Contromossa della Cina dopo dazi su auto elettriche: “Inchiesta anti dumping su importazione di carne suina europea”

La Cina ha annunciato lunedì di aver avviato un’indagine antidumping sulle importazioni di carne suina e prodotti derivati dall’Unione Europea. Il ministero del Commercio “ha avviato un’indagine antidumping sulle importazioni di carne di maiale e prodotti derivati dall’Unione Europea”, ha dichiarato in un comunicato.

L’annuncio arriva nel contesto di crescenti tensioni commerciali tra Cina e Unione Europea. La scorsa settimana l’Ue ha dichiarato che avrebbe imposto ulteriori dazi doganali sulle importazioni di veicoli elettrici cinesi a partire dal mese prossimo, a seguito di un’indagine antisovvenzioni avviata nel settembre 2023. I veicoli prodotti nelle fabbriche cinesi sono stati finora tassati nell’Ue con un’aliquota del 10%. Bruxelles prevede di aggiungere dazi compensativi del 17,4% per il produttore cinese BYD, del 20% per Geely e del 38,1% per SAIC, al termine di quasi nove mesi di indagine.

Pechino ha immediatamente denunciato il “comportamento puramente protezionistico” degli europei, avvertendo che avrebbe preso “tutte le misure per difendere fermamente i suoi diritti legittimi”. A gennaio aveva già aperto un’indagine antidumping sui brandy europei, compreso il cognac francese. Avviata in seguito a un reclamo dei professionisti cinesi del settore alcolico, questa procedura è vista dagli osservatori anche come una misura di ritorsione nei confronti dell’indagine europea sui sussidi alle auto elettriche prodotte in Cina, ampiamente sostenuta dalla Francia.

Contestualmente, il Paese asiatico ha reagito con forza alla dichiarazione finale del G7, definendola “piena di arroganza, pregiudizi e bugie”. I leader riuniti a Borgo Egnazia hanno espresso la loro “preoccupazione per le politiche e le pratiche non di mercato” che stanno portando a “conseguenze globali, distorsioni del mercato e dannose sovraccapacità in un numero crescente di settori”. Il G7 ha inoltre esortato Pechino ad “astenersi da misure di controllo delle esportazioni, in particolare sui minerali critici, che potrebbero generare interruzioni significative nella catena di approvvigionamento globale”, dal momento che il Paese impone restrizioni alle esportazioni di minerali cruciali per settori come i veicoli elettrici e le telecomunicazioni.

In Ue è fast charge solo una stazione di ricarica per auto elettriche pubblica su 8

Un nuovo rapporto Acea, l’organizzazione dei produttori auto della Ue, fa luce “sull’urgente necessità di aumentare la diffusione delle infrastrutture per le auto elettriche in Europa per evitare battute d’arresto nella decarbonizzazione“. Ci sono poco più di 630.000 punti di ricarica in tutta l’Ue, ma i caricabatterie standard AC (corrente alternativa) con capacità inferiori a 22 kW costituiscono più di sette caricabatterie su otto nell’Ue. I caricabatterie rapidi DC (corrente continua) in grado di fornire più di 22 kW di elettricità rappresentano solo circa il 13,5% del totale. I caricabatterie CA vengono utilizzati prevalentemente per applicazioni di ricarica più lente, rendendoli ideali per case, luoghi di lavoro e aree pubbliche come supermercati e strutture ricreative. I caricabatterie CC sono progettati appositamente per la ricarica rapida, spesso presenti lungo le autostrade e le principali autostrade, facilitando opzioni di ricarica rapida per i conducenti che intraprendono lunghi viaggi.

