Piano Mattei, un mese al ‘D-Day’. Meloni: “In dirittura d’arrivo norma sulla governance”

Manca un mese al ‘D-day‘. Le lancette dell’orologio corrono veloci verso l’appuntamento del 5-6 novembre, quando a Roma si riunirà il vertice Italia-Africa: è quella la data indicata dalla premier, Giorgia Meloni, per la presentazione ufficiale del Piano Mattei a cui sta lavorando il suo governo da mesi e che dovrebbe portare il nostro Paese a diventare l’hub europeo del gas, ma anche di rinnovabili e idrogeno verde.

Al momento si conoscono le linee guida: un approccio non predatorio verso il continente africano, con accordi bilaterali da chiudere con i Paesi africani con alto potenziale energetico, per uno sviluppo delle infrastrutture da lasciare per l’80% sui territori di origine, con investimenti che creino lavoro e benessere per i cittadini dell’Africa, evitando così che fame, carestie e cambiamenti climatici impongano esodi di massa. In cambio, l’Italia diverrebbe la porta d’ingresso di una parte consistente degli approvvigionamenti di energia per il Nord Europa.

Un progetto ambizioso, sul quale la diplomazia è a lavoro su più tavoli. Quelli con i governi degli Stati africani e quelli con i partner Ue. C’è, però, una novità. A confermarla è la stessa Meloni, a margine dei lavori del summit della Comunità politica europea a Granada: “Siamo in dirittura d’arrivo con una norma sulla governance di questo nostro Piano”. La premier non si sbilancia, ma non è difficile ipotizzare che possa essere creata una cabina di regia apposita, che gestisca i vari negoziati sotto la guida della stessa presidente del Consiglio. I testi, comunque, saranno portati anche in Parlamento e all’attenzione delle istituzioni europee. Perché “per essere efficace” il Piano Mattei ha bisogno “di un’Europa che ci creda nel suo complesso. Da soli non possiamo risolvere tutti i problemi del continente”.

Dalle indiscrezioni circolate in questi mesi, non è escluso che il progetto possa includere anche un capitolo dedicato al reperimento delle materie prime critiche, di cui alcune zone dell’Africa sono ricche. Per i dettagli, però, toccherà attendere ancora qualche settimana, mentre Meloni e il suo governo continuano a tessere la tela del Piano Mattei.

Risale bolletta del gas: a settembre +4,8%. Da associazioni consumatori appello al Governo

Sale la bolletta del gas per le famiglie italiane. L’Arera annuncia per la famiglia tipo in tutela un +4,8% per i consumi di settembre rispetto ad agosto. L’aggiornamento è determinato interamente dall’aumento della spesa per la materia gas naturale, che ha registrato una quotazione media all’ingrosso superiore rispetto a quella del mese di agosto, pari a 37,05 €/Mwh. Rimangono invariati gli oneri generali e la tariffa legata alla spesa per il trasporto e la misura.

In termini di effetti finali, la spesa gas per la famiglia tipo nell’anno scorrevole (ottobre 2022-settembre 2023) è di 1.459 euro circa, al lordo delle imposte, e risulta in calo del 13,9% rispetto ai 12 mesi equivalenti dell’anno precedente (ottobre 2021-settembre 2022). Confermati per settembre e per tutto il 2023 l’azzeramento degli oneri generali e la riduzione Iva al 5%, come anche per la gestione calore e teleriscaldamento.

La notizia dell’aumento della bolletta del gas colpisce i consumatori, a cui Arera aveva comunicato già la scorsa settimana i rincari, nell’ultimo trimestre dell’anno, per quanto riguarda l’elettricità. Si parla di un +18,6% per la luce per la famiglia tipo in tutela nel quarto trimestre. Il costo sarà di 28,29 centesimi al kWh.

Un doppio rincaro che spaventa i consumatori. Secondo il Codacons i rincari annunciati “fanno salire la spesa per luce e gas a un totale di 2.091 euro annui a nucleo, +181 euro all’anno rispetto le precedenti tariffe“. E il rischio, per il presidente dell’associazione Carlo Rienzi, è “una nuova escalation dei prezzi dell’energia nei mesi invernali, quando cioè si concentra l’80% dei consumi di gas delle famiglie”. Per questo Codacons, come anche Ferderconsumatori e Assoutenti, chiede al Governo di rivedere lo stop al regime di maggior tutela, visto che “i prezzi sono ancora fortemente instabili e non ci sono al momento le condizioni per abbandonare il mercato tutelato”. Un’instabilità, rincara la dose l’Unione Nazionale Consumatori, che azzererà i benefici del trimestre anti inflazione: “Da ottobre a dicembre arriva un trimestre di caro bollette che si mangerà il carrello tricolore in un sol boccone”.

