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Stop gas da Nord Stream all’Ue? Mcphie: “Situazione seria, prepararsi a ogni scenario”

Il ‘panorama’ energetico sta cambiando. La notizia dell’interruzione, decisa da Gazprom, dei flussi dal gasdotto russo Nord Stream1 per operazioni di “manutenzione”, è un ulteriore allarme che impone all’Ue la necessità di “prepararsi a ogni scenario. Infatti, non è escluso che Mosca possa scegliere di chiudere totalmente – e senza troppi preavvisi – i rubinetti del gas verso l’Europa. Secondo il portavoce della Commissione europea, Tim Mcphie, si tratterebbe di “una situazione molto seria”, che rende urgente “una preparazione a ogni evenienza.

Siamo già di fronte a una situazione in cui la Russia ha interrotto parzialmente o completamente le forniture a 12 Stati membri” dell’Ue, Italia compresa. Nel corso del briefing quotidiano con la stampa, il portavoce ha poi ricordato che il 20 luglio la Commissione europea presenterà un piano per la preparazione e la riduzione della domanda di gas, che “si concentrerà in particolare sugli usi industriali dell’energia per la riduzione dei consumi e fornirà agli Stati membri delle linee guida per essere pronta a tagli più significativi delle forniture valutando anche le implicazioni sul mercato unico e cosa succede se uno Stato membro ha più forniture rispetto a un altro”. Mcphie ha anche annunciato che “l’Unione Europea sta lavorando sul piano REPower EU”, dopo la decisione politica presa a livello di leader di ridurre prima possibile la dipendenza dagli idrocarburi russi.

Intanto, da Eni arriva la notizia che Gazprom, per la giornata di oggi, fornirà alla compagnia italiana “volumi di gas pari a circa 21 milioni di metri cubi/giorno, rispetto a una media degli ultimi giorni pari a circa 32 milioni di metri cubi/giorno”.

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In Italia, la situazione stoccaggi continua a crescere. Secondo i dati – al 9 luglio – Gie Agsi, il nostro Paese è al decimo posto in Europa per quantità di gas stoccato. Infatti, la percentuale ha raggiunto il 63,77%, superiore alla media europea che è del 61,63%. In cima alla classifica c’è il Portogallo (100%), seguito da Polonia (97,23%), Danimarca (82,15%), Spagna (73,1%), Repubblica ceca (72,32%), Francia (67,54)%, Belgio (64,93%), Germania (63,98%), Slovacchia (63,88%). L’obiettivo Ue è arrivare a uno stoccaggio dell’80% entro il primo novembre 2022 e al 90% a partire dal 2023.

Il prossimo passo per l’Italia, secondo il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, è “raggiungere l’indipendenza dalle forniture russe entro la seconda metà del 2024”. E un’altra priorità consiste nell’arrivare ad “avere gli stoccaggi al 90% entro gli ultimi mesi dell’anno”. Questo per non rimanere in carenza di energia il prossimo inverno, che si preannuncia “un pochino più delicato”.

Stop motori diesel e benzina entro il 2035: c’è l’ok del Consiglio Ue

Il Consiglio europeo dei ministri dell’Ambiente dice sì allo stop alla vendita dei motori diesel e benzina entro il 2035. L’obiettivo? Ridurre le emissioni di CO2 del 100% entro lo stesso anno per nuove auto e furgoni Inoltre, il Consiglio ha deciso – sempre per i neo-veicoli – di aumentare i target relativi alle emissioni di carbonio entro il 2030, portandoli al 55% per le auto e al 50% per i furgoni.

Niente sarà lasciato al caso. Come si legge in una nota del Consiglio, i possessori delle nuove auto elettriche avranno la possibilità di ricaricare i propri veicoli in tutti gli Stati membri della Ue grazie alla diffusione di un’infrastruttura unica per i carburanti alternativi.

