Dal bilancio Ue 547 miliardi per gestire crisi e mitigazione climatica entro il 2027

Lotta ai cambiamenti climatici, mitigazione dei rischi e contrasto ai fenomeni meteorologici estremi. I soldi ci sono, e non sono pochi. Oltre cinquecento miliardi di euro, quasi un terzo del totale della dote a dodici stelle da investire qui. Da Bruxelles giunge il promemoria per gli Stati, invitati a utilizzare le tante risorse a disposizione. Del resto, ricorda la commissaria per la Coesione, Elisa Ferreira, c’è l ’accordo inter-istituzionale che accompagna il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e che prevede “l’impegno a spendere almeno il 30% di tutte le risorse disponibili nell’ambito del bilancio settennale e di NextGenerationEU”, il programma di ripresa post-pandemico.

A prezzi costanti il solo bilancio settennale dell’Ue vale 1.074 miliardi, a cui si aggiungono i 750 miliardi di euro del programma di ripresa post-pandemico. Il 30% di tutto questo si traduce in 547,2 miliardi di euro “per affrontare gli obiettivi climatici, compreso l’adattamento. Sono diversi i capitoli da cui attingere. Il solo programma ‘Ambiente e azione per il clima’ vale 12,8 miliardi. Qui ricadono il Just Transition Fund (transizione sostenibile) e il programma Life (conservazione della natura), ma ci sono anche le risorse messe a disposizione dalle politiche di coesione (330 miliardi in totale, tra i diversi fondi). A questi si aggiungono i programmi Horizon (ricerca), per soluzioni innovative, InvestEU (investimenti strategici), politica agricola comune e fondo per il mare. Senza dimenticare il meccanismo di protezione civile (1,1 miliardi) per le emergenze, che potrebbe anche vedere l’arrivo di soldi extra. Nel processo di revisione intermedia di bilancio, la Commissione ha proposto un aumento di 2,5 miliardi di euro della riserva per la solidarietà e gli aiuti d’urgenza per rafforzare la capacità dell’Ue di affrontare crisi e situazioni di emergenza. Se approvata, salirebbe a 549,7 miliardi il totale per far fronte alla questione climatica.

Tutto questo ‘tesoretto’ per il clima riaccende una volta di più le luci dei riflettori sulla capacità dei governi di fare buon uso delle risorse, attraverso la buona politica. “Il regolamento recante disposizioni comuni che disciplina il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo Plus, il Fondo di coesione, il Fondo per una transizione giusta e il Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura, richiede che la prova climatica sia parte integrante della programmazione e dell’attuazione di questi fondi”, ricorda Ferreira, a riprova del fatto che la questione climatica è sempre più centrale nell’agenda europea, come pure quella nazionale.

La necessità di un’attenzione al clima, con le risorse dedicate, ripropone il tema della capacità di attuare le riforme, in particolare quelle concordate con Bruxelles per la messa in atto dei piani nazionali per la ripresa (Pnrr) che prevedono azioni e misure per clima, ambiente. Un nuovo invito a fare presto e bene, in nome di ambiente, tenuta economica e competitività.

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Cala ancora la domanda di gas in Europa. E continuerà a scendere nella seconda metà del 2023

La domanda di Gas in Europa è diminuita drasticamente nella prima metà del 2023 e questa tendenza sembra destinata a continuare nella seconda metà dell’anno. E’ quanto emerge da un rapporto del secondo il Forum degli Esportatori di Gas (GECF). Sotto esame dall’inizio della guerra in Ucraina, che ha complicato le forniture di Gas all’Ue privata dei gasdotti russi, il consumo è sceso del 10,6% nella prima metà del 2023, ovvero di 21 miliardi di metri cubi.

Secondo il rapporto, questo calo può essere spiegato “principalmente dall’inverno eccezionalmente caldo” in Europa nel primo trimestre del 2023, che ha portato a un calo della domanda di riscaldamento domestico. Il rapporto cita anche la politica proattiva di Bruxelles, che ha fissato un obiettivo di riduzione dei consumi del 15% per i 27 Paesi membri.

