L’Italia non molla pressing su Ue per price cap. Mattarella: “Urgentissimo”

L’Italia torna a battere i pugni a Bruxelles per il tetto al prezzo del gas. “Dobbiamo vincere questa battaglia, anche se c’è ancora un’Europa che litiga sull’argomento, ed è sbagliato. Dovremmo essere tutti uniti e non è avvenuto, torneremo alla carica sui tavoli istituzionali“, assicura il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

Da Skopje, in visita al presidente macedone, scende in campo anche il capo dello Stato, Sergio Mattarella: “È urgentissimo procedere, superando le ultime resistenze“, preme. Roma ha chiesto all’Unione europea il price cap al gas già quattro mesi fa: “Se fosse stato adottato quando l’Italia lo aveva proposto, avremmo evitato alcune delle conseguenze di rincaro dell’energia“, osserva.

A Bruxelles, in prima linea, c’è il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Si è registrata una “maggioranza molto forte” in seno al Consiglio anche sull’introduzione di un tetto al prezzo del gas per mitigarne l’aumento: “Abbiamo fatto presente al presidente che è necessario inserirlo nel mandato alla Commissione” per chiederle “di elaborare uno scenario”, fa sapere.

Davanti a “questo impensabile aumento sconsiderato” dei prezzi dell’energia, seguito alla “sciagurata aggressione della Federazione russa all’Ucraina“, per Mattarella la via percorribile è una: “La nostra convinzione è che occorra una grande solidarietà – scandisce – e che l’Unione europea debba predisporre meccanismi che comprendono anche i Paesi dei Balcani occidentali per avere insieme prospettive concrete di far fronte con efficacia ai problemi che questa crisi pone, in maniera non teorica, ma concreta e veloce“.

La crisi piega famiglie e imprese. È per questo che il richiamo del presidente della Repubblica è a creare, “di fronte a problemi così gravi che nessun Paese da solo può risolvere, dei meccanismi di solidarietà nell’Unione europea che – ripete – devono abbracciare anche i Paesi dei Balcani occidentali, ad esempio per l’acquisto comune, di cui già si parla, di gas, gas liquefatto e idrogeno“. L’opera che sta si compiendo in Italia di affrancamento dalla Russia, osserva, vuole “evitare che il gas e l’energia divengano uno strumento di pressione politica o di speculazione“.

La preoccupazione del ministro degli Esteri, per chi anche a Roma storce il naso davanti alle sanzioni e “strizza l’occhio a Putin e Orban” è che causino al Paese un isolamento dall’Unione europea e mettano a rischio i fondi del Pnrr: “Questo è il problema in Europa, quando alcuni partiti o leader europei alleati con Meloni fanno certe scelte (opponendosi al price cap sul gas, ndr), isolano anche l’Italia. Noi stiamo rischiando tantissimo. Lo dico perché se ci isoliamo rispetto all’Europa perdiamo i soldi del Pnrr“.

gas

Arrivano disdette bollette a famiglie. Parla un operatore: “Non si trova più gas”

Arrivano le disdette delle bollette anche alle famiglie. Finora abbiamo letto di molti operatori che scrivono alle aziende, in vista del 1° ottobre, quando scatteranno i nuovi contratti, per comunicare l’impossibilità di proseguire nella fornitura di gas. Le famiglie tuttavia sembravano indenni da questa procedura. Ma una lettera che è stata segnalata a GEA testimonia il contrario. E il gestore della società di distribuzione di gas conferma di non essere l’unico sottolineando come “quest’inverno sarà molto dura per tanta gente”.

Nella lettera, in sintesi, si legge: “Egregio Signor Cliente, ci vediamo purtroppo costretti a comunicarVi che, nostro malgrado, a causa dell’eccezionale andamento dei prezzi dell’energia sui mercati internazionali e dell’oggettiva impossibilità di accedere a nuove forniture di energia, oltre a nuove imprevedibili situazioni eccessivamente onerose, la nostra Società non è più nelle condizioni di poter proseguire nell’attività di fornitura/somministrazione del gas naturale all’oggetto. Per tale ragione, Gruppo Energia Italia S.r.l. … Vi comunica, per le motivazioni sopracitate, la risoluzione del contratto a decorrere dal 01/10/2022. Dal momento che potremo dar corso alla fornitura di gas naturale in Vostro favore solo fino al 30/09/2022, Vi invitiamo a volerVi rivolgere ad altro Fornitore per continuare ad essere forniti nel mercato libero. Per completezza, Vi informiamo che, comunque, in assenza di nuovo contratto con altro Fornitore nel mercato libero, il servizio di somministrazione Vi verrà in ogni caso garantito dal Fornitore di ultima istanza, come stabilito dalla vigente disciplina di settore (ARERA). Purtroppo questa situazione non è dipesa, in alcun modo, dalla nostra volontà, bensì esclusivamente dalla straordinaria ed inusitata situazione internazionale (e, per l’effetto, nazionale) del mercato del gas naturale”.

