grano

Dal gas al grano sono sempre grane: e la soluzione come al solito passa da Bruxelles

È l’effetto G: dal gas al grano. In fondo, sempre di problemi si tratta. Perché, guarda caso, ci sono di mezzo la Russia, l’Ucraina, l’Europa e la parola crisi. La preoccupazione della gente, adesso, si sta spostando progressivamente: da come rinfrescarsi in quest’estate torrida dovendo limitare l’uso dei condizionatori – e da come riscaldarsi nell’inverno che verrà – a come scansare il rischio di dover razionare pasta, pane e affini dalla propria tavola. Per mancanza di materie prime. E di denaro.

Il minimo comune denominatore di gas e grano resta l’aumento dei prezzi: ‘supersonico’ e, spesso, figlio di speculazioni sulle quali le autorità dovrebbero vigilare. La tassa sugli extra profitti delle compagnie energetiche imposta dal governo di Mario Draghi per sostenere gli italiani con il dl Aiuti magari verrà riproposta per quelle industrie alimentari che stanno facendo lievitare sproporzionatamente i costi del cibo. Potrebbe essere una toppa, non sarà mai la soluzione del problema. La soluzione va trovata a Bruxelles, cioè a un livello superiore e internazionale. Una soluzione che, diversamente dal gas, non può essere di indipendenza dalla Russia ma di inclusione della stessa. Lavorano le diplomazie, intanto l’inflazione è alle stelle. Con calma, con calma…

Il grano è una grana. Non meno pelosa del gas. Bastano un po’ di numeri per capire la portata di ciò che rischia di accadere se la situazione non si sbloccherà. Dunque: il 25% della produzione mondiale è a rischio; in Ucraina – considerato il granaio d’Europa –  circa il 30% dei campi resterà incolto; insieme Ucraina e Russia hanno il controllo del 30% degli scambi; il prezzo del grano è salito da gennaio a oggi del 30%; a fine anno il 20% di persone in più al mondo non avrà cibo a sufficienza con un particolare coinvolgimento dell’Africa. Numeri, dicevamo, che sono eloquenti. Ora la priorità è liberare il grano, anzi ‘quel’ grano che è prigioniero nei silos a Odessa, ma non solo. Lo sblocco dei porti deve viaggiare di pari passo con la ricerca di rotte alternative, via treno, quelle ad esempio di Moldavia e di Polonia.

Pare che sul grano Vladimir Putin sia peno intransigente che sul gas, Insomma, un’apertura al dialogo per evitare che alle tensioni energetiche si sommino le tensioni alimentari. L’inquilino del Cremlino forse deve aver valutato che il popolo del mondo può resistere al caldo e al freddo ma non può farcela se non mangia. E la fame porta a reazioni incontrollate. Tipo il ‘cacerolazo’ messo in piedi a Roma dall’associazione dei consumatori: picchiare sulle casseruole per attirare l’attenzione, come nell’Argentina disgraziata di 21 anni fa…

Draghi sente Putin: “Ho chiesto lo sblocco del grano ucraino. Spiragli per la pace? Nessuno”

Il presidente del Consiglio Mario Draghi prova a fare da ‘ponte’ fra Putin e Zelensky. Un ruolo difficile, che potrebbe portare a un nulla di fatto. Ma la gravità della crisi umanitaria lo spinge comunque a fare un tentativo. In primis, per sbloccare il grano che si trova nei depositi in Ucraina. Perché “la crisi alimentare che sta avvicinandosi, in alcuni Paesi dell’Africa è purtroppo già presente, avrà proporzioni gigantesche e conseguenze umanitarie terribili”. Draghi aspetta fine giornata per fare il punto della situazione, dopo avere sentito telefonicamente Putin nel pomeriggio, durante una conferenza stampa densa di argomenti: dagli esiti del Consiglio dei ministri sull’andamento del Pnrr, passando per l’incontro con il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune, fino, appunto, al colloquio con il presidente della Federazione russa.

E se per il presidente del Consiglio il tentativo di fare da intermediario era doveroso, proprio per la “gravità della crisi umanitaria che può toccare i più poveri”, è lui per primo a sapere di non avere “alcuna certezza che vada a buon fine”. Per ora, però, c’è un cauto ottimismo, visto che da Putin “c’è stata effettivamente una disponibilità a procedere” nella verifica della possibilità di un accordo tra Mosca e Kiev per lo sblocco dei porti ucraini in cui sono bloccate le navi con i carichi di grano pronti a partire verso il resto del mondo. Anche se il presidente russo non ha mancato di sottolineare che “la crisi alimentare è colpa delle sanzioni, perché la Russia non può esportare il grano”. Il prossimo passo sarà una telefonata di Draghi al presidente ucraino Zelensky, per vedere se c’è un’analoga disponibilità a procedere con il dialogo su questo tema.