La mancanza di una solida rete di infrastrutture di ricarica è un fattore ben noto che scoraggia gli acquirenti di veicoli dall’optare per modelli elettrici, un fenomeno comune noto come ansia da autonomia“, sottolinea Acea. “Se vogliamo convincere gli europei a passare ai veicoli elettrici, la ricarica dovrebbe essere semplice come lo è oggi il rifornimento di carburante”, afferma il direttore generale di Acea, Sigrid de Vries. “Le persone hanno bisogno di un facile accesso ai caricabatterie nel loro ambiente quotidiano e questi punti di ricarica dovrebbero essere rapidi e facili da usare, senza dover attendere in lunghe code”. Una fitta rete di caricabatterie rapidi Dc pubblici è fondamentale per facilitare i viaggi a lunga distanza e mitigare l’ansia da autonomia. In particolare, avvantaggiano sostanzialmente le persone che potrebbero non essere in grado di permettersi o non avere accesso a strutture di ricarica private.

Entrando nel dettaglio, secondo il report Acea alla fine del 2023 in tutta l’Ue erano disponibili 632.423 punti di ricarica pubblici e circa 3 milioni di veicoli elettrici a batteria (BEV) in circolazione. Nel 2023 sono stati installati complessivamente circa 153.000 nuovi punti di ricarica pubblici. La Commissione europea chiede 3,5 milioni di punti di ricarica entro il 2030 per sostenere il livello di elettrificazione dei veicoli necessario per raggiungere la proposta riduzione del 55% di CO2 per le auto. Il raggiungimento di questo obiettivo richiederebbe l’installazione di quasi 2,9 milioni di punti di ricarica pubblici nei prossimi sette anni. Sono quasi 410.000 all’anno o 7.900 alla settimana.

Le proiezioni di Acea suggeriscono una domanda significativamente più elevata, stimando la necessità di 8,8 milioni di punti di ricarica entro il 2030. Per raggiungere questo obiettivo sarebbe necessario installare 1,4 milioni di caricabatterie all’anno o 22.438 a settimana. Negli ultimi sette anni, le vendite di Bev hanno più che triplicato la crescita della rete di punti di ricarica. Tra il 2017 e il 2023, le vendite di auto elettriche sono aumentate di oltre 18 volte, mentre il numero di stazioni di ricarica pubbliche nell’Ue è cresciuto solo di sei volte nello stesso periodo. Mentre alcuni paesi stanno facendo progressi in termini di sviluppo delle infrastrutture, la maggior parte è in ritardo. Infatti, solo tre paesi dell’Ue che coprono oltre il 20% della superficie dell’Unione Europea – Paesi Bassi, Francia e Germania – ospitano quasi i due terzi (61%) di tutti i punti di ricarica del continente. L’altro terzo (39%) di tutti i caricabatterie è distribuito in 24 Stati membri, coprendo quasi l’80% della superficie della regione. Esiste una forte correlazione tra la disponibilità dei punti di ricarica pubblici e le vendite di Bev. L’elenco dei primi cinque paesi con le maggiori vendite di veicoli elettrici è sostanzialmente simile a quello dei paesi con il maggior numero di caricabatterie: Germania, Francia, Paesi Bassi e Italia figurano in entrambi i primi cinque elenchi.

Anche la velocità di ricarica è un grosso problema in tutto il continente, poiché i caricabatterie veloci (con una capacità di oltre 22 kW) costituiscono una frazione del totale dell’Ue. Solo circa un caricabatterie su sette (13,5%) è in grado di effettuare una ricarica rapida. La maggior parte sono caricabatterie ‘normali’, con una capacità di 22 kW o inferiore (comprese molte prese di corrente comuni o da giardino a bassa capacità)“, sottolinea Acea.