Il work in progress del piano verso il ‘net zero’ sarà monitorato dalla Commissione, che nel 2026 valuterà i progressi compiuti e la necessità di rivedere tali obiettivi tenendo conto dei futuri sviluppi tecnologici. Inoltre, il meccanismo di incentivi normativi per i veicoli a zero e basse emissioni (ZLEV) sarà eliminato a partire dal 2030.

Andando oltre, i ministri hanno trovato l’accordo anche su altre proposte del pacchetto ‘Fit for 55’, come:

  • Il sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (Ets);
  • La condivisione degli sforzi tra gli Stati membri nei settori non Ets;
  • Le emissioni e gli assorbimenti derivanti dall’uso del suolo e la creazione di un fondo per il clima sociale.

Queste decisioni aprono la strada ai negoziati con il Parlamento europeo.

(Photo credits: DAVID HECKER / AFP)

La strategia dell’Ue contro i tumori causati dall’inquinamento

Le politiche europee in direzione ‘inquinamento zero’ possono contribuire notevolmente a ridurre il numero dei tumori – e dei decessi – causati da fattori ambientali. Ne è certa l’Agenzia europea per l’Ambiente, che nel rapporto ‘Sconfiggere il cancro: il ruolo dell’ambiente in Europa’ evidenzia come il 10% di tutti i casi di cancro nel Vecchio Continente siano causati proprio dall’inquinamento.

Il piano europeo di lotta contro il cancro riconosce il ruolo dei rischi ambientali e professionali nel favorire l’insorgenza di tumori e le potenzialità insite in strategie efficaci di prevenzione per salvare vite umane. In linea con questo obiettivo, il Piano d’azione per l’inquinamento zero, del maggio 2021, si pone come obiettivo quello di ridurre l’inquinamento atmosferico e idrico, e quindi l’esposizione umana all’inquinamento ambientale nonché gli effetti sulla salute, tra cui l’incidenza dei tumori di origine ambientale e professionale. L’Unione europea ha già adottato misure rigorose in materia di inquinamento atmosferico e ha previsto revisioni della direttiva per allineare meglio gli standard di qualità dell’aria ai più recenti orientamenti in materia a cura dell’Organizzazione mondiale della sanità.

In particolare, la strategia in materia di sostanze chimiche sostenibili, pubblicata a ottobre 2020, mira a vietare l’uso nei prodotti delle sostanze più nocive, incluse quelle che provocano il cancro, e a promuovere il ricorso a sostanze chimiche che siano sicure e sostenibili fin dalla progettazione.

Per quanto riguarda il radon, la direttiva sulle norme fondamentali di sicurezza ha introdotto requisiti giuridicamente vincolanti per la protezione dall’esposizione a fonti di radiazioni naturali, imponendo agli Stati membri di istituire piani d’azione nazionali per questa sostanza. Altri interventi includono il coordinamento degli sforzi europei per combattere il fumo passivo e la sensibilizzazione in merito ai pericoli posti dai raggi ultravioletti.

nucleare

Gli italiani dicono ‘no’ a gas fossile e nucleare ‘verdi’

Gas fossile e energia nucleare sono ‘verdi’? Per la maggioranza dei cittadini italiani no. Un nuovo sondaggio del Wwf mostra che solo il 29% della popolazione pensa che l’Unione Europea dovrebbe classificare l’energia nucleare come sostenibile dal punto di vista ambientale. Per quanto riguarda il gas fossile, solo il 35% ritiene che l’Ue dovrebbe assegnare a questa fonte energetica un’etichetta verde. Plebiscitario invece il sì all’energia solare (92%) e a quella eolica (88%). In particolare, in Italia, solo il 26% degli intervistati ritiene che l’energia nucleare dovrebbe essere classificata come energia ambientalmente sostenibile, mentre il 96% dei cittadini è d’accordo che l’etichetta verde sia assegnata all’energia solare e il 91% pensa altrettanto per l’eolico. Solo il 38% degli intervistati pensa che l’Unione Europea dovrebbe ritenere il gas fossile una fonte sostenibile.