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Bollette, Pichetto: Per la fine del mercato tutelato valutiamo gradualità

Per la fine del mercato tutelato per 10 milioni di utenti domestici, in scadenza il 10 gennaio 2024, il governo valuta “gradualità“. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, tenta di rassicurare i cittadini che dall’inizio del prossimo anno dovrebbero passare al mercato libero per il gas e l’elettricità, in una fase ancora di forte instabilità. La conclusione della riflessione, spiega il responsabile del Mase, “ci sarà nelle prossime settimane“.

Il passaggio dal mercato tutelato a quello libero comporterà l’obbligo di scegliere il proprio fornitore, con il rischio di incorrere nuovi rincari dei prezzi, già gravati dall’inflazione e dalle turbolenze geopolitiche internazionali. Ma si ragiona anche sul ‘disaccoppiamento’ degli utenti vulnerabili dagli altri, spiega il ministro da Torino, a margine dell’evento l’Italia delle Regioni.

Questo perché la fascia fragile della popolazione sarebbe più gravata dai rincari. Sarebbero ‘salvi’ quindi i cittadini con più di 75 anni, chi si trova in condizioni economicamente svantaggiate o in gravi condizioni di salute che richiedono l’utilizzo di apparecchiature medico-terapeutiche salvavita alimentate dall’energia elettrica, ma anche i soggetti presso i quali risiedono persone in queste condizioni, disabili a cui sono stati riconosciuti i benefici previsti dalla legge 104, coloro i quali sono in soluzioni abitative di emergenza dopo eventi calamitosi e chi vive in un’isola minore non interconnessa.

Il mercato tutelato dell’energia garantisce condizioni economiche delineate dall’Arera sulla base dell’andamento dei prezzi all’ingrosso di luce e gas. Il provvedimento nasce sei anni fa, in un quadro diverso, con i prezzi dell’energia non volatili, in una situazione poco ‘rischiosa’ per gli utenti. Dall’inizio del 2022 in poi, però, il mercato ha fatto registrare picchi vertiginosi e abbassamenti dei prezzi che non sono mai scesi comunque ai livelli di due anni fa.

Il rinvio dovrà essere valutato dal Consiglio dei ministri, in raccordo con l’Unione europea. La proroga, però, non è l’unica opzione dell’esecutivo.

L’inizio del percorso che porterà alla fine del servizio di maggior tutela nel settore del gas è iniziato nel peggiore dei modi, all’insegna dell’improvvisazione, di comportamenti erratici delle aziende e dello spregio dei più elementari diritti dei consumatori”, denuncia Federconsumatori. Gli utenti del servizio di maggior tutela, fa sapere l’associazione, stanno ricevendo, in questi giorni, le lettere da parte del proprio gestore che li invita a sottoscrivere l’offerta più conveniente sul libero mercato tra quelle disponibili nel proprio pacchetto. “Pena, in caso di mancata sottoscrizione, di ritrovarsi da gennaio con un contratto applicato in automatico, che sarà, quasi certamente, peggiorativo“. Il contenuto delle lettere, per i consumatori, sarebbe complicato, non facile da decifrare. Pesa, per Federconsumatori, “l’assenza assoluta di comunicazioni istituzionali che il Governo si era impegnato a mettere in campo per aiutare i consumatori a gestire nel migliore dei modi questo complicato passaggio“. La richiesta al Governo è di “fermare questo treno che ha già deragliato pochi metri fuori dalla stazione”: “Basta con gli annunci di singoli ministri o viceministri – invoca l’associazione -, occorre che il Consiglio dei ministri assuma, già nelle prossime ore, una decisione formale di sospensiva, almeno per un anno, alla fine del servizio di maggior tutela per il gas e l’energia elettrica“.

Eni scopre in Indonesia bacino da 140 miliardi di metri cubi di gas

Nuova scoperta di un giacimento di gas da parte di Eni in Indonesia, nel pozzo Geng North-1 perforato nella licenza North Ganal, a circa 85 km di distanza dalla costa orientale del Kalimantan. Le stime preliminari indicano volumi complessivi pari a 5 mila miliardi di piedi cubi di gas (circa 140 miliardi di metri cubi) con un contenuto di condensati fino a circa 400 milioni di barili. I dati acquisiti, secondo Eni, “permetteranno lo studio delle opzioni per uno sviluppo accelerato”.

Il pozzo, perforato fino ad una profondità di 5.025 metri in 1.947 metri di profondità d’acqua, ha incontrato una colonna a gas di circa 50 metri in arenarie di età miocenica dalle eccellenti proprietà petrofisiche, che sono state oggetto di una intensa campagna di acquisizione dati. Per una completa valutazione della scoperta è stata eseguita con successo una prova di produzione che, sebbene limitata dalle capacità delle attrezzature di test, ha permesso di stimare una portata del pozzo pari a 80-100 milioni di piedi cubi/giorno (circa 2,2-2,7 milioni di metri cubi al giorno) e 5000 -6000 barili al giorno di condensati associati.