Alla fine del 2023, nell’Ue c’erano 29 BEV per caricatore rapido e 53 Bev e ibridi plug-in (PHEV) per caricatore rapido. I governi di tutta l’Ue devono aumentare gli investimenti nelle infrastrutture di ricarica e dovrebbero attuare rapidamente il regolamento sulle infrastrutture per i combustibili alternativi (AFIR), tenendo presente che stabilisce solo requisiti minimi. Allo stesso tempo, l’Osservatorio europeo sui combustibili alternativi (EAFO) deve garantire un solido sistema di monitoraggio che incentivi gli Stati membri a implementare le infrastrutture più rapidamente.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Stoccaggio gas, Italia sale a 77,56%, media Ue 5 punti sotto

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA viene mostrato l’aggiornamento degli stoccaggi di gas nei Paesi dell’Ue. Secondo la piattaforma Gie Agsi-Aggregated Gas Storage Inventory (aggiornata all’11 giugno), l’Italia cresce ancora e si assesta a 77,56%, mentre la media Ue sale a 72,33%. Agli ultimi posti Lettonia e Croazia, mentre in testa c’è il Portogallo in crescita al 91,89%.

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Europee, cosa accade adesso: la timeline del Parlamento Ue

Dopo la chiusure delle urne in tutti i 27 Paesi europei, comincia la nuova legislatura a Bruxelles, che seguirà alcune tappe già fissate.

LA FORMAZIONE DEI GRUPPI POLITICI. In primo luogo, inizieranno i negoziati per la formazione dei gruppi politici che potrebbero proseguire fino alla prima sessione plenaria del nuovo Europarlamento. Ogni gruppo deve essere composto da almeno 23 deputati eletti in almeno un quarto degli Stati membri (ossia almeno sette). Per ottenere il riconoscimento ufficiale a partire dal 16 luglio, data della sessione costitutiva del Parlamento, i gruppi politici devono comunicare al Presidente il loro nome, la loro dichiarazione politica e la loro composizione entro il 15 luglio.

LA PRIMA SESSIONE PLENARIA. Si terrà tra il 16 e il 19 luglio la prima sessione plenaria costitutiva del nuovo Parlamento europeo, che aprirà formalmente la legislatura. I deputati eletti si riuniranno a Strasburgo per eleggere il presidente, 14 vicepresidenti e 5 questori. Sarà messa ai voti anche la composizione numerica delle commissioni permanenti e delle sottocommissioni del Parlamento. È probabile che, oltre alla composizione numerica, venga decisa anche la composizione nominale delle commissioni. Dopo la sessione costitutiva, tutte le commissioni si riuniranno per eleggere i rispettivi presidenti e vicepresidenti (Ufficio di presidenza).

ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA. Dopo la costituzione del Parlamento, i deputati dovranno eleggere chi guiderà la nuova Commissione europea e prenderà, quindi il posto, di Ursula von der Leyen. L’elezione potrebbe avvenire durante la sessione plenaria (16-19 luglio) o in quella successiva la pausa estiva (16-19 settembre). La decisione finale sul calendario preciso sarà presa dalla Conferenza dei presidenti (presidente del Parlamento europeo più capigruppo). In passato, quando le elezioni si sono svolte a maggio (come nel 2019), sono state organizzate due sessioni plenarie a luglio: la prima dedicata alla costituzione del nuovo Parlamento e all’elezione di presidente, vicepresidenti e questori, la seconda dedicata all’elezione del presidente della Commissione.

Il candidato proposto dal Consiglio europeo presenta al Parlamento il proprio programma politico per la legislatura. Questa dichiarazione è poi seguita da una discussione. Il Parlamento elegge il presidente della Commissione a maggioranza dei deputati che lo compongono (361 su un totale di 720). Il voto è a scrutinio segreto.

Se il candidato non ottiene la maggioranza richiesta, il presidente del Parlamento invita il Consiglio europeo a proporre, entro un mese, un altro candidato da eleggere seguendo la stessa procedura.

AUDIZIONE DEI COMMISSARI DESIGNATI. La procedura prevede che, insieme al presidente della Commissione, il Consiglio europeo nomini anche i commissari designati, a cui viene assegnato uno specifico portafoglio. Le commissioni del Parlamento, ciascuna in base al rispettivo ambito di competenza, esaminano i commissari designati in una serie di audizioni pubbliche, prima di votare in plenaria sulla nomina dell’intero collegio. Le audizioni possono cominciare solo dopo che la commissione giuridica ha confermato per iscritto l’assenza di qualsiasi conflitto di interessi.

