Cdm e vertice governo, inizia ‘l’autunno’ della politica. Riflettori sulla legge di Bilancio

Giornata piena a Palazzo Chigi, quella di oggi 30 agosto. Con il vertice di governo tra la premier, Giorgia Meloni, e i suoi vice, Matteo Salvini e Antonio Tajani, e il successivo primo Consiglio di ministri post-ferie, inizia ufficialmente ‘l’autunno’ della politica. No, le stagioni non sono cambiate – nonostante il clima continui a dare segnali di profonda sofferenza -, ma questo, storicamente, è il momento di ‘mettere a terra’, come si usa dire oggi, i progetti di lavoro da qui alla fine dell’anno.

In agenda sono tanti i temi da discutere, tra gli alleati di governo e maggioranza. La partita europea è chiusa, non nel senso che gli accordi siano stati già definiti con Ursula von der Leyen, anzi. Ma la quadra su Raffaele Fitto è stata trovata da tempo e domani in Sala del Consiglio, dopo lo scampanellio della premier, si tratterà solo di mettere il suo nome nero su bianco sul foglio da spedire a Bruxelles con oggetto: candidato italiano alla nuova Commissione Ue. Poi tutto passerà nelle mani della presidente Udl, alla quale staranno fischiando parecchio le orecchie da direzione sud-Europa, dopo il tour de force del leader Ppe, Manfred Weber, a Roma. La partita andrà avanti fino a novembre, mese nel quale la squadra sarà completata con giocatori e ruoli assegnati.

Nel frattempo l’Italia deve imbastire tutti i passaggi che dovranno portare alla prossima legge di Bilancio 2025. In primis, il Piano strutturale di bilancio da consegnare a Parlamento e Unione europea: il Mef garantisce che arriverà in Cdm nei tempi previsti, ovvero metà settembre. Il documento non è di poco conto, perché prende il posto della Nadef e da quello si capirà se i rumors sui tagli all’assegno unico per i figli, il lavoro femminile e le pensioni sono reali, o fake news come sostiene il ministero dell’Economia. Dalle opposizioni chiedono chiarezza anche sulle reali intenzioni del governo rispetto alla transizione ecologica e la conseguente conversione industriale, perché, a detta degli avversari di centrosinistra (se riusciranno a trovare la quadra sulla potenziale coalizione), la lotta ai cambiamenti climatici non sembra proprio essere in cima ai pensieri della maggioranza.

Uno scenario, questo, che richiama ancora una volta alla sfida europea. Perché a Bruxelles il centrodestra continua a chiedere di avere un’Ue “meno ideologica“, ergo razionalizzando i dettami del Green deal. Principio sul quale, invece, la rive gauche italiana (e non solo) non vuole cedere e insiste con i vertici delle istituzioni continentali per andare avanti. Forti anche del fatto che i voti a von der Leyen per la riconferma, loro, non li hanno fatti mancare. Come il Ppe, che vuole realismo per non sovraccaricare le imprese. Sarà un bel nodo da sciogliere, per la riconfermata presidente.

Altro punto: i trasporti. L’estate nera per l’intensa opera di infrastrutturazione delle linee ferroviarie starebbe volgendo al termine, ma da sciogliere restano comunque diversi nodi, soprattutto sull’alta velocità. Per inciso, il ministro Salvini esulta per il via libera della commissione Mase agli interventi sulla AV Salerno-Reggio Calabria.

C’è il tema lavoro, poi. Il rilancio del piano industriale italiano ed europeo, fortemente voluto da Adolfo Urso. Il ministro delle Imprese e il Made in Italy dovrà mettere mano a diversi dossier, primo tra tutti Stellantis, per la Gigafactory di Termoli (il tavolo è fissato per il 17 settembre) e non solo. C’è da capire se arriverà, come sperano a Palazzo Piacentini, un secondo produttore automobilistico (ma anche un terzo e un quarto). Inoltre, vanno risolti i tavoli di crisi aperti, incrociando le dita che i dati sul fatturato dell’industria (in calo su base annua, a luglio) non ne portino altri in dote. Allo stesso tempo, c’è da aiutare le imprese a mantenere uno standard elevato di export (che va a gonfie vele), potenziando l’internazionalizzazione delle nostre aziende nel mondo.

Agricoltura. Capitolo complicato, legato a doppio nodo sia al Green deal, per il contrasto ai cambiamenti climatici, sia al braccio di ferro sulle regole europee, che i nostri agricoltori contestano perché miopi e troppo restrittive nella competizione con mercati che, invece, hanno pochi ostacoli da superare.

Tutto questo scenario, infine, si incrocia con la partita politica delle prossime elezioni regionali. Si voterà in Liguria, Emilia-Romagna e Umbria: tre partite che potrebbero riaprire i giochi per il centrosinistra oppure chiuderli (per il momento) a favore del centrodestra e del governo. Anche di questo parleranno Meloni, Salvini e Tajani. Cosa che faranno pure nel campo opposto (vedremo se largo o meno). Per l’appunto, l’autunno della politica è già iniziato.

