spreco alimentare

Stretta dell’Ue contro gli sprechi alimentari: -30% entro 2030

Sprechi di beni, sprechi di risorse, sprechi di soldi. La Commissione Europea ha deciso di dare una stretta agli sprechi alimentari e del settore tessile, di fronte all’evidenza di un problema ancora non risolto dalla legislazione comunitaria e dei 27 Paesi membri. Due proposte all’interno dello stesso quadro di revisione della Direttiva quadro sui rifiuti del 2008, che lasciano molto spazio ai Ventisette per definire le strategie e le modalità operative, ma con obiettivi che devono trovare un riscontro entro la fine del decennio.

Sul piano della lotta agli sprechi alimentari l’obiettivo fissato dal gabinetto von der Leyen è quello di un taglio entro il 2030 del 10% nella trasformazione e nella produzione e del 30% (pro capite) nella vendita al dettaglio e nel consumo, tra ristoranti, servizi alimentari e famiglie. La legislazione comunitaria prevede già che gli Stati membri attuino programmi nazionali di prevenzione e riduzione dei rifiuti alimentari in ogni fase della catena di approvvigionamento, ma finora la quantità di rifiuti “non è diminuita abbastanza”. Per questo Bruxelles spinge i Ventisette a “intraprendere azioni ambiziose e a sostenere i cambiamenti comportamentali”, ma anche a rafforzare la collaborazione tra gli attori dell’intera catena del valore alimentare. Tra le migliori pratiche identificate compare anche l’agevolazione della donazione di cibo “attraverso misure legislative e incentivi fiscali” alla ridistribuzione delle eccedenze alimentari. Prevista una revisione formale dei progressi dei Ventisette “entro la fine del 2027”.

La Commissione Ue vuole anche un’azione decisa contro gli sprechi del settore tessile. Il cuore della nuova proposta è la responsabilità dei produttori per l’intero ciclo di vita dei prodotti. Si tratta in particolare di introdurre schemi obbligatori e armonizzati di responsabilità estesa del produttore per i prodotti tessili in tutti gli Stati membri, sulla base dei risultati positivi nella gestione di imballaggi, batterie e apparecchiature elettriche ed elettroniche. vale a dire che i produttori copriranno i costi di gestione dei rifiuti tessili, “incentivandoli a ridurre i rifiuti e ad aumentare la circolarità dei prodotti tessili, progettando prodotti migliori fin dall’inizio”. L’importo da pagare sarà regolato in base alle prestazioni ambientali dei prodotti tessili, un principio noto come “eco-modulazione”.

Il risultato previsto dal gabinetto von der Leyen è quello di rendere più facile per i 27 Paesi membri Ue attuare l’obbligo di raccolta differenziata dei prodotti tessili a partire dal 2025, in linea con la legislazione attualmente in vigore. I contributi dei produttori finanzieranno gli investimenti nelle capacità di raccolta differenziata, selezione, riutilizzo e riciclaggio: “Le imprese sociali attive nella raccolta e nel trattamento dei tessili beneficeranno di maggiori opportunità commerciali e di un mercato più ampio per i tessili di seconda mano”, è quanto mette in chiaro la Commissione. Parallelamente sarà affrontata anche alla pratica dell’esportazione di rifiuti mascherata da riutilizzo verso Paesi non attrezzati per la gestione, chiarendo “cosa si intende per rifiuti e cosa per prodotti tessili riutilizzabili”. In questo modo le spedizioni potranno avvenire solo se ci sono “garanzie che i rifiuti siano gestiti in modo ecologicamente corretto”.

Rifiuti, Italia tra i nove ‘virtuosi’ in linea con obiettivi riciclo al 2025

Obiettivi di riciclo per i rifiuti urbani, obiettivo globale di riciclaggio per i rifiuti da imballaggio per il 2025 e di collocamento in discarica per il 2035. La Commissione europea ha pubblicato una relazione in cui fa il punto sul lavoro dei 27 Paesi membri per centrare gli obiettivi di riciclaggio a livello comunitario. E l’Italia è uno dei nove Paesi ‘virtuosi’ (insieme ad Austria, Belgio, Repubblica ceca, Danimarca, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Slovenia) che secondo Bruxelles sono sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi dell’Ue al 2025, ovvero il 55% (l’Italia – secondo la relazione – nel 2020 era a quota 51%, dunque molto vicina al target). Di contro, la Commissione europea osserva che 18 Stati membri rischiano di non raggiungere uno o entrambi gli obiettivi del 2025: Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Lettonia, Portogallo, Spagna e Svezia rischiano di non raggiungere l’obiettivo sui rifiuti urbani; mentre Bulgaria, Croazia, Cipro, Grecia, Ungheria, Lituania, Malta, Polonia, Romania e Slovacchia rischiano di non raggiungere gli obiettivi per i rifiuti di imballaggio urbani e complessivi per il 2025. Alcuni paesi continuano inoltre a conferire in discarica la maggior parte dei loro rifiuti urbani e probabilmente non riescono a raggiungere l’ obiettivo di smaltimento in discarica del 2035.

