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Le rinnovabili supereranno il carbone come fonte primaria entro il 2025

Le energie rinnovabili dovrebbero detronizzare il carbone come principale fonte di produzione globale di elettricità nel 2025. Queste energie, in particolare il solare fotovoltaico, dovrebbero ormai produrre più di un terzo dell’elettricità, passando dal 30% del totale nel 2023 al 37% nel 2026. In particolare, dovrebbero più che compensare la forte crescita della domanda nelle economie avanzate (Stati Uniti, Europa). E’ quanto stima l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie) nel suo rapporto ‘Elettricità 2024’ sui mercati globali dell’elettricità. Il rapporto anticipa “un lento declino” strutturale del carbone, segnato dalla crescita delle rinnovabili, con anche l’aumento ad un certo livello della produzione nucleare globale, che dovrebbe ridurre l’uso delle fonti fossili, l’energia più dannosa per il clima e la qualità dell’aria, che scenderebbe a meno di un terzo della produzione elettrica globale.

Il settore energetico attualmente produce più emissioni di CO2 di qualsiasi altro nell’economia mondiale, quindi è incoraggiante che la rapida crescita delle energie rinnovabili e una costante espansione dell’energia nucleare siano insieme sulla buona strada per soddisfare l’aumento della domanda globale di elettricità nei prossimi tre anni“, ha affermato il direttore esecutivo dell’Aie Fatih Birol. “Ciò è in gran parte dovuto all’enorme slancio delle energie rinnovabili, con l’energia solare sempre più economica in testa, e al sostegno derivante dall’importante ritorno dell’energia nucleare, la cui produzione è destinata a raggiungere un massimo storico entro il 2025. Sebbene siano necessari ulteriori progressi, e rapidi , queste sono tendenze molto promettenti”.

Per l’Aie, la produzione di energia elettrica da carbone dovrebbe quindi diminuire in media dell’1,7% all’anno entro il 2026, dopo un anno nel 2023, al contrario, segnato da un aumento dell’1,6% in un contesto di bassa produzione idraulica in India e Cina. La produzione delle centrali a gas dovrebbe invece aumentare “leggermente” nei prossimi tre anni, intorno all’1% annuo.
Per quanto riguarda l’energia nucleare, la produzione complessiva dovrebbe tornare ai livelli del 2021 entro il 2025, con la fine dei lavori di manutenzione in Francia, la riapertura dei reattori in Giappone e le inaugurazioni in Cina, India e Corea del Sud, stima l’OUCH.

In generale, per l’Aie, le fonti a basse emissioni rappresenteranno quasi la metà della produzione mondiale di elettricità entro il 2026, rispetto a una quota di poco inferiore al 40% nel 2023. Tra queste, la produzione di energia nucleare dovrebbe battere ogni record nel 2025 visto che sempre più Paesi investono nella costruzione di nuovi reattori per favorire la transizione verso un’economia a basse emissioni di CO2.

FI vuole nuova Agenzia nucleare. Avs: “Blitz a spese italiani”

Riportare in vita l’Agenzia per il nucleare, trasformando l’Istituto per la sicurezza in Autorità. E’ la proposta di Forza Italia che con Luca Squeri presenta un emendamento al Dl Energia per, spiega il primo firmatario, “rilanciare” la fonte nucleare nel Paese.

Il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto, l’ha già inserita nel Pniec e prevista nel mix dei prossimi anni. L’obiettivo è puntare sulla nuova generazione dei piccoli reattori modulari, che non arriveranno in Italia prima di 10-15 anni e intanto il Mase raccoglie le autocandidature per ospitare il deposito unico dei rifiuti. Nel progetto del ministro, la proprietà degli Smr sarebbe dei privati, lo Stato manterrebbe un ruolo di regolatore, ma non investirebbe risorse economiche.

Senza l’apporto dell’energia nucleare non riusciremo mai a centrare l’obiettivo europeo della decarbonizzazione al 2050”, osserva Squeri.
L’Agenzia era stata istituita dal governo Berlusconi IV nel 2009, ma mai diventata operativa fu abolita dal governo Monti nel 2011. Il nuovo istituto, nel piano di Forza Italia, avrebbe il compito di occuparsi delle autorizzazioni. “Abbiamo bisogno di un’Autorità che certifichi tutto il processo. Siamo convinti che l’Italia sia pronta per questo passaggio, l’opinione pubblica sul nucleare è cambiata”, è sicuro.