Il contenuto della lettera è molto trasparente e, per certi versi, disarmante. In pratica l’operatore dice al cliente: se trovi uno più bravo di me, accomodati pure, e buona fortuna. GEA ha contattato i vertici dell’azienda che ha spedito la missiva. E, dall’altra parte del telefono, il presidente Biagio Antonacci non si è tirato indietro: “Sì, stiamo mandando queste lettere. E guardi che mi fa male al cuore. So che può sembrare antipatico ma voglio mettere al corrente l’utente che non ho alternative. Sicuramente non sarà lasciato al freddo, poiché finirà in ‘ultima istanza’ per cui avrà il gas garantito e in seguito potrà scegliersi un altro operatore”.

Senza rancore, dunque. “Il fatto è che prima gestivo gas per un controvalore di 30 milioni, ora però sono costretto a rinunciare alla metà dei contratti, dai condomini a una marea di partite Iva, perché non trovo gas sul mercato. Non me lo vende nessuno”, precisa il presidente di Gei. “Aggiungo che, se anche se lo trovassi, dovrei garantire una fidejussione di 12 milioni. Dove vado a trovarli?”. Ha mai visto una cosa del genere? “Da cinquant’anni sono sul mercato, mi sono sempre occupato di gestione calore e poi di vendere gas e luce, ma un mercato così è incredibile. E molti operatori sono nelle mie stesse condizioni, non sono l’unico a inviare lettere di disdetta. Il problema, nonostante quello che si dice, non è il prezzo, ma la mancanza di gas. Temo che quest’inverno farà soffrire tante persone”.

Dialuce

Dialuce (Enea): “Completare stoccaggi ma servono anche piccoli gesti”

Se sono ottimista per l’inverno che verrà? L’importante per ora è completare il riempimento degli stoccaggi di gas e ovviamente sarà importante adottare misure comportamentali per ridurre il consumo e farli durare di più“. Gilberto Dialuce, presidente di Enea, non si sbilancia, resta realista e prevede che non potremo evitare del tutto i disagi creati dalla crisi del gas: “Con gli stoccaggi siamo a ottimo punto, ma criticità potrebbero arrivare nella seconda metà dell’inverno, verso verso febbraio-marzo e poi tutto dipenderà da quello che succederà con le importazioni dalla Russia, che a oggi sono circa la metà“, spiega contattato da GEA.

Il piano di risparmio adottato dal Mite si è basato sul rapporto Enea presentato due mesi fa, che prevedeva possibilità di intervenire per contenere i consumi, “non solo per le criticità attuali, ma anche in ottica di decarbonizzazione“, ricorda Dialuce.

Investire nelle rinnovabili “non basta“, occorre “aumentare l’efficienza energetica, consumare in modo intelligente e consumare meno. Questo documento faceva un’analisi a tutto campo, non solo per ridurre la temperatura degli ambienti e la durata del periodo complessivo del riscaldamento, ma proponeva anche altri interventi sugli stili di vita. Significa rendersi conto consapevolmente di quanto l’energia sia un bene prezioso“.

I piccoli gesti ci coinvolgono tutti, sono fondamentali e a costo zero: “Si possono fare da subito, intervenendo su cose anche banali come la durata della doccia o la lavatrice solo a pieno carico. Se lo facessero tutti gli italiani, investendo in una campagna di informazione, ci sarebbe una crescita stabile delle coscienze che porterebbe 2,7 miliardi di risparmio“. Sommata ad altre misure che comporterebbero investimenti minimi, come sostituire le lampadine con i led, rinnovare gli elettrodomestici, installare pompe di calore elettriche al posto della caldaia, il risparmio sarebbe notevole: “Se sommiamo tutto c’è un grosso potenziale, 6 miliardi e mezzo di metri cubi che possono essere risparmiati strutturalmente“.

Quanto invece alle grandi decisioni da prendere a livello centrale per il mix energetico italiano, l’obiettivo è guardare alla decarbonizzazione e il futuro passa per l’idrogeno prodotto da fonti rinnovabili ma anche dal nucleare di quarta generazione e in prospettiva dalla fusione. Sono fonti da integrare alle rinnovabili, che sono intermittenti: “C’è il tema dello stoccaggio stagionale, che a oggi è ancora da inventare“, ricorda Dialuce.