Nella seconda metà del 2023, “la probabilità di osservare tendenze simili nel consumo di Gas naturale in Europa rimane particolarmente elevata”, secondo il Gecf, che raggruppa una dozzina di Paesi esportatori di Gas al di fuori degli Stati Uniti. In particolare, si basa sulle più recenti previsioni meteorologiche “che suggeriscono che il quarto trimestre del 2023 sarà caratterizzato da condizioni relativamente più calde”.

Al di là di questo aspetto legato al clima, il rapporto sottolinea la necessità che l’Europa continui la sua politica volontaria di sobrietà. Il documento menziona il calo della domanda da parte del settore industriale, che “difficilmente si riprenderà in modo sostanziale nei prossimi sei mesi”. Nella prima metà del 2023, infatti, nonostante il calo dei prezzi del Gas in Europa, la domanda industriale non è tornata ai livelli precedenti al declino. “Per il 2023, prevediamo un calo tra l’8% e il 10% rispetto al 2022”, afferma il Forum.

Questo non impedisce ai Paesi europei di riempire gli impianti di stoccaggio in vista dell’inverno: secondo i dati aggregati di Gas Infrastructure Europe (Gie), la media dei 27 Paesi membri dell’Unione Europea ha superato il target del 90% delle capacità, come stabilito dal Regolamento Ue RePowerEu. Secondo l’ultimo aggiornamento la media delle scorte europee ha raggiunto la soglia fissata con più di due mesi di anticipo sulla data stabilita dal Regolamento, il 1° novembre 2023. Le scorte in Italia sono salite dello 0,22% rispetto alla rilevazione precedente al 90,62%. Gli unici Paesi membri Ue a non aver ancora toccato quota 90% sono Belgio (87,85%), Danimarca (86,55%), Francia (84,04%), Lettonia (77,33%), Romania (82,72%) Ungheria (85,75%). Il livello massimo di riempimento degli stoccaggi è stato raggiunto dalla Spagna, con il 99,98%.

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Batterie, entra in vigore il regolamento Ue per una catena di valore più sostenibile

“Le batterie sono strategiche per la transizione dell’Ue verso un’economia neutrale dal punto di vista climatico”. Lo scrive la Commissione Europea su X annunciando che dal 17 agosto “il Regolamento sulle batterie garantirà che le batterie siano sicure, circolari e sostenibili durante il loro intero ciclo di vita”. Il via libera definitivo al Regolamento presentato nel 2020 dalla Commissione Ue – sulla base dell’accordo tra i co-legislatori del 9 dicembre 2022 – era arrivato lo scorso 14 giugno dall’Eurocamera e il 10 luglio dal Consiglio dell’Ue.

Il nuovo Regolamento rafforza le norme di sostenibilità per le batterie e ne disciplina l’intero ciclo di vita, dalla produzione al riutilizzo, fino al riciclo dei rifiuti. Sono incluse tutte le batterie e i relativi rifiuti: batterie portatili, industriali, per i veicoli elettrici, per l’avviamento, l’accensione e la fulminazione (utilizzate principalmente per veicoli e macchinari) e per mezzi di trasporto leggeri (biciclette elettriche, monopattini elettrici ed e-scooter).

Al centro della legislazione comunitaria c’è lo sforzo di ridurre gli impatti ambientali e sociali durante l’intero ciclo di vita delle batterie, con regole stringenti per gli operatori che devono verificare l’origine delle materie prime utilizzate per le batterie immesse sul mercato. Per questo motivo sono previsti requisiti di etichettatura e informazione sui componenti e sul contenuto riciclato, anche attraverso un “passaporto della batteria” elettronico (entro il 2026) e un codice QR (entro il 2027).

Per quanto riguarda la raccolta dei rifiuti di batterie portatili da parte dei produttori, è stato stabilito l’obiettivo del 45 per cento entro la fine del 2023, del 63 entro il 2027 e del 73 entro il 2030, con un target specifico per i rifiuti di batterie per mezzi di trasporto leggeri al 51 per cento entro la fine del 2028 e al 61 entro il 2031. Sul piano dei livelli minimi di litio recuperato dai rifiuti di batterie è previsto l’obiettivo del 50 per cento entro la fine del 2027 e dell’80 entro il 2031. Per cobalto, rame, piombo e nichel è invece pari al 90 per cento entro il 2027 e al 95 entro il 2031.