Il commissario designato è invitato a comparire dinanzi alla o alle commissioni parlamentari competenti per il suo portafoglio per un’audizione di tre ore, che viene trasmessa in diretta streaming. Il candidato effettua un discorso di apertura di massimo 15 minuti, dopodiché risponde alle domande dei deputati.

La commissione o le commissioni competenti devono completare la valutazione di un commissario designato entro 24 ore dall’audizione. Per farlo, devono riunirsi a porte chiuse il prima possibile. Entro 24 ore dal completamento della valutazione, la lettera viene trasmessa alla Conferenza dei presidenti di commissione per essere esaminata. Il Presidente della Commissione tiene conto dei risultati delle audizioni e delle consultazioni con i gruppi politici del Parlamento. Dopodiché, presenta la sua squadra e le sue priorità politiche nel corso di una sessione plenaria. Dopo una discussione, i deputati decidono, a maggioranza semplice dei voti espressi, se approvare la nomina del nuovo collegio dei commissari per un mandato di cinque anni.

Europee, dal Recovery al nuovo Patto di stabilità: i 5 anni economici della legislatura

Recovery fund, revisione del Patto di stabilità e crescita, riforma della Politica agricola comune (Pac). Sono alcuni dei grandi dossier economici che il Parlamento europeo ha affrontato, insieme alle altre istituzioni comunitarie, Consiglio e Commissione, in questi 5 anni di legislatura al termine. “Nel 2020, i negoziatori del Parlamento sono riusciti a ottenere per l’Ue il più grande pacchetto finanziario di sempre per far fronte alle conseguenze della pandemia di Covid-19 e finanziare una nuova generazione di programmi dell’Ue per il periodo 2021-2027”, ha sottolineato il Parlamento europeo rispetto al Recovery fund in una serie di schede con cui tira le somme del lavoro fatto.

DALLA PANDEMIA ALLA GUERRA IN UCRAINA. Il più grande Parlamento al mondo ha dovuto affrontare, insieme a Consiglio e Commissione, un periodo di crisi – pandemia e guerra – che ha spinto i Ventisette e le istituzioni comunitarie a fare i conti con le proprie capacità. In questo contesto, la Camera ha ricordato che, per sostenere ulteriormente l’Ucraina, rafforzare l’autonomia industriale dell’Ue e finanziare la politica migratoria, i deputati hanno chiesto e ottenuto una revisione intermedia e un aumento del bilancio a lungo termine. E ha specificato che, oltre al bilancio a lungo termine dell’Unione e al dispositivo per la ripresa e la resilienza, lo strumento per la ripresa del valore di 750 miliardi di euro che fa parte di NextGenerationEu (Recovery), sono state adottate, e poi integrate nel RePowerEu, misure a sostegno delle regioni e delle persone vulnerabili, come il Fondo per una transizione giusta e il Fondo sociale per il clima, per accelerare la transizione verso la neutralità climatica e ridurre la dipendenza dall’energia russa. “Il Parlamento è anche riuscito a far approvare una tabella di marcia giuridicamente vincolante per l’introduzione di nuove risorse proprie a copertura del rimborso dei prestiti assunti per NextGenerationEu”, ha precisato il Parlamento.

OBIETTIVI CLIMATICI E DIGITALI. Nel 2023, infatti, i deputati hanno sostenuto l’introduzione di 3 nuove fonti per il bilancio: le entrate previste nel sistema di scambio di quote di emissione, quelle del meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere e gli utili delle imprese. In quanto autorità di bilancio, il Parlamento esamina le spese che incidono sul bilancio e i piani nazionali per la ripresa finanziati con il dispositivo per la ripresa e la resilienza. Per poter ricevere finanziamenti dall’Ue, gli Stati devono rispettare gli obiettivi climatici e digitali, lo Stato di diritto e i valori fondamentali dell’Unione. In caso contrario, il Parlamento può fare pressione sulla Commissione affinché trattenga i pagamenti nell’ambito del meccanismo sulla “condizionalità dello Stato di diritto”. E questo è stato il caso per l’Ungheria: il Parlamento ha contestato lo sblocco da parte della Commissione di 10,2 miliardi di euro di fondi di coesione dell’Ue per Budapest.

