utilizzati soltanto al 42% della loro capacità nominale negli ultimi dodici mesi (76% per i rigassificatori).

Abitazioni poco efficienti e una continua dipendenza dal gas costringono oggi le famiglie italiane a pagare i costi dei ritardi della transizione. Sorprende che oggi, con un prezzo del gas tre volte più alto di settembre 2019 e una previsione di costo per le famiglie maggiore del periodo di crisi, non si vedono azioni legislative e nemmeno informative per mettere in sicurezza le famiglie”, spiega Matteo Leonardi, Cofondatore e Direttore Esecutivo di Ecco. Secondo Leonardi, “l’efficienza energetica si conferma l’unico strumento in grado di garantire sicurezza e risparmi per le famiglie italiane. Ma, nonostante questo, nella Legge di bilancio attualmente in discussione in Parlamento, viene smantellato il sistema di detrazioni fiscali per l’efficienza energetica negli edifici. Per promuovere l’efficienza riducendo la spesa complessiva per la collettività e accompagnare le famiglie nella transizione serve, con urgenza, una visione d’insieme che armonizzi incentivi, fiscalità energetica, tassazione dei prodotti energetici, ponendo al centro la sicurezza energetica delle abitazioni, gli obiettivi climatici e la sostenibilità finanziaria a lungo termine. Cancellare le politiche per l’efficienza senza offrire alternative espone le famiglie a costi energetici insostenibili senza possibilità di attuare investimenti che assicurino l’uscita dal problema”.

Nel mese di novembre i consumi di gas nel settore civile hanno avuto un incremento del 9% rispetto al 2023, nonostante i prezzi elevati e complice la poca sensibilizzazione del consumatore. L’analisi prende a riferimento il prezzo del gas dei prossimi mesi e stima il costo della bolletta a fine inverno, comparandolo con l’anno della crisi 2022-2023 e con il periodo precrisi. A Milano per riscaldare, cucinare e produrre acqua calda, nel periodo novembre-marzo (2024-25): in un’abitazione di 70 mq in classe energetica G si spenderanno circa 1403 euro , +20% rispetto all’anno della crisi 2022-2023 (1171 euro); +68% rispetto al periodo precrisi 2019-2020 (832 euro); se la casa è di 110 mq si pagherà 2143 euro, l’aumento sarà di 382 euro rispetto all’inverno 2022-2023 e di circa 1000 euro rispetto al periodo precrisi 2019-2020. Se la casa è di 38 mq si pagherà 788 euro l’aumento sarà di 108 euro rispetto all’inverno 2022-2023 e di circa 300 euro rispetto al periodo precrisi 2022-2023. Cifre simili interesseranno anche il centro e il sud. A Roma l’aumento arriva quasi a 430 euro per una casa di 70 mq rispetto all’inverno 2022-2023. Sono 635 euro in più rispetto al periodo precrisi. A Palermo l’incremento sarà più lieve e varierà tra 50 e 210 euro rispetto all’inverno della crisi 2022-2023. Si alzerà fino a 420 euro nel caso di abitazione di 110 mq rispetto al periodo precrisi.

Ben diverso il caso di chi ha una casa in fascia di efficienza più alta. Infatti, una casa in Classe A pagherà una bolletta del 60-65% inferiore a una Classe G. Nei diversi casi elaborati questo si traduce in un risparmio fino ai 1400 euro all’anno. “Superare l’esperienza del Superbonus è necessario per il bilancio dello Stato ma deve essere fatto in modo ragionato, mantenendo un differenziale tra le ristrutturazioni generiche e quelle per l’efficienza energetica. Riportare il bonus casa al 36% e mantenere l’ecobonus al 65% avrebbe lo stesso impatto in termini di spesa pubblica, e manterrebbe un importante sostegno all’efficienza“, sostiene Francesca Andreolli, Ricercatrice Senior Energia ed Efficienza di Ecco. Secondo Andreolli, “impiegare risorse pubbliche per aiutare le famiglie a rendere efficiente la propria abitazione produce benefici significativi nel tempo, in primis per occupazione e crescita economica: tra il 2021 e il 2022 il valore della produzione delle ristrutturazioni profonde è cresciuto del 19,6% e l’occupazione del 3,8%. L’efficienza va a vantaggio di famiglie e imprese, favorisce l’uscita dal gas e lotta al cambiamento climatico e permette una riduzione dell’inquinamento urbano. Inazione significa maggiori costi sociali nel futuro per mitigazione e adattamento, mancata competitività dei settori industriali nei mercati globali, costi dell’energia più alti per famiglie e imprese e progressivamente insostenibilità della finanza pubblica“.