Nel 2024 cresce il reddito delle famiglie italiane. Meloni: “Aumento più forte tra Paesi G7”

Nella calura agostana arriva una notizia ‘rinfrescante’ per l’Italia. L’Ocse, infatti, certifica che nel primo trimestre del 2024 il reddito reale pro capite delle famiglie è aumentato dello 0,9% rispetto allo 0,3% del trimestre precedente, mentre il Prodotto interno lordo reale pro capite è cresciuto dello 0,3. “Tutte le economie del G7 hanno registrato un aumento del reddito reale pro capite delle famiglie nel primo trimestre del 2024. L’Italia ha registrato l’aumento più forte (3,4%), guidato da un aumento dei redditi da lavoro dipendente e dai trasferimenti sociali in natura, invertendo il calo del trimestre precedente”, ha sottolineato l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

I numeri fanno esultare la premier, Giorgia Meloni, dal buen retiro pugliese. “Finalmente i redditi stanno crescendo più dell’inflazione, dopo anni di perdita di potere d’acquisto delle famiglie”, scrive sui suoi canali social. Rimarcando che si tratta dell’aumento “più forte tra tutte le economie del G7”. Un risultato, sottolinea ancora Meloni, “ben superiore alla media Ocse dello 0,9%”, frutto anche “delle politiche del governo che hanno concentrato gran parte delle risorse disponibili al rinnovo dei contratti, ad aumentare le pensioni, a sostenere i salari attraverso il taglio del cuneo contributivo e la riduzione dell’Irpef, e per rafforzare i trasferimenti sociali in natura”. La presidente del Consiglio, però, non abbassa la guardia. “C’è ancora moltissimo da fare, ma questi segnali ci dicono che siamo sulla strada giusta. Continuiamo a lavorare con determinazione per un’Italia sempre più giusta e prospera”.

La politica, anche se in pausa estiva, comunque non perde l’occasione per commentare. Entusiastici, ovviamente, i toni della maggioranza. In particolare da Fratelli d’Italia: “I dati Ocse confermano il successo delle politiche del governo Meloni in favore delle famiglie. Un aumento del reddito reale di oltre il 3 per cento a fronte di una media Ocse dello 0,9 percento. È il frutto di un approccio che ha chiuso con i bonus, gli sprechi e i sussidi concessi senza alcun controllo”, dichiara il presidente dei senatori FdI, Lucio Malan.

Toni diametralmente opposti, invece, nelle opposizioni. È il Pd, con Arturo Scotto, a intervenire sul tema. “Consiglierei alla presidente Meloni meno trionfalismi sui dati Ocse. L’incremento del primo trimestre 2024 del reddito reale delle famiglie non risolve il tema sollevato dalla stessa Ocse appena due settimana fa: l’Italia è l’unico paese dell’area Ocse che non ha visto crescere i salari reali rispetto all’inflazione dal prepandemia. Sette punti ancora sotto”. Anche ad agosto la politica non va mai (veramente) in vacanza.

Barachini: “Sacrosanta una nuova legge sull’editoria. Per l’Ia serve approccio umanocentrico”

Un tempo si diceva intervista ‘a tutto tondo’. Alberto Barachini, sottosegretario all’Editoria e all’Informazione, davvero tocca tanti argomenti ai microfoni del #GeaTalk (guarda qui il video integrale). Innanzitutto sulla rielezione di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea: “Come esponente di Forza Italia sono estremamente soddisfatto del fatto che la coerenza dell’appartenenza al Partito popolare europeo ha portato a una buona continuità di governo europeo. La coerenza e anche la visione europeista del nostro movimento politico e del Ppe credo siano fondamentali anche per dare una centralità all’Italia“.

Restando sull’attualità, Barachini risponde anche (indirettamente) all’appello lanciato poche ore prima dal presidente dell’Autorità per Garanzie nelle Comunicazioni, Giacomo Lasorella, che alla presentazione della Relazione annuale 2024 di Agcom dice apertamente che serve una nuova legge sull’editoria. “Credo che sia sacrosanto e fa parte di una riflessione che molti di noi hanno fatto in questo periodo. Il sistema dell’editoria sta cambiando in maniera vorticosa e la legge è del 1987. Qualcosa sicuramente va rivisto“. Anche perché “il sistema nazionale dell’informazione italiana è fragile, quindi va tutelato e difeso nell’interesse nazionale e nell’interesse anche occupazionale del Paese“, ammette l’esponente di governo.

Oggigiorno tutto sta cambiando rapidamente sotto la spinta del web, dei social e adesso anche dell’Intelligenza artificiale, argomento di cui Barachini si occupa quasi quotidianamente. Al punto da aver creato una commissione, con a capo padre Paolo Benanti, che svolge lo stesso ruolo anche alle Nazioni Unite. Dal lavoro di questo nuovo organismo è stata prodotta una relazione che poggia le basi su tre pilastri: “Difesa del diritto d’autore, marcatura dei contenuti prodotti con l’Ia e, soprattutto, la nuova aggravante penale del cosiddetto deep fake“. Il testo è stato poi consegnato alla premier, Giorgia Meloni, che lo ha inserito nel dossier che ha centralizzato l’attenzione del G7 dei leader, alla presenza anche di Papa Francesco. “L’approccio umanocentrico prodotto nella nostra prima relazione è stato molto opportuno“, dice Barachini del lavoro svolto.

Il sottosegretario analizza diverse criticità di questa tecnologia. In fondo “siamo in presenza di un’innovazione della quale neanche gli stessi ingegneri conoscono l’evoluzione esatta“. Che porta anche qualche preoccupazione: “Abbiamo cercato di lavorare sul tema del cosiddetto ‘Registro di apprendimento dell’Ia – ricorda -, cioè chiedere alle società che sviluppano questa tecnologia di tenere un registro delle fonti. Si tratta di un tema molto delicato, perché i tecnici della commissione mi hanno detto che al momento, e probabilmente anche nel futuro, i sistemi di Intelligenza artificiale generativa sono talmente complessi che dalla risposta sarà quasi impossibile risalire alla fonte. Cioè, è talmente articolata l’interazione, la gestione delle fonti che lo stesso sistema non riconosce quali fonti che hanno generato un contenuto“.