I due referendum con cui gli italiani hanno detto ‘No’ all’energia nucleare sono infatti arrivati dopo due incidenti storici. Il primo, nel 1987 arrivava un anno dopo la catastrofe di Chernobyl, il secondo, nel 2011, dopo il disastro di Fukushima. Oggi la tecnologia è andata avanti e incidenti simili sarebbero rari.

Ma c’è chi è convinto che l’energia nucleare sia ancora troppo pericolosa e soprattutto troppo dispendiosa. “Questa decisione è arretrata e ignora il futuro e la modernizzazione energetica dell’Italia. E’ una scelta che impone costi elevati a carico di famiglie, imprese e Stato”, evidenzia Angelo Bonelli di alleanza Verdi Sinistra. Parla di “ingenti investimenti pubblici” e “lunghi tempi di realizzazione”, ricordando i casi della centrale di Flamanville in Normandia e Hinkley Point nel Regno Unito, dove il costo del Megawattora è, denuncia, “esorbitantemente alto”.
Questi costi insostenibili, è convinto Bonelli, “graveranno sulle famiglie e sulle imprese italiane“. La proposta Squeri, sostiene, “è priva dell’obiettivo che il governo dovrebbe darsi ovvero quello di un piano energetico chiaro e definito“.

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Nucleare, Newcleo e Nareea lanciano l’alleanza europea dei mini reattori

L’obiettivo è quello di accelerare la corsa europea allo sviluppo di piccoli reattori innovativi – cioè quelli di quarta generazione – attraverso una “partnership strategica e industriale” sostenuta dal programma di investimenti France 2030. A spingere sull’acceleratore sono due start-up, la francese Naarea e l’italiana Newcleo, che puntano ad allargare l’alleanza è destinata a tutti gli operatori che lavorano in Europa sulle tecnologie dei reattori di quarta generazione, noti anche come AMR (Advanced Modular Reactors).

“L’obiettivo di questo partenariato strategico e industriale è quello di sostenere tutti questi attori nel loro sviluppo industriale, tecnologico, scientifico e normativo”, affermano le due società, prime vincitrici del bando France 2030 per progetti di “reattori nucleari innovativi”. “Le nostre due società vogliono semplificare il lavoro delle autorità pubbliche e promuovere lo sviluppo e la diffusione dell’energia nucleare di quarta generazione in Europa, in un contesto di forte concorrenza globale”, dice Jean-Luc Alexandre, presidente e fondatore di Naarea. “Unendo le forze, Newcleo e Naarea incoraggiano lo sviluppo e la diffusione della tecnologia nucleare di quarta generazione in Europa”, precisa Stefano Buono, co-fondatore e ceo di Newcleo.

Le due società intendono partecipare al rinnovamento del settore nucleare per decarbonizzare l’industria, con Newcleo che punta su un mini-reattore a neutroni veloci raffreddato a piombo e la start-up Naarea su un micro-generatore a neutroni veloci a sali fusi.

Entrambe le tecnologie utilizzeranno le scorie nucleari come combustibile, secondo i promotori, che puntano a commercializzare le loro soluzioni “entro il 2030”.
Questa partnership permetterà alle due aziende, e successivamente ad altri attori del settore, di “unire i loro sforzi” e “guadagnare in efficienza” lavorando su diverse aree di cooperazione: accesso al combustibile nucleare usato, “ottimizzazione” delle procedure con le autorità di sicurezza, sviluppo di strutture di test condivise, creazione di una piattaforma di ricerca comune, ecc.

Le due aziende sostengono che si tratta di un “approccio complementare” alla creazione di un’alleanza industriale per i piccoli reattori modulari richiesta da dodici Paesi europei, tra cui Francia, Svezia, Paesi Bassi, Polonia e Slovacchia, un approccio sostenuto dalla Commissione europea.

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Nucleare, Trino si autocandida a ospitare il deposito nazionale Pichetto: “Speriamo sia via giusta”

Sul deposito unico di rifiuti radioattivi – forse – si vede una luce in fondo la tunnel. Il Comune di Trino, poco meno di 7mila abitanti in provincia di Vercelli, formalizza l’autocandidatura annunciata per ospitarlo sul proprio territorio insieme al Parco tecnologico. Il sindaco, Daniele Pane, ha incassato il via libera della giunta allo scadere del termine ultimo per presentare le autocandidature, come previsto dal Decreto energia approvato lo scorso 9 dicembre.