Non c’è assolutamente alcun consenso pubblico per il piano della Commissione di considerare come ’sostenibili’ il gas fossile e gli impianti nucleari. Ciò che i cittadini considerano ‘verdi’ sono l’energia solare ed eolica, non i combustibili sporchi e obsoleti”, ha dichiarato Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia, lanciando un appello agli eurodeputati, ovvero quello di ascoltare il loro elettorato e di bloccare questa proposta. L’Ue sta per approvare, infatti, l’elenco di fonti di energia ‘verdi’ come parte della sua nuova guida agli investimenti, la Tassonomia Ue. Di conseguenza, c’è il forte rischio che miliardi di euro siano dirottati dall’eolico, dal solare e da altre tecnologie verdi verso il gas fossile e l’energia nucleare, di fatto rallentando ancora la transizione e con essa la sicurezza e l’indipendenza energetica. Se gli eurodeputati non respingeranno l’Atto sulla tassonomia verde, questa diventerà legge dell’Ue.

draghi

Draghi: “Dipendenza da gas russo scesa al 25%, stoccaggi procedono bene”

Stanno arrivando i primi risultati provenienti dagli sforzi fatti per diversificare le forniture di gas, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dall’energia russa. Durante la conferenza stampa che si è tenuta al termine del Consiglio europeo, il premier Mario Draghi ha analizzato con una certa soddisfazione gli sviluppi di una situazione da monitorare costantemente per colpa della guerra russo-ucraina: “Voglio ricordare che l’anno scorso dipendevamo per il 40% dal gas russo, oggi siamo arrivati al 25%, quindi le misure che il governo ha messo in campo già dall’inizio della guerra si stanno rivelando utili“, l’annuncio. In altre parole gli altri fornitori di gas cominciano a sostituire il flusso in arrivo dalla Russia. E non solo: “Per gli stoccaggi ci stiamo preparando per l’inverno e, al momento, stanno andando molto bene“.

Per quanto riguarda invece il discorso relativo al price cap, l’obiezione è solo una: “La paura di nuovi tagli da Mosca”, avverte Draghi. “Ci deve essere solidarietà, ma anche una risposta alle richieste di controllare il tetto sul prezzo del gas”. Nonostante la proposta avanzata dal premier di convocare un vertice straordinario a luglio per affrontare l’argomento, i piani per la Ue restano quelli di discuterne solo all’Eurosummit, che avrà luogo a ottobre. Ma c’è comunque soddisfazione: “Immaginavo – spiega l’ex presidente Bce – che alla fine saremmo finiti nel solito rinvio, con un linguaggio un po’ vago“. Al contrario, “le cose si stanno muovendo, ma le cose non vengono da sole e spesso non subito o non così rapidamente”. In ogni caso, Draghi è sicuro che al G7 se ne parlerà: “Gli Usa sono consapevoli delle difficoltà che stiamo incontrando per le sanzioni, che sono molto pesanti per noi. Gli Stati Uniti hanno già deciso qualche misura di aiuto nel portare gas liquido in Europa, ma sono cifre molto contenute ancora. Sono preoccupati soprattutto del prezzo del petrolio, in quel senso è stata avanzata l’ipotesi di un price cap” anche per il greggio.

(Photo credits: JOHN THYS / AFP)

Russia taglia ancora i flussi gas. Governo pronto ad attivare ‘scudi’

La strategia russa di ridurre i flussi di gas verso l’Europa continua. Anzi, diventa sempre più ampia. Perché stavolta il taglio delle forniture comunicato a Eni è del 50% a fronte di una richiesta giornaliera di circa 63 milioni di metri cubi. Peggio dell’Italia è andata alla Francia, che ha smesso di ricevere il gas da Mosca dallo scorso 15 giugno, secondo quanto riferito dall’operatore del sistema di trasporto transalpino, Grtgaz. Senza contare che negli ultimi giorni il gigante russo Gazprom ha ridotto notevolmente le sue forniture a quasi tutti i Paesi europei: la Germania attraverso il gasdotto Nord Stream 1. A Parigi, comunque, non è scattato ancora l’allarme perché le scorte francesi sono piene al 56%, rispetto all’abituale 50% nello stesso periodo. Al momento resta sotto controllo, assicura l’Ue, anche perché in estate i consumi scendono, ma i tagli arrivano proprio quando i Paesi devono riempire le proprie riserve almeno all’80%.