A preoccupare maggiormente è il costo giornaliero. A Milano nelle 10 giornate più fredde con una temperatura esterna di 1,5° si spenderanno 23 euro al giorno per mantenere una temperatura interna di 20° in una casa in classe G di 110 mq. Erano 22 euro nel 2022-2023 e 14 euro nel periodo precrisi. Con temperature più rigide si registrano valori a due cifre in tutta Italia anche per le abitazioni di 70 mq. Si scende sotto la doppia cifra solo con temperature più miti e negli appartamenti più piccoli (38mq).

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Perché anche in Italia c’è bisogno dell’energia nucleare

La domanda di energia, e di energia elettrica in particolare, sta aumentando in tutto il mondo. Ciò accade non soltanto per lo sviluppo di nuove economie (si pensi a cosa è avvenuto in Asia negli ultimi trenta anni, e a cosa avverrà in Africa nei prossimi trenta): anche le economie già sviluppate, come Stati Uniti d’AmericaCanadaEuropaGiapponeAustralia ecc. vedono una crescita costante dei consumi elettrici. Questo tanto per l’elettrificazione progressiva dovuta alla necessità di decarbonizzazione e di lotta al cambiamento climatico dei processi industriali e dei sistemi di trasporto, quanto perché l’era dell’Intelligenza Artificiale, dei grandi centri di elaborazione dati e della digitalizzazione si presenta come estremamente energivora.

È ormai chiaro a tutti che le energie rinnovabili, in particolare fotovoltaico ed eolico, non bastano perché sole e vento sono intermittenti e non programmabili e quindi non possono soddisfare a pieno le esigenze di base load (energia di base continua) che è indispensabile nei settori industriali, compresi quelli delle nuove tecnologie digitali, ed ancor più nei servizi di base strategici come ospedali, difesa, sicurezza, trasporti e tutela ambientale, che devono funzionare 24 ore su 24. Anche la tecnologia degli accumuli e delle batterie che immagazzinano l’energia prodotta dalle rinnovabili nelle ore di funzionamento sono inefficienti e del tutto insufficienti per i grandi consumi industriali.

In questo contesto, sommariamente delineato, l’utilizzo di energia nucleare torna ad essere un elemento determinante. In molte parti d’Europa e del mondo questo è già realtà. In Italia la transizione energetica nel presente e nel prossimo futuro, oltre che delle rinnovabili, non potrà fare a meno del gas, che comunque ha un’impronta di CO2 decisamente più bassa del carbone, e all’utilizzo del quale possono essere applicate le tecnologie delle CCUS (carbon capture utilisation and storage) di cui parleremo un’altra volta; né potrà fare a meno, soprattutto per le esigenze di base load, del nucleare, che a poco a poco renderà il gas residuale.

La riflessione e il dibattito si sono ufficialmente riaperti nel nostro Paese. Prima con un voto del Parlamento a maggioranza con cui si è stabilito che “al fine di accelerare il processo di decarbonizzazione dell’Italia il Governo deve valutare l’opportunità di reinserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia”, poi con un’iniziativa del Ministro dell’Energia Pichetto Fratin, che ha incaricato un insigne giurista di predisporre uno schema legislativo da sottoporre al Parlamento che sia in grado di superare i limiti e vincoli discendenti dai referendum di moltissimi anni fa.