Una disponibilità “molto importante” per il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto, che, precisa, andrà verificata sulla base delle caratteristiche tecniche e di sicurezza che la legge prevede. Già, perché Trino non è stato inserito tra le 51 aree indicate dalla Cnai, la Carta nazionale delle aree idonee pubblicata dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza, ma il governo ha ribadito la possibilità di avanzare – appunto – l’autocandidatura. Che il comune piemontese ha raccolto.

Trino è uno di quei comuni come ce ne sono tanti, da nord a sud, ma la sua storia è sicuramente particolare. Qui, a metà degli anni ’60 del secolo scorso, entrò in servizio una delle quattro centrali nucleari italiane, la Enrico Fermi. Attiva fino al 1987 – quindi poco dopo il disastro di Chernobyl – fu chiusa dopo il referendum con cui gli italiani dissero ‘no’ a questa forma di energia. Alla fine degli anni ’90 la proprietà della centrale fu trasferita a Sogin, con il compito di bonificare l’area e procedere allo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Da allora sono successe molte cose, ma il nostro Paese non ha ancora un deposito destinato alle scorie, cioè un’infrastruttura ambientale di superficie in cui mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi prodotti in Italia, sia quelli relativi alle vecchie centrali ormai dismesse sia quelli prodotti, ad esempio, dal mondo sanitario.

Per il sindaco Pane, come aveva ricordato a GEA, la scelta nasce per due motivi: “innanzitutto il deposito unico nazionale è necessario a tutta Italia, è un obbligo previsto dalla normativa europea, e in particolare è indispensabile per noi che tra Trino e Saluggia deteniamo la maggior quantità di radioattività italiana lungo il Po. Da lì vanno spostati subito. Il secondo motivo è determinato dal fatto che nessuno dei siti attualmente individuati si è dato disponibile e quindi rischiamo di trasformare i depositi temporanei in definitivi lì dove sono”. “C’è un assoluto bisogno di chiarezza e trasparenza su questo tema – ribadisce il primo cittadino – e soprattutto bisogna arrivare a una decisione, che sia il più condivisa possibile”, spiega il primo cittadino. La palla passa ora agli esperti, che stabiliranno se effettivamente il territorio è idoneo.

Quello del deposito nucleare non è un problema del passato, ma del presente e del futuro, perché ogni giorno l’Italia produce rifiuti nucleari civili, soprattutto di origine ospedaliera. “È un problema di piena attualità”, puntualizza Pichetto, che comunque ha già previsto di inserire l’energia nucleare nel mix nazionale. Anche se punta sui piccoli reattori modulari, che non arriveranno prima di 10-15 anni e che produrranno una quantità minima di scorie, è importante non farsi trovare impreparati.
Il deposito unico risolverà il problema dei tanti piccoli siti di stoccaggio, molti dei quali pericolosi e non a norma ma soprattutto consentirà di riportare in Italia tutti i rifiuti portati all’estero, mandati in Francia, in Inghilterra e in parte in Slovacchia, perché qui non c’era posto. “Sono pochi cask di rifiuti vetrificati che dobbiamo far rientrare per evitare di continuare a pagare l’affitto ai Paesi che li ospitano ma non sono la vera questione”, assicura il ministro. “L’importante – sostiene – è dare una soluzione al problema che il Paese ha oggi”.

E se finora non si è riusciti a trovare un territorio disposto a ospitare il deposito, la soluzione per il ministro è, appunto, invertire il processo, facendolo partire dal basso invece che imporlo dall’alto, “speriamo che sia la via giusta“. Dopo quasi quarant’anni di “inutili prove di forza”, è l’auspicio, “mi auguro che l’Italia possa finalmente avere il proprio deposito unico nucleare”.

Nucleare, Ciafani (Legambiente): “Impensabile Smr possano abbassare costi energia”

“Il nucleare è una fonte di energia in declino, in tutto il mondo. Lo raccontano anche le cronache economiche. E’ una discussione surreale, in un mondo che sta abbandonando sostanzialmente questa tecnologia. Il governo parla degli Smr, considerare quella degli Smr una tecnologia che permetta di abbassare i costi è assolutamente impensabile. Poi sono molto curioso di sapere quali sono queste aree industriali che, in giro per l’Italia, si candidano per ospitare piccoli reattori nucleari. Come sappiamo bene, si scatenano proteste anche sulle cose sane che il nostro Paese deve fare. Dunque, francamente, ci viene un po’ difficile pensare quali possano essere i luoghi dove questi ‘piccoli reattori’ possano essere ospitati in maniera semplice, a fronte di costi che restano alti”. Lo dice il presidente di Legambiente, Stefano Ciafani, ai microfoni di #GeaTalk.