Uno degli scenari fatti a livello nazionale ed europeo prevedono un aumento della quota rinnovabile, ma ci sono ancora consumi non facilmente immaginabili elettrificabili – afferma -. Elettrificare questi processi non è semplice“. Le imprese che hanno bisogno di calore, ma non ad altissima temperatura, possono sfruttare il solare termodinamico, quelle che hanno bisogno di temperature molto più alte dovranno puntare sull'”idrogeno, prodotto con rinnovabili“. Per il settore dei trasporti pesanti, per i quali l’idrogeno è una possibilità, dovranno passare anche dai biocarburanti, ma non solo. “Se oltrepassiamo il 2030, nell’ultimo miglio, dal 2030 al 2050, saranno necessari salti tecnologici e alcuni paesi contano anche sul nucleare di quarta generazione e, in prospettiva, sulla fusione“.

La quarta generazione del nucleare vedrà la luce tra non molto, assicura: “È già in via di sviluppo, ci sono progetti di reattori che possono essere alimentati a piombo fuso (Enea è in un progetto di ricerca). È una tecnologia commercialmente disponibile in un orizzonte abbastanza vicino, nell’arco di una decina di anni“.

Von der Leyen

Cinque proposte della Commissione Ue contro il caro-prezzi

La Commissione europea proporrà ai governi dell’Ue di fissare un tetto al prezzo del gas russo importato insieme ad altre quattro misure contro il caro energia: dalla riduzione obbligatoria dell’uso dell’elettricità durante le ore di punta, a un tetto sulle entrate dei produttori di energia elettrica non prodotta da gas e dai combustibili fossili, passando per sostegni sotto forma di liquidità alle compagnie energetiche. È quanto ha annunciato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in un punto stampa, anticipando le proposte che l’esecutivo presenterà alla riunione straordinaria dei ministri dell’energia che si terrà venerdì 8 settembre a Bruxelles.

Nello specifico, la prima misura prevede di fissare un obiettivo obbligatorio per la riduzione del consumo di elettricità nelle ore di punta, quando si verificano i picchi di prezzo. “Lavoreremo a stretto contatto con gli Stati membri per raggiungere questo obiettivo”, ha assicurato la presidente. Secondo indiscrezioni del Financial Times, che ha preso visione della “bozza di proposte” in questione, il target proposto dalla Commissione sarebbe fissato al 5%. In secondo luogo, secondo la Commissione è arrivato il momento di proporre un tetto alle entrate delle compagnie “che producono elettricità a basso costo, quelle a basse emissioni di CO2 come le rinnovabili che stanno ottenendo “entrate inaspettate, che non riflettono i loro costi di produzione”. Queste entrate dovrebbero essere reindirizzate “ai più vulnerabili” così come, in terzo luogo, Bruxelles proporrà per i profitti inaspettati delle compagnie che si occupano di combustibili fossili. Gli “Stati membri dovrebbero investire queste entrate per sostenere le famiglie vulnerabili e investire in fonti energetiche pulite di produzione propria”, ha affermato la presidente. La quarta iniziativa riguarderà il sostegno alla liquidità da parte degli Stati membri per le società energeticheper far fronte alla volatilità dei mercati”. Von der Leyen ha assicurato che “aggiorneremo il nostro quadro temporaneo per consentire la rapida consegna delle garanzie statali”. In ultimo, la Commissione Ue dà infine il via libera alla proposta per un tetto al prezzo del gas importato dalla Russia “per ridurre le entrate” con cui il Cremlino sta finanziando la guerra in Ucraina. Il price-cap sul gas russo è una misura richiesta a più riprese a livello comunitario dal premier dimissionario Mario Draghi per ottenere un doppio effetto: da un lato, per affrontare il rincaro sulle bollette elettriche e far valere il potere dell’Unione Europea come principale acquirente dei combustibili fossili importati da Mosca; dall’altro, perché un tetto solo per il gas russo si tradurrebbe in una sanzione indiretta nei confronti della Russia, principale fornitore di gas all’Ue.

Dobbiamo tagliare le entrate della Russia che Putin usa per finanziare questa atroce guerra contro l’Ucraina”, ha affermato von der Leyen, compiacendosi del fatto che prima della guerra il gas russo era il 40% di tutto il gas importato. “Oggi è solo il 9% delle nostre importazioni di gas” e la Norvegia esporta più gas in Europa del Cremlino.

Scuola

Scuola e piano Mite. Sindacati: -1 grado? Ok, ma edifici fatiscenti

Il piano Cingolani non risparmia la scuola: in inverno le aule dovranno essere riscaldate con un grado in meno, nonostante le norme anti-Covid invitino a tenere le finestre aperte per il ricambio di aria.