FOCUS SUL LAVORO. Sul fronte delle retribuzioni, in questi 5 anni i deputati europei “hanno negoziato con gli Stati membri l’introduzione di salari minimi nazionali e una legge per garantire in tutta l’Ue la parità di retribuzione tra uomini e donne per lo stesso lavoro” e hanno approvato “una normativa che mira ad assicurare giustizia sociale e dignità ai lavoratori dei fornitori di servizi che operano tramite piattaforme digitali e a porre fine al falso lavoro autonomo”. In questo campo, i deputati hanno chiesto agli Stati di rafforzare i programmi di reddito minimo e di vietare lo sfruttamento dei tirocinanti. Per quanto riguarda il lavoro nel settore creativo e culturale, poi, i deputati hanno chiesto nel 2023 una nuova legislazione Ue sullo status sociale e sulle condizioni di lavoro degli artisti e degli altri professionisti che lavorano nella cultura. Dall’Aula in questi anni è uscito anche un divieto assoluto ai prodotti realizzati con il lavoro forzato, sia all’interno che all’esterno dell’Ue, obbligando il ritiro di questi oggetti dal mercato, e norme per introdurre requisiti di trasparenza per i servizi di affitto a breve termine. “Il Parlamento ha anche adottato nuove regole per le operazioni finanziarie in criptovalute, così che queste possano essere tracciate allo stesso modo dei trasferimenti di denaro tradizionali”, ha proseguito il Parlamento.

PIANO INDUSTRIALE EUROPEO. A febbraio 2023, l’Aula ha poi votato a favore dell’istituzione di un nuovo Piano industriale per l’Ue per consolidare e trasferire le capacità di produzione industriale in Europa e norme per riformare il mercato dell’elettricità e proteggere i consumatori da impennate dei prezzi, per la decarbonizzazione del mercato del gas, per sostenere l’approvvigionamento sufficiente di materie prime rare nell’Ue, e la legge sull’industria a zero emissioni. “Questo ‘pacchetto competitività’ dovrebbe favorire la produzione di tecnologie energetiche pulite e aiutare le industrie dell’Ue a creare posti di lavoro di alta qualità e a stimolare la crescita economica per raggiungere gli obiettivi del Green deal”, ha commentato il Parlamento. Infine, nell’ultima plenaria della IX legislatura, il Parlamento ha approvato la riforma della governance economica nell’Ue (il nuovo Patto di stabilità e crescita), “con l’obiettivo di rendere le norme più chiare, più favorevoli agli investimenti e più adattabili alla situazione di ciascun Paese” nel rientro dei livelli di debito, e ha dato l’ok alla revisione della politica agricola comune (Pac) “per alleggerire gli oneri amministrativi degli agricoltori dell’Ue e introdurre una maggiore flessibilità”.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Il commercio di biciclette in Ue: mercato cala del 10% nel 2023

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, il commercio di bici in Ue. Secondo Eurostat, nel 2023 l’Unione europea ha esportato biciclette, sia elettriche che non, per un valore di 1,03 miliardi di euro, con un calo del 10% rispetto al 2022. Il valore delle importazioni si è attestato a 1,98 miliardi di euro, con un calo del 21% rispetto al 2022. Più nello specifico, nel 2023, l’Ue ha esportato 293 mila biciclette elettriche (-21% rispetto al 2022) e importato 867 mila biciclette elettriche (-27%). Allo stesso tempo, l’Ue ha esportato 852 mila biciclette non elettriche (-17% rispetto al 2022) e ne ha importate 3,5 milioni (-34%).