Corsa mondiale al nucleare: prezzo uranio registra +80% annuale a massimi da fine 2007

Il petrolio Wti ha perso il 3% rispetto allo stesso periodo del 2022, il gas europeo è sotto del 61%, mentre l’uranio ha guadagnato quasi l’80% negli ultimi 12 mesi. La corsa al nucleare ha riacceso la domanda su uno degli ingredienti essenziali per lo sviluppo nucleare, che è diventato centrale dopo lo choc delle materie prime dello scorso anno tra guerra e inflazione e soprattutto dopo la Cop28 perché l’energia atomica è stata benedetta nella strada verso il Net zero.

I prezzi dell’uranio hanno messo a segno un balzo di circa il 5% tornando oltre 86 dollari per libbra, livello visto l’ultima volta ben prima del disastro di Fukushima ovvero nel novembre 2007. L’impennata deriva dal fatto che la domanda è elevata mentre l’offerta non tiene il passo. Anzi, il governo degli Stati Uniti sta per varare un divieto all’import di uranio dalla Russia, il principale fornitore mondiale di combustibile nucleare arricchito, amplificando i rischi di carenza poiché i produttori occidentali i quali già affrontano una crisi di capacità a causa proprio del parziale e volontario rifiuto da parte dell’Europa di comprare da Mosca.

Nel dettaglio la Camera dei Rappresentanti americana è decisa a varare un provvedimento che vieti le importazioni di uranio arricchito di origine russa, che attualmente rappresenta quasi il 25% del mercato statunitense. Mosca è il più grande arricchitore di uranio a livello globale, possiede il 46% del totale delle infrastrutture mondiali di conversione dell’uranio, mentre tre quarti del fabbisogno di combustibile nucleare degli Stati Uniti sono soddisfatti da combustibile di uranio importato. Se il testo dovesse essere approvato, il costo del combustibile nucleare potrebbe crescere del 13% per i reattori negli Stati Uniti, affermano alcuni analisi ad Oilprice.com. Comunque il divieto russo di importazione di uranio prevede una deroga temporanea fino a gennaio 2028, previa approvazione normativa da parte del Segretario dell’Energia degli Stati Uniti, anche se è improbabile che venga utilizzato frequentemente.

Sempre dal lato dell’offerta rimangono rischi di approvvigionamento dopo il colpo di stato militare del Niger e per la minore produzione della canadese Cameco. In generale dal 2019 in poi, il mercato dell’uranio ha registrato una carenza di offerta, esaurendo le eccedenze accumulate dall’incidente di Fukushima nel 2011. Questa scarsità ha fatto dunque salire i prezzi.

Dal lato della domanda, nel mondo 437 centrali nucleari sono già operative in 33 paesi e insieme forniscono circa il 10% del fabbisogno elettrico globale. Inoltre sono previsti un totale di 99 reattori nucleari, con oltre 300 altri reattori in fase di proposta. Solo la Cina punta a costruire altri 32 reattori nucleari entro la fine del decennio. Gli operatori energetici hanno acquistato più di 150 milioni di libbre di uranio nel 2023, un livello record dal 2012. L’Agenzia internazionale per l’energia sottolinea infine la necessità di raddoppiare le dimensioni dell’industria nucleare entro i prossimi due decenni per raggiungere gli obiettivi di zero emissioni nette. Il prezzo dell’uranio era intorno ai 25 dollari per libbra a fine 2019. Il rialzo in 4 anni è più o meno del 250%.

Industria Net-Zero, Consiglio Ue include nucleare tra tecnologie strategiche

Da otto a dieci tecnologie strategiche chiave per raggiungere lo ‘zero netto’, ovvero zero nuove emissioni entro il 2050. Gli Stati membri hanno adottato la posizione del Consiglio Ue sul ‘Net-Zero Industry Act’, il regolamento proposto lo scorso 16 marzo dalla Commissione europea per sviluppare un’industria a emissioni zero come pilastro centrale del Piano industriale per il Green Deal. Una risposta ‘Made in Europe’ al massiccio piano di sussidi verdi da quasi 370 miliardi di dollari varato dall’amministrazione Usa per dare una spinta agli investimenti nelle tecnologie pulite.