Tra le introduzioni del nuovo Regolamento Ue c’è anche l’obbligo entro il 2027 per cui le batterie portatili incorporate negli apparecchi siano rimovibili e sostituibili dall’utente finale, lasciando agli operatori il tempo sufficiente per adattare la progettazione dei loro prodotti a questo requisito.

Ecco le regole Ue per viaggiare con cani e gatti al seguito

A chi lascio Fuffy? Adesso come faccio con Cocò? Per chi possiede un cane o un gatto le vacanze estive rischiano di diventare motivo di stress. Nessun problema, nell’Ue viaggiare con il proprio animale da compagnia si può. A patto di seguire le norme comunitarie ed essere in regola con tutto ciò che viene richiesto. In linea di principio generale, per potersi spostare da uno Stato membro dell’Ue altro con cani, gatti e furetti, serve che l’amico a quattro zampe abbia regolare microchip (o un tatuaggio chiaramente leggibile se applicato prima del 3 luglio 2011). Occorre poi che sia stato vaccinato contro la rabbia e abbia subito un trattamento contro la tenia Echinococcus multilocularis, se la zona di destinazione fa parte di quelle non affette da tale tenia (Finlandia, Irlanda, Malta, Norvegia e Irlanda del Nord).

Ricordarsi poi dei documenti. Per poter attraversare le frontiere con trasportini e gabbie serve un un passaporto europeo per animali da compagnia in corso di validità, se si viaggia da un paese dell’Ue o dall’Irlanda del Nord verso un altro paese dell’Ue, o verso l’Irlanda del Nord, o un certificato sanitario dell’Ue, se si viaggia verso un paese terzo. E’ bene avere tutto in regola, perché altrimenti in alcuni casi l’animale non potrà proseguire il viaggio e, in situazioni estreme, come nel caso delle isole, anche essere abbattuto.
Un passaporto europeo per animali da compagnia è un documento basato su un modello standard dell’Ue ed è essenziale per gli spostamenti tra i paesi membri (più Norvegia e Irlanda del Nord). Contiene una descrizione e i dettagli relativi all’animale da compagnia, compreso il suo codice microchip o tatuaggio, il codice relativo alla vaccinazione antirabbica e gli estremi del proprietario e del veterinario che ha rilasciato il passaporto. Il passaporto europeo per cane, gatto o furetto è rilasciato da qualsiasi veterinario autorizzato dalle autorità competenti. Una volta ottenuto non c’è alcuna necessità di rinnovo: lo speciale documento è valido per tutta la vita, a condizione che la vaccinazione contro la rabbia sia valida.

Per destinazioni extra-Ue o arrivi da un territorio extra-Ue l’animale da compagnia deve invece esere munito di un certificato sanitario dell’Ue rilasciato da un veterinario ufficiale appartenente al servizio veterinario pubblico del Paese di partenza non più di 10 giorni prima dell’arrivo dell’animale da compagnia nell’Ue. In aggiunta, occorre compilare e allegare al certificato sanitario dell’animale da compagnia una dichiarazione scritta attestante che il viaggio non è dovuto a motivi commerciali.
Di norma, gli animali da compagnia devono viaggiare con i proprietari. Esiste tuttavia la possibilità di delega. Si può autorizzare per iscritto un’altra persona ad accompagnare l’animale da compagnia al proprio posto previa compilazione dell’apposito modulo scaricabile sui siti della Commissione europea. In questo caso però il proprietario di Fuffy, Cocò o Rascal dovrà raggiungere l’amico animale entro 5 giorni dal suo trasferimento.

Le regole Ue consentono la libera circolazione con un massimo di cinque animali da compagnia. In caso di un numero superiore occorre comprovare che lo spostamento con così tanti cani, gatti o furetti è legato alla partecipazione a competizioni, esposizioni o eventi sportivi (fornendo copia di invito e un documento di iscrizione), e che ognuno dell’esemplare abbia un’età superiore a 6 mesi.
Per tutti gli altri animali da compagnia diversi da cani, gatti e furetti (quali ad esempio roditori, conigli, uccelli) la Commissione Ue invita a verificare le norme nazionale del Paese in cui si vuole soggiornare.