INFOGRAFICA INTERATTIVA Stoccaggio gas, Italia verso 75% e media Ue oltre 70%

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA viene mostrato l’aggiornamento degli stoccaggi di gas nei Paesi dell’Ue. Secondo la piattaforma Gie Agsi-Aggregated Gas Storage Inventory (aggiornata all’1 giugno), l’Italia cresce ancora e si attesta a 74,78%, mentre la media Ue sale oltre 70%. Agli ultimi posti Lettonia e Croazia, mentre in testa rimane il Portogallo, stabile a 96,01%.

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Ue, Consiglio Energia: nasce gruppo di lavoro per nuovo taglio a import dalla Russia

L’Unione europea deve tagliare ulteriormente le importazioni di energia dalla Russia e per scandagliare le varie possibilità di come farlo nasce un gruppo di lavoro di alto livello. A darne la notizia, nel pomeriggio, è stato lo stesso ministro ceco dell’Industria e del commercio, Jozef Sikela. “Abbiamo deciso di usare l’approccio della solidarietà e della collaborazione europea per ridurre le importazioni di energia russa in Europa, perché ci sono ancora decine di miliardi che stiamo inviando per pagare petrolio e gas e non vogliamo più alimentare la macchina bellica di Putin”, ha affermato il ministro.

Quindi abbiamo deciso di iniziare un gruppo di lavoro ministeriale di alto livello in cooperazione con la Germania e altri Paesi membri con un forte allineamento e coordinamento con la Commissione. Il compito del gruppo è semplicemente quello di preparare misure su come ridurre successivamente le importazioni di energia dalla Federazione russa in Europa, ma non solo petrolio e gas, bensì anche nucleare. Ma dovremo farlo efficacemente ed efficientemente perché queste misure non devono danneggiare noi, ma il regime del dittatore Putin”, ha spiegato Sikela.

Il format del gruppo è ancora in discussione e per le tempistiche abbiamo concordato di incontrarci non più tardi del Consiglio organizzato per la seconda settimana di luglio. Ma ovviamente inizieremo i colloqui preliminari via teleconferenza e telefono e definiremo la costituzione finale”, ha precisato Sikela. “Di base c’è stato davvero un ampio sostegno per questa iniziativa che è stata ben accolta. Nessun Paese ha detto di no. Alcuni Paesi hanno solo sottolineato l’importanza di avere misure intelligenti per assicurare che le misure abbiano un impatto sul regime russo e non sui Paesi membri, le famiglie e le imprese. Le misure devono prevedere come garantire energia a sufficienza e robuste infrastrutture per evitare colli di bottiglia o altre perdite che possano creare volatilità sui mercati”, ha illustrato ancora Sikela.

Nessuno ha esplicitamente detto no alla proposta. Allo stesso tempo, ce ne sono Stati 12 che hanno detto esplicitamente sì e molti hanno chiesto una guida esplicita dalla Commissione. Quindi ciò ci fa concludere, come presidenza, che c’è un ampio consenso al tavolo per approfondire e armonizzare il lavoro“, ha precisato la ministra belga dell’Energia, Tinne Van der Straeten, nella conferenza stampa al termine del Consiglio Energia dell’Ue. “Il seguito da dare a questo tema sarà dunque un dibattito politico a livello tecnico nel Coreper, sotto questa presidenza belga. La Commissione convocherà una riunione a livello di lavoro e i ministri rimarranno coinvolti. Si tratta di un passo in avanti concreto per smettere di finanziare la macchina bellica“, ha spiegato Van der Straeten.

All’inizio della giornata, la proposta della creazione del gruppo di lavoro, avanzata via lettera alla presidenza belga del Consiglio dell’Ue da Germania e Repubblica Ceca, aveva fatto ipotizzare un avvicinamento tra Praga e Berlino, divise sulla questione della tassa tedesca sul gas stoccato nei punti di interconnessione. La lettera “è un bellissimo esempio di come i Paesi, in questo caso Germania e Repubblica Ceca, superano” delle divisioni “e lavorano nell’interesse dell’Unione europea nel suo insieme“, ha detto al suo arrivo la ministra belga dell’Energia, Tinne Van der Straeten, rafforzando l’annuncio fatto dalla commissaria europea all’Energia, Kadri Simson, proprio sull’imposta tedesca: “Mi aspetto che la Germania abbia annunci positivi da fare”.