Nella comunicazione, la Commissione europea presenta raccomandazioni specifiche ai 18 Stati membri che rischiano di mancare i principali obiettivi di riciclaggio per il 2025. Queste riguardano un’ampia gamma di azioni: ridurre i rifiuti non riciclabili, aumentare il riutilizzo, incrementare la raccolta differenziata, sviluppare le capacità di trattamento dei rifiuti a fini di cernita e riciclaggio, migliorare la governance, impiegare strumenti economici e avviare attività di sensibilizzazione.

La Commissione europea stima che ogni anno gli europei generano in media 530 kg di rifiuti urbani pro capite (rifiuti provenienti dalle famiglie e rifiuti simili provenienti dalle imprese). Sebbene siano sempre più riciclati e meno collocati in discarica, “i rifiuti urbani rimangono uno dei flussi di rifiuti più complessi da gestire”, si legge nel rapporto. Nell’Ue, circa il 50% dei rifiuti urbani viene riciclato o compostato e il 23% viene messo in discarica. Altro dato interessante è che la quantità di rifiuti di imballaggio generati è in costante aumento: tra il 2013 e il 2020 la quantità di rifiuti di imballaggio generati è cresciuta del 15% in tutta l’Ue, raggiungendo quasi 80 milioni di tonnellate. Circa il 64% dei rifiuti di imballaggio viene ora riciclato, anche se questo varia a seconda del materiale. Più del 75% degli imballaggi di carta, cartone e metallo viene riciclato, rispetto a meno del 40% della plastica – un problema nella maggior parte dei paesi dell’UE, molti dei quali rischiano di non raggiungere l’obiettivo specifico del materiale per il riciclaggio degli imballaggi in plastica.

“L’attuazione di misure di riduzione e riciclaggio dei rifiuti sul campo è fondamentale per la nostra transizione verso un’economia circolare”, ha dichiarato il commissario europeo all’ambiente, Virginijus Sinkevičius. “Trasformare i rifiuti in risorse ci aiuta a raggiungere la neutralità climatica, aumenta la sicurezza dell’approvvigionamento di energia e materie prime e crea posti di lavoro locali e opportunità di innovazione. La relazione di allerta precoce ci consente, in stretta collaborazione con gli Stati membri, di individuare le carenze, agire in anticipo rispetto alle scadenze per il raggiungimento degli obiettivi e condividere le migliori pratiche per una corretta gestione dei rifiuti”.

Appello delle imprese all’Europa: “Rivedere regole energetiche o sarà deindustrializzazione”

Dallo Spazio Europa Experience di Roma, casa della Commissione e del Parlamento Ue, l’industria italiana tutta lancia un appello alle istituzioni europee. Durante l’evento ‘L’energia per l’Italia e l’Ue: le fonti e le regole del mercato energetico’, organizzato da Withub con la direzione editoriale di Eunews e Gea, gli imprenditori chiedono una revisione, non del percorso verso la decarbonizzazione, ma dei metodi per arrivare ai target prefissati, auspicando una vera neutralità così da evitare la deindustrializzazione. Secondo il presidente di Duferco, Federacciai e Interconnector Energy Italia, Antonio Gozzi, “l’Europa ha sbandato molto sulle politiche industriali negli ultimi 20 anni. Presa da un’ideologia finanziaria da una parte e di estremismo ambientalista dall’altra ha pensato di poter fare a meno dell’industria. Una cosa che nessuna grande area economica del mondo ha pensato di fare, perché l’industria, siccome è un fattore di progresso, viene tenuta ben stretta da tutti”. Tuttavia, spiega Gozzi, “oggi vedo che c’è una riflessione in campo, speriamo che conduca ad un approccio meno ideologico, più razionale e più pragmatico”. Anche perché già “la siderurgia italiana è campione nella decarbonizzazione in Europa e punta ad arrivare alla produzione di acciaio green entro il 2030. Si sono fatti danni negli anni, ma riconoscere che c’è stato sbandamento e non lucidità da parte dell’Ue non significa negare la necessità di una transizione”. Quello del presidente di Federacciai non vuole essere un discorso anti-europeista, al contrario, pure “noi italiani dobbiamo fare di più e meglio e dobbiamo rivendicare il principio di mercato unico, principio cardine dell’Ue”.

Certo è che “occorre evitare l’ideologia elettrica. Penso all’utilizzo di biocarburanti, del biometano, che oggi è aiutato solo se viene utilizzato per il trasporto“, quando invece si potrebbe “tranquillamente immettere in rete e distribuire. Questi elementi ci devono guidare e ci possono permettere di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, competitività e sicurezza degli approvvigionamenti“, aggiunge Paolo Gallo, amministratore delegato di Italgas. Oggi “il biometano è assolutamente competitivo, ma ci sono una serie di ostacoli, a partire da una non comprensibile ripartizione dei costi di connessione. C’è poi il tema degli impianti di biogas: oggi abbiamo una produzione che vale 2,2 miliardi, un biogas ricco di Co2 che viene bruciato in centrali a bassa efficienza per produrre energia elettrica completamente sovvenzionata. Pensate – prosegue Gallo – se gli impianti fossero convertiti a biometano: ne avremmo 1,5 miliardi domani. E la Co2 potrebbe essere catturata, senza contare la produzione di fertilizzanti: la cosiddetta economia circolare“. Da questo punto di vista si tratta di una “visione mancata a livello di Commissione Ue, bisogna usare tutte le leve disponibili“, conclude il Ceo di Italgas. Infatti “è importante mantenere un approccio neutrale e considerare tutte le possibilità che la tecnologia offre, non fermarsi solo a una”, ma “ognuna di queste opportunità va vista concretamente”, sottolinea il presidente di Enea, Gilberto Dialuce.