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In Ue è emergenza incendi, ma cala il numero di vigili del fuoco occupati

L’emergenza incendi cresce, ma i vigili del fuoco diminuiscono. La gestione dei disastri naturali che si stanno intensificando in questo 2023 dalle temperature record diventa ancora più preoccupante alla luce del quadro tracciato da Eurostat sull’occupazione 2022 dei professionisti della lotta anti-incendio. Perché in un solo anno – tra il 2021 e il 2022 – in tutta l’Unione Europea sono diminuiti di oltre 5 mila unità i vigili del fuoco, con un forte calo registrato in 10 Paesi membri che ha trascinato verso il basso la media dei Ventisette.

La denuncia arriva dalla Confederazione europea dei sindacati (Etuc): “I tagli hanno inciso sulla capacità dell’Europa di far fronte agli incendi causati dall’estate più calda mai registrata”. Più di un terzo dei Paesi membri Ue non ha ritenuto necessario mantenere quantomeno stabile il livello di vigili del fuoco arruolati – Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Lettonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Svezia e Ungheria – e questo ha avuto un impatto su tutta l’Unione: la diminuzione generale si attesta al -1,5%, ovvero 5.288 professionisti in meno. Tra il 2021 e il 2022 i tagli percentuali più consistenti si sono verificati in Slovacchia (-30%), Bulgaria (-22) e Portogallo (-21), ma in doppia cifra sono andati anche Belgio (-19), Romania (-15), Lettonia (-14) e Francia (-12). In termini assoluti invece è la Francia il membro Ue con il record negativo (-5.446), seguita da Romania (-4.250), Portogallo (-2.907) e Slovacchia (-2.702), con altri tre Paesi in deficit di oltre mille unità: Germania (-1.821), Belgio (-1.787) e Bulgaria (1.768).

A nulla sono valsi gli sforzi degli altri 12 Paesi membri Ue (per Austria, Danimarca, Irlanda, Lussemburgo e Malta non ci sono dati disponibili) nell’aumentare i propri organici di vigili del fuoco. A trainare l’occupazione 2022 per la lotta anti-incendi in questa stagione estiva sono stati i Paesi mediterranei – Grecia (+6.900), Spagna (+5.233) e Italia (+2.004) – con il contributo di Repubblica Ceca (+1.578) e Lituania (+1.049), oltre a Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Paesi Bassi e Polonia. Come sottolinea Eurostat, nel 2022 c’erano 359.780 vigili del fuoco professionisti nell’Ue, pari allo 0,2 per cento dell’occupazione totale: Grecia, Estonia e Cipro hanno registrato la quota più alta nell’occupazione nazionale (oltre lo 0,4 per cento), mentre Paesi Bassi e Francia hanno registrato le quote più basse intorno allo 0,1. Ma è chiara la preoccupazione dell’Etuc, relativa alla proposta di riforma del patto di stabilità: “Ulteriori tagli se l’Ue reintrodurrà le regole dell’austerità a gennaio“. In questo scenario “l’importo che i Paesi saranno costretti a tagliare dai bilanci nazionali il prossimo anno per rispettare le nuove regole” sarebbe pari a quello necessario per pagare lo stipendio di “oltre un milione di lavoratori del settore pubblico”.

Durissima la reazione della segretaria generale dell’Etuc, Esther Lynch – “tagliare il numero dei vigili del fuoco nel bel mezzo di una crisi climatica è una ricetta per il disastro” – in particolare sulla prospettiva di una austerità 2.0: “Tutti i Paesi dovrebbero investire nei loro servizi antincendio e in altri servizi pubblici per far fronte all’aumento del carico che sarà loro imposto dal cambiamento climatico”, ma sembra evidente che “gli investimenti sono già insufficienti e temo che potrebbero arrivare altri tagli se l’Ue reintrodurrà le regole dell’austerità il prossimo anno”. Critiche dai sindacati europei sono rivolte anche all’indirizzo del commissario europeo per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič: “Siamo preoccupati di sentire che non riesce a trovare il tempo per incontrare i rappresentanti dei vigili del fuoco della Federazione sindacale europea dei servizi pubblici per discutere degli incendi”.