E l’annuncio, di fatti, è arrivato. Per bocca del sottosegretario al ministero federale tedesco dell’Economia e dell’azione per il clima, Sven Giegold, che al suo arrivo alla riunione ha detto di poter “annunciare che il governo federale tedesco ha concordato di voler abolire la tassa sul gas stoccato nei punti di interconnessione il prima possibile. Ciò significa, per via del fatto che necessita di un cambiamento legale, a partire dal primo gennaio 2025”. L’aumento della tassa a partire da luglio rimarrà, perché fa parte della legge e scatta in automatico, “ma ciò non impedisce l’abrogazione della legge dal 2025”, ha puntualizzato Giegold. “Non è mai stata nostra intenzione ostacolare con questo prelievo la diversificazione dal gas russo. Tuttavia, abbiamo discusso con inostri vicini e abbiamo capito che ciò causa problemi per la diversificazione dal gas russo. Ecco perché abbiamo preso questa decisione”, ha precisato il sottosegretario tedesco.

Green Deal tra (belle) promesse elettorali e (brusca) realtà

Ce l’hanno tutti con ‘questo’ green deal, pur ammettendo che la decarbonizzazione è un passaggio ineludibile per il futuro. E per il presente. Ce l’hanno tutti con le politiche verdi “ideologiche e antindustriali” portate avanti dall’Europa negli ultimi anni – alcune però votate dagli europarlamentari italiani in scadenza di mandato: conviene ricordarlo, non sia mai… – dagli inquilini di Bruxelles e Strasburgo. Ce l’hanno così tutti che tutti, ma proprio tutti, pubblicizzano (sotto elezioni) la necessità di un cambiamento nel segno del buonsenso e della fattibilità. Ecco, i candidati alle elezioni dell’8e 9 giugno in questo sembrano davvero compatti, allineati e abbastanza coperti. A destra e a sinistra, come al centro. Bisogna fare qualcosa per il clima, giusto, però non come è stato fatto fino adesso.

E allora la domanda che sorge spontanea è questa: come, allora? Perché se è facile e anche giusto mettere in evidenza cosa non ha funzionato nel Green Deal pensato da Ursula von der Leyen e da Frans Timmermans (ei fu), è più difficile ma indispensabile indicare quali sono le altre vie per raggiungere quei target considerati obbligatori dagli esperti. E qui, però, la situazione si fa più complicata, dal momento che alle intenzioni vanno poi applicate le azioni. E, insomma, la messa a terra di cosa viene promesso appare abbastanza nebulosa. Ad esempio, il claim di trasformare il Green Deal in un Good Deal è a presa rapida come la colla, ma in concreto cosa significa? Spesso ci siamo sentiti raccontare che non è questione di norme ma di tempi nell’applicazione delle stesse. Sintetizzando, l’idea è buona o quasi però la fretta rende tutto irrealizzabile. Lo stop ai motori endotermici? Non dal 2035 ma più avanti. Le case green? Non a emissioni zero dal 2030 o dal 2033 (a seconda delle classi di appartenenza) ma con più calma. E gli imballaggi? E la nuova Pac? E il Nutriscore?

Riflessioni che si accompagnano, anzi si dilatano con il megafono degli industriali, preoccupati che la Nuova Europa non attui politiche adeguate di sostegno per le imprese e che in tema di Green Deal non venga creato un fondo per la transizione, anche digitale. Il riferimento è sempre a due colossi, gli Stati Uniti e la Cina, che dispongono di risorse enormi, sicuramente superiori a quelle della Ue e che poco alla volta stanno esercitando una pressione che nel medio termine rischia di diventare insostenibile. Anche perché certe sensibilità né Usa né Cina le hanno, in considerazione che l’Europa produce l’8 per cento del gas serra mondiale.