In realtà in Europa “c’è una deindustrializzazione in corso da anni – sentenzia Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia -, abbiamo il Prodotto interno lordo pro capite che cala, e noi italiani siamo al primo posto in questa deindustrializzazione”. Semmai “c’è stata una accelerazione con il lavoro di questa Commissione europea. C’è una crisi, una guerra in corso in Europa, e non li abbiamo convinti che ci sono cose più importanti della transizione, come la guerra”. Contro la deindustrializzazione, “se potessi, chiederei all’Europa un fondo Ue per la decarbonizzazione dell’industria hard to abate, che finora è sempre stato rifiutato”, propone Gozzi. “Magari – spiega il numero uno di Federacciai – finanziandolo come con i fondi Covid, attraverso indebitamento europeo o Eurobond. Perché l’Europa non si ingaggia davvero facendo debito comune, se è una priorità assoluta? Oltretutto, se garantito dall’Europa avrebbe costi contenuti dal punto di vista degli interessi”.

Un appello al governo italiano e alle istituzioni europee arriva infine da chi, sulla carta, sta beneficiando della transizione verso le pompe di calore, ovvero la Daikin. L’amministratore delegato per l’Italia, il belga Geert Vos, mette in guardia dal nuovo regolamento F-Gas, in discussione nei prossimi giorni, che punta alla messa al bando dei gas refrigeranti da parte dell’Ue. La norma potrebbe rendere impossibile installare un impianto di climatizzazione sui balconi, ovvero in 8 case su 10. E chi potrà ancora installarli, vedrà i prezzi salire del 40% per le pompe di calore e triplicare quelli per i climatizzatori. “Le istituzioni italiane ed europee si devono attivare per modificare il provvedimento o sarà un un grosso problema per gli italiani”, conclude Vos.

Corrao (Verdi): “Riforma mercato elettrico? Siamo in ritardo, correre ai ripari”

Siamo già in ritardo”. La riforma del mercato elettrico serve perché serviva anche prima della guerra, ma l’Europa si sta dotando di un qualcosa che assomiglia a “una copia sbiadita in bianco e nero”. Al netto di tutto, però, “meglio correre ai ripari adesso e non aspettare un altro decennio”. Ignazio Corrao, europarlamentare dei Verdi, non appare soddisfatto al 100% per quello che è stato messo sul tavolo, ma, confida nell’intervista concessa a GEA, non saranno i Greens a creare ostacoli. “Credo che l’obiettivo sia terminare il primo possibile e dare un segnale ai cittadini europei prima delle elezioni. I mesi tra ottobre e dicembre saranno cruciali”.

Avanti con discussione e iter di approvazione, con i Verdi che, assicura Corrao, cercheranno di migliorare l’impostazione generale e sventare i tentativi di quanti invece intendono lavorare in senso opposto. “Certo il rischio è dietro l’angolo, e partiti di destra come Ppe (Popolari), Ecr (Conservatori) o Id (sovranisti) faranno di tutto per tenere aperte le porte alle fossili. Senza contare la clamorosa spinta sul nucleare di Renew (liberali) che può contare sul partito di Macron e il supporto di vari paesi dell’est”. Tutti “giochi di potere e negoziazioni che possono far male alla proposta”, che comunque porta con sé elementi positivi e condivisibili. A partire dall’introduzione del divieto di disconnessione elettrica, che Corrao non esista a considerare “un grande successo”. Perché, ricorda, “noi come Verdi europei abbiamo chiesto tariffe elettriche scontate per le famiglie a basso reddito”. Illuminazione e riscaldamento “non devono diventare beni di lusso”. Per cui bene così. “Le persone hanno diritto all’energia, a contratti equi e alla libertà di produrre e condividere la propria energia”. Bene anche tassare gli extra-profitti dei ricavi marginali anche se, a detta di Corrao, c’è in deficit di coraggio nel prevederlo solo in casi eccezionali. “Stiamo parlando di ricavi marginali, non vedo il problema per non estendere la tassazione anche con un meccanismo permanente”. In fin dei conti “stiamo parlando di extra profitti di imprese che hanno decine se non centinaia di miliardi di euro, sia in periodo di crisi che non”.

Ancora, tra le cose che l’europarlamentare italiano dei Verdi accoglie è l’assenza di un disaccoppiamento dei prezzi di luce e gas. “Dalla nostra prospettiva di verdi europei non possiamo che apprezzare il fatto che la Commissione non abbia accolto questa istanza, come gruppo siamo contrari al disaccoppiamento e per il mantenimento del ‘merit order’”.