Gozzi: “Italia deve pretendere da Ue cambio indirizzo su politiche industriali”

Gli anni da cui veniamo, per quanto riguarda le scelte europee sull’industria, sono stati molto difficili. Un’Europa tutta concentrata sulla finanza, sulla disciplina fiscale, sul cambiamento climatico è sembrata non avere alcuna attenzione né passione per l’industria manifatturiera e in particolare per quella di base”. Lo diceva il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, nella relazione all’Assemblea annuale di Federacciai, tenutasi a Milano il 10 maggio scorso, spiegando che si tratta di “un’impostazione per così dire nordica, di Paesi ormai senza industria, in particolare Olanda e Danimarca, che importano tutto, che per questo declinano spesso un mercatismo estremista e che sono ideologicamente votati a politiche di transizione energetica estreme”. Gozzi parlava di “pregiudizio anti industriale”, e ora difende le sue parole dalle critiche in un intervento su Il Riformista: “Le critiche vanno sempre considerate con attenzione e umiltà ma in questo caso ho ragione io: i miei quindici anni di attività industriali in Belgio, vicino a Bruxelles, alla Commissione Europea e alla sua burocrazia guardiana (alla quale purtroppo gli italiani partecipano poco e male) mi hanno dato una sensibilità e un fiuto per ciò che bolle in pentola a Berlaymont che raramente mi fanno sbagliare”.

A sostegno della sua tesi, Gozzi porta un’intervista realizzata da ‘L’Echo’, il giornale economico belga, a Pierre Régibeau, ex braccio destro della VicePresidente e Commissaria europea alla concorrenza la danese Margrethe Vestager. “I contenuti dell’intervista – scrive il presidente di Federacciai -, nella loro radicalità mercatista, ecologista e antindustriale sono emblematici dell’atteggiamento che ho denunciato nella mia relazione, un atteggiamento nel quale un liberismo estremo (mercatista appunto) si intreccia ad un ecologismo acritico e a una visione tutta finanziaria e antindustriale o a-industriale dell’economia”.

Gozzi conclude spiegando che “l’Europa non è più il centro del mondo ma, purtroppo, un continente demograficamente e economicamente in declino. In famiglia, da noi, si dice che l’arroganza è sempre un peccato ma che nel business è un peccato mortale. Purtroppo questo adagio pare essere ignorato a Bruxelles e dintorni dove si decide il futuro dell’Europa. Rileggendo questa intervista, due insegnamenti bisogna trarre. Il primo è che il sistema industriale nel suo complesso non è stato capace di fare sentire sufficientemente la sua voce. E ciò non deve più succedere, tanto più che i prossimi anni saranno decisivi per le sorti della manifattura europea impegnata nella colossale sfida della decarbonizzazione; il secondo è che bisogna mandare a Bruxelles i migliori. L’Italia deve presidiare con forza le Direzioni e deve pretendere un cambio di indirizzo europeo sulle politiche industriali. Questo oggi significa costituire un grande fondo europeo per la transizione industriale e per la decarbonizzazione dell’industria di base”.

Il Green Deal non si può fare senza Cina: lo studio dell’Europarlamento

Il Green Deal europeo non può fare a meno della Cina. Il cambio di paradigma operato dalla Commissione von der Leyen produce una dipendenza, tutta nuova, da cui sottrarsi non appare possibile. Perché la repubblica popolare è troppo presente in quei settori e in quei mercati di cui l’Ue è povera eppur tanto, troppo bisognosa. Per fare della transizione verde servono terre rare, ma pure metalli quali niobio e tantalio, “essenziali per l’industria della difesa e l’energia rinnovabile in tutto il mondo”, rileva un’analisi del centro studi e ricerche del Parlamento europeo. Queste risorse sono tutte in mano cinese.