Nel frattempo si susseguono convegni, approfondimenti, prese di posizione in cui si torna a discutere della questione. La cosa interessante è che i cittadini mostrano una nuova attenzione al tema, e soprattutto che i giovani, liberi da pregiudizi ideologici tipici dell’ambientalismo militante, si dichiarano in maggioranza favorevoli al nucleare. Emerge con sempre maggiore chiarezza che il futuro energetico, completamente decarbonizzato, sta in un mix di rinnovabili e nucleare perché queste tecnologie mostrano una totale complementarietà.

Il nucleare tra l’altro consentirebbe di produrre idrogeno a costi contenuti, cosa che oggi non è se lo si produce con energia verde, e quindi darebbe un fondamentale contributo a risolvere il problema dei processi e settori industriali non elettrificabili (ceramica, cemento, vetro ecc.).

Se si vuole affrontare il tema senza contrapposizioni ideologiche e estremismi vari bisogna andare al merito, ed analizzare oggettivamente i problemi partendo innanzitutto dalla sicurezza e dai costi di questa fonte energetica.

Si parla qui di nucleare di quarta generazione, e cioè di un’evoluzione sostanziale della tecnologia attuale. Molte sono le novità che dovrebbero consentire di avere impianti di questo tipo funzionanti tra una decina d’anni. Parliamo innanzitutto di piccole unità da 250/350 MW (SMR che sta per Small Reactors) dai costi di impianto decisamente più contenuti rispetto a quelli degli impianti tradizionali e quindi abbordabili per investitori privati anche utilizzatori.

Il tema dei costi è uno dei più dibattuti. Gli avversari del nucleare sostengono che questa tecnologia è molto costosa se non la più costosa (vedi buon ultimo il Sindaco di Milano Sala sulle pagine del ‘Corriere della Sera’qualche giorno fa). In realtà molto spesso chi fa questi discorsi incorre in inesattezze. Quando si fa il confronto dei costi di installazione a MW delle varie tecnologie energetiche si deve considerare la loro producibilità: il fotovoltaico funziona da noi non più di 1400 ore l’anno, l’eolico non più di 2500, il nucleare ovviamente per tutte le 8700 ore dell’anno. Ciò significa che il costo della tecnologia va necessariamente correlato alla quantità di energia prodotta nell’anno. E se si fa questo confronto il nucleare di nuova generazione è imbattibile.

Inoltre, come è stato giustamente rilevato, i costi vanno considerati tutti, non solo quelli di generazione dell’energia. Una parte significativa dei costi odierni, anche delle rinnovabili, sono i costi accessori. Lo sanno bene le famiglie e le imprese perché leggono sulle bollette che la componente energia vale circa un terzo del prezzo totale. E ciò si deve appunto in gran parte ai costi accessori destinati a crescere esponenzialmente in uno scenario di sole rinnovabili. Si tratta di costi di sbilanciamento e cioè di supporto alla rete quando non c’è sole e non c’è vento, e di costi di trasporto e distribuzione, perché spesso le rinnovabili sono lontane dalla domanda, come succede oggi in Italia. Pannelli fotovoltaici e torri eoliche, infatti, sono installati prevalentemente al Sud quando il grosso dei consumi è al nord.

Il nucleare di quarta generazione, poi, affronta in maniera radicale il problema della sicurezza. Parliamo di impianti progettati per essere estremamente sicuri dal punto di vista strutturale e capaci di utilizzare uranio impoverito riducendo così anche il problema e il costo dello smaltimento delle scorie.

Questi tipi di impianti, per le loro dimensioni contenute, potrebbe essere tranquillamente installati in singoli distretti industriali, supportando così il fabbisogno energetico delle industrie italiane energivore, che pagano oggi l’energia elettrica molto di più di quanto la pagano le loro concorrenti francesi, spagnole e tedesche.