Geng North, grazie alla sua ubicazione ed alle sue dimensioni, ha il potenziale per contribuire significativamente alla creazione di un nuovo polo di produzione nella parte settentrionale del bacino del Kutei, collegabile alle facilities di liquefazione (LNG) di Bontang, sulla costa del Kalimantan orientale, sfruttandone la capacità disponibile. Si stima che, in aggiunta a Geng North, nell’area di interesse siano presenti oltre 5mila miliardi di piedi cubi (Tcf) di gas in posto in scoperte non ancora sviluppate; allo stesso tempo un altrettanto significativo potenziale esplorativo è in fase avanzata di definizione attraverso gli studi in corso.

La scoperta di Geng North è infatti adiacente all’area del Indonesia Deepwater Development (IDD), che include diverse scoperte non ancora sviluppate, in particolare nelle licenze Rapak e Ganal, per la quale Eni ha recentemente annunciato l’acquisizione degli interessi di Chevron, aumentando la quota di partecipazione e acquisendo il ruolo di operatore. Si ritiene che siano possibili significative sinergie in termini di opzioni di sviluppo fra le due aree. L’acquisizione inoltre fornisce l’opportunità di sviluppo rapido (fast track) delle scoperte esistenti di Gendalo e Gandang (con riserve recuperabili di circa 56 miliardi di metri cubi di gas) mediante le facilities di produzione di Jangkrik operate da Eni.

La scoperta di Geng North segue il recente annuncio dell’accordo raggiunto da Eni per l’acquisizione di Neptune Energy, al completamento del quale la posizione di Eni nel blocco North Ganal e nella scoperta di Geng North si rafforzerà ulteriormente. Il blocco è operato da Eni North Ganal Limited, che detiene una partecipazione del 50,22%, con Neptune Energy North Ganal BV e Agra Energi I Pte Ltd che detengono rispettivamente il restante 38,04% e 11,74%. Eni opera in Indonesia dal 2001 e gestisce un ampio portafoglio di asset in esplorazione, sviluppo e produzione con una produzione a gas di circa 80.000 barili di olio equivalente al giorno in quota dai giacimenti di Jangkrik e Merakes nell’offshore del Kalimantan orientale.

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TAP Melendugno

Gozzi: “L’Italia deve definire una strategia energetica per il futuro”

È ormai del tutto evidente che l’Europa non riesce a fare una politica energetica comune. Le vicende recenti lo dimostrano ampiamente: dall’impossibilità pratica di trovare un accordo sul price cap del gas nel pieno della crisi causata dall’invasione russa dell’Ucraina, alle politiche di sussidio ai prezzi dell’energia che i singoli Stati, specie i più forti come Germania Francia, hanno deciso di fare autonomamente piuttosto che impegnarsi per un accordo complessivo europeo.

Le politiche di sussidio ai prezzi sono state consentite dal fatto che di fronte alla crisi economica provocata dal Covid prima e dalle conseguenze della guerra Russia-Ucraina poi, la Commissione Europea è intervenuta con il Temporary crisis and transiction framework, in pratica una deroga alle stringenti regole sugli aiuti di stato che ha consentito ai singoli governi di intervenire secondo una logica “ognun per sé Dio per tutti” per alleviare il caro energia per famiglie ed imprese.

Ovviamente questi interventi, specie quelli a favore delle imprese e in particolare delle imprese energivore, creano asimmetrie competitive gravi tra le imprese degli stati forti, che tali interventi si possono permettere, e quelle degli stati meno forti finanziariamente. E ciò mina alla base il principio del mercato unico.

Si potrebbe ovviare a queste distorsioni istituendo ad esempio una tariffa elettrica comune europea per le imprese energivore. Ma purtroppo nessuno ne parla, da un lato perché a Bruxelles, come abbiamo più volte ricordato, a causa dell’ubriacatura dell’estremismo ambientalista c’è disinteresse, se non un vero e proprio pregiudizio, nei confronti dell’industria di base; dall’altro perché i singoli Stati, schiacciati dalle stringenti regole europee sul climate change, stanno cercando, ognuno per proprio conto, una via alla transizione energetica che consenta contemporaneamente di decarbonizzare e di abbassare il costo dell’energia.

Vasto programma che a breve farà i conti con la realtà, in particolare mostrando che gli obiettivi del cosiddetto Green Deal al 2050 (zero emissioni nette di gas con effetto serra, crescita economica dissociata dall’uso delle risorse senza trascurare nessuna persona e nessun luogo) sono di fatto irraggiungibili. Ma tant’è.

Realisticamente dobbiamo prendere atto che una politica comune europea dell’energia, sia pure auspicabile, non è possibile per i troppi conflitti di interesse fra Stati e per la diversità dei punti di partenza che spesso rappresentano vantaggi competitivi per i sistemi economici e industriali nazionali a cui chi ne può godere non vuole rinunciare.