La proposta si compone di permessi accelerati, progetti strategici per la decarbonizzazione dell’industria europea entro il 2030 e un elenco di tecnologie chiave con cui realizzarla. Gli Stati membri al Consiglio Ue hanno mantenuto i target fissati dalla proposta della Commissione europea, ovvero il parametro indicativo di raggiungere il 40 per cento della produzione per coprire il fabbisogno dell’Ue in prodotti tecnologici strategici, come pannelli solari fotovoltaici, turbine eoliche, batterie e pompe di calore e un obiettivo specifico per la cattura e lo stoccaggio del carbonio della CO2, con una capacità annua di iniezione di almeno 50 milioni di tonnellate di CO2 da raggiungere entro il 2030.

Se gli obiettivi principali della proposta sono rimasti invariati, il Consiglio Ue cambia l’approccio sull’elenco delle tecnologie strategiche. La proposta della Commissione europea ha individuato otto tecnologie net-zero ‘strategiche’ (distinte dalle semplici tecnologie net-zero) a cui garantire tempi accelerati per le autorizzazioni e verso cui incanalare gli investimenti (nello specifico: tecnologie solari fotovoltaiche e termiche; eolico onshore e energie rinnovabili offshore; batterie e accumulatori; pompe di calore e geotermia; elettrolizzatori e celle a combustibile per l’idrogeno; biogas e biometano; cattura e stoccaggio del carbonio; tecnologie di rete).

La posizione del Consiglio Ue porta la lista da otto a dieci, includendo anche il nucleare e i combustibili alternativi sostenibili. Inoltre il mandato amplia l’elenco delle tecnologie net-zero non strategiche, includendo le soluzioni biotecnologiche per il clima e l’energia, ad altre tecnologie nucleari e alle tecnologie industriali trasformative per le industrie ad alta intensità energetica.

Secondo la posizione del Consiglio, le tecnologie strategiche a zero emissioni beneficeranno di procedure di autorizzazione snelle e realistiche e di un sostegno aggiuntivo agli investimenti, pur rispettando gli obblighi dell’Ue e internazionali. Inoltre, l’approccio generale prevede che gli Stati membri designino aree specifiche per accelerare la produzione senza emissioni – chiamate ‘aree di accelerazione net-zero’ – per identificare sinergie tra i progetti strategici o i loro cluster, per testare tecnologie innovative net-zero, facilitare i processi di concessione dei permessi.

Il testo adottato dal Consiglio rappresenta il mandato negoziale degli Stati membri per il negoziato con il Parlamento europeo, che ha adottato la sua posizione in plenaria lo scorso 21 novembre. A quanto apprende GEA il negoziato a tre tra Parlamento e Consiglio, mediato dalla Commissione europea, dovrebbe iniziare già la prossima settimana, il 12 dicembre, con l’idea di proseguire a gennaio e febbraio.

Nucleare, Pichetto: “Non previste nuove centrali ma Smr. Nessun impegno diretto dello Stato”

Per introdurre il nucleare nel mix energetico italiano non si passa dalle centrali di terza generazione. Si ragiona sugli small modular reactor, i piccoli reattori modulari definiti di “quarta generazione”, che dovrebbero essere sul mercato tra una decina d’anni. E lo Stato non avrà un impegno diretto nella costruzione degli impianti, ma solo una funzione di regolazione e autorizzazioni. Saranno poi i privati, i poli industriali, le comunità locali a decidere l’uso e la localizzazione dei piccoli reattori. E’ la strategia di Gilberto Pichetto, che vede nel percorso un passaggio obbligato per la decarbonizzazione al 2050.

Il governo non ha preso in considerazione la costruzione di alcuna centrale“, conferma il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, dal palco di un evento dell’AIN. E’ rientrato da Dubai, dove ha preso parte all’inizio dei lavori della Cop28, ed è pronto a ripartire per gli Emirati Arabi venerdì, fino al 12 dicembre, giorno di chiusura della Conferenza delle parti. Nella città emiratina il premier belga ha annunciato che organizzerà a marzo 2024, insieme all’Agenzia internazionale per l’energia atomica, il primo vertice mondiale sul nucleare: “Non escludo che l’Italia possa partecipare al vertice da osservatore”, annuncia il ministro. L’obiettivo sarebbe quello di seguire da vicino il confronto istituzionale sulle evoluzioni di questa tecnologia, riconosciuta come ‘green‘ dalla tassonomia europea.