Secondo Draghi, in ogni caso, la prima iniziativa esplorabile “è vedere se si può costruire una possibile collaborazione tra Russia e Ucraina sullo sblocco dei porti sul Mar Nero, dove sono depositati questi molti milioni di quintali di grano”. Insufficiente, per Putin, perché i fabbisogni sono molti di più. Ma per l’inquilino di Palazzo Chigi sarebbe già qualcosa: “Ho risposto di sbloccare almeno questo, altrimenti il rischio è che marcisca tutto questo deposito di grano. Per Putin sono bloccati perché minati dagli ucraini per impedire alle navi russe di attaccarli. La collaborazione deve essere quella, da un lato di sminare i porti, dall’altra garantire che non vengano attacchi durante lo sminamento. Non abbiamo parlato a lungo delle garanzie, perché non è ancora detto che le cose vadano avanti”.

La telefonata è stata anche l’occasione di parlare delle forniture di gas. Su questo fronte, Putin ha confermato la determinazione da parte di Mosca “a garantire l’approvvigionamento ininterrotto di gas naturale all’Italia, ai prezzi concordati nei contratti”. Se, quindi, su grano e sicurezza energetica sembrano aprirsi dei piccoli sprazzi di positività, sul fronte della pace l’impressione di Draghi è tranchant: “Ho visto spiragli? No, nessuno”.

UE

Prestiti inutilizzati del Recovery non saranno destinati solo a RepowerEu

I circa 225 miliardi di euro di prestiti non utilizzati dal Recovery fund varato durante la pandemia, che potrebbero essere redistribuiti tra i 27 Stati membri per attuare gli obiettivi del piano ‘RePowerEu’, potranno essere usati per tutti i capitoli di spesa del Piano nazionale di ripresa e resilienza e non solo per quello aggiuntivo dedicato ad attuare l’obiettivo di indipendenza dagli idrocarburi importati dalla Russia. È quanto spiegano a Bruxelles fonti dell’Ue, precisando che solo la parte dei 72 miliardi di euro di sovvenzioni che gli Stati possono mobilitare a questo scopo deviando i fondi di coesione, i fondi della Politica agricola comune (Pac) e le entrate del sistema di scambio di quote di emissioni di Co2 (circa 20 miliardi) saranno in maniera obbligatoria vincolati all’attuazione del RePowerEu, quindi a obiettivi propriamente energetici.

Nell’idea dell’Esecutivo comunitario il piano per l’indipendenza dall’energia russa presentato mercoledì 18 maggio dovrà essere finanziato con circa 300 miliardi di euro, di cui circa 72 miliardi in sovvenzioni e 225 in prestiti. In entrambi i casi non si tratterà di risorse ‘fresche’, nel caso delle sovvenzioni si andranno a deviare fondi già esistenti, mentre nel caso dei prestiti si andranno a utilizzare quelli ancora non usufruiti dagli Stati membri. I governi, precisano le stesse fonti, avranno tempo fino ad agosto 2023 per richiedere i prestiti non utilizzati del Recovery fund.

Nel presentare il piano, la Commissione europea ha proposto un emendamento per modificare l’attuale regolamento della Recovery and resilience facility (Rrf) e una volta che entrerà in vigore la modifica, i governi avranno 30 giorni di tempo per “mostrare un interesse a usufruire dei prestiti” che gli spettano di diritto ma che non hanno ancora richiesto. Se non lo faranno, quei prestiti potranno essere redistribuiti agli altri Stati Ue che hanno già richiesto tutta la loro quota di prestiti, come l’Italia e anche Portogallo, Polonia, Grecia, Cipro, Romania e Slovenia. L’emendamento allo strumento di ripresa proposto dall’Esecutivo comunitario deve ottenere il via libera dei due co-legislatori, Parlamento e Consiglio dell’Ue, ma per ora a Bruxelles non sono chiare le tempistiche.

La modifica ai Piani nazionali di ripresa e resilienza per incorporare gli obiettivi del RePowerEu dovranno andare incontro a una nuova valutazione da parte di Bruxelles. Il capitolo aggiuntivo al Pnrr avrà “un regime di valutazione speciale” e l’Esecutivo ha previsto una deroga a uno dei principi fondanti del piano stesso, quello del non arrecare danno significativo all’ambiente (Dnsh, acronimo di ‘Do No Significant Harm’) per le misure che “migliorano le infrastrutture energetiche per soddisfare le esigenze immediate di sicurezza dell’approvvigionamento di petrolio e gas naturale”, spiegano ancora le fonti. Nei fatti, questo significa una deroga al principio per costruire nuove infrastrutture per il passaggio e il trasporto del gas e del petrolio, che possano sostenere gli Stati membri nella diversificazione dei fornitori di risorse energetiche e garantire la sicurezza dell’approvvigionamento, mentre limitano le importazioni energetiche dalla Russia.