Da settimane abbiamo lanciato l’allarme rispetto a quello che si sarebbe poi messo in evidenza: serrare le fila sui comportamenti da tenere nei mesi freddi. Può stare nella logica delle cose abbassare le temperature di un grado in tutti gli edifici pubblici e privati. Ciò che mi sconcerta però è la non presa di coscienza che bisognava intervenire in estate con gli impianti di purificazione dell’aria, si poteva fare, i sistemi avrebbero messo in sicurezza le aule senza dover tenere le finestre aperte“, spiega a GEA Ivana Barbacci, segretaria generale di Cisl Scuola. Ridurre i gradi in classe, osserva, non è un dramma, “ma se la cosa si combina con le finestre aperte la condizione diventa insalubre. Le scuole non hanno mai esagerato in termini di temperature, c’è una sorta di abitudine a risparmiare. Ma le linee guida mi disarmano, dobbiamo recuperare, dobbiamo dare mandato a province e comuni a provvedere sugli impianti di aerazione“, insiste.

Dalle misure del Piano elaborato dal Mite sono escluse tutte le “utenze sensibili”, tra le quali ricadono anche ospedali e case di ricovero, ma non la scuola. Eppure “è una priorità, dovrebbe essere un luogo da privilegiare. Perché è stata esclusa?” chiede Alessandro Rapezzi, segretario nazionale Flc Cgil.

Il tema sarà domani alle 10 sul tavolo del confronto tra i sindacati, il ministro Patrizio Bianchi e le forze politiche, “ne parleremo – assicura la segretaria di Cisl Scuola – anche per dare un’agenda completa a chi si appresta a governare“. “Tutto quello che è intervenuto per gli edifici privati andrebbe fatto per l’edilizia scolastica, che ha bisogno di essere ammodernata – ripete Barbacci -. Abbiamo 42mila edifici, mettere impianti fotovoltaici su tutti i tetti, coibentare i muri e cambiare gli infissi creerebbe un risparmio energetico per la collettività, non solo per chi è nella Scuola“, osserva.

L’idea dei pannelli solari l’aveva lanciata mesi fa il presidente dell’Anp, Associazione Nazionale Presidi, Antonello Giannelli: “Questo contribuirebbe al saldo energetico nazionale. Alcune scuole li hanno già, ma se l’operazione si fa a tappeto avremo un bel po’ di energia in più“, afferma. Sul piano non ha obiezioni: “È doveroso per tutti abbassare di un grado la temperatura, tutti dobbiamo fare la nostra parte“. Ma solleva una questione, che è la madre dei problemi: “La verità è che non abbiamo mai efficientato gli edifici pubblici e che spesso gli impianti consumano più di quanto forniscono. Il parco edilizio è vetusto e fatiscente, gli edifici in buone condizioni sono sicuramente in minoranza, le scuole sono delle strutture molto poco efficienti“.  Sul punto trova il pieno accordo di Rapezzi: “Chiaramente per la scuola non si è fatto nulla negli anni. Noi fin da subito, da maggio 2020, quando si è riaperto dopo la prima pandemia, abbiamo chiesto l’impegno del governo per gli edifici. Non so valutare se l’aerazione sia un tema, sicuramente molti edifici hanno bisogno di un intervento a prescindere“, scandisce. Poi si rivolge al Governo: “Dicono di aver messo tanti soldi, vorremmo capire come sono stati spesi in materia di edilizia scolastica“.

L’Italia ha pagato 8,6 mld a Putin da inizio guerra per gas e petrolio

Bloomberg scrive che l’economia russa rischia una forte crisi, Mosca invece fa sapere che quest’anno il Pil calerà di appena il 2,9%. La decisione di Mosca di interrompere il flusso del Nord Stream per alcuni osservatori sta a indicare che, senza export di metano, Putin vedrebbe ridurre drasticamente i propri introiti. Altri sostengono che le sanzioni stanno facendo male più all’Europa che alla Russia. Chi ha provato a fare luce sui numeri è il Center for Research on Energy and Clean Air (Crea), un think tank indipendente finlandese, secondo il quale la Russia ha guadagnato 158 miliardi di euro di entrate dalle esportazioni di combustibili fossili nei primi sei mesi di guerra (dal 24 febbraio al 24 agosto), poco meno di un miliardo al giorno. E la Ue ne ha importato il 54%, per un valore di circa 85 miliardi di euro. Più precisamente le esportazioni di combustibili fossili hanno contribuito con circa 43 miliardi al bilancio federale russo dall’inizio dell’invasione, contribuendo a finanziare la stessa guerra in Ucraina, sottolinea il Crea.