Per quanto riguarda l’Italia, gli stoccaggi sono al 52 percento e la situazione è sotto costante monitoraggio da parte del ministero della Transizione ecologica. Che settimana prossima tirerà le somme di questo taglio e prenderà le contromisure del caso. “Sono già pronte”, ha assicurato il ministro Roberto Cingolani, che lavorerà al tavolo per l’emergenza. Tra le risposte che il governo potrebbe dare c’è quella di un allungamento dei tempi per il phase-out dal carbone, oltre a un aumento delle percentuali di risparmio del gas. Ma il vero obiettivo, esplicitato chiaramente dallo stesso Cingolani durante il question time in Senato, giovedì scorso, è quello di aumentare la produzione nazionale, sfruttando molto di più i giacimenti nel suolo italiano, abbandonati circa vent’anni fa con una strategia che oggi ci consegna questo quadro: “Siamo passati da una produzione pari al 20% del fabbisogno, nel 2000, al 3-4% nel 2022, che non è coinciso con una riduzione assoluta del gas né un beneficio ambientale, ma solo con un aumento delle importazioni” e dei costi, ripete come un mantra il responsabile del Mite.

Il primo passo è quello di rivedere il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee. Senza questo step sarà impossibile riattivare le trivelle, che tornano centrali in questa fase storica: “E’ scoppiata una guerra che ha cambiato completamente il panorama mondiale dell’energia”, avvisa infatti Cingolani. Confermando comunque “la rotta della decarbonizzazione al 55%”. Sul punto il ministro incassa il sì di Federpetroli, ma anche del segretario generale della Uiltec, Paolo Pirani.

Oltre alla strategia interna, però, il governo spinge sull’acceleratore anche in Europa per arrivare a un’intesa sul tetto massimo al prezzo del gas. Il premier Mario Draghi, alla luce dei tagli operati da Gazprom, ha fatto capire chiaramente che al prossimo Consiglio Ue del 23 e 24 giugno i partner dovranno discutere seriamente del price cap. Anche perché l’aumento dei prezzi del gas sta creando notevoli difficoltà agli stoccaggi. Secondo diversi analisti è una diretta conseguenza del calo delle forniture: ad esempio il gas naturale in Europa, il Ttf di Amsterdam, è balzato a circa 130 euro per megawattora, contro circa 100 euro di mercoledì scorso. Un anno fa, di questi tempi, era a 30 euro. Ma Vladimir Putin fa finta di nulla. Anzi, rimpalla le responsabilità cercando di ‘spostarle’ dal suo Paese, che a febbraio ha iniziato l’invasione dell’Ucraina terremotando i mercati mondiali. E’ stata “una politica energetica fallimentare” a far lievitare i prezzi dell’energia in Europa perché “la Russia non ha nulla a che vedere” con questo, ha detto il responsabile del Cremlino all’Economic Forum di San Pietroburgo.

Tra gli altri effetti della guerra, tra l’altro, c’è la crisi alimentare alle porte per il blocco del grano nei porti ucraini. Anche in questo caso Putin respinge le accuse. L’unica novità, sebbene parziale, è una timida apertura all’appello delle Nazioni Unite al dialogo sulla sicurezza alimentare. Ma, leggendo attentamente tra le righe, il suo assenso è condizionato al fatto che il fulcro del dialogo sia “la creazione di condizioni normali per la logistica, la finanza e il trasporto per aumentare le esportazioni russe di cibo e fertilizzanti”. Come rivelato da Draghi a Kiev, Putin ha rifiutato la Risoluzione Onu per far partire le navi cariche di grano e cereali che sono vitali per diversi Paesi poveri del mondo, Africa in primis.