URSULA VON DER LEYEN

Appello von der Leyen da Davos: “Transizione verde e clima non possono più aspettare”

Sono evidenti le ragioni geopolitiche” per accelerare su transizione verde e clima, che ora “non possono più aspettare“. Arriva da Davos, in Svizzera, dove è in corso il World Economic Forum, l’appello della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Il diretto risultato della guerra russa in Ucraina – ha spiegato – è l’aumento dei prezzi dell’energia e il taglio delle forniture del gas a Polonia, Bulgaria e Finlandia”. Come ha ricordato la numero uno dell’esecutivo comunitario, l’Ue ha già segnato la strada “con l’European Green Deal“, ma ora “dobbiamo accelerare la transizione e portare le nostre ambizioni a un livello più alto, in particolare con il piano RePowerEU, che ci condurrà fuori dalla dipendenza dalle fonti fossili russe”.

Il futuro, infatti, ha ribadito von der Leyen, è legato alla “diversificazione del gas” e “all’idrogeno, la nuova frontiera del network energetico europeo“. “L’economia del futuro – ha detto – non si baserà più sul petrolio e sul carbone, ma sulle terre rare, elementi cruciali per le transizioni gemelle verde e digitale”.

Il World Economic Forum è considerato il vertice delle élite mondiale e richiama a Davos circa 2500 ospiti. Al centro delle discussioni ci sono, naturalmente, le conseguenze della guerra in Ucraina (ieri il presidente Zeelensky è intervenuto con un videomessaggio), ma anche il clima, la transizione energetica e la crisi alimentare.

Eni Petrol Station

Eni avvia procedura per doppio conto Gazprom Bank in euro e rubli

Eni dà avvio alle procedure per l’apertura di un conto in rubli presso Gazprom Bank. L’azienda “in vista delle imminenti scadenze di pagamento previste per i prossimi giorni” è stata costretta a questo passaggio, con i conti correnti ‘K’ in due valute (il primo resta sempre in euro) “indicati da Gazprom Export secondo una pretesa unilaterale di modifica dei contratti in essere, in coerenza con la nuova procedura per il pagamento del gas disposta dalla Federazione Russa”. La notizia piomba come un macigno, ma dal quartier generale di piazzale Enrico Mattei arriva comunque una precisazione, sostanziale: perché si tratta di un’azione “su base temporanea e senza pregiudizio alcuno dei diritti contrattuali della società, che prevedono il soddisfacimento dell’obbligo di pagare a fronte del versamento in euro”. Dunque, la “riserva accompagnerà anche l’esecuzione dei relativi pagamenti”.

C’è anche un altro passaggio fondamentale nella comunicazione di Eni. Perché la procedura è stata “condivisa con le istituzioni italiane” e adottata “nel rispetto dell’attuale quadro sanzionatorio internazionale e nel contesto di un confronto in corso con Gazprom Export per confermare espressamente l’allocazione a carico di Gazprom Export stessa di ogni eventuale costo o rischio connesso alla diversa modalità esecutiva dei pagamenti”. Dunque, nessuna fuga in avanti senza concertazione con il Governo. Tant’è vero che la società guidata da Claudio Descalzi precisa che Gazprom Export e le autorità federali russe competenti hanno confermato che la fatturazione (arrivata in Italia nei giorni scorsi nella valuta “contrattualmente corretta”) e il relativo versamento da parte di Eni continueranno a essere eseguiti in euro. Inoltre, le attività operative di conversione dall’euro ai rubli saranno svolte da un apposito clearing agent operativo presso la Borsa di Mosca entro 48 ore dall’accredito e senza coinvolgimento della Banca centrale russa. In caso di ritardi o impossibilità tecniche nel completare l’operazione nei tempi previsti, comunque, non ci saranno impatti sulle forniture.