A rendere “sbiadita” la proposta di riforma è lo spazio riconosciuto all’energia da atomo. “Sono molto critico sul fatto che le energie rinnovabili e l’energia nucleare ricevano pari trattamento”. Questo si traduce, per Corrao, in “un dono all’industria nucleare e una redistribuzione dal basso: dalle tasche dei consumatori alle imprese dell’energia nucleare”. Qui la distanza con l’esecutivo comunitario non potrebbe essere più ampia. “L’energia nucleare non è compatibile con un approvvigionamento energetico sostenibile. Investire nel nucleare significa investire nel passato”, e contraddice lo spirito del Green Deal. “La transizione verde deve basarsi su fonti rinnovabili al cento per cento”. Il mercato elettrico dell’Unione europea, insiste “deve essere incentrato sulle energie rinnovabili senza aprire lo spiraglio a nuove dipendenze (gas o nucleare) che ci porterebbero a nuovi ricatti sul medio lungo termine senza dimenticare gli obiettivi climatici”. Perché alla questione ambientale si è aggiunta quella geopolitica.

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Gentiloni

Le raccomandazioni dell’Ue all’Italia: Non sovvenzionare mezzi di trasporto che non siano green

Promuovere la mobilità green, eliminare le sovvenzioni per l’acquisto di mezzi di trasporto non sostenibili, accelerare sulle rinnovabili, ridurre i combustibili fossili e, al tempo stesso, aumentare la capacità di trasporto del gas. Lo scrive la Commissione europea nelle raccomandazioni specifiche per Paese, pubblicate oggi, in cui si chiede all’Italia di “intensificare gli sforzi politici volti a fornire e acquisire le competenze necessarie per la transizione verde”.

L’Italia, si legge nel documento presentato oggi a Bruxelles, deve “ridurre la dipendenza dai combustibili fossili”, e in questo contesto “snellire le procedure autorizzative per accelerare la produzione di energia rinnovabile aggiuntiva e sviluppare le interconnessioni elettriche per assorbirla”. Contestualmente, però, il nostro Paese deve “aumentare la capacità di trasporto interno del gas per diversificare le importazioni di energia e rafforzare la sicurezza dell’approvvigionamento”. Per l’Ue, inoltre, occorre “ridurre le misure di sostegno energetico in vigore entro la fine del 2023, utilizzando i relativi risparmi per ridurre il deficit pubblico”. E se i nuovi aumenti dei prezzi dell’energia richiederanno nuove misure di sostegno, allora è necessario “garantire che siano mirate a proteggere le famiglie e le imprese vulnerabili, fiscalmente sostenibili e preservare gli incentivi per il risparmio energetico”.

Bruxelles guarda anche con grande attenzione alla declinazione italiana del Pnrr. Intanto, spiega la Commissione, Roma deve “garantire una governance efficace e rafforzare la capacità amministrativa, in particolare a livello subnazionale, per consentire un’attuazione continua, rapida e costante del Piano per la ripresa e la resilienza”. Al governo si chiede, però, di lavorare altrettanto bene, al fine di “preservare gli investimenti pubblici finanziati a livello nazionale e garantire l’effettivo assorbimento delle sovvenzioni del Recovery Fund. in particolare per promuovere le transizioni verde e digitale”. Quindi, per il governo Meloni arriva l’invito a “completare rapidamente il capitolo REPowerEU” per l’indipendenza energetica al fine di avviarne rapidamente l’attuazione”.

“Gli Stati membri dovrebbero perseguire politiche fiscali prudenti che sostengano la crescita attraverso gli investimenti”, ha detto il commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni, presentando le raccomandazioni specifiche per Paese e in tale ottica “dovrebbero dare la priorità alla corretta attuazione dei piani nazionali di ripresa e resilienza, il nostro strumento più potente per raggiungere una prosperità duratura e condivisa”. Tutti gli Stati membri dell’Ue, aggiunge, “dovrebbero continuare e, ove necessario, accelerare, la transizione dai combustibili fossili russi, che è un imperativo sia ambientale che geopolitico”.

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Ursula von der Leyen

Maltempo, per l’Emilia Romagna scende in campo l’Europa. Giovedì arriva von der Leyen

La solidarietà europea “al suo meglio”. Bruxelles accelera gli sforzi per sostenere l’Italia dopo l’alluvione in Emilia-Romagna, mettendo in campo le squadre di soccorso del Meccanismo di protezione civile dell’Ue e attivandosi per rispondere al meglio alle esigenze anche finanziarie di un suo Paese membro colpito da un disastro naturale. “Siamo pronti a fornire ulteriore assistenza al popolo italiano in questo momento difficile”, è quanto mette nero su bianco dalla Commissione Europea, commentando la richiesta di soccorso dopo le alluvioni che hanno colpito in particolare la Romagna.