Infine, in questo scenario, c’è anche un’altra preoccupazione a cui il governo deve dare risposta. Perché il rincaro dei carburanti torna a mordere la carne viva di cittadini e imprese, con cifre oltre i 2 euro al self per il gasolio. Dalla Lega arriva la richiesta di confermare il taglio delle accise di 25 centesimi e Matteo Salvini si aspetta il decreto entro la fine di giugno. Ma una proroga delle misure di contenimento è attesa un po’ da tutte le forze politiche. E il governo non dovrebbe tirarsi indietro. La fase è cruciale, dunque, ogni errore può essere pagato a caro prezzo. E non metaforicamente.

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Durata e riparabilità delle apparecchiature elettroniche. Il ‘repair score’ Ue

L’introduzione di regole armonizzate in Ue sulle informazioni ai consumatori riguardo a durata e riparabilità delle apparecchiature elettroniche è uno dei punti indicati dal Parlamento europeo in vista di una futura legge sul diritto di riparazione. Il ‘repair score‘ (indice di riparabilità), secondo una petizione promossa dal gruppo dei Verdi all’Europarlamento dovrebbe tenere conto di quattro differenti parametri: il design del prodotto accessibile; gli strumenti necessari per eseguire la riparazione; la disponibilità di pezzi necessari per la sostituzione; i prezzi dei pezzi di ricambio.

In attesa di una regolamentazione a livello comunitario, alcuni Paesi si sono già mossi autonomamente per dotare le nuove apparecchiature elettriche e elettroniche di un’indicazione chiara sulla riparabilità, sulla falsariga di quanto accade già per l’indice di prestazione energetica. Capofila assoluta è la Francia dove dal 1° gennaio, nell’ambito della legge anti spreco per l’economia circolare, è entrato in vigore l’obbligo dell’indice de réparabilité inizialmente solo per smartphone, televisori, lavatrici a oblò e tosaerba. Recentemente, però, la normativa è stata estesa anche a lavatrici a carica dall’alto, lavastoviglie, robot aspirapolvere, idropulitrici cablate e non e ad alta pressione. L’etichetta sulla riparabilità è caratterizzata da un punteggio compreso tra 1 e 10, calcolato come la media su una griglia di voci definite dal ministero della Transizione Ecologica. Quattro parametri sono comuni a tutte le categorie merceologiche: disponibilità di documentazione per riparatori e consumatori; facilità di smontaggio; disponibilità di pezzi di ricambio; prezzo dei pezzi di ricambio. La quinta voce è specifica per ogni tipologia di prodotto: ad esempio, per i pc portatili viene valutato l’aggiornamento del software. Al punteggio finale è anche collegata una scala di colori che va dal rosso scuro per gli oggetti meno riparabili al verde scuro di quelli più riparabili. Il tutto è contrassegnato da un pittogramma con un ingranaggio e una chiave inglese.

L’obiettivo del governo di Parigi è duplice: da un lato rendere più appetibili per consumatori i prodotti potenzialmente più durevoli, dall’altro stimolare le case costruttrici a migliorare le proprie pratiche, rendendole più circolari. Bruxelles ovviamente osserva con attenzione l’iniziativa francese che potrebbe diventare il modello di una futura etichettatura di riparabilità in Ue. Intanto, anche altri Paesi iniziano a muoversi nella stessa direzione. Il governo spagnolo ha annunciato la volontà di introdurre l’indice di riparabilità e la stessa richiesta è arrivata qualche settimana fa dal ministro tedesco per la Protezione dei consumatori, Steffi Lemke. La vera svolta, capace di indurre le grandi aziende a puntare su prodotti facilmente riparabili, può però arrivare solo grazie a un’iniziativa legislativa a livello europeo, sulla scia di quanto ha di recente fatto l’Europarlamento spingendo per l’introduzione del caricatore universale per i device elettronici.