Resta sullo sfondo la posizione dell’Unione europea. Perché secondo quanto afferma il portavoce della Commissione Ue, Eric Mamer, l’apertura di un secondo conto in rubli da parte delle società energetiche del vecchio continente “va oltre gli orientamenti dati dalla Commissione ai governi dei Paesi membri” e “al pari di tutte le misure che vanno oltre questi orientamenti, è contraria alle sanzioni” contro Mosca. Eni, però, fa sapere che “l’esecuzione dei pagamenti con queste modalità non riscontra al momento nessun provvedimento normativo europeo che preveda divieti che incidano in maniera diretta sulla possibilità di eseguire le suddette operazioni“, sottolineando come “in linea con le indicazioni della Commissione europea, abbiamo già chiarito da tempo a Gazprom Export che l’adempimento degli obblighi contrattuali si intende completato con il trasferimento in euro, e rinnoverà il chiarimento all’atto di apertura dei conti K”. Quindi, “se la nuova procedura appare neutrale in termini di costi e rischi, non incompatibile con il quadro sanzionatorio in vigore e con adempimento che avviene al momento del trasferimento degli euro, un mancato pagamento esporrebbe Eni sia al rischio di violazione dell’obbligo di dar corso in buona fede ad eventuali richieste contrattuali di Gazprom Export imposte alla stessa dalla propria autorità, sia al rischio per Eni di inadempimento dei propri impegni di vendita con i clienti a valle in caso di interruzione delle forniture”.

Poco prima della nota aziendale, in audizione alla Camera, il direttore public affairs della principale azienda energetica italiana, Lapo Pistelli, a specifica domanda dei parlamentari sul tema rubli, aveva risposto che l’azienda “da settimane è in strettissimo raccordo sia con la Commissione europea che con il governo italiano” e “anche negli ultimi giorni abbiamo valutato, insieme all’esecutivo, tutte le novità che escono dalla Commissione in termini di interpretazione delle norme esistenti e di sviluppo di sanzioni possibili, ed è sulla base di questo raccordo” che sarebbe stata presa “ogni decisione”, comunque “compliant con il quadro sanzionatorio esistente”.

Gruppi di acquisto solidale per una spesa sostenibile e a Km0

Da diversi anni ormai hanno preso piede in tutta in Italia i Gas, gruppi di acquisto solidale, una fitta rete di cittadini che si unisce per acquistare prodotti (per lo più alimentari) in maniera etica ed economica. La filosofia che sta alla base di queste iniziative è, infatti, la cultura etica, il rispetto dell’ambiente, la produzione senza pesticidi e la tutela della dignità dei lavoratori.

UNA CULTURA ‘SOLIDALE’ CHE PARTE DAI PRIMI ANNI ’90

Secondo E-circles i Gas in Italia sono quasi 600, per migliaia di affiliati. I gruppi più numerosi sono al Nord: 153 nel Nord Ovest, 101 nel Nord Est e 161 tra Emilia e Toscana. Sebbene forme di azione simili ai Gas fossero presenti già prima degli anni Novanta, si fa risalire la nascita di questi gruppi a un incontro dal titolo ‘Quando l’economia uccide…bisogna cambiare’, tenutosi all’Arena di Verona nel 1993. Poco dopo, nel 1994, nasce il primo gruppo: alcune famiglie di Fidenza (Parma) decidono di impiegare il loro tempo libero per conoscere sul campo i produttori di cibi sani e biologici, per poi acquistarli e distribuirli all’interno del gruppo. L’idea diventa esemplare: il passaparola porta alla nascita di esperienze simili, una a Reggio Emilia e una a Piacenza. La pratica si diffonde molto velocemente, ogni gruppo nascente prende spunto da quelli pre-esistenti, ma ognuno è diverso dall’altro per la propria storia. Un boom di ‘nascite’ si registra nel 2001, anno in cui si verifica un forte incremento delle persone interessate a queste iniziative, e prosegue in maniera significativa per tutto il decennio successivo, forse anche grazie alla rapida diffusione di internet.

IL CASO DI ‘LO-LA’ UNO DEI PIU ANTICHI GAS DI MILANO

Anche a Milano si contano decine di Gas per centinaia di ‘affiliati’. Uno dei più ‘antichi’ è il Lola, nato nel settembre 2008 per iniziativa di un nucleo di abitanti dei quartieri di zona 3 di Milano, Loreto e Lambrate (da qui l’acronimo LoLa); il coordinatore è Maurizio Lauro. “Attualmente – racconta a GEA – il nostro Gas è composto da 72 iscritti, di quasi tutte le fasce d’età. Nei giorni scorsi abbiamo distribuito un questionario per conoscere esattamente ‘chi siamo’ e stasera faremo una riunione. Abbiamo notato che manca nel nostro gruppo la fascia di età che va dai 18 ai 30 anni. Per questo stiamo pensando di farci conoscere anche nelle università, visto che gravitiamo intorno al quartiere di Città Studi“.