Senza contare che, sul piano ambientale, l’Ia qualche problema lo crea. “Amazon, che sta investendo molto in Ia, ha fatto studi molto approfonditi sul consumo di energia elettrica e idrico, perché per raffreddare i server serve una mole di acqua incredibile. Quindi, la domanda è: il business che genererà sarà compatibile con l’esborso di risorse e i consumi che questo fenomeno richiede?“. Per Barachini “forse stiamo anche un po’ sopravvalutando l’Ia: pensiamo che possa fare cose straordinarie, poi quando gli chiediamo di fare delle cose molto semplici o facciamo degli esperimenti il contenuto è estremamente superficiale“. Ci sono anche aspetti positivi, però. Ad esempio per i Paesi sottosviluppati può essere una risorsa importante, a patto che “a livello internazionale si rifletta anche sulla capacità di sviluppo e, magari, sull’aiuto economico. Perché se queste tecnologie rimangono patrimonio solo di alcuni Paesi, invece che ridurre la povertà mondiale – avverte Barachini –, si rischia di ampliare il divario“.

Commissione Ue, parte il toto-nomi in Italia. Ma prima va chiusa la partita dei ‘Top Jobs’

La partita europea entra già nel vivo. Chiuse le urne e completati i conteggi, il negoziato sembra avviato sulla linea di una possibile riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Ue, ma stavolta la maggioranza potrebbe allargarsi a Verdi e Ecr, quanto meno a nuclei della famiglia dei Conservatori europei. Dunque, anche la composizione della squadra di governo continentale potrebbe essere più ‘larga’ del previsto, nonostante le iniziali ritrosie dei Socialisti. Prima, però, vanno definiti i cosiddetti ‘Top Jobs‘, ovvero i ruoli di vertice: Presidenza di Commissione e Consiglio, alto rappresentante per la politica estera, per intenderci. L’Italia può dire la sua, forte del fatto che l’esecutivo – uno dei pochi nel Vecchio continente – non ha subito contraccolpi dal voto, anzi ne esce rafforzato, in particolar modo la premier, Giorgia Meloni.

Non sarà una fase facile, né veloce anche se i rumors sono indirizzati verso la soluzione dei negoziati entro il 18 luglio. In questo lasso di tempo dovranno essere scelte anche le figure dei commissari con la relativa assegnazione delle varie deleghe. Ed è qui che si fa più calda la situazione nel nostro Paese. L’Italia vorrebbe un ‘ministero’ di peso: le voci di corridoio dei palazzi della politica suggeriscono di tenere d’occhio le deleghe alla Concorrenza (sarebbe il vero obiettivo di Meloni), ma anche l’Agricoltura, il Mercato interno o addirittura l’Energia, che potrebbe chiudere il cerchio di quel Piano Mattei su cui Palazzo Chigi sta puntando molte delle sue fiches di politica estera. Difficile, ma non fantascienza, che al nostro Paese venga assegnata la Difesa, mentre potrebbe rivelarsi un boomerang accettare eventualmente la delega agli Affari interni, che in pancia porta la delicata questione dei flussi migratori, storicamente divisivo in Europa.

Una volta deciso chi farà cosa, allora si potrà passare alla fase dei nomi. Sebbene il pallottoliere stia già andando a mille dalle parti di Roma. Finora sono tre i ministri del governo Meloni che hanno pubblicamente fatto sapere di non essere disponibili: in primis Giancarlo Giorgetti, che ha ripetuto spesso (e volentieri) di preferire il campo italiano a quello europeo. Si chiama fuori dai giochi anche Adolfo Urso, che vuole completare il lavoro al Mimit: “Il Paese ha altre personalità che saranno sicuramente più adeguate del sottoscritto, io certo non posso mollare quello che faccio“. Out pure Antonio Tajani, che più chiaro non poteva essere: “Ritengo non si debba tornare dove si è lavorato per 30 anni“, aggiungendo che preferisce restare alla Farnesina.
Sul taccuino, dunque, resta Raffaele Fitto, che in questi due anni ha avuto stretti contatti con Bruxelles nel suo ruolo di ministro degli Affari Ue, della Coesione e del Pnrr. Ma nelle ultime ore sono circolate altre ipotesi, altrettanto valide, come quella di Roberto Cingolani, attuale ceo di Leonardo con un passato da ministro della Transizione ecologica nel governo di Mario Draghi. Sarebbe un ‘tecnico‘, certo, ma con esperienza istituzionale, che alle latitudini europee conta eccome come criterio per essere scelto. Ancora, della squadra dell’ex Bce potrebbe avere il phisique du role Vittorio Colao, che ha guidato una multinazionale come Vodafone e ha fatto il ministro dell’Innovazione e Transizione digitale.

I bene informati non escludono, però, colpi di scena. Come Maurizio Leo che, però, ha ‘solo‘ gli ultimi due anni da viceministro dell’Economia nel suo curriculum politico da poter spendere a Bruxelles, dove è preferibile avere personalità che abbiano ricoperto cariche di maggiore responsabilità, sebbene il Mef sia considerato un dicastero assolutamente ‘pesante‘. Nella ruota dei ‘papabili‘ restano comunque Gilberto Pichetto (Mase) e Guido Crosetto (Difesa), così come a mezza bocca è circolato il nome di Francesco Lollobrigida, attuale ministro dell’Agricoltura, forse la persona più vicina alla premier. Molto difficile che possa traslocare dal Masaf, ma in politica vige una sola regola: ‘nulla è impossibile.