La principale importatrice di combustibili fossili è stata appunto la Ue (85,1 miliardi di euro), seguita da Cina (34,9 miliardi), Turchia (10,7), India (6,6), Giappone (2,5 miliardi), Egitto (2,3) e Corea del Sud (2 miliardi di euro). A sua volta, all’interno della Ue, la parte del leone la fa la Germania con 19 miliardi di euro pagati a Mosca per importare principalmente gas e petrolio, poi segue l’Olanda (11,1 miliardi soprattutto per il petrolio) nonostante sia la base della borsa che fa impazzire il prezzo del gas e nonostante sia seduta su decine di miliardi di metri cubi inutilizzati a Groningen, al terzo posto l’Italia che in 180 giorni ha versato nelle casse di Putin 8,6 miliardi pari a circa 50 milioni al giorno per ricevere in cambio gas via Tarvisio (sempre meno), petrolio, derivanti dal petrolio e un po’ di carbone (materia prima sulla quale è scattato l’embargo a inizio agosto). In pratica il nostro Paese durante i sei mesi che hanno sconvolto il mondo ha versato più soldi a Putin dell’India, che recentemente ha confermato di non voler applicare sanzioni verso il Cremlino e di voler intensificare gli acquisti di metano e greggio da Mosca. Fuori dal podio europeo troviamo infine la Polonia (7,4 miliardi di euro di prodotti fossili importati), Francia (5,5 miliardi), Bulgaria (5,2), Belgio (4,5) e Spagna 3,3).

Tornando sull’Italia nei due mesi che hanno preceduto il blocco all’import di carbone russo, abbiamo continuato a comprarne in compagnia di Olanda, Polonia, Germania e Spagna. Più o meno gli stessi Paesi che nelle ultime settimane si sono convertiti al carbone sudafricano che parte dal Richards Bay Coal Terminal benché la domanda fosse già cresciuta del 40% da gennaio a maggio. A proposito di carbone, ieri il prezzo del Newcastle Coal ha toccato i massimi a 463 euro a tonnellata. Ad agosto, i ricavi e i volumi delle esportazioni di combustibili fossili della Russia sono leggermente rimbalzati dal minimo raggiunto a giugno, nonostante le esportazioni russe siano diminuite del 18% rispetto al livello record raggiunto all’inizio dell’invasione (febbraio-marzo). Infatti rispetto all’inizio dell’invasione, le riduzioni delle importazioni di combustibili fossili russi sono costate al Paese 170 milioni di euro al giorno in mancate entrate in luglio e agosto. Il calo complessivo dei volumi delle esportazioni è stato determinato da un calo delle esportazioni verso la Ue, che sono diminuite del 35%.

Da notare infine un dato: dopo l’Europa il più grande importatore dalla Russia è la Cina. E la spesa maggiore di Pechino è per il petrolio, per il quale ha investito circa 25 miliardi. Il gas? Pesa molto meno dell’import di carbone: un paio di miliardi per il metano, quasi 4 per il carbone. E pure l’India è affamata di petrolio e non di gas. Per cui sorge una domanda: se il gas russo non va in Europa, a chi lo venderà Mosca?

(Photo credits: Odd ANDERSEN / AFP)

Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo

Mosca attacca Roma: “Piano Cingolani imposto da Ue-Usa”

La Russia attacca di nuovo l’Italia. Stavolta nel mirino finisce il Piano di contenimento dei consumi di gas naturale per fronteggiare l’emergenza energetica, firmato dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Per Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, “il piano del ministro dell’Ambiente per ridurre la dipendenza dagli idrocarburi russi è chiaro che viene imposto a Roma da Bruxelles (che, a sua volta, agisce su ordine di Washington), ma alla fine sarà il popolo italiano a soffrirne“, scrive in un post sul suo canale Telegram. Rincarando anche la dose: “L’inflazione ha raggiunto il livello della crisi degli anni ’80 del secolo scorso, il paniere dei consumatori è cresciuto del 10% in valore e continua a crescere“.

Il documento deve aver fatto molto rumore a Mosca, se la portavoce di Sergej Lavrov scrive che Roma è spinta “al suicidio economico per realizzare la follia delle sanzioni euro-atlantiche“. E non dimentica le punture di spillo sulle sanzioni: “Sono diventate uno strumento di concorrenza sleale per i produttori italiani” e “gli affari in Italia vengono distrutti dai ‘fratelli’ d’oltremare“, visto che “gli imprenditori americani pagano l’elettricità sette volte meno di quelli italiani“.