Sul terreno sono già pienamente operative le squadre della protezione civile della Slovenia e della Slovacchia, come ha reso noto il commissario europeo per l’Economia, l’italiano Paolo Gentiloni: “Ho chiamato insieme al sindaco di Ravenna, Michele de Pascale, il responsabile della squadra di protezione civile europea inviata in Romagna per ringraziarlo”. Le idrovore dei team dei due Paesi membri Ue sono state inviate dopo l’immediata richiesta di attivazione del Meccanismo di protezione civile dell’Ue da parte dell’Italia, che ha visto la risposta anche di Austria, Bulgaria, Francia, Germania, Polonia e Romania a inviare nelle zone colpite dalle alluvioni attrezzature di pompaggio ad alta capacità. Per la mappatura satellitare delle aree alluvionate, il sistema Copernicus fornisce dal 16 maggio costanti aggiornamenti.

Ma c’è di più. Che la solidarietà europea all’Italia sia una priorità di Bruxelles lo dimostrano le parole del presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini: “Giovedì (25 maggio, ndr) verrà la presidente Ursula von der Leyen“. L’annuncio ha colto di sorpresa anche l’esecutivo comunitario, che solo mercoledì mattina ha confermato il viaggio nei territori alluvionati da parte della numero uno della Commissione, “per testimoniare sul campo la devastazione causata dalle alluvioni della scorsa settimana ed esprimere il sostegno dell’Ue”. Presumibilmente al centro della visita di von der Leyen ci sarà anche l’attivazione del Fondo di solidarietà dell’Unione Europea (Fsue), un dispositivo che permette di mobilitare fino a 500 milioni all’anno – oltre ai fondi non spesi dell’anno precedente – per coprire parte dei costi per la ricostruzione. Gli Stati membri colpiti da una catastrofe naturale possono richiederne l’attivazione alla Commissione entro 12 settimane dalla data dei primi danni rilevati, allegando alla domanda una stima dei danni.

Se però questo dispositivo ammette solo interventi d’emergenza come il “ripristino immediato del funzionamento delle infrastrutture nei settori dell’energia, delle telecomunicazioni, dei trasporti, della sanità e dell’istruzione” (dall’attivazione nel 2002 l’Ue ha stanziato a Roma quasi un terzo degli 8,2 miliardi complessivi), la risposta Ue sul breve termine continuerà con le squadre inviate attraverso il Meccanismo di protezione civile. Istituito nel 2001, è il mezzo attraverso cui i 27 Paesi membri e altri 9 Stati partecipanti (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Islanda, Macedonia del Nord, Montenegro, Norvegia, Serbia, Turchia e Ucraina) possono rafforzare la cooperazione per la prevenzione, la preparazione e la risposta ai disastri, in particolare quelli naturali. Il Meccanismo comprende un pool europeo di protezione civile, formato da risorse pre-impegnate dagli Stati aderenti, che possono essere dispiegate immediatamente all’occorrenza, ed è la Commissione a coordinare la risposta di solidarietà degli altri partecipanti con un unico punto di contatto, contribuendo almeno a tre quarti dei costi operativi.

Gentiloni

L’Ue alza le previsioni di crescita dell’Italia: +1,2% nel 2023

L’economia europea continua a mostrare resilienza in un contesto globale difficile. I prezzi dell’energia più bassi, l’allentamento dei vincoli di offerta e un forte mercato del lavoro hanno sostenuto una crescita moderata nel primo trimestre del 2023, dissipando i timori di una recessione. Questo inizio d’anno migliore del previsto innalza le prospettive di crescita per l’economia dell’Ue all’1,0% nel 2023 (0,8% nelle previsioni intermedie invernali) e all’1,7% nel 2024 (1,6% in inverno). Lo scrive la Commissione Europea nelle sue previsioni economiche di primavera.  “L’economia europea è in condizioni migliori di quanto previsto lo scorso autunno”, afferma il commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni. “Grazie agli sforzi determinati per rafforzare la nostra sicurezza energetica, un mercato del lavoro notevolmente resiliente e l’allentamento dei vincoli di offerta, abbiamo evitato una recessione invernale e siamo pronti per una crescita moderata quest’anno e il prossimo”, aggiunge.

Le revisioni al rialzo per l’area dell’euro sono di entità simile, con una crescita del Pil ora prevista rispettivamente all’1,1% e all’1,6% nel 2023 e nel 2024. Sulla scia delle persistenti pressioni sui prezzi core, anche l’inflazione è stata rivista al rialzo rispetto all’inverno, al 5,8% nel 2023 e al 2,8% nel 2024 nell’area dell’euro. Per quanto riguarda l’Italia, rispetto al 3,7% del 2022, si prevede che la crescita del Prodotto interno lordo reale dell’Italia rallenti all’1,2% nel 2023 e all’1,1% nel 2024, poiché i prezzi più elevati frenano i consumi privati mentre gli investimenti, sostenuti dalle misure del governo, continuano a espandersi vigorosamente. Rispetto alle stime di febbraio, all’Italia si riconosce uno 0,3% di crescita in più per l’anno in corso e 0,1% in più per il 2024. In Italia “il tasso di inflazione dovrebbe moderarsi al 6,1% quest’anno, grazie al calo dei prezzi dell’energia, e scendere ulteriormente al 2,9% nel 2024”.