Il contributo che il nucleare potrebbe dare al Paese avrebbe dunque una finalità ambientale e di indipendenza energetica, consentendo una piena autonomia e, sostiene Pichetto, “mettendo l’Italia al riparo dalle turbolenze della geopolitica che negli ultimi anni abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo”.

Sulle rinnovabili nessun passo indietro, garantisce: “Ci stiamo puntando al massimo, anche con gli stanziamenti del Pnrr, ma certamente una quota di nucleare aiuterebbe molto a raggiungere l’obiettivo di neutralità carbonica nel 2050“. Proprio alla Cop28, l’Italia ha aderito all’impegno di triplicare entro il 2030 la produzione di energia verde. Anche nel Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima) si prevede che il solare crescerà da 21.650 MW (2020) a 79.921 MW nel 2030, con un incremento del 369,15% mentre l’eolico crescerà da 10.907 MW (2020) a 28.140 MW nel 2030, con un incremento del 258%. In totale, l’incremento (da 32,5 a 108 MW) sarà quindi di oltre il 300%.

Il ritorno economico intorno al nucleare sarebbe non da poco. Uno studio stima in 45 miliardi di euro l’impatto della realizzazione degli small e degli advanced modular reactor, con la creazione di 52mila posti di lavoro stabili a tempo pieno: “Al di là delle stime in ogni caso è evidente la spinta anche economica e occupazionale che un ritorno al nucleare implicherebbe per il nostro Paese”, afferma il titolare del dicastero di viale Cristoforo Colombo. “L’innovazione tecnologica degli Smr promette di far diventare la generazione da nucleare più conveniente, sicura e con tempi di realizzazione più brevi rispetto a oggi“, gli fa eco il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso.

La sfida, ora, è anche sul pensiero. “Bisogna spiegare, spiegare, spiegare cos’è il nuovo nucleare, rispetto a quello oggetto del referendum”, scandisce Pichetto, osservando come fra i giovani l’avversione sia meno marcata: “Voglio ricordare come la stessa Greta Thumberg abbia criticato la chiusura delle centrali in Germania visto che l’alternativa era il ritorno al carbone che inquina e emette gas serra al contrario dei reattori”.

Nucleare, presidente AIN: E’ energia più pulita e sicura. Ma servono infrastrutture

Nel mondo si torna a parlare di nucleare. Questa volta nella strategia ambientale, di decarbonizzazione necessaria a contenere il riscaldamento globale del Pianeta. Se in Italia siamo in grado di reggere una pianificazione, nonostante due referendum contrari e quasi quarant’anni di stop alle attività, è grazie alle tantissime imprese della Penisola che hanno continuato a occuparsene all’estero. “Sa quanta gente ci lavora in Italia? Ci sono cento industrie nucleari, sono quelle che hanno salvato il nostro parco nucleare”, spiega Stefano Monti, presidente dell’AIN (Associazione Italiana Nucleare).

Non è paradossale che se ne parli in ottica ecologica?

“No, il nucleare è un’energia pulita. Le emissioni di Co2 sono fra le più basse di tutte le possibili sorgenti, abbiamo un record di sicurezza che non ha nessuno. Se si considera tutta l’energia prodotta, il nucleare è quello che ha meno morti. Per il carbone muoiono cinquecentomila persone all’anno nel mondo. E poi attenzione, quando si parla di sicurezza, si parla di fatalità”.

Cioè del rischio di un’altra Fukushima?

“A Fukushima i morti li hanno fatti il terremoto e lo tsunami. Per colpa della centrale nucleare non è morto nessuno, perché le persone sono state rilocate. C’è stato senza dubbio un impatto, perché 150mila persone hanno dovuto abbandonare la loro casa, muoversi altrove per evitare la contaminazione. In questa maniera però non è morto nessuno per l’incidente. Nel Vajont invece sono morte quasi duemila persone in una notte. E c’è un incidente in un impianto idroelettrico cinese che ha fatto 20mila morti. Anche considerando Fukushima, il nucleare dimostra di essere più sicuro rispetto ad altri. Parliamo di reattori che sono ordini di grandezza più sicuri di Fukushima, che è stato progettato negli anni Cinquanta-Sessanta e in terza generazione tra il Novanta e il Duemila, in tutti questi anni le tecnologie sono avanzate. Non sottostimiamo la rilocazione di 150mila persone, ma così facendo non ci sono stati morti, vogliamo adottare una tecnologia ben superiore, che resista a uno tsunami eccezionale”.