Alla luce di ciò l’Italia, secondo sistema industriale d’Europa, si deve rapidamente attrezzare con una strategia energetica di medio-lungo periodo che consenta alla sua industria di rimanere competitiva.

Gli altri grandi Stati europei stanno facendo così. Basta guardare i differenziali di prezzo dell’energia dei maggiori Paesi Europei rispetto all’Italia che si trova fortemente penalizzata.

La Germania ha puntato moltissimo sul vento del mare del Nord, sul fotovoltaico e sull’approvvigionamento di idrogeno. Negli ultimi mesi si stanno installando nel Paese l’equivalente di 30 campi di calcio di fotovoltaico al giorno e 4-5 turbine eoliche al giorno. Per raggiungere gli obiettivi climatici al 2030 i tedeschi dichiarano che sarà necessario costruire 43 campi di calcio al giorno di fotovoltaico e mantenere il ritmo di 5 turbine eoliche al giorno. Ci riusciranno? Si vedrà. Nel frattempo la chiusura di centrali nucleari e centrali a carbone spiazza l’industria tedesca e la obbliga a riscoprire le centrali a gas: Ansaldo Energia ha recentemente vinto una gara in Germania per la costruzione di una grande centrale a gas.

La Francia, coerentemente alla sua storia, ha fatto e ribadito la scelta del nucleare. Vinta la battaglia in Europa per inserirlo nella Tassonomia (la lista delle tecnologie ammissibili con il Green Deal) da un lato sta facendo giganteschi interventi di manutenzione sulle centrali esistenti, tutte risalenti a molti decenni fa, dall’altro è all’avanguardia sui progetti di nucleare di quarta generazione, molto più sicuro e meno costoso del tradizionale, su cui mantiene e manterrà una leadership continentale. Il nucleare, specie quello di nuova generazione, è naturalmente la fonte energetica ideale per l’industria: completamente decarbonizzata e stabile, sicura e relativamente poco costosa nel lungo periodo.

La Spagna sta sfruttando intelligentemente la sua configurazione geografica che le mette a disposizione enormi estensioni pianeggianti poco abitate e quindi ideali per installare fotovoltaico ed eolico, ed una grande estensione costiera grazie alla quale con l’aiuto europeo ha installato, già molti anni fa, diversi rigassificatori per l’importazione di LNG (gas naturale liquefatto); e può contare su tutte le tecnologie energetiche disponibili, perché accanto alle rinnovabili vi troviamo ben 5 centrali nucleari e molte centrali a gas.

Non parliamo dei Paesi del Nord Europa, in particolare Norvegia Svezia, dove la risorsa idroelettrica è sovrana. Ma accanto all’idroelettrico la Svezia, consapevole che le rinnovabili non sono sufficienti per garantire l’approvvigionamento energetico del Paese, ha annunciato un piano per la costruzione di altri 10 reattori nucleari oltre ai 6 già esistenti. La Norvegia, accanto alle immense risorse idroelettriche che soddisfano il 60% del fabbisogno energetico del Paese, è un grande produttore di gas. Nel 2022 ha fornito, con enormi guadagni, circa 90 miliardi di metri cubi di gas all’UE e 36 alla Gran Bretagna. Inoltre il paese è all’avanguardia nelle tecnologie di cattura e stoccaggio delle CO2.

E l’Italia?

L’Italia dal punto di vista delle emissioni di CO2 è in una posizione virtuosa in Europa. Pur essendo un grande paese industriale abbiamo emissioni molto più basse ad esempio della Germania. Ciò si deve soprattutto al fatto che l’industria italiana negli ultimi 20 anni ha fatto importantissime politiche di risparmio energetico; che il settore della produzione d’acciaio, secondo in Europa dopo quello tedesco, è praticamente decarbonizzato perché usa per più dell’80% delle produzioni la tecnologia del forno elettrico; che negli ultimi anni c’è stato un importante sviluppo delle energie rinnovabili.

La configurazione orografica del Paese, con pochi o nessun terreno pianeggiante non dedicato all’agricoltura, la non cospicua presenza di zone ventose, le grandi bellezze naturali e paesaggistiche, il sistema delle regole e burocratico non efficiente: tutto ciò non consente né consentirà all’Italia di crescere più di tanto nelle energie rinnovabili.

I Paesi industriali come il nostro hanno un gran bisogno, accanto alle energie intermittenti come sono le rinnovabili, di energia di base (base load) decarbonizzata. Le uniche due tecnologie capaci di assicurare energia elettrica di base stabile per almeno 6000 ore l’anno sono le centrali turbogas e in prospettiva il nucleare di quarta generazione. Del nucleare di quarta generazione si parlerà come minimo tra quindici anni e non è chiaro che ruolo potrà avere l’Italia sullo sviluppo di questa tecnologia.