In generale LoLa è costituito da persone appartenenti a un ampio arco di età – da famiglie con figli in età scolare a pensionati – e di professioni, residenti anche in zone limitrofe. Il gruppo, facendo proprie le pratiche della solidarietà sociale dei gruppi di acquisto solidale, persegue diverse finalità come il consumo critico e sostenibile, la diffusione di prodotti biologici, naturali, eco-compatibili e del commercio equo e solidale, per valorizzazione la natura e l’ambiente. Un altro obiettivo è poi il sostegno ai piccoli produttori, possibilmente biologici, e alle cooperative sociali di produzione (costituite ad esempio da detenuti o da soggetti diversamente abili), per stabilire con loro rapporti diretti che garantiscano una equa remunerazione. Il gas punta poi alla promozione della cultura agro-alimentare dei prodotti genuini e tradizionali, rispettosa dell’uomo, dell’ambiente e della biodiversità e si impegna a cercare produttori in un’area geografica vicina a Milano proprio per perseguire i principi di eco-sostenibilità della ‘filiera corta e dei prodotti a km zero.

IL RISPARMIO ECONOMICO

“Acquistiamo tutti i tipi di alimenti – prosegue Lauro – frutta, verdura, olio, vino, marmellate, ma anche carta da cucina e carta igienica. In ogni caso ci informiamo sempre sui nostri produttori e sul loro impegno nel rispetto dell’ambiente”. Oltre all’aspetto etico c’è anche quello economico. “Saltando l’intermediazione della grande distribuzione – spiega Lauro – si riesce a risparmiare. Inoltre, se con gli ordini superiamo un determinato importo, a volte non ci fanno pagare le spese di trasporto degli alimenti nella nostra sede“. Attenzione poi viene prestata anche a realtà che si distinguono per il proprio impegno per la bio diversità. “Ad esempio – dice – ci riforniamo da aziende che si sono impegnate a recuperare varietà di riso che si ritenevano perdute“.

ORDINI VIA MAIL E RITIRO IN SEDE

Ma come funziona, in concreto, il Gas? “Esistono referenti per ogni prodotto – prosegue Lauro -. Ad esempio io mi occupo del riso, ma ci sono quelli dell’olio, del vino, del pane. Ad ogni ‘gasista’ viene poi mandato via mail un foglio excel su quel prodotto sul quale l’associato deve segnare la quantità richiesta. Il responsabile poi chiude l’ordine e lo invia al produttore. Quando i prodotti sono pronti, le aziende ci portano gli alimenti in sede e noi comunichiamo gli orari in cui i ‘gasisti’ possono venirli a ritirare e a pagare. Sul tavolo vengono fatti ‘mucchietti’ di prodotti con il nome dell’associato e poi questo passa a ritirarli. Prima del Covid la sede, nei giorni di ritiro, si trasformava in un vero e proprio mercato, con chiacchiere e grandi saluti. Adesso purtroppo, per ragioni legati alle prescrizioni anti contagio, siamo più scrupolosi e anche i pagamenti avvengono solo attraverso Satispay o sistemi elettronici“.

Roberta METSOLA

Stop al gas russo. Metsola: “Il futuro della terra è dei giovani”

Dopo l’incontro di ieri con il capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel corso del quale è stato preso in considerazione il tema dell’indipendenza energetica e la necessità di “raggiungere l’autonomia” per evitare che paesi terzi possano “ricattare l’Ue e dimostrarsi non affidabili”, la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, si è trasferita a Firenze per la dodicesima edizione dello Stato dell’Unione, forum annuale sul futuro dell’Unione europea.

Riprendendo il discorso relativo all’energia, Metsola ha sottolineato che l’Unione Europea deve inevitabilmente cooperare per “liberarsi dalle dipendenze dal Cremlino” perché occorre porre fine alle “importazioni di petrolio” portando “avanti una politica di gas zero dalla Russia”. Inoltre, la presidente del Parlamento Europeo ha annunciato che l’Ue continuerà a “imporre sanzioni e a dare aiuto all’Ucraina” e si impegnerà nella “ricostruzione di Kiev”.

Il futuro non è indecifrabile. Metsola ha fiducia nelle nuove generazioni: “Sono certa che i giovani giocheranno un ruolo fondamentale per gli obiettivi climatici e l’azione per il clima, raccogliendo i frutti di una economia digitale e consumando in maniera diversa da come facciamo oggi”, ha detto. “Tuttavia non possiamo aspettarci che risolvano tutte le crisi che non abbiamo potuto risolvere, hanno bisogno che ci assumiamo le nostre responsabilità oggi”, ha concluso.