Attivate oltre 100 ‘war room’ del Pnrr. Meloni: “Italia prima per obiettivi raggiunti”

Oltre cento cabine di coordinamento presso tutte le Prefetture d’Italia. La premier, Giorgia Meloni, presiede la riunione di insediamento della ‘war room‘ per il Piano nazionale di ripresa e resilienza, dando di fatto a quella che lei stessa definisce “la fase 2 del Pnrr“. A Palazzo Valentini arriva a metà mattinata, occhiali da sole d’ordinanza seduta al lato passeggero della macchina di scorta. Ad attenderla il Prefetto di Roma, Lamberto Giannini, il presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, i ministri degli Affari europei, Raffaele Fitto, e dell’Interno, Matteo Piantedosi, poi il presidente di Anci Lazio, Riccardo Varone, e tutte le Prefetture in videocollegamento.

L’incontro dura circa un’ora e Meloni va dritta al punto nel suo intervento: “Quelli appena trascorsi sono stati mesi di straordinario lavoro di tutti i ministeri, le strutture e gli uffici, che ha permesso all’Italia di essere al primo posto in Europa per obiettivi raggiunti e avanzamento finanziario del Pnrr. Primato certificato dalla Valutazione a medio termine della Commissione europea“. Ragion per cui da questo momento, il “più importante, della concreta attuazione delle riforme e della messa a terra di tutti gli investimenti strategici“, diventa “fondamentale rendere più efficace il monitoraggio su base territoriale degli interventi del Piano, favorire le sinergie tra le diverse amministrazioni e i soggetti attuatori operanti nello stesso territorio e migliorare l’attività di supporto agli enti territoriali, anche promuovendo le migliori prassi“.

Poi, la presidente del Consiglio ricorda gli step raggiunti: “È entrato in vigore il nuovo Pnrr, comprensivo della settima missione RePowerEu, abbiamo ricevuto il pagamento sia della terza rata da 18,5 miliardi che della quarta rata da 16,5 miliardi di euro (l’Italia ha ad oggi ricevuto 102,5 miliardi di euro, rispetto ai 194,4 stanziati dall’Unione europea) e siamo in dirittura d’arrivo per il raggiungimento dei 52 obiettivi della quinta rata, pari a 10,6 miliardi di euro“. Il coordinamento servirà, dunque, a mantenere il trend. Anzi, “il confronto continuo con i territori, tra tutti i soggetti coinvolti, ci consentirà anche di accelerare i pagamenti e di standardizzare e diffondere le buone pratiche amministrative su tutto il territorio nazionale“, spiega Meloni.

Sullo sfondo resta, però, la polemica su alcuni tagli alla spesa corrente per i Comuni, prevista dalla spending review elaborata nell’ultima legge di Bilancio. Circostanza su cui torna anche Gualtieri, nel suo intervento alla cabina di coordinamento, parlando dei problemi che si potrebbero verificare sulla gestione dei servizi potenziati grazie al Pnrr: “L’attivazione, in alcuni casi, è una condizione della norma stessa, quella cioè di disporre la spesa corrente necessaria per l’attivazione dei servizi in periferie e nei luoghi di rigenerazione urbana” e “su questo devo sottolineare come il taglio della spesa corrente per i Comuni costituisca una criticità, a maggior ragione per chi è impegnato con il Pnrr“.

Fitto, però, risponde a distanza smentendo questa possibilità: “Surreale la polemica relativa allo schema di decreto sulla spending review. Ci sono state decine di dichiarazioni su presunti tagli, a partire dagli investimenti per gli asili. Sarebbe bastato leggere il comma 534 della manovra che esclude chiaramente la spesa relativa alla Missione 12 – Diritti sociali, politiche sociali e famiglia degli schemi di bilancio degli enti locali“. La replica del Pd arriva a stretto giro di posta: “Fitto dovrebbe scusarsi con gli italiani per le modalità con cui sta gestendo il Pnrr e falcidiando i comuni“. Anche il vicepremier, Matteo Salvini, poche ore prima aveva provato a rassicurare gli enti locali: “I sindaci è giusto che siano sempre preoccupati, ma non ci saranno tagli“.

Ue, Bonetti: “Investimenti comuni con fiscalità agevolata. Sul Mes errore grave”

Si candida all’Europarlamento con un progetto che metta al centro politica estera, difesa comune e un approccio al Green Deal non ideologico. Elena Bonetti, vicepresidente di Azione, co-fondatrice di Per-Popolari europeisti riformatori, in passato ministra delle Pari opportunità e la Famiglia nel governo Conte 2 e nell’esecutivo a guida Mario Draghi, racconta al #GeaTalk (clicca qui per rivedere l’intervista integrale) gli obiettivi per la nuova legislatura Ue. “Solo un’Europa solida, forte e coesa può rispondere alle esigenze dei cittadini e dei Paesi membri da un lato, e svolgere un ruolo di grande potenza sul piano internazionale dall’altro“. Ai suoi occhi il pericolo è evidente: “L’asse Russia-Cina da una parte, e Stati Uniti (ci auguriamo di no, ma magari a guida Trump potrebbe accadere) dall’altra, renderebbero l’Europa totalmente schiacciata e anche succube di decisione altrui“.

Si parte da una base ben definita: per agganciare il trend internazionale “uno sviluppo tecnologico industriale che affianca il piano di transizione climatica può essere la leva giusta“. In altri termini, “va portato avanti un Green Deal che sia sostenibile da un punto di vista economico, quello che si chiama l’effective cost, cioè ottenere un risultato bilanciato rispetto al costo, con l’obiettivo determinato di fare politiche pro ambiente“. L’esempio è la Direttiva sulle Case Green: “L’Ue ha votato – noi siamo stati l’unico partito di opposizione a esprimerci contro – un provvedimento rispetto al quale l’Italia è impegnata a ridurre del 16% il consumo energetico degli edifici. Questo significa, conti alla mano, che dobbiamo diminuire da qua al 2030 di 75 terawattora il consumo energetico degli edifici” e “il Superbonus, al 2022, aveva fatto una riduzione di 9 Terawattora. Facciamo pure che siamo molto più bravi, ma dobbiamo immaginare un potenziale costo di quattro volte superiore a quello del Superbonus“. Ma questi soldi, sia a livello pubblico che a livello privato, “non ci sono“, ergo “l’esito di questa Direttiva è che non si farà nulla, non cambieremo lo stato di consumo energetico degli edifici“.