Per fortuna anche negli anni del nucleare messo al bando Ansaldo ha mantenuto una capacità di ricerca e di intervento che è stata impiegata fuori dall’Italia e oggi può essere una grandissima risorsa per il Paese.

Ma dobbiamo risolvere il problema dei prossimi 15/20 anni senza essere completamente spiazzati nel costo dell’energia rispetto a quello di cui potranno godere gli altri Paesi europei.

Anche noi abbiamo un grande vantaggio competitivo per posizione geografica e infrastrutturazione: siamo l’unico Paese europeo che ha 5 pipe line di ingresso del gas e 5 rigassificatori, e siamo quindi in posizione ideale per l’importazione di gas.

Il prezzo del gas naturale potrebbe scendere significativamente nei prossimi anni per il combinato disposto di una riduzione della domanda europea e una contemporanea forte crescita di offerta nel bacino del Mediterraneo. L’Algeria ha in programma di passare in cinque anni dai 120 miliardi di metri cubi di produzione annuale attuale a 160 miliardi di metri cubi, i giacimenti tra CiproEgitto ed Israele sono di dimensione gigantesca e non se ne conosce ancora la reale dimensione, la stessa Libia una volta stabilizzata aumenterà la sua produzione annuale di gas.

Insomma si potrà comprare il gas a buon prezzo e ciò aiuterà a produrre energia elettrica a basso costo nelle nostre centrali turbogas. Ovviamente a queste centrali vanno applicate le tecnologie della Carbon Capture Utilisation e Storage (CCUS). Queste tecnologie, che in Italia soprattutto l’Eni conosce e domina, e che consistono nel catturare la CO2 dai processi industriali e utilizzarla ad esempio per produrre metano sintetico o carburanti sintetici decarbonizzati (metanolo) e/o nello stoccarla in giacimenti esausti, come fanno da tempo inglesi e norvegesi, stupidamente sono state osteggiate per molto tempo a livello europeo perché l’ideologia estremista ritiene che il gas, che è enormemente meno inquinante del carbone, non possa essere utilizzato neppure se decarbonizzato.

L’Italia dovrebbe lanciare invece una grande campagna a favore di queste tecnologie e applicarle intensivamente alle centrali elettriche turbogas. Esistono problemi di costi che vanno stimati e gestiti, bisogna promuovere molta ricerca per abbattere questi costi come si è fatto per le rinnovabili, ma questa è l’unica strada intelligente che il nostro Paese ha per gestire la fase di transizione senza chiudere le sue industrie.

Usa, stop di Biden a nuovi progetti di gas e petrolio nel nord dell’Alaska

L’amministrazione Biden ha annunciato che vieterà ogni nuovo sviluppo di progetti legati a petrolio e gas in una vasta area dell’Alaska settentrionale, in risposta alla “crisi climatica”. Questa nuova misura riguarda più di quattro milioni di ettari, una zona paragonabile a quella della Danimarca, all’interno della National Petroleum Reserve in Alaska (NPR-A), un’area naturale vitale per le popolazioni di orsi grizzly, orsi polari, caribù e centinaia di migliaia di uccelli migratori.

“L’Alaska ospita molte delle più belle meraviglie naturali degli Stati Uniti”, ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti in una nota. “Poiché la crisi climatica riscalda l’Artico a una velocità più che doppia rispetto al resto del mondo, abbiamo la responsabilità di proteggere queste preziose regioni per i secoli a venire”, ha aggiunto. Il Dipartimento degli Interni, che si occupa delle terre federali negli Stati Uniti, ha spiegato di aver cancellato sette permessi di disboscamento autorizzati dall’ex presidente Donald Trump in un’altra area protetta nel nord dell’Alaska.

Ma lo scorso marzo, l‘amministrazione del presidente democratico era stata pesantemente criticata dagli ambientalisti dopo la decisione di autorizzare un vasto progetto petrolifero del gigante statunitense ConocoPhillips in questa stessa riserva nazionale. La decisione annunciata oggi non mette in discussione questo progetto, noto come Willow, autorizzato durante il mandato di Donald Trump. Ridotto a tre zone di perforazione dalle cinque inizialmente richieste dalla compagnia, costerà tra gli 8 e i 10 miliardi di dollari e dovrebbe comportare l’emissione indiretta dell’equivalente di 239 milioni di tonnellate di CO2. I gruppi ambientalisti hanno definito il progetto “un disastro” per il clima e alcuni vedono nell’annuncio di oggi un tentativo dell’amministrazione Biden di recuperare il tempo perduto.

Il nuovo piano del governo Usa vieta anche le trivellazioni in un’area di oltre un milione di ettari nel Mare di Beaufort, a nord della costa settentrionale dell’Alaska, e gli aiuti alle popolazioni indigene locali. Queste misure “sono illegali, sconsiderate, sfidano il buon senso e sono l’ultima prova dell’incoerenza della politica energetica del presidente Biden”, ha commentato la senatrice repubblicana dell’Alaska Lisa Murkowski in un comunicato stampa, denunciando la mancanza di consultazione con le comunità indigene interessate.