La risposta non si fa attendere. “Ancora un volta dalla Russia arrivano dichiarazioni strumentali a poche settimane dal voto. Ennesima prova che le autorità russe si stanno rendendo protagoniste di chiare ingerenze, con la diffusione di notizie propagandistiche“, dichiara Giuseppe Marici, portavoce del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Aggiungendo che “c’è una certezza: ad oggi le famiglie e le imprese italiane rischiano di essere strozzate economicamente dagli aumenti del gas. Questi ultimi, a loro volta, derivano dalle speculazioni russe e da una guerra che Putin continua a portare avanti causando la morte di centinaia di vittime innocenti“. Parole corroborate da quelle del responsabile della Farnesina e leader di Impegno civico, che ribadisce: “E’ chiaro che Putin sta provocando l’aumento del gas in tutta Europa, sta ricattando l’Europa ed è per questo che l’Italia deve intervenire calmierando il prezzo delle bollette“. Anche Bruxelles reagisce, definendo “ridicole” le affermazioni di Zakharova. Il portavoce-capo della Commissione europea, Eric Mamer, risponde che l’esecutivo comunitario “non spende il tempo a commentare accuse ridicole” che arrivano dalle personalità del regime di Putin.

Intanto la campagna elettorale va avanti, in vista delle elezioni politiche del 25 settembre e gli scontri si moltiplicano. Matteo Salvini conferma la sua posizione critica sulle sanzioni e chiede agli altri leader di firmare un accordo, subito, per un intervento da 30 miliardi che serva a bloccare gli aumenti delle bollette. Di questo tavolo “lo apprendo ora, ma Forza Italia c’è ed è disposta a sedersi“, risponde a stretto giro la forzista, Licia Ronzulli. Nel fronte progressista Angelo Bonelli (Verdi-Sinistra italiana) punta il dito verso Giuseppe Conte e il M5S: “E stato premier di ben due governi in cui il Movimento aveva il 32% dei consensi. E cosa ha fatto per l’ambiente? Nulla, se non provvedimenti contraddittori“. Enrico Letta, invece, chiama a raccolta i suoi candidati per gli ultimi giorni di campagna elettorale, invitando a non considerare il Pd e la coalizione già per perdenti.

Domani il Terzo polo sarà impegnato in una ‘manifestazione diffusa’ sul territorio a favore di infrastrutture e gas, denominata ‘Imby, In my back yard-Sì all’Italia dei sì’. Carlo Calenda sarà a Piombino per il rigassificatore, Matteo Renzi e Maria Stella Gelmini al termovalorizzatore di Brescia, Teresa Bellanova a Melendugno per parlare di Tap , Matteo Richetti alla Darsena Popup del porto di Ravenna, Mara Carfagna ad Acerra davanti al termovalorizzatore, Maria Elena Boschi a Roma, nel XII municipio, Mario Polese a Tempa Rossa e Raffaella Paita alla Gronda di Genova. Ultima annotazione, il governo prosegue il lavoro in vista del Cdm di questa settimana con il nuovo decreto Aiuti (probabilmente giovedì). E il premier, Mario Draghi, ha incontrato ha incontrato a Palazzo Chigi il direttore generale della Fao, Qu Dongyu, per parlare della collaborazione dell’Italia e uno scambio di vedute sulla risposta alla crisi alimentare determinata dal conflitto russo-ucraino. Perché oltre la campagna elettorale c’è ancora tanto da fare.

Ue non ha fatto i conti col petrolio: l’Opec+ sale sopra il tetto al prezzo

L’Europa in piena emergenza gas non aveva fatto i conti col petrolio. L’Opec+, ovvero l’organizzazione dei Paesi esportatori di greggio allargata alla Russia, ha deciso che a ottobre ridurrà di 100mila barili al giorno la sua produzione, primo taglio da oltre un anno. Di fatto si torna ai livelli di agosto, dopo il leggero incremento produttivo deciso lo scorso mese per settembre. Una mossa, quella dei signori del petrolio, più politica che di sostanza. Infatti il messaggio diffuso dal comunicato è che una riunione d’urgenza dell’Opec potrebbe essere indetta in qualsiasi momento. Come dire: per ora ci accontentiamo di tenere i prezzi tra i 90 e i 100 dollari al barile, tuttavia se la recessione dovesse avanzare bruscamente e la domanda calare precipitosamente, siamo disposti a rivedere tutto. In che direzione però non si sa.

La decisione dell’Opec+ ha così fatto tornare sopra i 90 dollari al barile il prezzo del future del Wti texano e ben oltre i 95 quello del Brent europeo. Da notare che la Russia non voleva una riduzione della produzione, perché non intendeva far sapere soprattutto ai partner asiatici che di petrolio ce n’è più di quanto serva.