(Photo credits: Maruf Rahman)

Riparazione

Cavazzini (Verdi): “In Ue diritto alla riparazione diventi storia di successo”

Il diritto alla riparazione come perno della strategia dell’Unione Europea per contrastare l’obsolescenza programmata e le pratiche sleali in ambito digitale, ma soprattutto per cercare di mettere un freno a uno spreco di rifiuti elettronici che ormai ammonta a 11mila tonnellate ogni anno nell’Ue. In attesa della proposta della Commissione Europea – annunciata dal gabinetto guidato da Ursula von der Leyen entro l’autunno 2022 – sono gli eurodeputati a voler fare da pungolo per alzare il più in alto possibile l’asticella delle ambizioni comunitarie. In particolare è questa l’intenzione della presidente della commissione per il Mercato interno e la protezione dei consumatori (IMCO) del Parlamento Ue e relatrice sul diritto alla riparazione, Anna Cavazzini. In un’intervista rilasciata a GEA – Green Economy Agency, l’eurodeputata tedesca del gruppo Verdi ha spiegato quali sono le prerogative dell’Eurocamera e come fare di questa iniziativa un vero punto di svolta per i diritti dei cittadini dell’Unione.

Presidente Cavazzini, qual è la linea rossa per il Parlamento Europeo in vista dell’imminente proposta della Commissione sul diritto alla riparazione?
“Il Parlamento ha definito chiaramente la sua posizione, ci aspettiamo che la Commissione si occupi del nucleo centrale del diritto alla riparazione, ovvero l’accesso ai pezzi di ricambio e ai manuali per gli attori del settore, compresi i consumatori. Abbiamo bisogno di migliori informazioni sulla durata e sulla riparabilità per consentire acquisti sostenibili. Allo stesso tempo, gli incentivi alla riparazione, anziché alla sostituzione, devono trovare riscontro nelle garanzie, nella responsabilità estesa del produttore e negli appalti pubblici”.

Quale parte della proposta rischia di essere la più critica?
“Dobbiamo fare in modo che i prodotti facilmente riparabili diventino una storia di successo non solo per i consumatori e il pianeta, ma anche per le imprese, i commercianti e i produttori. Abbiamo bisogno di un indice di riparazione che convinca i consumatori a spendere un po’ di più al momento dell’acquisto, ma solo se il prodotto dura di più. Questa richiesta sarà un incentivo per le aziende a passare alla riparabilità in fase di progettazione”.

C’è il pericolo che l’obsolescenza programmata rimanga nella pratica?
“L’obsolescenza programmata è particolarmente difficile da bandire, poiché molti operatori del settore ne negano l’esistenza. Inoltre, attualmente è il consumatore a doverla dimostrare. Ecco perché è necessaria un’inversione dell’onere della prova sul produttore, oltre all’inclusione dell’obsolescenza programmata nell’elenco delle pratiche commerciali sleali”.

A oggi abbiamo però una proposta della Commissione sulla modifica della direttiva sui diritti dei consumatori, a proposito della durata e riparabilità dei prodotti. Qual è la sua opinione?
“La proposta della Commissione sull’aggiornamento dei diritti dei consumatori va nella giusta direzione: le scelte sostenibili promuoveranno la transizione verde e l’economia circolare. Anche per quanto riguarda la riparabilità e la durata dei prodotti , le informazioni affidabili per i consumatori sono fondamentali. Siamo anche soddisfatti di vedere che la Commissione sta affrontando la questione dell’obsolescenza programmata, anche noi vorremmo un divieto totale”.

Quali altre iniziative possono essere adottate per implementare il concetto di diritto alla riparazione?
“Alcuni degli elementi fondamentali del diritto alla riparazione possono essere affrontati modificando, per esempio, la direttiva sulle vendite di beni che regola le garanzie: in caso di rottura di un prodotto, l’opzione della riparazione dovrebbe essere preferibile alla sostituzione. Servono poi ulteriori incentivi per rendere la riparazione la prima scelta dei consumatori, attualmente è troppo costosa e troppo lenta”.

E come risolvere il problema dei costi?
“Può essere affrontato a livello di Stati membri. Per esempio, attraverso la riduzione dell’Iva per i servizi di riparazione. Il ritmo delle riparazioni sarà più veloce quando questo mercato non sarà più disfunzionale e ci saranno più attori, non solo le officine autorizzate”.