I prezzi dell’energia più bassi migliorano le prospettive di crescita. Secondo la stima flash preliminare di Eurostat, nel primo trimestre del 2023 il PIL è cresciuto dello 0,3% nell’Ue e dello 0,1% nell’area dell’euro. Gli indicatori anticipatori suggeriscono una crescita continua nel secondo trimestre. L’economia europea è riuscita a contenere l’impatto negativo della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, resistendo alla crisi energetica grazie ad una rapida diversificazione dell’offerta e ad un consistente calo dei consumi di gas. I prezzi dell’energia nettamente più bassi si stanno facendo strada nell’economia, riducendo i costi di produzione delle imprese. Anche i consumatori stanno vedendo calare le loro bollette energetiche, sebbene i consumi privati siano destinati a rimanere contenuti poiché la crescita dei salari è in ritardo rispetto all’inflazione.

Poiché l’inflazione rimane elevata, le condizioni di finanziamento sono destinate a irrigidirsi ulteriormente. Anche se si prevede che la Bce e le altre banche centrali dell’Ue si avvicineranno alla fine del ciclo di rialzi dei tassi di interesse, è probabile che le recenti turbolenze nel settore finanziario aumenteranno la pressione sui costi e sulla facilità di accesso al credito, rallentando la crescita degli investimenti e colpendo particolare investimento residenziale.

Dopo aver raggiunto il picco nel 2022, l’inflazione complessiva ha continuato a diminuire nel primo trimestre del 2023 in un contesto di forte decelerazione dei prezzi dell’energia. L’inflazione core (inflazione complessiva esclusi energia e alimenti non lavorati) si sta, tuttavia, rivelando più persistente. A marzo ha raggiunto un massimo storico del 7,6%, ma si prevede che diminuirà gradualmente nell’orizzonte di previsione man mano che i margini di profitto assorbono le maggiori pressioni salariali e le condizioni di finanziamento si restringono. La stima dell’indice armonizzato flash dei prezzi al consumo di aprile per l’area dell’euro, pubblicata dopo la data limite di questa previsione, mostra un calo marginale del tasso di inflazione core, il che suggerisce che potrebbe aver raggiunto il picco nel primo trimestre, come previsto. Su base annua, l’inflazione core nell’area dell’euro nel 2023 è fissata in media al 6,1%, prima di scendere al 3,2% nel 2024,

L’Europa ‘sballata’ di Calenda, il green e le esigenze delle nostre imprese

In una intervista a Libero, il leader di Azione Carlo Calenda – che tra l’altro ha un passato da eurodeputato dal 2018 al 2022 e che è stato Rappresentante permanente dell’Italia all’Ue durante il governo Renzi – l’ha toccata piano con l’Europa, con Ursula von der Leyen e con Frans Timmermans. Sintetizzando, ha detto che la Ue vive in una sorta di universo parallelo, che il progetto di arrivare a emissioni zero è irrealistico, che il vicepresidente della Commissione vende il miraggio verde per puntare alla rielezione. La chiosa è questa: “L’Europa è un gran casino”. Amen.

Siccome Calenda in teoria dovrebbe rappresentare il Terzo Polo (ei fu) e quindi il pensiero moderato che non è né di destra né di sinistra, viene da riflettere su quali ragioni lo abbiano spinto a picchiare così duro, tra l’altro con l’affaccio sulle elezioni del 2024. Supponiamo che avrà avuto le sue motivazioni politico-strategiche, Calenda, ma allargando il perimetro del ragionamento è fuori discussione che la deriva molto green presa dalla Ue sia motivo di scontento diffuso. Per lo meno di discussione preoccupata.

Proprio questa tematica sarà il fulcro del dibattito che alimenterà il primo panel dell’evento sull’energia organizzato per fine maggio dal gruppo Withub, con GEA ed Eunews. Perché la domanda è una sola, abbastanza semplice nella strutturazione ma molto complessa nella risposta: quanto incidono le normative Ue sulle prospettive di sopravvivenza e crescita delle nostre imprese? Riuscire a mettere insieme le severissime regole europee sul green – dalle auto elettriche alle case, ai nuovi regolamenti Ets (Emission Trading Scheme), fino al Nutriscore e all’etichettatura del vino) – con le comprensibili esigenze delle nostre imprese appare un risiko complicatissimo. Tanto che, sempre più spesso, il dialogo diventa scontro e lo scontro disunisce un’Europa che raramente ha fornito un’immagine di monoliticità. L’ultima spallata l’ha data Margrethe Vestager, vicepresidente esecutiva con delega alla concorrenza, sostenendo che l’industria andrà decarbonizzata “entro il 2025”. Aperta parentesi: siamo a maggio 2023 e anche se nulla è impossibile sembra una prospettiva abbastanza improbabile.