Gas, Ue avvisa imprese: “Pagare in rubli viola sanzioni alla Russia”

La Russia apre la guerra al gas contro l’Europa tagliando le forniture alla Polonia e Bulgaria, e trova un’Unione Europea impreparata su come affrontarne le conseguenze. La Commissione europea ha avvertito le imprese europee del fatto che accettare il “ricatto” di Mosca e pagare il gas in rubli è di fatto una chiara violazione del regime di sanzioni varato dall’Ue contro Mosca per l’aggressione dell’Ucraina, così come anche una violazione della maggior parte dei contratti di fornitura in essere con la Russia. Il 97% di questi prevede esplicitamente che le forniture siano pagate in euro o in dollari, non in valuta locale, e quindi pagarli in rubli sarebbe di fatto una violazione dei contratti stessi.

Il colosso energetico russo Gazprom ha tagliato mercoledì le forniture a Polonia e Bulgaria dopo che si sono rifiutate di pagare il gas in rubli, dando il via alla prima grande ritorsione di Mosca alle sanzioni europee da quando la guerra in Ucraina è cominciata lo scorso 24 febbraio. Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato lo scorso 31 marzo un decreto per cambiare le regole sui pagamenti delle forniture di gas ai “Paesi ostili” alla Russia (ovvero tutti i Paesi occidentali) obbligando di fatto le imprese e gli acquirenti del gas russo ad aprire due conti in Gazprombank, la banca di Stato, uno in rubli e uno in euro: dopo aver depositato euro o dollari nel primo conto, Gazprombank deve poi convertirli in rubli in un secondo. Nel passaggio tra il primo e il secondo conto bancario c’è la ragione per cui l’Ue denuncia una violazione dell’attuale regime di sanzioni, dal momento che si considera il pagamento completato solo dopo il passaggio effettivo in rubli. Una operazione, ha spiegato un funzionario dell’Ue, che coinvolge la Banca centrale russa, una delle banche colpite dalle sanzioni varate dall’UE con cui i Paesi non possono effettuare transazioni di alcun tipo.

In quel passaggio le aziende perderanno totalmente il controllo del denaro, che rimarrà tutto “nelle mani della Russia, che può utilizzarlo per qualunque cosa prima di trasformarlo in rubli”, ha spiegato. Il pagamento, ha chiarito ancora, sarà considerato completato solo quando convertito in rubli. La stessa fonte ha precisato che a livello europeo c’è ampio consenso da parte dei governi a rifiutare questo ricatto da parte di Mosca e continuare a pagare in euro per le proprie forniture. Rassicurazioni che sono state poco dopo smentite dall’annuncio dell’Ungheria di soddisfare le richieste del Cremlino pagando in euro ma tramite Gazprombank. La precisazione dell’Esecutivo europeo arrivata giovedì si è resa necessaria dopo che varie delegazioni europee hanno sollevato preoccupazioni e denunciato scarsa chiarezza su in che modo accettare il decreto di Putin possa portare a violare il regime di sanzioni dell’Ue.

Più di una indiscrezione parla di vari acquirenti di gas russo che avrebbero già aperto il secondo conto in rubli presso Gazprombank, di cui la Commissione europea sostiene di non essere a conoscenza ufficialmente. Lunedì è stato convocato un Consiglio energia straordinario in cui il tema centrale sarà probabilmente la richiesta di maggiore chiarezza su cosa possono o non possono fare le aziende europee di fronte alle richieste di Putin per evitare di vedersi tagliate le forniture come nel caso di Sofia e Varsavia. E per non trovarsi, ancora, impreparati e divisi.

Mario Draghi

Energia, il governo al lavoro sul decreto contro il caro prezzi

Nuove risorse per contrastare il caro prezzi dell’energia, semplificazioni per accelerare sugli approvvigionamenti da fonti rinnovabili. Sono questi i due pilastri del nuovo decreto che sarebbe dovuto arrivare oggi in Consiglio dei ministri, ma più probabilmente slitterà a lunedì. Ci sarà anche il premier, Mario Draghi, guarito dal Covid-19 e già al lavoro con la sua squadra per limare le misure del nuovo provvedimento. Una piccola anticipazione del quale l’ha fornita ieri il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli, alla presentazione della firma del Protocollo tra Libera e il commissario unico per la bonifica delle discariche abusive, prima di tornare a Palazzo Chigi per la riunione – in presenza – con il capo del governo. “Dobbiamo prepararci in vista di un impegnativo Consiglio dei ministri” che tratterà “soprattutto ulteriori interventi per attenuare il costo dell’energia, del gas e delle materie prime sulle filiere produttive, ma anche sulle famiglie”.