Quindi, è semplicissimo: più soldi, tanti più soldi, più tempo, molto più tempo. Questo almeno in campagna elettorale…

Case green, da oggi in vigore la direttiva Ue: ai Paesi 2 anni per adeguarsi

E’ entrata in vigore martedì la direttiva rafforzata Ue sulla prestazione energetica nell’edilizia, cioè la meglio nota direttiva sulle ‘Case green’ che i Paesi membri dovranno recepire entro due anni. Il testo mira a dare ai Ventisette un quadro per ridurre le emissioni e il consumo energetico negli edifici dell’Ue: dalle abitazioni ai luoghi di lavoro, dalle scuole agli ospedali passando per altri edifici pubblici. L’obiettivo è quello delle 0 emissioni degli immobili per la metà del secolo.

La direttiva fissa degli obiettivi, ma spetterà agli Stati membri scegliere su quali edifici concentrarsi e quali misure adottare. Ogni Paese sarà chiamato ad adottare una traiettoria nazionale propria per ridurre il consumo medio di energia primaria degli edifici residenziali del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. Per gli edifici non residenziali, il 16% di quelli con le prestazioni peggiori dovrà essere ristrutturato entro il 2030 e il 26% entro il 2033. “Gli Stati membri avranno la possibilità di esentare da tali obblighi determinate categorie di edifici residenziali e non residenziali, tra cui quelli storici o le Case di villeggiatura. Verranno sostenuti gli sforzi dei cittadini che intendono migliorare le proprie abitazioni. La direttiva prevede l’istituzione di sportelli unici di consulenza sulla ristrutturazione e contiene disposizioni sui finanziamenti pubblici e privati che renderanno le ristrutturazioni più accessibili e fattibili”, ha precisato la Commissione Ue.

Inoltre, dal primo gennaio 2028 tutti gli edifici nuovi di proprietà pubblica, residenziali e non, non devono generare emissioni in loco da combustibili fossili, mentre per tutti gli altri edifici nuovi ciò vale dal primo gennaio 2030 e sono comunque possibili esenzioni specifiche. “La direttiva rafforzata contiene nuove disposizioni tese a eliminare gradualmente i combustibili fossili dal riscaldamento degli edifici e a promuovere la diffusione di impianti a energia solare, tenendo conto delle circostanze nazionali. Gli Stati membri dovranno garantire che i nuovi edifici siano predisposti per il solare“, ha precisato ancora l’esecutivo Ue. Dal primo gennaio 2025, infatti, non saranno più ammesse sovvenzioni per l’installazione di caldaie autonome alimentate a combustibili fossili che verranno abbandonate definitivamente entro il 2040.

La direttiva rafforzata incentiva anche la diffusione di una mobilità sostenibile grazie alle disposizioni sul pre-cablaggio, sui punti di ricarica dei veicoli elettrici e sui posti bici”, ha evidenziato ancora la Commissione. Vista l’ondata di ristrutturazioni che si prevede in tutta l’Ue, per Bruxelles è “fondamentale migliorare la pianificazione dei lavori e fornire un sostegno tecnico e finanziario. “Per combattere la povertà energetica e abbassare le bollette dell’energia, le misure di finanziamento dovranno incentivare e accompagnare le ristrutturazioni ed essere destinate in particolare ai clienti vulnerabili e agli edifici con le prestazioni peggiori, nei quali vive una percentuale maggiore di famiglie con un accesso precario all’energia”, ha precisato la Commissione che, con oltre 100 miliardi di euro stimati di finanziamenti Ue messi a disposizione per sostenere le ristrutturazioni tra il 2023 e il 2030, sta cercando di mobilitare le risorse necessarie per coprire i costi di investimento iniziali.