L’Arabia Saudita, vero azionista di maggioranza dell’organizzazione, non ha ancora assecondato i desiderata di Joe Biden, recatosi a Jedda a metà luglio per chiedere un incremento della produzione allo scopo di raffreddare i prezzi. C’è il tema dell’Iran, che tratta un ammorbidimento delle sanzioni, che potrebbe preoccupare la casa regnante saudita. C’è poi il tema dell’embargo deciso dall’Occidente al petrolio russo, che comincerà a dicembre. C’è il tema gas: se effettivamente la Ue precipitasse in una profonda recessione, come suggeriscono i dati sui costi alla produzione, il consumo di petrolio e carburanti rischierebbe di precipitare e con esso il prezzo del greggio. C’è, in questo senso, soprattutto il tema posto dal G7 di un tetto al prezzo del petrolio.

Abdulaziz bin Salman, ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita ha detto a Bloomberg che l’aver deciso un mini-taglio alla produzione “è un’espressione della volontà di utilizzare tutti gli strumenti del nostro kit. La semplice modifica mostra che saremo attenti, preventivi e proattivi in termini di supporto alla stabilità e al funzionamento efficiente del mercato“. Con l’Europa in crisi, la Cina affamata di energia e l’America impegnata su più fronti, il mondo arabo intende ora aumentare il proprio peso internazionale.

(Photo credits: Mazen Mahdi / AFP)

gazprom

Emergenza gas, più che i prezzi ora contano i flussi

Il prezzo del gas torna a salire e a far paura. Dopo una settimana di forti ribassi, intorno alle 18 di ieri il prezzo del future con consegna ad ottobre è salito del 15% a 248 euro/MWh alla piazza finanziaria di Amsterdam. Motivo? Gazprom ha comunicato che finché resteranno le sanzioni, la fornitura attraverso North Stream sarà interrotta. Altro che tre giorni di stop per manutenzione straordinaria. La decisione di Mosca, visto l’atteggiamento della Ue e degli Usa, è dunque a tempo indeterminato. Per cui tutti gli stanziamenti decisi in queste ore dalla Germania e dai Paesi del Nord Europa (solo Berlino ha messo sul tavolo un assegno da 65 miliardi per soccorrere famiglie e imprese) sembrano superati, non tanto dal prezzo, dato che gli Stati possono comunque fare tutto il debito che vogliono, quanto dai flussi. In altre parole: ci sarà gas a sufficienza per garantire un inverno normale all’Europa?

La Ue aveva fissato dei target di riempimento degli stoccaggi, un obiettivo facilmente raggiungibile in presenza di gas. Ma se la materia prima non c’è, come fai a coprirti dai rigori del freddo? Il Paese più penalizzato in assoluto dalle manovre decise al Cremlino è la Germania, locomotiva della Ue e colpevole – a detta dell’entourage di Putin – di aver fatto pagare 10 miliardi a Gazprom per realizzare il North Stream 2 per poi decidere dieci mesi fa di non volerlo più utilizzare. La Germania riceve metano solo attraverso i gasdotti in quanto è priva di rigassificatori. Arriveranno, probabilmente 5-6, ma nel 2023. I tedeschi come potranno mangiare il panettone se mancherà gas? Il presidente francese Emmanuel Macron, dopo un colloquio con il cancelliere Olaf Scholz, ha annunciato che darà gas alla Germania in cambio di elettricità, che manca Oltralpe poiché la gran parte delle centrali nucleari francesi sono in fase di ristrutturazione. Una buona notizia che tuttavia non esclude l’attivazione di razionamenti, come ha fatto sapere l’amministratore delegato di Uniper, grossista tedesco salvato proprio dal governo di Berlino con un assegno da 15 miliardi.

Il gas francese, oltre che dai rigassificatori, arriva dall’Algeria, quello Stato ex colonia transalpina che ha promesso più gas anche a noi. Solo che le infrastrutture di Algeri non sono all’ultimo grido. Servono interventi per incrementare massicciamente la produzione. Ecco che allora, a cascata, il dramma tedesco tocca anche noi, che comunque continuiamo a ricevere un flusso inferiore al passato ma costante dal gasdotto di Tarvisio.