Ragion per cui “ci immaginiamo un Green Deal che abbia la capacità di fissare obiettivi ambiziosi, ma raggiungibili a cui si affianchi il foglio del come raggiungerli. Se da un punto di vista energetico vogliamo ridurre le emissioni si investe sul nucleare – entra nel dettaglio -. Se si deve fare una riduzione dei costi energetici, deve esserci, per esempio, un investimento europeo che metta in campo una fiscalità agevolata per degli obiettivi di sostenibilità raggiungibile“. Altro tema emblematico: “Se continuiamo a investire solo sulle auto elettriche, ma non aggiorniamo l’industria dell’automotive europea in modo adeguato, rimanendo totalmente dipendenti dalla Cina per i componenti, non sono per le batterie, significa che l’Europa viene impoverita nella sua parte produttiva, scaricando i costi della transizione sulle imprese o sulle fasce sociali più deboli, aumentando le disuguaglianze sociali“, avvisa Bonetti.

Sull’energia, poi, la posizione è netta, ma da tempo ormai: “Il nucleare di nuova generazione ha dei livelli certificati di sicurezza molto più alti, tra l’altro, dei possibili incidenti che ci sono stati con altre forme di energia“.

Inoltre, Bonetti vede la necessità di avere una difesa comune europea e anche un esercito. “Il punto chiave è questo – dice -. Il passaggio che deve fare l’Europa al prossimo giro, dopo le elezioni di giugno, è decidere, almeno con i Paesi che ci stanno, di diventare un soggetto politico decidente. Per avere, ad esempio, l’ambizione di sedersi al tavolo delle Nazioni Unite e nel Consiglio di sicurezza anche come Unione europea“. In questo modo, dividendo anche le spese, “saremmo molto più efficaci muovendoci con la massa critica, con l’effetto scala europeo e non come singoli Paesi isolati, e avremmo minor costo e più beneficio“.

Impossibile non parlare del giudizio sul governo italiano e sulla premier Giorgia Meloni. “Sulla politica estera, almeno nella prima fase, è stata totalmente in continuità con la politica di Draghi. Pensiamo al sostegno all’Ucraina“. Poi, però, c’è il tema della “non credibilità dei suoi alleati interni, come Salvini“. Inoltre, secondo Bonetti, la presidente del Consiglio “ha fatto degli errori, penso gravi, come quello di non aver ratificato il Mes, oltre a non aver preso quello sanitario“. Perché l’Italia “col diritto di veto, ha impedito di ratificare uno strumento di tenuta finanziaria a livello europeo. Ed è chiaro che questo poi lo abbiamo pagato nella trattativa sul Patto di stabilità, dove evidentemente siamo arrivati più deboli“.

Piano Mattei, missione di Urso in Libia. E Meloni torna mettere nel mirino il Green Deal

C’è un ponte che unisce l’Africa a Bruxelles. No, non è il Ponte sullo Stretto ma il Mediterraneo. E, soprattutto, lo strumento: quel Piano Mattei che il governo italiano porta avanti da quasi due anni e ora vorrebbe accelerare i tempi per arrivare a dama con la nuova composizione di Parlamento e Commissione Ue.

In quest’ottica va letto il viaggio diplomatico del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, in Libia. Il responsabile del Mimit sarà infatti a Tripoli il 20 e 21 maggio per una visita ufficiale nel quadro del piano che ha come obiettivo quello di rafforzare la cooperazione con il Nord Africa in settori strategici, tra i quali l’energia e lo sviluppo di fonti rinnovabili per fare dell’Italia l’hub europeo degli approvvigionamenti.

Nell’agenda di Urso ci sono incontri bilaterali con il ministro dell’Economia e del Commercio, Mohamed Huej, ma anche con il responsabile dell’Industria e dei Minerali, Ahmed Abuhissa, infine con il ministro per le Comunicazioni e gli Affari Politici, Walid Al Lafi. Nel corso della sua missione, poi, avrà anche l’occasione di intervenire come oratore principale alla Conferenza Internazionale sull’industria e la tecnologia in Libia e partecipare alla 50esima edizione della Fiera internazionale di Tripoli, in cui sono presenti oltre 100 aziende italiane.

La missione di Urso in Libia è in linea con il programma di iniziative diplomatiche avviata nello scorso mese di aprile, con il viaggio in Egitto e che proseguirà lunedì 27 maggio in Tunisia. Inoltre, arriva solo pochi giorni dopo la visita della premier, Giorgia Meloni, che era stata a Tripoli lo scorso 7 maggio per incontrare il primo ministro del governo di unità nazionale, Abdul Hamid Mohammed Dabaiba, e il presidente del Consiglio presidenziale libico, Mohammed Yunis Ahmed Al-Menfi, per poi chiudere a Bengasi con il generale dell’Esercito nazionale arabo di Libia, Khalifa Belqasim Haftar.