Il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto, ha citato uno studio che parla di un ritorno sull’economia italiana da 45 miliardi e 42mila posti di lavoro. Sono numeri attendibili?

“Sono numeri attendibili. Bisogna poi concretizzarli nella situazione del nostro Paese. Possono diventare reali se iniziamo l’implementazione del nucleare il prima possibile. Diventeranno reali quando si creeranno le condizioni perché un’utility possa prendere la decisione di realizzare un impianto nucleare e vederne l’efficacia sul territorio e sull’economia. Ci sono metodi ben consolidati per fare queste valutazioni di impatto sull’economia e sulla forza lavoro, ma per poter concretizzare è ora di mettere a terra le cose concrete da fare”.

Quali sono le cose da mettere a terra?

“Sono condizioni indipendenti dalle tecnologie. Qualsiasi tecnologia richiede che vengano sviluppate le tecnologie materiali e immateriali nel rispetto dei più alti standard di sicurezza e di salvaguardia, perché bisogna difendersi dai problemi di non proliferazione. Sono quelle infrastrutture che l’International Atomic Energy Agency ha individuato in un milestone approach che accompagna i Paesi che intendono introdurre il nucleare nel proprio mix energetico e vanno sviluppati in maniera armonica durante il progetto. Sono 19, tra queste la legislazione, la regolamentazione di sicurezza e salvaguardia e poi l’infrastruttura principe, cioè le risorse umane. Ci vogliono risorse umane in tutti i campi”.

In quanto tempo in Italia potrebbe iniziare a funzionare una centrale?

“Io chiedo sempre alla politica di dirci quali sono i suoi tempi, quando ha bisogno di avere energia nucleare in quantità apprezzabile dal punto di vista della decarbonizzazione e della sicurezza degli approvvigionamenti. Invece di buttare sempre il cuore oltre l’ostacolo e affaticarlo per nulla, cerchiamo di mettere in fila le cose da fare in maniera che a un certo punto avremo le condizioni per poter produrre in quantità. Ovviamente al 2025 è impossibile. Ma ci reattori già molto avanzati”.

E’ la terza generazione?

“Questa questione delle generazioni è molto ‘misleading’, molto legata alla commercializzazione. Parliamo dei reattori esistenti che sono i più avanzati del mercato, collaudati, provati e operati, connessi alla rete per anni. Questi reattori, volendo si possono comprare oggi. Una utility può comprarla oggi? A mio parere no, perché mancano le infrastrutture di base”.

I tempi per costruirli quali sarebbero?

“Per mettere assieme un programma nucleare, che preveda le infrastrutture di base, la realizzazione di un impianto e la connessione in rete, un periodo di tempo dell’ordine di 10 anni è ragionevole. Lo hanno fatto gli emirati Arabi partendo da zero”.

Per i piccoli reattori di cui parla il governo invece?

“Quanto agli Smr, la Francia, che è il Paese più avanzato da questo punto di vista, ha detto che di quelli ne avrà uno all’orizzonte nel 2030-2032, dunque è ragionevole per noi averlo nel 2035. Ma servono sempre le infrastrutture. Poi se il reattore è piccolo probabilmente si riescono a trovare schemi di finanziamento più semplici. I possibili finanziatori aumentano e i tempi di realizzazione di riducono”.

Nucleare, sindaco Trino: “Deposito scorie è necessario, noi pronti ad accoglierlo”

Poco meno di 7mila abitanti, proprio dove inizia la provincia di Vercelli. Non lontano dal capoluogo piemontese, ma vicino alle colline del Monferrato. Trino è uno di quei comuni come ce ne sono tanti, da nord a sud, ma la sua storia è di quelle che si fa ricordare. Qui, a metà degli anni ’60 del secolo scorso, entrò in servizio una delle quattro centrali nucleari italiane, la Enrico Fermi. Attiva fino al 1987 – quindi poco dopo il disastro di Chernobyl – fu chiusa dopo il referendum con cui gli italiani dissero ‘no’ a questa forma di energia. Alla fine degli anni ’90 la proprietà della centrale fu trasferita a Sogin, con il compito di bonificare l’area e procedere allo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Da allora sono successe molte cose, ma l’Italia non ha ancora un deposito nazionale destinato alle scorie, cioè un’infrastruttura ambientale di superficie in cui mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi prodotti in Italia, sia quelli relativi alle vecchie centrali ormai dismesse sia quelli prodotti, ad esempio, dal mondo sanitario.