Le imprese siderurgiche italiane hanno recentemente avviato una collaborazione con EDF, Edison, Ansaldo Nucleare proprio sul supporto a progetti di installazione di SMR volti anche a soddisfare la domanda elettrica delle imprese dell’acciaio italiano.

La copertura di una parte dei fabbisogni di energia elettrica di queste imprese con energia nucleare magari comprata in Francia, in attesa che si realizzino gli impianti in Italia, consentirebbe al nostro Paese di essere il primo al mondo a produrre acciaio completamente ‘verde’ e cioè decarbonizzato. Già oggi, infatti, gli elettrosiderurgici italiani consumano energia elettrica prevalentemente prodotta con fonti rinnovabili.

Una bella prospettiva, un obiettivo realistico e ravvicinato che consentirebbe di dire che, come in molti altri campi ambientali e di economia circolare, il nostro Paese è all’avanguardia.

Prezzo gas tocca i massimi da un anno: la Russia chiude i rubinetti verso l’Austria

Che coincidenza. Il governo tedesco stoppa un carico di Gnl proveniente dalla Russia e Gazprom blocca l’export di gas via tubo verso l’Austria. Torna così in tensione il prezzo del metano ad Amsterdam che venerdì ha terminato le contrattazioni in calo dell’1% dopo aver registrato un balzo di quasi il 3% nel pomeriggio, segnando il massimo da un anno per il contratto Ttf addirittura a 47,5 euro per megawattora.

Il ministero dell’Economia tedesco ha ordinato al terminale statale di importazione di gas di rifiutare una fornitura di gas naturale liquefatto proveniente dalla Russia. L’ordine, confermato dal Financial Times ieri, riflette l’intensificarsi delle misure europee per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina. La decisione riguarda il terminale Deutsche Energy Terminal, che si era preparato a ricevere una spedizione di GNL russo. Secondo quanto riportato, il Ministero ha intimato alla struttura di “rifiutare qualsiasi consegna di Gnl dalla Russia fino a nuovo avviso”, con l’obiettivo di accelerare la transizione energetica della Germania, ormai impegnata in un drastico distacco dal gas russo.

La lettera inviata dal ministero dell’Economia sottolinea che uno degli obiettivi principali del terminale di importazione tedesco è “ridurre progressivamente la dipendenza dalla Russia”, confermando che “in linea di principio, è corretto che la Germania non importi più gas russo. È chiaro che ciò non deve avvenire attraverso i terminali Gnl tedeschi”, ha dichiarato un portavoce del ministero al Financial Times.

Risposta della Russia? L’operatore energetico austriaco OMV ha annunciato una riduzione delle forniture di gas da Mosca, con l’intenzione di interrompere completamente i rifornimenti a partire da sabato. Il gigante energetico russo PJSC ha notificato che le consegne all’Austria saranno ridotte a zero, dopo la decisione di OMV di sospendere i pagamenti per un risarcimento arbitrale di 230 milioni di euro.

Il prezzo è appunto salito del 3%, subito dopo il comunicato diffuso da OMV, puntando minacciosamente verso quota 50 euro. Una quotazione, che non si vedeva da novembre 2023, alimentata anche da un clima più freddo che aumenta la domanda. Il calo delle temperature, combinato con la debole produzione di energia eolica, ha spinto al rialzo il consumo di gas per l’elettricità. Le previsioni mostrano che le temperature rimarranno in cifre singole basse fino a fine dicembre. I prelievi di gas dagli stoccaggi sono in corso dal 3 novembre, con le riserve europee piene al 93,04%. Per ora comunque le forniture di gas dalla Norvegia e i carichi di Gnl rimangono stabili.