A proposito della presidente del Consiglio, intervenendo a ‘Mattino 5‘, su Canale 5, Meloni è tornata a parlare di Transizione ecologica, facendo capire quali saranno i principi dell’azione che muoveranno l’azione del suo movimento politico nazionale, FdI, all’interno del gruppo europeo dei Conservatori. “Con la scusa della difesa dell’ambiente, abbiamo visto l’Ue che attaccava le nostre libertà. Ha preteso di dirci cosa mangiare, cosa guidare, se dovevamo efficientare le case e come lo dovevamo fare senza dire chi pagava, quali tecnologie le aziende potevano utilizzare“. Secondo Meloni c’è stata una “limitazione alla libertà delle persone su cui tornare indietro“. Perché, questo è il punto politico della premier, “l’Unione europea può dare gli obiettivi, ma i Paesi giudicano come conseguirli“.

Il Piano Mattei muove i primi passi dal Cairo

I primi atti ufficiali del Piano Mattei partono dall’Egitto. Giorgia Meloni domenica scorsa è volata al Cairo con la presidentessa della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il presidente della Repubblica di Cipro, Nikos Christodoulidis, e i primi ministri di Belgio, Alexander De Croo, Grecia, Kyriakos Mitsotakis, e Austria, Karl Nehammer, con l’obiettivo (europeo) di rafforzare il partenariato strategico Ue-Egitto. Ma anche per raggiungere altri obiettivi, stavolta però solo italiani.

Con il presidente egiziano al-Sisi, la premier parla di produzione agricola e sicurezza alimentare, concordando sulla necessità di stabilire un partenariato strategico tra i due Paesi per la realizzazione di “grandi progetti agricoli e di bonifica“: una ‘model farm‘ viene definita da Palazzo Chigi, che consenta anche di trasferire le più innovative tecnologie italiane nel settore per contribuire alla sicurezza alimentare. Un primo passo parallelo (e propedeutico) alla firma di una serie di accordi bilaterali che riguardano prettamente il Piano Mattei, con cui il governo vuole trasformare l’Italia nell’hub europeo dell’energia, con progetti di cooperazione in Africa che dovrebbero portare sviluppo e benessere, ponendo anche un freno ai flussi migratori irregolari. I protocolli riguardano diverse materie: dal supporto tecnico ai distretti industriali della pelle, marmo e mobile alla promozione dei diritti e della inclusione sociale delle persone con disabilità, una convenzione finanziaria tra Cdp e il governatore della Banca centrale egiziana per un credito agevolato di 45 milioni di euro alle pmi locali e un’intesa, sempre di Cassa depositi e prestiti, con Afreximbank da 100 milioni per progetti di sviluppo sostenibile nel campo della sicurezza alimentare per le piccole e medie imprese africane.

Sace, invece, ha sottoscritto due memorandum, con Orascom Contruction e Bank of Alexandria, per il supporto finanziario alla filiera italiana nei progetti di sviluppo infrastrutturale in Egitto e l’interscambio commerciale. Simest e National Service Project Organisation, poi, realizzazeranno un investimento nel settore minerario, delle sabbie silicee. Mer Mec e il presidente dell’Autorità Ferroviaria egiziana collaboreranno per la fornitura di un treno di misura per il monitoraggio delle linee convenzionali delle Ferrovie egiziane per il valore di circa 7 milioni di euro e la realizzazione di un progetto di segnalamento per un valore di circa 100 milioni. E ancora Arsenale Spa fornirà all’Autorità Ferroviaria egiziana un treno turistico. Infine, il memorandum d’intesa tra il direttore della Scuola Italiana di Ospitalità e il presidente del partner egiziano Pickalbatros Group servirà ad attivare un programma di formazione professionale nel campo dell’ospitalità e turismo, con l’obiettivo ulteriore di aprire una scuola di formazione nel servizio di gestione alberghiera e del turismo a Hurgada, nel Mar Rosso.

Per rafforzare i rapporti tra i due Paesi, la visita al Cairo è stata anche l’occasione per inaugurare gli uffici del ‘Sistema Italia’, che comprende l’Ambasciata d’Italia, le sedi di Ita/Ice, Cassa depositi e prestiti, Sace e Simest. Per la buona riuscita del Piano Mattei, infatti, servirà il massimo livello di relazioni con tutti i Paesi partner della sponda sud del Mediterraneo.

La ‘questione energetica‘, però, resta nella lista delle priorità a tutte le latitudini. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, infatti, oggi, 19 marzo, parteciperà al Berlin Energy Transition Dialogue, nella capitale tedesca. L’edizione 2024 ha numeri davvero importanti: 2mila partecipanti da più di 90 paesi, circa 50 ministri degli Esteri e dell’Energia e segretari di Stato, oltre ai 100 relatori di alto livello. Il titolo del vertice è ‘Accelerating the Global Energy Transition‘, ovvero ‘accelerare la transizione energetica globale‘, perché l’obiettivo è concordare misure specifiche attraverso le quali gli Stati si prefiggono di raggiungere gli obiettivi climatici concordati a livello internazionale. Si discuterà di phase out dal carbone, ma anche di riduzione delle emissioni in settori chiave come mobilità, infrastrutture, edilizia e industria.

A Berlino, inoltre, Pichetto firmerà con il vice cancelliere e ministro dell’Economia e della Protezione climatica tedesco, Robert Habeck, un accordo intergovernativo bilaterale di solidarietà in materia di gas. Che sarà il tema anche di un addendum trilaterale che coinvolgerà anche la Svizzera, oltre ovviamente a Italia e Germania.

Le ‘donne della transizione’ rompono il soffitto di cristallo

La parità di genere, quella vera, è ancora lontana. Ma negli ultimi anni la società civile ha fatto comunque dei passi avanti notevoli, così come la politica e il mondo dell’impresa. Dalle istituzioni alle grandi aziende, oggigiorno ci sono molte più donne ai posti di vertice rispetto a un passato anche recente, ma il percorso è lungo. E chissà se il processo che dovrà portare al compimento delle transizioni, ecologica, energetica e digitale, possa dare quella spinta che serve per frantumare definitivamente il soffitto di cristallo. Non solo perché Greta Thunberg è diventata ormai un simbolo mondiale dell’attivismo per il clima e la decarbonizzazione.