Considerando l’agenda politica europea e il contesto geopolitico internazionale, “gli impegni di neutralità climatica dell’Ue e le risposte degli Stati membri ai rischi sollevati dall’invasione russa dell’Ucraina hanno contribuito a una crescente domanda di tali metalli che dovrebbe continuare a medio termine”. Nel 2020, si ricorda nel documento, la Commissione europea ha stimato che la domanda di elementi di terre rare utilizzati nei magneti permanenti aumenterebbe di dieci volte entro il 2050. Con la Cina e le sue industrie a farla da padrone per una politica ponderata che ha permesso di conquistare vantaggio.

La Cina beneficia di un controllo schiacciante dell’estrazione e della lavorazione delle terre rare, un’industria considerata di grande importanza strategica”. Per l’Unione europea “evitare ogni cooperazione con aziende legate alla Cina potrebbe rivelarsi impossibile in un settore dominato in modo schiacciante dalla Cina”. L’unica strada percorribile, per non ritrovarsi tra le braccia del Dragone, è scegliere con cura gli investimenti e i partner. Si tratterebbe di procedere ad uno ‘screening’ delle imprese, della loro partecipazione azionaria asiatica e i lori rapporti con la Repubblica popolare cinese, presente anche nell’unico polo di lavorazione delle terre rare su suolo europeo.

L’Ue è in ritardo. Ha avviato una transizione senza essere pronta. “Gli Stati membri dell’Ue non dispongono di miniere di terre rare attive, mentre allo stesso tempo importanti progetti di estrazione di terre rare al di fuori della Cina, come quelli in Groenlandia, non sono ancora diventati operativi”. Inoltre, “anche la capacità di trasformazione europea è limitata, poiché è in gran parte concentrata in un unico impianto, vale a dire lo stabilimento Silmet in Estonia”. Ma di proprietà extra-Ue. Silmet a è di proprietà della Neo Performance Materials Corp (Npm), azienda canadese con sede a Toronto. Principale azionista di Npm è l’azienda australiana Hastings Technology Metals Ltd, attiva nel settore delle terre rare. “Wyloo Metals, di proprietà del fondo di investimento Tattarang, ha finanziato Hastings per l’acquisizione di Npm”. In questo gioco di acquisizioni e partecipazioni, “Tattarang è ancora di proprietà della famiglia dell’imprenditore minerario australiano Andrew Forrest, i cui legami con la Cina sono particolarmente estesi”. In particolare “la sua attività principale, Fortescue Metals Group, estrae ed esporta minerale di ferro in Cina, che è il mercato principale dell’azienda per questo prodotto. Forrest è stato ripetutamente collegato ai tentativi del partito-stato cinese di influenzare la politica del suo paese d’origine”.

Il dominio cinese su terre rare, niobio e tantalio si spiega anche con una politica avviata con largo anticipo, mirata e finalizzata a conquistare vantaggi. In aggiunta al suo controllo sulle risorse di terre rare, ricorda il documento, “ la Cina ha ripetutamente cercato di ottenere il controllo di importanti giacimenti all’estero, una strategia coerente con il desiderio di mantenere la leva finanziaria che la Cina ha sfruttato per fini politici controversi”. Oltre al pieno controllo della catena di approvvigionamento della Cina, il predominio del mercato globale delle terre rare “significa che il Paese può scegliere di assumere una posizione ostile nel raggiungimento degli obiettivi politici”, come dimostrato dagli eventi del 2010, quando il governo cinese ha imposto quote di esportazione al Giappone e ha interrotto le esportazioni poiché ha chiesto il rilascio di un capitano cinese detenuto per aver pescato in acque che la Cina rivendica come proprie. Se è vero che “nel 2023 i resoconti dei media hanno affermato che il governo stava prendendo in considerazione un divieto di esportazione di terre rare”, Green Deal e transizione verde europea passano per la Cina.

L’Italia ha presentato all’Ue la proposta di revisione del Pnrr

Ora è ufficiale: è stata presentata alla Commissione europea la proposta di modifica complessiva del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che include anche il nuovo capitolo REPowerEU. La proposta sarà valutata nei prossimi mesi dalla Commissione europea in base al Regolamento sul dispositivo per la ripresa e resilienza. Lo annuncia una nota del ministero per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnnr, ma la conferma arriva anche dalla Commissione Europea.