Sempre per citare Calenda, “l’Europa ci è indispensabile per l’export e perché ci consente una stabilità finanziaria che non avremmo” ma questo beneficio va pagato a caro prezzo. “Un pezzo di tedeschi e di francesi è già contro le politiche ultra-ambientaliste che la von der Leyen ha sposato per un certo opportunismo”, bacchetta ancora il leader di Azione pensando alla transizione ecologica non alla rivoluzione ecologica. Tra una schermaglia dialettica e l’altra, nel mezzo ci sono state le battaglie per il price cap, per il decoupling, per i biocarburanti, eccetera eccetera. Battaglie, appunto.

commissione ue

Dal Green Deal al ‘Fit for 55’, i piani Ue per decarbonizzare l’economia

Una tabella di marcia, ma anche e soprattutto una strategia di crescita economica a emissioni zero. Nel 2019 la Commissione europea da poco insediata a Palazzo Berlaymont ha presentato il Green Deal, il Patto verde per l’Europa fissando l’impegno a non generare più nuove emissioni nette di gas a effetto serra dal 2050 e a dissociare la crescita economica dall’uso delle risorse. Da lì, la Commissione ha adottato una serie di proposte per trasformare in maniera più o meno radicale le politiche europee in materia di clima, energia, trasporti e fiscalità in modo da ridurre l’impatto dell’economia europea sul clima e sulla generazione delle emissioni. Nel 2021 è arrivata la prima Legge (europea, ma anche globale) sul clima che per la prima volta ha reso giuridicamente vincolante l’obiettivo di raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050 e di tagliare le emissioni del 55% (rispetto ai livelli registrati nel 1990) entro il 2030, come tappa intermedia per la neutralità climatica. Il tema sarà fra quelli affrontati il 30 maggio a Roma durante l’evento ‘L’energia per l’Italia e l’Ue: le fonti e le regole del mercato energetico’, organizzato da Withub con la direzione editoriale di GEA ed Eunews, durante il panel L’impatto delle normative Ue sull’economia: come realizzare gli obiettivi di decarbonizzazione senza mettere in crisi l’industria’.

L’accordo in Ue sulla prima Legge climatica ha impegnato tra le altre cose Bruxelles a stabilire un nuovo obiettivo climatico intermedio anche per il 2040 (da fissare nei prossimi anni) e un bilancio indicativo previsto per i gas a effetto serra dell’Unione per il periodo 2030-2050, ovvero quante emissioni nette di gas serra possono essere emesse in quell’arco temporale senza mettere a rischio gli impegni dell’Unione. Sono tutti impegni a cui l’esecutivo comunitario lavora in questo momento, agli sgoccioli dell’attuale legislatura. A luglio 2021 è arrivato l’ambizioso pacchetto sul clima ‘Fit for 55’, che letteralmente significa ‘pronti per il 55’, in riferimento all’obiettivo climatico per il 2030. Una tabella di marcia per arrivare al 2030 con il 55% di emissioni in meno (ottimisticamente, arrivare anche al 57%) attraverso una serie di iniziative legislative presentate da Bruxelles per rivoluzionare la politica energetica e climatica dell’Unione europea, tra cui la revisione delle direttive energie rinnovabili ed efficienza energetica (entrambe del 2018), l’introduzione di un’innovativa tassa sul carbonio alle frontiere sulle emissioni importate, ma anche la revisione del mercato del carbonio interno all’Ue.

Quasi due anni dopo la sua presentazione da parte della Commissione e a un anno dalla fine della legislatura nel 2024, i co-legislatori europei (Parlamento e Consiglio) hanno già raggiunto accordi politici su una buona parte dei principali dossier legislativi del pacchetto. Uniti negli intenti della transizione energetica, gli Stati membri spesso non si trovano d’accordo su come realizzarla concretamente, temendo ricadute sul tessuto sociale ma anche industriale. Ne è stato un esempio lo stallo dei mesi scorsi sul dossier che riguarda le emissioni delle auto, che tra le altre cose prevede lo stop alla vendita di motori tradizionali a combustione (come diesel e benzina) dal 2035. La misura è stata contestata anche in Italia, che ha chiesto (senza ottenerla) una apertura alla Commissione europea per immatricolare dopo il 2035 motori alimentati da biocarburanti, di cui il Paese è produttore.

Timori per le ripercussioni sociali sono stati sollevati anche per quanto riguarda il maxi pacchetto di revisione del mercato europeo del carbonio, che comprende la riduzione progressiva delle quote gratuite per l’industria e l’estensione anche ai carburanti per i trasporti su strada e per gli edifici. Per compensare il costo sociale di questa transizione che rischia di essere contesta nei Paesi membri una volta che la rivoluzione sarà attuata, tra le tredici proposte del pacchetto Bruxelles ha lavorato per introdurre il Fondo sociale per il clima, uno strumento finanziario compensatorio che mobiliterà 86,7 miliardi di euro tra 2026 e 2032 ed è stato introdotto letteralmente all’ultimo minuto, con l’idea di compensare i costi aggiuntivi della transizione per i più vulnerabili. Il fondo è chiaramente un modo della Commissione per contrastare le critiche (che comunque non mancheranno), contro chi già preannuncia rivolte politiche e sociali alla stregua dei gilet gialli francesi che a partire dal 2018 occuparono le strade di centinaia di città francesi per protestare contro le nuove tasse imposte da Macron che avrebbero fatto aumentare il prezzo del gasolio e della benzina.

commissione ue

‘Fit for 55’, a che punto è l’attuazione del pacchetto Ue sul clima

Tredici proposte legislative, di cui otto revisioni di leggi esistenti e cinque nuove proposte. Il ‘Fit for 55’ è stato presentato dalla Commissione Europea il 14 luglio 2021 come il più ambizioso pacchetto sul clima finora varato in Unione Europea, pensato con l’obiettivo di portare il Continente a tagliare le emissioni di gas serra del 55% (rispetto ai livelli registrati nel 1990) entro il 2030, come tappa intermedia per l’azzeramento delle emissioni entro il 2050 (per raggiungere la cosiddetta neutralità climatica).