La riflessione emerge se, con santa pazienza, si prova a scorrere negli elenchi di Camera, Senato, Palazzo Chigi, management delle imprese chi sono attualmente i vertici. L’esempio più concreto è sicuramente quello del governo, dove Giorgia Meloni è entrata a far parte della storia del Paese come prima donna presidente del Consiglio. Nelle sue mani passano tutti i dossier più importanti, compresi quelli del Green Deal ovviamente. Oltre alla premier, tra le ‘donne della transizione‘ c’è di sicuro Vannia Gava, che per la seconda volta ricopre il ruolo di vice ministro dell’Ambiente, dicastero al quale da questa legislatura viene affiancata anche la delega alla Sicurezza energetica.

In Parlamento, invece, Chiara Braga, capogruppo del Partito democratico alla Camera, e Luana Zanella, presidente dei deputati di Avs, portano avanti la bandiera dell’ambientalismo nelle istituzioni. Tra i banchi di Montecitorio siede anche Elly Schlein, prima segretaria del Pd, sempre in prima linea sulle battaglie per il clima.

In Europa, poi, entra di fatto e di diritto nel pantheon la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Non foss’altro perché, anche nel suo caso, la responsabilità dei temi passa comunque tutta dalle sue mani. Nella squadra di Bruxelles, poi, ci sono la vicepresidente esecutiva, Margrethe Vestager, che si occupa di Digitale, Kadri Simson, che ha il compito di gestire la delega all’Energia, e Iliana Ivanova, commissaria a Innovazione, ricerca, cultura, istruzione e gioventù.

Nel mondo economico e finanziario è Christine Lagarde, attuale presidente della Banca centrale europea ed ex direttrice del Fondo monetario internazionale, il volto più conosciuto sul palcoscenico mondiale. Mentre sta iniziando a ritagliarsi il suo spazio anche Nadia Calvino, nominata lo scorso 1 gennaio presidente della Banca europea per gli investimenti: prima donna a ricoprire questo ruolo dalla fondazione della Bei, nel 1958.

Tornando in Italia, la situazione inizia a cambiare anche nei board delle principali società partecipate. Sebbene la strada sia ancora faticosamente lunga, visto che la prima e unica donna (della storia) a capo di una delle più grandi aziende italiane è l’amministratrice delegata e direttrice generale di Terna, Giuseppina Di Foggia, nominata il 9 maggio di un anno fa. Nel gruppo Eni, invece, Rita Marino è presidente di Plenitude, mentre tra i manager figurano Chiara Ficeti per l’Energy Management, Giorgia Molajoni per Digital, Information Technology & Communication, Giovanna Bianchi Health, Safety, Environment and Quality e Simona Napoli Internal Audit.

Rimanendo nel campo energetico, Francesca Gostinelli è Head of Enel X Global Retail, Silvia Fiori direttrice della funzione Audit di Enel, Elisabetta Colacchia è Head of People and Organization, Margherita Mezzacapo, Marina Lombardi e Donata Susca rispettivamente responsabili di Audit, Innovazione e Health, Safety, Environment and Quality di Enel Green Power & Thermal Generation, la business line di Enel che si occupa della generazione di energia elettrica.

Spostando l’obiettivo verso la parte più economica, Silvia Maria Rovere è presidentessa di Poste Italiane dal maggio 2023, Alessandra Ricci è amministratrice delegata e direttrice generale di Sace, che molto spesso investe in progetti relativi alla transizione ecologica e la sostenibilità. Altro nome di rilievo è quello di Silvia Massaro, presidentessa di Sace Srv, la società specializzata nel recupero dei crediti e gestione del patrimonio informativo. Regina Corradini D’Arienzo, inoltre, è ad e dg di Simest e Alessandra Bruni presidentessa di Enav.

Spostando l’attenzione sul mondo associazionistico, le donne con ruoli apicali diventano ancora di meno. Perché tra le grandi sigle ricoprono incarichi di vertice Annamaria Barrile, direttrice generale di Confagricoltura, Maria Letizia Gardoni, presidentessa di Coldiretti Bio, Maria Grazia Mammuccini, presidentessa di FederBio, Barbara Nappini e Serena Milano, rispettivamente presidentessa e direttrice generale Slow Food Italia, e Nicoletta Maffini, presidentessa di AssoBio. Infine, c’è molto da rivedere nel mondo sindacale, se solo Daniela Piras ha un incarico di vertice come segretaria generale della Uiltec.

Via libera definitivo alla Manovra 2024. Meloni: “Al centro famiglie, lavoro e imprese”

Con il via libera della Camera (200 voti favorevoli, 112 no e 3 astenuti), la legge di Bilancio 2024 è stata definitivamente approvata dal Parlamento. Dall’energia al Ponte sullo Stretto, alla lotta all’inflazione, sono diversi i temi trattati dal testo da circa 24 miliardi di euro.

Soddisfatta la premier, Giorgia Meloni: “Ringrazio a nome mio e del governo i parlamentari di maggioranza di Senato e Camera per il sostegno e la compattezza dimostrati. Un segnale positivo per una Manovra importante, che mette al centro le famiglie, il lavoro e le imprese. In linea con i principi che guidano la nostra azione e con il programma che gli italiani hanno votato“, scrive su Facebook. Aggiungendo che “questa volta la Manovra viene approvata senza il voto di fiducia. Ringrazio per questo anche le opposizioni che, pur nel forte contrasto sui temi, hanno contribuito allo svolgimento del dibattito. E ora avanti con determinazione, coraggio e responsabilità”. Anche per Giancarlo Giorgettibene il sì alla manovra. Proseguiamo su un percorso di prudenza, responsabilità e fiducia. Avanti così“, commenta il ministro dell’Economia dopo il voto.