Secondo Bruxelles, il capitolo REPowerEU proposto dall’Italia per il proprio piano per la ripresa (Pnrr) “comprende varie riforme, tra cui lo sviluppo delle energie rinnovabili, il potenziamento delle competenze verdi sia nel settore pubblico che in quello privato, la lotta ai sussidi dannosi per l’ambiente e il miglioramento della produzione di biometano”. Previste anche tre aree principali comprendenti diversi investimenti, in particolare legati al potenziamento delle reti energetiche, all’efficienza energetica e alle filiere strategiche.

Il Governo italiano chiede a Bruxelles di rivedere 144 azioni di investimento e riforme per digitalizzazione e competitività, transizione ecologica, mobilità sostenibile, istruzione e la ricerca, inclusione e coesione, salute. La Commissione valuterà ora se il piano modificato soddisfa ancora i criteri previsti, e in caso proporrà la Consiglio una proposta di esecuzione, per cui il Consiglio avrà fino a quattro settimane per esprimersi.

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La tabella di marcia Ue per trasporti navali più green: svolta per il 2024

Meno CO2, meno metano, meno protossido di azoto, e più alimentazione sostenibile. La nuova mobilità pulita dell’Ue per il mare è prevista per il 2024. Queste sono le scadenze fissate dalla commissione europea nella sua tabella di marcia per nuove regole in fatto di trasporti sull’acqua. Tre gli ambiti di intervento. Il primo riguarda l’anidride carbonica. La Commissione si prepara ad adottare diversi atti delegati e di esecuzione entro la fine del 2023 al fine di consentire l’inclusione tempestiva del settore del trasporto marittimo nel sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (Ets) a partire dal 1° gennaio 2024.

Per quanto riguarda metano (CH4) e protossido di azoto (N2O), altri gas a effetto serra a cui l’Ue intende mettere freno e tetti di emissione, la Commissione europea adotterà atti delegati per tenerne conto e includerli nel sistema di contabilizzazione entro l’1 ottobre 2023. Queste almeno le intenzione, secondo quanto dichiarato da Frans Timmermans, il vicepresidente esecutivo responsabile per il Green Deal, rispondendo a un’interrogazione parlamentare in materia.

All’abbattimento dei gas clima-alteranti prodotti dalle flotte passeggeri e merci, si aggiunge anche misure per trazione pulita delle imbarcazioni. Il 23 marzo di quest’anno è stato raggiunto l’accordo sulla cosiddetta ‘FuelEU Maritime’, la proposta di regolamento per introdurre motori di nuova generazione alimentati da combustibili ‘green’. L’obiettivo è far sì che l’intensità di gas a effetto serra dei combustibili utilizzati dal settore marittimo diminuisca gradualmente nel tempo, dal 2% nel 2025 fino all’80% entro il 2050. In tal senso “la Commissione si sta preparando all’attuazione del regolamento FuelEU Maritime”, assicura ancora il commissario responsabile per il Green Deal. L’obiettivo del collegio è “pubblicare gli atti delegati e di esecuzione pertinenti nel 2024”. Le elezioni europee, con il rinnovo del Parlamento e l’insediamento del nuovo collegio dei commissari, non dovrebbero dunque incidere sulla tabella di marcia per una mobilità marittima sostenibile.

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Firmato Memorandum Ue-Tunisia: fra i cinque pilastri la transizione energetica green

A Tunisi l’Unione Europea e la Tunisia, concordando di attuare il pacchetto di partenariato globale annunciato congiuntamente l’11 giugno 2023, hanno firmato il memorandum d’intesa che copre cinque pilastri: stabilità macroeconomica, commercio e investimenti, transizione energetica verde, contatti interpersonali e migrazione. Sarà attuato attraverso i vari filoni di cooperazione tra l’Unione europea e la Tunisia, seguendo i regolamenti e le procedure applicabili. Presenti alla firma la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni e il presidente del Consiglio olandese Mark Rutte, insieme al Presidente della Tunisia Kaïs Saied. Per quanto riguarda l’energia, il partenariato energetico aiuterà la Tunisia nella transizione verso l’energia verde, riducendo i costi e creando il quadro per il commercio delle energie rinnovabili e l’integrazione con il mercato dell’Ue.