Un’ultima domanda. Come possiamo stimare il contributo del diritto alla riparazione al Green Deal europeo?
“Il diritto alla riparazione funziona su entrambi i fronti nella transizione verso un’economia circolare. Da una parte, consente ai consumatori di riparare invece di buttare e comprare di più. Dall’altra, si risparmiano risorse mantenendo i prodotti in uso più a lungo. Insieme al riciclo alla fine del ciclo di vita, è un elemento tangibile del Green Deal europeo, che contribuirà a proteggere il clima e l’ambiente”.

(Photo credits: Jan Vašek)

parlamento ue

Anno decisivo per l’Ue su diritto riparazione: eurodeputati fissano paletti

Quattro cittadini europei su cinque preferirebbero riparare i propri dispositivi piuttosto che acquistarne di nuovi e ritengono che i produttori dovrebbero essere obbligati a rendere più semplice la sostituzione delle singole componenti. Ma, allo stesso tempo, i rifiuti elettronici sono il flusso di rifiuti in più rapida crescita al mondo, e solo nell’Unione Europea lo spreco si attesta tra le 11 e le 13mila di tonnellate. Ogni anno. È per questo motivo che a Bruxelles il diritto alla riparazione sta diventando un’urgenza per le istituzioni comunitarie.

Un impegno che il gabinetto guidato da Ursula von der Leyen ha fissato entro la fine del 2022, per “incoraggiare l’utilizzo di prodotti per un periodo più lungo, rendere la riparazione più semplice e stimolare l’uso dei beni di seconda mano“, come ha precisato la vicepresidente per i Valori e la trasparenza, Věra Jourová. La proposta è ancora in fase di elaborazione, ma secondo quanto trapela da fonti europee, dovrebbe includere misure per l’affidabilità, la facilità di disassemblaggio, l’aumento del riciclo, oltre a incentivi alla riparazione e l’accesso a pezzi di ricambio critici, in particolare per smartphone e computer portatili, i più soggetti a pratiche di obsolescenza programmata.

A fare da pungolo è il Parlamento Europeo, perché il diritto alla riparazione diventi un tassello fondamentale per la realizzazione degli obiettivi del Green Deal Europeo. La posizione favorevole degli eurodeputati è decennale, con due risoluzioni già adottate sulle misure concrete che possono rendere le riparazioni sistematiche ed efficienti sul piano economico. L’ultimo voto in sessione plenaria è dello scorso 7 aprile, a stragrande maggioranza: con 509 voti a favore, 3 contrari e 13 astensioni, l’Eurocamera ha posto i propri paletti sull’imminente proposta della Commissione. Il punto centrale riguarda la fase di progettazione: i prodotti devono essere realizzati per durare più a lungo e per essere riparati in modo sicuro, anche grazie all’accesso gratuito alle informazioni sulla manutenzione per riparatori e consumatori.

Per quanto riguarda i dispositivi digitali, la richiesta degli eurodeputati è di rendere reversibili gli aggiornamenti software, e che non comportino riduzioni di prestazione. Si tratta del contrasto all’obsolescenza programmata – da considerare come ‘pratica commerciale sleale’ – che dovrebbe tradursi in un divieto a livello Ue. Nella futura legge sul diritto alla riparazione dovrebbero essere garantiti incentivi per scegliere la riparazione rispetto alla sostituzione, regole armonizzate in fase di vendita (punteggio di riparazione, durata stimata, pezzi di ricambio, servizi di riparazione) e un sistema di etichettatura intelligente, come codici QR o passaporti digitali dei prodotti. Da studiare anche un meccanismo di responsabilità congiunta produttore-venditore in caso di vendita di prodotti non conformi.