Una Germania kaputt e spenta mette ovviamente paura agli investitori, che ormai si erano scordati dei problemi degli anni ’90 post unificazione. Così l’euro ormai ha preso residenza sotto la parità col dollaro, segno che l’intera economia europea – complice l’inflazione galoppante e la conseguente stretta promessa dalla Bce – si trova di fronte a una potenziale stagflazione mai sperimentata prima. Il tutto perché c’è timore che mancherà gas, facendo scattare razionamenti disordinati. Abbiamo già sperimentato cosa significa un lockdown disordinato con la pandemia…

La Norvegia si candida a ‘cimitero’ della CO2 europea

Sulle coste ghiacciate del Mare del Nord, un ‘cimitero’ in costruzione sta suscitando le speranze degli esperti di clima: presto il sito ospiterà una piccola parte della CO2 emessa dall’industria europea, evitando così che finisca nell’atmosfera. Considerata a lungo una soluzione tecnicamente complicata e costosa di utilità marginale, la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) è ora in voga in un pianeta che sta lottando per ridurre le proprie emissioni nonostante l’emergenza climatica.

Nella città di Øygarden, su un’isola vicino a Bergen (Norvegia occidentale), un terminale attualmente in costruzione riceverà tra qualche anno tonnellate di CO2 liquefatta, che verrà trasportata dal Vecchio Continente via nave dopo essere stata catturata alla fine delle ciminiere delle fabbriche. Da lì, il carbonio sarà iniettato tramite una conduttura in cavità geologiche a 2.600 metri di profondità. L’ambizione è che rimanga lì a tempo indeterminato.

Si tratta della “prima infrastruttura di trasporto e stoccaggio ad accesso libero al mondo, che consente a qualsiasi emettitore che abbia catturato le proprie emissioni di CO2 di prenderle in carico, trasportarle e stoccarle in modo permanente e in totale sicurezza“, sottolinea il direttore del progetto Sverre Overå. In quanto maggior produttore di idrocarburi dell’Europa occidentale, si ritiene che la Norvegia abbia anche il maggior potenziale di stoccaggio di CO2 del continente, in particolare nei suoi giacimenti petroliferi esauriti.

ACCORDI COMMERCIALI

Il terminal Øygarden fa parte del piano ‘Langskip’, il nome norvegese delle navi vichinghe. Oslo ha finanziato l’80% dell’infrastruttura mettendo sul piatto 1,7 miliardi di euro per sviluppare la CCS nel Paese. Due siti nella regione di Oslo, un cementificio e un impianto di termovalorizzazione, dovrebbero infine inviarvi la loro CO2. Ma la particolarità del progetto sta nel suo aspetto commerciale, in quanto offre anche agli industriali stranieri la possibilità di inviare la propria anidride carbonica. A tal fine, i giganti dell’energia Equinor, TotalEnergies e Shell hanno creato una partnership, denominata Northern Lights, che sarà il primo servizio di trasporto e stoccaggio transfrontaliero di CO2 al mondo quando entrerà in funzione nel 2024. Negli ultimi giorni sono state raggiunte due importanti pietre miliari per la CCS in Norvegia. Lunedì scorso, i partner dell’aurora boreale hanno annunciato un primo accordo commerciale transfrontaliero che prevede il trasporto e il sequestro di 800.000 tonnellate di CO2 catturate nell’impianto olandese del produttore di fertilizzanti Yara, a partire dal 2025, tramite speciali imbarcazioni. Il giorno successivo, Equinor ha presentato un progetto con la tedesca Wintershall Dea per la costruzione di un gasdotto di 900 chilometri per il trasporto di CO2 dalla Germania alla Norvegia per lo stoccaggio. Un progetto simile con il Belgio è già in cantiere.

NESSUNA SOLUZIONE MIRACOLOSA

Tuttavia, la CCS non è una soluzione miracolosa al riscaldamento globale. Nella sua prima fase, Northern Lights sarà in grado di trattare 1,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, una capacità che sarà poi aumentata a 5-6 milioni di tonnellate. A titolo di confronto, l’Unione Europea ha emesso 3,7 miliardi di tonnellate di gas serra nel 2020, secondo l’Agenzia Europea dell’Ambiente. Ma sia il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) che l’Agenzia internazionale dell’energia ritengono che questo strumento sia necessario per contenere l’aumento della temperatura. Gli ambientalisti non sono unanimi nel sostenere la tecnologia. Alcuni temono che venga utilizzato come motivo per prolungare lo sfruttamento dei combustibili fossili, che distolga investimenti preziosi dalle energie rinnovabili o che si verifichino perdite. “Siamo sempre stati contrari alla CCS, ma la mancanza di azioni sulla crisi climatica rende sempre più difficile mantenere questa posizione“, afferma Halvard Raavand, rappresentante di Greenpeace Norvegia. “Il denaro pubblico sarebbe meglio investito in soluzioni che sappiamo essere efficaci e che potrebbero anche ridurre le bollette per le persone normali, come l’isolamento delle case o i pannelli solari“, spiega.