La democratica Mary Peltola, che rappresenta l’Alaska alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, si è detta “profondamente frustrata”, criticando l’amministrazione Biden per essere rimasta sorda alle richieste dei cittadini. Ma Biden si è scontrato anche con l’opposizione di importanti membri delle comunità indigene locali, che hanno deplorato l’impatto economico di questa misura su una regione devastata. “La nostra comunità ha lottato duramente per far sì che la pianura costiera venisse aperta alle licenze di petrolio e gas”, ha dichiarato Annie Tikluk, sindaco della città di Kaktovik, riferendosi alle sette licenze ora revocate.

Durante la sua campagna per la presidenza, Biden aveva promesso un congelamento dei permessi di sfruttamento del petrolio, promessa non mantenuta. Alcuni sottolineano che le azioni legali degli Stati repubblicani hanno limitato il suo margine di manovra su questo tema.
L’anno scorso, il presidente democratico ha anche fatto approvare un enorme piano di investimenti per il clima da 400 miliardi di dollari. Secondo uno studio pubblicato a luglio sulla rivista Science, questo piano consentirebbe di ridurre le emissioni di gas serra degli Stati Uniti dal 43 al 48% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2005, ma non di dimezzare le emissioni entro il 2030.

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L’Ue verso il terzo round di acquisti congiunti di gas dal 21 settembre

Dopo la pausa estiva delle istituzioni, riprende il lavoro della Commissione europea sugli acquisti congiunti di gas. Si aprirà giovedì 21 settembre il terzo round di acquisti congiunti di gas a livello europeo. A quanto apprende GEA, a partire da quella data le imprese europee potranno presentare le loro richieste per i volumi di aggregazione, e a partire dal 3 ottobre i fornitori internazionali di gas potranno quindi presentare le loro offerte per la domanda aggregata. Per l’Unione europea si tratta della terza gara di acquisti in comune, dopo due cicli che si sono conclusi rispettivamente a metà maggio e a inizio luglio. La Commissione europea punta a organizzare in tutto cinque round di acquisti congiunti entro la fine del 2023.

Il primo ciclo di acquisti congiunti si è chiuso a metà maggio con offerte per oltre 13 miliardi di metri cubi di gas, a fronte di una domanda complessiva di 11,6 miliardi di metri cubi richieste dalle aziende dell’Unione europea. Bruxelles ha fatto sapere che la domanda e l’offerta sono state abbinate per circa 10,9 miliardi di metri cubi di gas, tra Stati membri Ue e Ucraina, Moldova e Balcani Occidentali che hanno aderito alla piattaforma per gli acquisti congiunti. La seconda gara di acquisti congiunti si è chiusa lo scorso 10 luglio, con in tutto 25 fornitori internazionali che hanno risposto alla gara con offerte per la fornitura di un volume totale di 15,19 miliardi di metri cubi di gas per rispondere alla domanda europea aggregata di 15,92 miliardi di metri cubi di gas. I destinatari della gran parte degli acquisti congiunti finora sono stati Paesi Bassi, Francia, Italia, Bulgaria e Germania.

L’idea della Commissione europea è quella di attrarre fornitori su base regolare, indicativamente ogni due mesi (giugno, agosto, ottobre e dicembre) fino alla fine del 2023, consentendo a tutte le imprese di volta in volta di contrattare il gas per i successivi 12 mesi. Il regolamento Ue sugli acquisti congiunti prevede l’obbligo di aggregazione del 15% degli obiettivi annuali di stoccaggio del gas, in vista della prossima stagione di riempimento degli stoccaggi per l’inverno: i Paesi membri Ue hanno l’obbligo di riempire le riserve sotterranee di gas al 90% della capacità entro il primo novembre 2023.

La piattaforma è stata lanciata il 7 aprile 2022, ma il meccanismo per gli acquisti di gas ha impiegato quasi un anno a ingranare. Anche grazie agli acquisti congiunti, la media europea del livello di riempimento degli stoccaggi di gas ha già raggiunto (con due mesi di anticipo) l’obiettivo del 90 per cento stabilito lo scorso anno dalle istituzioni comunitarie entro il primo novembre. La Commissione europea sta valutando di rendere lo strumento degli acquisti congiunti strutturale nella politica energetica dell’Ue, estendendolo anche alle forniture di gas rinnovabili, materie prime critiche e idrogeno. A ottobre sarà pubblicato il primo resoconto sui risultati di questi primi mesi di esercizio degli acquisti congiunti, per capire anche come procedere nei prossimi passi e come portare avanti il lavoro fino alla fine dell’anno.

gas

Cala ancora la domanda di gas in Europa. E continuerà a scendere nella seconda metà del 2023

La domanda di Gas in Europa è diminuita drasticamente nella prima metà del 2023 e questa tendenza sembra destinata a continuare nella seconda metà dell’anno. E’ quanto emerge da un rapporto del secondo il Forum degli Esportatori di Gas (GECF). Sotto esame dall’inizio della guerra in Ucraina, che ha complicato le forniture di Gas all’Ue privata dei gasdotti russi, il consumo è sceso del 10,6% nella prima metà del 2023, ovvero di 21 miliardi di metri cubi.