In attesa della proposta entro fine 2022, il diritto alla riparazione è il faro che ha guidato la Commissione nella proposta di revisione della direttiva sui diritti dei consumatori (che attualmente copre solo un numero limitato di prodotti, come elettrodomestici bianchi e televisori). Nello specifico, secondo la proposta che dovrà essere vagliata da Parlamento e Consiglio, agli utenti finali devono essere garantite le informazioni di durata del prodotto in fase di progettazione e come può essere riparato (sulla confezione o su un sito web), “sempre prima dell’acquisto e in modo chiaro e comprensibile”. Se il produttore offre una garanzia commerciale di durata superiore a due anni, il venditore dovrà informare il consumatore, mentre per i beni energivori questa regola dovrebbe valere anche quando il produttore non l’ha comunicata. Sul piano della riparazione, dovranno essere incluse specifiche “pertinenti“: punteggio di riparabilità, disponibilità di pezzi di ricambio, manuale di riparazione e aggiornamenti del software, nel caso di dispositivi intelligenti e contenuti digitali.

Aviazione

Aviazione ad alto impatto, T&E: “Troppi biocarburanti non sostenibili”

Trasporto aereo e sostenibilità, la Commissione europea è poco ambiziosa e segue un’impostazione che contraddice le aspirazioni green della transizione verde che pure è al centro dell’agenda politica a dodici stelle. A rimettere tutto in discussione Transport & Environment, l’ombrello di organizzazioni non governative attive nella promozione del trasporto sostenibile in Europa, nell’analisi dedicata ad aviazione civile e i suoi carburanti. Si contesta a Bruxelles di aver riposto attenzioni e fiducia alle alternative sbagliate. Si punta troppo sui biocarburanti “derivati da materie prime non sostenibili, e troppo poco sul cherosene ecologico, generato dalla combinazione di idrogeno verde (H2) e anidride carbonica (CO2), e che “ha il potenziale per ridurre sostanzialmente l’impatto climatico dell’aviazione” in modo quantitativamente e qualitativamente migliore.

Il mercato ci sarebbe. T&E stima che i produttori di combustibili sostenibili in Europa potrebbero produrre 1,83 milioni di tonnellate di cherosene ecologico per l’aviazione nel 2030, permettendo l’abbattimento di circa cinque milioni di tonnellate di CO2, l’equivalente di 30mila voli transatlantici. A patto che si voglia investire davvero qui. Perché se gli operatori sono pronti, la politica non lo è. Il mercato europeo del cherosene ecologico “è pronto per quote più elevate e una più rapida produzione, ma i responsabili politici non stanno fornendo incentivi sufficienti per sviluppare ulteriormente la produzione”. Le organizzazioni non governative del comparto dunque invitano la politica, soprattutto quella comunitaria, a cambiare rotta.

Al fine di de-carbonizzare l’aviazione in modo rapido ed efficiente, l’e-cherosene deve essere reso prontamente disponibile per le compagnie aeree per integrarsi nei loro carburanti per jet esistenti”. La richiesta è chiara, e tiene conto dell’andamento dell’offerta. Si stima che entro il 2025 più di 0,16 milioni di tonnellate di e-cherosene possono essere messe a disposizione per le compagnie aeree ogni anno, e che la disponibilità conoscerà una rapida impennata, visto che “entro il 2030, questa cifra raggiungerà oltre 1,83 milioni di tonnellate”, la quota indicata come utile a tagliare cinque milioni di emissione di uno dei principali responsabili del surriscaldamento del pianeta alla base dei cambiamenti climatici.

L’agenda che non è stata capace di dettare l’esecutivo comunitario, la mette a punto Transport & Environment. Gli obiettivi della Commissione per il cherosene pulito per l’aviazione “sono troppo bassi e iniziano troppo tardi”. Si contesta l’assenza di impegni e obblighi al 2025 e solo dello 0,7% al 2030, quando servirebbe “almeno lo 0,1% nel 2025 e il 2% nel 2030”. In sintesi, “l’Ue deve alzare la posta sul cherosene ecologico”, insiste Matteo Mirolo, responsabile delle politiche aeronautiche di T&E.

(Photo credits: AXEL HEIMKEN / AFP)