E’ la fine del passaggio russo del gas in Europa che tiene in allerta i mercati. La SPP slovacca sta adottando misure per garantire la propria fornitura, tra cui un accordo pilota con la Socar dell’Azerbaijan, nel caso in cui il transito ucraino termini.

tassonomia verde

Snam, forte crescita di investimenti nei primi 9 mesi (+46,1%). L’ad Venier: “Avanti con transizione green”

Salgono gli utili e gli investimenti, calano i ricavi. I primi nove mesi del 2024 di Snam consolidano l’andamento registrato nel corso dei trimestri precedenti, con “i principali indicatori in decisa crescita, pienamente coerenti con la nostra guidance”, come ricorda l’amministratore delegato, Stefano Venier. Si va avanti, quindi, con il Transition Plan, che ha l’obiettivo di “una transizione energetica sostenibile nel lungo periodo”, proseguendo nel “percorso di rafforzamento della sicurezza del sistema”. Il 50% degli investimenti, infatti, è allineato ai Sustainable Development Goals (SDGs) e il 30% alla Tassonomia Europea. Per il 2024 il gruppo attende investimenti pari a 3 miliardi di euro (di cui 2,8 miliardi in ambito infrastruttura gas e 0,2 miliardi di euro in ambito transizione energetica), una Rab tariffaria a 23,8 miliardi, un livello di Ebitda adjusted maggiore di 2,75 miliardi di euro e un livello di utile netto adjusted pari a circa 1,23 miliardi di euro. Aggiornato l’obiettivo per il debito netto a 16,5 miliardi di euro (rispetto al precedente di 17,5 miliardi) derivante della recente emissione ibrida (1 miliardo di euro).

L’utile netto adjusted del gruppo è salito a 996 milioni di euro, in crescita di 54 milioni (5,7%) rispetto allo stesso periodo del 2023, “per effetto della crescita dell’Ebitda, in parte assorbito da un incremento degli ammortamenti e un aumento degli oneri finanziari netti principalmente dovuto alla crescita dei tassi di interesse”. Crescita a doppia cifra per gli investimenti, in aumento del 46,1% a 1,8 miliardi di euro. Un risultato che è stato determinato principalmente dal business delle infrastrutture gas, riconducibili agli interventi di realizzazione del terminale di rigassificazione di Ravenna e del suo allacciamento alla rete di trasporto del gas oltre che all’avvio dei lavori della Linea Adriatica. Venier, in conference call con gli analisti, conferma che il terminale Fsru di Ravenna “sarà operativo entro il primo trimestre del 2025”. I lavori, spiega il ceo, sono completi “all’80%”, onshore quasi al 100% e offshore oltre il 70%. Da gennaio a settembre “i carichi di Gnl consegnati sono stati 120 e hanno coperto il 25% della domanda di gas: un terzo dagli Usa, un terzo da Quatar, un quarto dall’Algeria e il resto da altre fonti”.

Sul fronte della domanda di gas, quella globale “è aumentata di circa il 3% su base annua trainata dal settore industriale e dalla ripresa della domanda e Asia”, ricorda Venier, mentre quella italiana “è stata di circa 43 miliardi di metri cubi, in calo del 2,7% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno”. Un dato “trainato dalla debole produzione termoelettrica nel primo semestre e dal clima mite”. Complessivamente, nei primi 9 mesi sono stati immessi nella rete nazionale di trasporto 46,33 miliardi di metri cubi di gas, in riduzione di 2,70 miliardi di metri cubi (-5,5%) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, proprio a seguito della minore domanda e del significativo calo delle esportazioni.

Aumenta, invece, lo stoccaggio, che al 30 settembre è pari a 16,88 miliardi di metri cubi (in aumento di 0,22 miliardi rispetto al 30 settembre 2023). Sul fronte delle acquisizioni, Venier conferma che Snam “continuerà a valutare opportunità”, mantenendo “la nostra flessibilità finanziaria”. Probabilmente “la prossima settimana”, dice l’ad, saranno presentati i documenti all’Antitrust per l’acquisizione al 100% di Edison Stoccaggio e la data possibile del closing “sarà nel primo trimestre del 2025”. L’accordo vincolante era stato sottoscritto il 25 luglio scorso per un controvalore di circa 560 milioni di euro.

 

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