La Tunisia e l’Unione Europea sono consapevoli del potenziale della Tunisia nel campo delle energie rinnovabili e, nell’interesse comune di garantire una maggiore sicurezza della produzione e dell’approvvigionamento energetico tra le due parti, stanno lavorando per concludere un partenariato strategico nel settore dell’energia, rafforzando così la crescita verde e la creazione di posti di lavoro“, si legge nel capitolo sulla transizione energetica verde. L’impegno delle due parti si basa sull’attuazione degli impegni assunti nell’ambito dell’Accordo di Parigi, in particolare sul contributo e la strategia nazionale di Tunisi “per uno sviluppo a zero emissioni di carbonio e resiliente al clima entro il 2050, nei settori della mitigazione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici“. Tra gli obiettivi c’è il rafforzamento della “produzione di idrogeno rinnovabile e dei suoi derivati“, della cooperazione “sulle catene di approvvigionamento per le tecnologie energetiche pulite e la produzione di energia in modo reciprocamente vantaggioso“. Questi obiettivi “richiedono la mobilitazione su larga scala di strumenti finanziari mirati, comprese le garanzie, accompagnati da riforme adeguate che portino a un quadro normativo favorevole, trasparente, stabile e prevedibile, per attrarre gli investimenti e lo sviluppo commerciale nel settore delle energie rinnovabili in Tunisia“, in vista della firma dell’accordo sulla sovvenzione concessa nell’ambito dello Strumento europeo di interconnessione da 307 milioni di euro e dell’introduzione del meccanismo di aggiustamento delle frontiere per il carbonio (Cbam). Le parti hanno concordato che l’attuazione del partenariato “dovrebbe basarsi su una tabella di marcia elaborata congiuntamente“, per aiutare la Tunisia a produrre energia rinnovabile, “migliorando le prestazioni dei servizi pubblici e delle imprese pubbliche attive nel settore energetico, semplificando le procedure amministrative, mettendo in atto gli strumenti e i regolamenti necessari per integrare la Tunisia nel commercio internazionale di energia rinnovabile e più in generale, riformando il quadro normativo del settore energetico“.

Nel pilastro sull’economia e commercio sono incluse anche agricoltura, economia circolare e transizione digitale. “Le parti si adoperano per rafforzare il loro partenariato nel campo della gestione sostenibile dell’acqua al fine di garantire l’accesso ad acqua potabile di qualità, di adoperarsi per un’irrigazione agricola sostenibile, anche attraverso l’uso di acqua non convenzionale (acqua piovana, acqua salmastra e acque reflue trattate) e di sviluppare infrastrutture strategiche per la gestione e il trasferimento dell’acqua“, si legge nel test. La cooperazione si basa sull’agricoltura sostenibile, la resilienza dei sistemi alimentari e sicurezza alimentare, “anche a vantaggio del rafforzamento dei sistemi cerealicoli e di alcuni prodotti agricoli, in particolare nell’ambito di negoziati da concordare“. Sul piano dell’economia circolare, Ue e Tunisia “si adoperano per rafforzare la loro cooperazione nella transizione verso un’economia circolare a basse emissioni di carbonio basata sull’uso efficiente delle risorse“, che comprenderà “la gestione sostenibile dei rifiuti, anche attraverso partenariati pubblico-privato“. Infine sulla transizione digitale le due parti hanno concordato di rafforzare “le capacità, la cooperazione tecnologica, il finanziamento e i progetti comuni“. Tra i progetti di cooperazione c’è quello del cavo digitale sottomarino ‘Medusa’ per la connessione ad alta velocità, ma anche la possibilità di rendere la Tunisia un “hub per la fornitura di connettività Internet ad altre parti del continente africano“. Sarà analizzata la possibilità che il Paese partecipi al Programma Europa Digitale e, “più in generale, a qualsiasi iniziativa europea nel campo dell’innovazione e della digitalizzazione“.