E Trino che ruolo ha? Nel decreto Energia approvato una manciata di giorni fa dal governo è stata introdotta una norma che permette ai siti militari e ai comuni di autocandidarsi come sede del deposito. Già, perché nessuna delle aree idonee individuate da Sogin ha dato la propria disponibilità. E Trino non è stato nemmeno considerato adatto. Ora, però, il sindaco Daniele Pane (FdI) si dice pronto a rimettersi in gioco e apre a questa possibilità perché, dice a GEA, “c’è un problema serio e va risolto”.

Sindaco, nonostante le critiche ricevute da più fronti, lei vorrebbe rilanciare Trino come sede del deposito nazionale delle scorie. Perché lo fa?
“Per due motivi molto semplici, innanzitutto il deposito unico nazionale è necessario a tutta Italia, è un obbligo previsto dalla normativa europea, e in particolare è indispensabile per noi che tra Trino e Saluggia deteniamo la maggior quantità di radioattività italiana lungo il Po. Da lì vanno spostati subito. Il secondo motivo è determinato dal fatto che nessuno dei siti attualmente individuati si è dato disponibile e quindi rischiamo di trasformare i depositi temporanei in definitivi lì dove sono”.

Crede che il provvedimento del governo sia stato fatto proprio per agevolare la sua posizione?
“Assolutamente no, credo semplicemente che questo governo, come tutti gli altri che l’hanno preceduto, si sia accorto che senza la condivisione con i territori sarà impossibile realizzare il deposito e quindi aprono a questa possibilità, un po’ come avvenuto in Spagna dove è stata fatta una gara pubblica. Sono certo che non sarò l’unico a darsi disponibile quando e se la norma verrà approvata anche dal Parlamento”.

Il governatore Alberto Cirio dice che il Piemonte ha già fatto la sua parte e quindi è contrario a ospitare il futuro deposito. Come gli risponde?
“Guardi, io la vedo un po’ come è stato per i vaccini anti Covid: credo nella scienza e nella tecnologia. Rispetto il presidente Cirio, un grande uomo che ha saputo guidare la Regione egregiamente in un momento difficilissimo, ma su questa partita ci troviamo in disaccordo. Il ‘Not in my backyard’ oppure quell’“abbiamo già dato” non fanno parte del mio vocabolario. C’è un problema, anche serio, va risolto e io farò la mia parte per mettere in sicurezza i miei cittadini, la mia famiglia e il futuro della mia città. Al presidente e ai media mi permetto di suggerire di incontrare e parlare con chi di impresa e scienza si occupa di continuo: le università piemontesi e le associazioni industriali e vedere loro cosa ne pensano”.

Quali sono i prossimi passaggi che intende fare in merito al deposito delle scorie?
R. “Come dicevo, se e solo se dopo la pubblicazione della Cnai nessuno dei territori dovesse darsi disponibile e se il decreto verrà convertito in legge, discuteremo del tema in Consiglio comunale e daremo ampia informazione imparziale alla cittadinanza, organizzando incontri pubblici per chiarire ai cittadini tutti gli aspetti relativi a cosa sarà il deposito. A quel punto se il Consiglio mi autorizzerà a presentare l’autocandidatura lo farò e attenderemo le valutazioni degli esperti e dei ministeri. Come vede, ci sono ancora molti ‘se’ al momento, è ancora tutto prematuro. Vedremo”.

Alla Cop28, 22 Paesi hanno chiesto di triplicare l’energia nucleare entro al 2050. Qual è la sua posizione in merito a questo?
“Personalmente sono sempre stato a favore del nucleare, manifestando il mio pensiero in molte occasioni anche pubbliche, ma da ben prima che tornasse centrale nel dibattito. Mi davano del matto anche allora, era il 2009/2010, come fanno ora per il deposito… Ora si sta dicendo a livello mondiale che non si potrà mai decarbonizzare il mondo senza il contributo del nucleare… quello che dicevo 14 anni fa… vedremo come andrà per il deposito, ma spero di non dover aspettare altri 14 anni. Serve per la sicurezza di tutti, e siamo già terribilmente in ritardo”.