Una tabella di marcia per arrivare al 2030 con il 55% di emissioni in meno (ottimisticamente, arrivare anche al 57%) attraverso una serie di iniziative legislative, tra cui la revisione delle direttive energie rinnovabili ed efficienza energetica (entrambe del 2018), l’introduzione di una tassa sul carbonio alle frontiere, ma anche la revisione del mercato del carbonio interno all’Ue. Quasi due anni dopo la sua presentazione da parte della Commissione e a un anno dalla fine della legislatura nel 2024, i co-legislatori europei (Parlamento e Consiglio) hanno già raggiunto accordi politici su una buona parte dei principali dossier legislativi del pacchetto.

Il primo dossier su cui i co-legislatori hanno raggiunto un accordo a ottobre è stato quello sui cui nelle ultime settimane il via libera formale in seno al Consiglio Ue è stato più sofferto, ovvero gli standard di emissioni CO2 per nuove autovetture che prevede, tra le altre cose, lo stop alla vendita di auto con motore a combustione interna dal 2035. Sul fascicolo, il primo del ‘Fit for 55’ su cui è stato raggiunto un accordo, si è aperto nelle scorse settimane un serrato negoziato tra Commissione europea e Germania per una esenzione sui carburanti sintetici, gli efuels. La stessa deroga voleva ottenerla l’Italia per i biocarburanti, ma non ci è riuscita.

A novembre è arrivata poi l’intesa sulla revisione del regolamento sulla condivisione degli sforzi (l’Effort sharing regulation), che fissa obiettivi annuali vincolanti in materia di emissioni di gas a effetto serra per gli Stati membri in settori che non rientrano nel sistema di scambio di quote di emissione, ovvero il trasporto stradale e il trasporto marittimo interno, gli edifici, l’agricoltura, i rifiuti e le piccole industrie. Accordo anche sulla revisione del regolamento sull’uso del suolo, sul cambiamento di uso del suolo e sulla silvicoltura (LULUCF) che stabilisce per l’Ue un impegno vincolante a ridurre le emissioni e aumentare gli assorbimenti di carbonio ‘naturali’, nei settori dell’uso del suolo e delle foreste.

Solo a dicembre (e dopo ben trenta ore di discussione) i negoziatori dell’Unione europea hanno raggiunto un accordo sui tre principali fascicoli legislativi del pacchetto: la riforma del sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (l’Ets – Emission Trading System), ovvero il mercato europeo del carbonio, che tra l’altro prevede la creazione di un secondo sistema Ets applicato a edifici e trasporti; poi, la creazione di un Fondo sociale per il clima per ammortizzare i costi della transizione e l’introduzione di una tassa sul carbonio alle frontiere (il cosiddetto meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, CBAM) per tassare le emissioni di alcuni settori ad alta intensità (ferro e acciaio, cemento, fertilizzanti, alluminio, elettricità e idrogeno, nonché le emissioni indirette, ovvero le emissioni che non avvengono nel processo produttivo in sé, ma attraverso l’utilizzo di energia elettrica generata con combustibili fossili)

Ultimi in ordine di tempo, ma non per importanza, gli accordi politici raggiunti a marzo tra i co-legislatori sul regolamento per la diffusione delle infrastrutture per i combustibili alternativi (Afir), una nuova legislazione per aumentare il numero di stazioni di ricarica elettrica e di rifornimento di idrogeno accessibili per gli autisti su tutto il territorio comunitario; sulla revisione della direttiva sull’efficienza energetica e della direttiva sulle rinnovabili, aumentandone i target. Parlamento e Consiglio hanno raggiunto a marzo anche un’intesa sull’uso di combustibili rinnovabili e a basse emissioni di carbonio nel trasporto marittimo (l’iniziativa ‘FuelEU Maritime’) per ridurre l’intensità dei gas a effetto serra dell’energia usata a bordo delle navi fino al 75% entro il 2050, promuovendo l’uso di combustibili più ecologici da parte delle navi.

In sospeso resta ancora da raggiungere un accordo sulla revisione della direttiva sulla tassazione “minima” dei prodotti energetici e dell’elettricità, che attualmente è ancora ferma in discussione in sede di Consiglio. E sulla proposta ‘ReFuelEU Aviation’ che mira a ridurre l’impronta ambientale del settore del trasporto aereo, su cui i negoziati con il Parlamento europeo devono iniziare.