Ecco, di seguito, alcuni dei punti principali della manovra 2024.

BONUS ELETTRICO – Proroga del bonus sociale elettrico anche per i mesi di gennaio, febbraio e marzo 2024. La copertura di spesa è di 200 milioni, che saranno trasferiti alla Cassa per i servizi energetici e ambientali. CARO SPESA – Contro l’inflazione dei beni di prima necessità, il provvedimento prevede nuove risorse per la carta ‘Dedicata a te’ per chi ha un Isee pari o inferiore a 15mila euro. Il Fondo viene rifinanziato nel 2024 con 600 milioni di euro. Inoltre, “in considerazione del permanere di condizioni di disagio sociale ed economico”, il Fondo per la distribuzione di generi alimentari alle persone indigenti viene inoltre incrementato di 50 milioni di euro.

PONTE SULLO STRETTO – E’ di 11,6 miliardi di euro la dotazione per la realizzazione del collegamento stabile tra Calabria e Sicilia. La cifra è pluriennale e copre l’arco temporale tra il 2024 e il 2032. Di queste risorse 9,3 miliardi arriveranno dal bilancio pubblico, mentre 2,3 miliardi dal Fondo di sviluppo e coesione: 1,6 miliardi dagli stanziamenti previsti inizialmente per la Sicilia e la Calabria e 718 milioni dai ministeri.

ASSICURAZIONI CONTRO EVENTI CALAMITOSI – Le imprese sono tenute a stipulare, entro il 31 dicembre 2024, contratti assicurativi a copertura dei danni agli immobili direttamente cagionati da calamità naturali e catastrofi su territorio nazionale, come i terremoti, le alluvioni, le eruzioni vulcaniche, i fenomeni di bradisismo, le frane, le inondazioni e le esondazioni. L’eventuale scoperto o franchigia nei contratti per “l’adempimento dell’obbligo di assicurazione” non potrà essere superiore al 15% del danno. Il rifiuto o l’elusione dell’obbligo a contrarre l’assicurazione è punito con una multa da 200mila a un milione di euro, irrogate tramite Ivass.

VULNERABILITA’ SISMICA EDIFICI PUBBLICI – E’ istituito, presso il Mef, per poi essere trasferito al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, un Fondo per il finanziamento di un ‘Programma di mitigazione strutturale della vulnerabilità sismica degli edifici pubblici’, con una dotazione con una dotazione totale di 285 milioni, di cui 45 per il 2024, poi 60 milioni per ciascuno degli anni 2025, 2026, 2027 e 2028.

RICOSTRUZIONI POST CALAMITA’ – L’articolo 72 è dedicato alle misure per garantire la prosecuzione delle attività amministrative delle strutture commissariali e degli uffici speciali per la ricostruzione. Tra queste ci sono la la proroga dei contratti stipulati dai comuni del cratere sismico del 2009, in deroga alla normativa vigente in materia di vincoli alle assunzioni a tempo determinato presso le Amministrazioni Pubbliche, l’autorizzazione di spesa è incrementata di 1,4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025. Inoltre, il termine di scadenza dello stato di emergenza per gli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012 viene prorogato, per le regioni Lombardia ed Emilia-Romagna, al 31 dicembre 2024 ed è autorizzata la spesa di 12,2 milioni per il 2024 per le spese relative al funzionamento, all’assistenza tecnica, all’assistenza alla popolazione, al contributo di autonoma sistemazione e a interventi sostitutivi per gli eventi sismici che hanno colpito i territori dell’Emilia-Romagna nel 2012.

SOSTEGNO A PMI ORTOFRUTTICOLE – L’Ismea è autorizzato a erogare prestiti cambiari in favore delle Pmi agricole del settore ortofrutticolo per un massimo pari al 50% dell’ammontare dei ricavi registrati nel 2022 dall’impresa richiedente e, comunque, non superiore a 30mila euro, con inizio del rimborso dopo 24 mesi dalla data di erogazione e durata fino a 5 anni.

EMERGENZE AGRICOLTURA – Per le situazioni di crisi di mercato nel settore agricolo, agroalimentare, zootecnico e della pesca generate da eventi non prevedibili, è istituito presso il Masaf un Fondo per la gestione delle emergenze finalizzato a sostenere gli investimenti delle imprese che operano in questi settori, con una dotazione totale di 270 milioni di euro, suddivisi in 90 milioni per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026.

GARANZIE GREEN – Sace è abilitata a rilasciare, fino al 31 dicembre 2029, garanzie connesse a investimenti nei settori delle infrastrutture, anche a carattere sociale, dei servizi pubblici locali, dell’industria e ai processi di transizione verso un’economia pulita e circolare e la mobilità sostenibile, l’adattamento ai cambiamenti climatici e la mitigazione dei loro effetti, la sostenibilità e la resilienza ambientale o climatica e l’innovazione industriale, tecnologica e digitale delle imprese. Lo prevede la bozza della legge di Bilancio. Le garanzie sono concesse per una durata massima di 25 anni e per una percentuale massima di copertura non eccedente il 70 per cento, ovvero il 60 per cento, ove rilasciate in relazione a fideiussioni, garanzie e altri impegni di firma, che le imprese sono tenute a prestare per l’esecuzione di appalti pubblici e l’erogazione degli anticipi contrattuali ai sensi della pertinente normativa di settore, ovvero il 50 per cento nel caso di esposizioni di rango subordinato.