Il pressing dei partiti di maggioranza è forte. La Lega continua a chiedere che l’esecutivo stanzi altri 5 miliardi per alleviare il peso dei rincari dalle spalle di imprese e cittadini. Una richiesta che non vede distante anche il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, orientato a spingere per usare i 6 miliardi “che i miglioramenti dei conti pubblici hanno dato”, senza contare “gli extraprofitti che le imprese petrolifere e dell’energia hanno ottenuto”. Ma al Nazareno non escludono anche un altro tipo di intervento: “Se c’è bisogno, si farà uno scostamento di bilancio”. Punto di contatto con gli alleati del Movimento 5 Stelle, che pressano forte da settimane sul tema, chiedendo che l’Italia si faccia portavoce in Europa della proposta di istituire un Energy recovery fund sulla scia di quello varato per la pandemia.

Nel decreto che passerà al vaglio del Cdm ci sarà anche la misura che prevede la creazione di una sorta di ‘supercommissario’ che dovrà semplificare le norme per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Ad oggi, infatti, la legislazione rende troppo lenta la fase di transizione, con tempi non compatibili con l’esigenza del Paese di attuare la nuova strategia di approvvigionamento energetico e di affrancamento da gas e petrolio provenienti dalla Russia. Ma c’è anche un altro punto su cui a Palazzo Chigi si ragiona e che riguarda il ciclo dei rifiuti: “Senza anticipare decisioni che il governo potrebbe prendere nelle prossime ore, è utile rilanciare la riflessione sull’utilizzo sostenibile ed efficace nel nostro Paese”. Il passo è ancora allo studio, mentre nel breve termine sarà confermata la decisione di non spegnere le centrali a carbone, per far fronte all’emergenza.

La prossima settimana, poi, sono previsti nuovi momenti di confronto tra governo e Parlamento. Martedì 3 maggio, alle ore 12.30, infatti, il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, terrà una informativa nell’aula della Camera sulle ulteriori iniziative per contrastare l’aumento dei costi dell’energia. Mentre il 24 maggio, alle 14, sempre a Montecitorio, il responsabile del Mite svolgerà un’altra informativa, ma in vista del G7 Energia. Il premier Draghi, invece, sarà il 10 maggio a Washington per incontrare alla Casa Bianca il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. I due leader discuteranno del coordinamento con gli Alleati sulle misure a sostegno del popolo ucraino e di contrasto all’aggressione ingiustificata della Russia, ma affronteranno anche i temi legati alla cooperazione nella gestione delle sfide globali, alla sicurezza energetica e al contrasto ai cambiamenti climatici, dal rilancio dell’economia allo sviluppo della sicurezza transatlantica. Anche in preparazione dei vertici G7 e Nato di giugno.

Sul fronte europeo, Luigi Di Maio torna a chiedere il price cap sull’energia: “Il lavoro che continueremo a fare è rafforzare il nostro piano di sicurezza energetico e fare in modo che a livello europeo si costruisca un tetto massimo al prezzo del gas, perché con gli accordi che stiamo facendo negoziamo quantità – ha detto il ministro degli Esteri da Strasburgo -. Il punto è che dove si indicizza il prezzo del gas l’Ue deve scegliere tra speculazione e tutele della famiglia e delle imprese. Noi scegliamo di tutelare imprese e famiglie a fronte di una speculazione di prezzi che non ha senso”. Il responsabile della Farnesina conferma che “tutte le forniture di gas dalla Russia all’Italia continuano ad andare avanti regolarmente“, ma allo stesso ammonisce: “Quello che stiamo contrastando è la richiesta di Mosca di pagare in rubli, che è una violazione del contratto. Insieme alla Commissione e al Consiglio Ue prenderemo una decisione a livello europeo su questo tema, ma i nostri contratti prevedevano il pagamento in euro”, dunque “ci sono tutte le condizioni perché i cittadini non abbiano problemi di fornitura”.

Prosegue, infine, il lavoro del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, che ha incontrato il ministro delle Innovazioni e della crescita della Bulgaria, Daniel Lorer, per parlare di cooperazione economica e delle conseguenze legate al conflitto in Ucraina nei rispettivi due Paesi, soffermandosi in particolare sui temi della sicurezza energetica e l’aumento dell’inflazione, condividendo la necessità che vengano adottate soluzioni comuni a livello Ue. Gli esponenti dei due governi hanno anche sottolineato l’opportunità di rafforzare la collaborazione tra imprese italiane e bulgare, al fine di cogliere le opportunità degli investimenti legati ai fondi europei del Recovery fund, in particolare quelli finalizzati a realizzare progetti sullo sviluppo delle fonti rinnovabili, dalle batterie all’idrogeno, attraverso gli Ipcei.