Secondo il rapporto, questo calo può essere spiegato “principalmente dall’inverno eccezionalmente caldo” in Europa nel primo trimestre del 2023, che ha portato a un calo della domanda di riscaldamento domestico. Il rapporto cita anche la politica proattiva di Bruxelles, che ha fissato un obiettivo di riduzione dei consumi del 15% per i 27 Paesi membri.

Nella seconda metà del 2023, “la probabilità di osservare tendenze simili nel consumo di Gas naturale in Europa rimane particolarmente elevata”, secondo il Gecf, che raggruppa una dozzina di Paesi esportatori di Gas al di fuori degli Stati Uniti. In particolare, si basa sulle più recenti previsioni meteorologiche “che suggeriscono che il quarto trimestre del 2023 sarà caratterizzato da condizioni relativamente più calde”.

Al di là di questo aspetto legato al clima, il rapporto sottolinea la necessità che l’Europa continui la sua politica volontaria di sobrietà. Il documento menziona il calo della domanda da parte del settore industriale, che “difficilmente si riprenderà in modo sostanziale nei prossimi sei mesi”. Nella prima metà del 2023, infatti, nonostante il calo dei prezzi del Gas in Europa, la domanda industriale non è tornata ai livelli precedenti al declino. “Per il 2023, prevediamo un calo tra l’8% e il 10% rispetto al 2022”, afferma il Forum.

Questo non impedisce ai Paesi europei di riempire gli impianti di stoccaggio in vista dell’inverno: secondo i dati aggregati di Gas Infrastructure Europe (Gie), la media dei 27 Paesi membri dell’Unione Europea ha superato il target del 90% delle capacità, come stabilito dal Regolamento Ue RePowerEu. Secondo l’ultimo aggiornamento la media delle scorte europee ha raggiunto la soglia fissata con più di due mesi di anticipo sulla data stabilita dal Regolamento, il 1° novembre 2023. Le scorte in Italia sono salite dello 0,22% rispetto alla rilevazione precedente al 90,62%. Gli unici Paesi membri Ue a non aver ancora toccato quota 90% sono Belgio (87,85%), Danimarca (86,55%), Francia (84,04%), Lettonia (77,33%), Romania (82,72%) Ungheria (85,75%). Il livello massimo di riempimento degli stoccaggi è stato raggiunto dalla Spagna, con il 99,98%.

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Bankitalia: 2023 a due fasi, prima la crescita poi lo stop. Restano rischi sul prezzo del gas

Il Pil italiano è cresciuto nella prima parte dell’anno, ma ora questo trend si è “sostanzialmente arrestato”. Anche i dati della Banca d’Italia confermano che il nostro Paese è in una fase molto particolare per l’economia, con un 2023 a due fasi. I dati raccolti nel terzo Bollettino economico di via Nazionale mostrano che nei primi tre mesi dell’anno “il Pil italiano è tornato a crescere dello 0,6% rispetto al trimestre precedente, i consumi delle famiglie sono saliti, sospinti dal parziale recupero del reddito disponibile reale e da condizioni più favorevoli del mercato del lavoro, e gli investimenti totali, che hanno raggiunto livelli di oltre il 20% superiori a quelli del 2019, hanno continuato ad aumentare“. Ma allo stesso modo, da aprile a giugno c’è stata una evidenza frenata.

L’attività è stata sostenuta dai servizi (soprattutto quelli turistico-ricreativi)“, spiega lo studio, ma “la produzione manifatturiera è diminuita, frenata in particolare dall’indebolimento del ciclo industriale globale“. Dunque, “in attesa che lo stimolo derivante dal Pnrr si dispieghi pienamente“, l’attività sembra ridotta “anche nel settore delle costruzioni, risentendo della graduale attenuazione degli effetti degli incentivi fiscali legati al Superbonus 110%“. Almeno in questo quadro un aspetto positivo c’è, perché secondo le valutazioni di Bankitalia, anche se “su un insieme ancora limitato di dati“, l’alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna lo scorso mese di maggio “pur avendo conseguenze rilevanti sull’economia locale, non ha avuto un impatto significativo sulla crescita del prodotto dell’Italia nel complesso del secondo trimestre“.