Trans_Adriatic_Pipeline

Come i Balcani possono spingere l’autonomia strategica dal gas russo

Trovare soluzioni per l’indipendenza energetica dalla Russia è una priorità per l’Europa, dentro e fuori i confini dell’Unione Europea. La guerra in Ucraina sta aumentando la pressione anche sui Balcani Occidentali, la regione che aspira ad accedere nel prossimo futuro nell’Ue e che è alla ricerca di nuove forniture di gas per liberarsi dalla dipendenza russa. Una strategia che potrebbe rappresentare un punto di forza anche per il resto del continente, nonostante non siano da sottovalutare le complessità.

Per i Balcani questo discorso vale doppio. Mentre per l’Unione Europea la dipendenza dal gas russo si attesta mediamente attorno al 40%, alcuni Paesi della regione – come Serbia, Bosnia ed Erzegovina e Macedonia del Nord – dipendono quasi totalmente dal Cremlino. È per questa ragione che i Paesi balcanici sono scettici sulla possibilità che Bruxelles adotti un embargo sulle importazioni di gas dalla Russia. Non va dimenticato che il sesto pacchetto di sanzioni sta però creando per la prima volta tensioni e ritardi all’interno dei Ventisette: il premier ungherese, Viktor Orbán, guida il fronte dei contrari, mentre l’omologo greco, Kyriakos Mitsotakis, ha avvertito che “un embargo energetico non deve essere più doloroso per gli europei che per la Russia”.

Nello sforzo di indipendenza dalle fonti energetiche russe, se si considera l’Europa sud-orientale le vie praticabili sono tre: il collegamento con fornitori alternativi di gas, l’espansione della produzione locale e l’aumento delle consegne di gas naturale liquefatto (GNL). Un ruolo cruciale lo gioca il Paese membro Ue più importante della penisola balcanica, la Grecia. “Il Mediterraneo orientale diventa ancora più importante ora che si cerca una diversificazione delle fonti per allontanarci dal petrolio e dal gas russo”, aveva spiegato a inizio aprile il premier greco Mitsotakis sottolineando che “dovremmo studiare tutti i progetti di interconnessione in quest’area, attraverso oleodotti, gasdotti e GNL”.

La chiave è la diversificazione. Nei prossimi cinque anni il Gasdotto Trans-Adriatico (TAP), che dall’Azerbaijan corre attraverso la Grecia e l’Albania e sotto l’Adriatico fino all’Italia, dovrebbe essere in grado di raddoppiare la propria capacità, dagli attuali 10 miliardi di metri cubi a 20: il gasdotto di interconnessione Grecia-Bulgaria entrerà in funzione a settembre di quest’anno, mentre è in costruzione quello che da Salonicco trasporterà il gas verso la Macedonia settentrionale, con la prospettiva di raggiungere anche Kosovo e Serbia. Ad Alessandropoli, città della Grecia nord-orientale, entro la fine del 2023 dovrebbe entrare in funzione un terminale di GNL con una capacità di 5,5 miliardi di metri cubi, che rappresenterà un punto di riferimento anche per Paesi come Macedonia del Nord e Bulgaria. Le riserve sottomarine di gas nel Mediterraneo orientale potrebbero fornire all’Europa circa 10 miliardi di metri cubi l’anno, ma si dovranno trovare modalità per risolvere le tensioni geopolitiche nell’area e per riprendere i discorsi sul gasdotto EastMed, un progetto da 6 miliardi di euro che dovrebbe trasportare il gas dai depositi al largo di Israele e dell’Egitto attraverso Cipro e Grecia.

Nonostante sembri quasi impossibile rinunciare sul breve periodo ai gasdotti di Gazprom, la strategia di diversificazione potrebbe essere vincente nei Balcani. Sviluppando questa triplice strategia, si potrebbero coprire quasi completamente i volumi modesti di gas richiesti dalle economie e dalle società della regione. Come esempio, è sufficiente pensare che la Grecia, il Paese più sviluppato della penisola, consuma 5,7 miliardi di metri cubi di gas all’anno (l’Italia 76,1). In uno scenario di lungo periodo, la penisola balcanica e il continente europeo potranno ancora aver necessità delle fonti energetiche russe, ma non esserne dipendenti, sviluppando dialoghi e partnership strategiche con attori geopolitici dall’Asia al Medioriente, fino all’Africa.