Altro capitolo delicato è quello relativo all’energia e riguarda tutta Europa, dunque Italia compresa. Ad oggi lo scenario è quello di un costante trend di calo dei prezzi di gas naturale al Ttf, la borsa di riferimento. Nella prima settimana di luglio è arrivato a toccare una quota poco inferiore ai 35 euro per megawattora, una cifra decisamente migliore dei circa 50 euro/Mwh di fine marzo. Merito del livello di stoccaggi molto ampio, combinato all’andamento moderato dei consumi industriali e l’abbondante offerta di Gnl a livello globale. Ma guai ad abbassare la guardia, avverte la Banca d’Italia, perché “i rischi che gravano sul prezzo del gas per la prossima stagione invernale rimangono non trascurabili”. Restando in tema, sono molto positive le cifre disavanzo energetico, che nei primi tre mesi del 2023 “si è dimezzato“, arrivando al 3,6% del Pil, “grazie alla forte riduzione del valore delle importazioni (da 8,6 a 4,6 miliardi di euro)”.

Nel primo trimestre 2023, poi, la progressiva riduzione dei prezzi dell’energia e dei beni importati ha determinando un “calo dei costi variabili per unità di prodotto dell’1,6%” rispetto al trimestre precedente, mette in luce il Bollettino. Il margine operativo lordo rapportato al valore della produzione è quindi cresciuto di circa 1,8 punti percentuali, “recuperando pienamente i livelli del 2021“. Questo aumento dei margini di profitto ha riguardato tutti i settori della manifattura, inclusi quelli della metallurgia, della chimica e della produzione di carta e legno, nei quali nonostante la contrazione dei prezzi si è osservata una diminuzione dei costi più intensa. Ma “nel complesso del manifatturiero i margini di profitto sono tornati ai livelli pre-pandemici“, sebbene “gli andamenti sono stati tuttavia eterogenei tra comparti“.

La diminuzione dei prezzi dell’energia ha contribuito notevolmente anche al calo dell’inflazione. Stando al Bollettino di Bankitalia, dalla seconda metà del 2022 negli Usa, sulla base dell’indice dei prezzi al consumo, è scesa di circa 6 punti percentuali (dal 9,1% di giugno 2022 al 3 in giugno di quest’anno)”. Ma l’andamento è simile anche nell’area dell’euro, che passa “dal 10,6% di ottobre 2022 al 5,5 del mese scorso, appaiando la dinamica degli degli Stati Uniti, seppure “con alcuni mesi di ritardo”. Nella media del secondo trimestre è proseguita anche la discesa dell’inflazione armonizzata al consumo, che a giugno raggiunge 6,7%. Sui prezzi dei beni alimentari c’è un lieve allentamento, ma in sostanza “continuano a risentire degli effetti ritardati dello shock energetico sui costi di produzione lungo l’intera filiera“. Inoltre, avverte Bankitalia, “pressioni al rialzo potrebbero derivare dagli ingenti danni alla produzione agricola causati dall’alluvione in Emilia-Romagna”.

Guardando al prossimo futuro, però, secondo le proiezioni della Banca d’Italia per l’economia italiana, nello scenario di base il Pil aumenterebbe dell’1,3% quest’anno, dello 0,9 nel 2024 e dell’1 percento nel 2025. Inoltre, l’inflazione sarebbe al 6% nel 2023 per poi scendere al 2,3 nel 2024 e al 2 nel 2025. “Il quadro macroeconomico continua a essere caratterizzato da forte incertezza, con rischi orientati al ribasso per la crescita e bilanciati sull’inflazione”, sottolinea via Nazionale. Specificando che in questo quadro “si ipotizza che le tensioni connesse con il conflitto in Ucraina non comportino ulteriori difficoltà nell’approvvigionamento di materie prime energetiche“.

Ok alla remissione in bonis per il Tax credit luce e gas

È possibile avvalersi della “remissione in bonis” al fine di sanare la mancata trasmissione della comunicazione che, originariamente, doveva essere trasmessa entro il 16 marzo 2023 al fine di poter proseguire nella compensazione dei tax credit luce e gas relativi al III e IV trimestre 2023 a partire dal 17 marzo 2023.
“La tanto attesa notizia arriva con la risoluzione n. 27 del 2023 dell’Agenzia delle Entrate – spiega Rosa Santoriello, consigliere d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – con cui precisa che il mancato invio della comunicazione entro il 16 marzo 2023 non rappresenta un elemento costitutivo dei crediti richiamati. La sua omissione, infatti, non ne inficia l’esistenza, ma ne inibisce l’utilizzo in compensazione, qualora lo stesso non sia già avvenuto entro il 16 marzo 2023. Si tratta, dunque, di un adempimento di natura formale”.
“Per salvare i crediti non compensati – prosegue Santoriello – si rende quindi necessario presentare, prima di effettuare compensazioni, la comunicazione originariamente omessa e versare la sanzione dovuta, pari a 250 euro tramite F24 ELIDE”.

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