draghi

Draghi: “Dipendenza da gas russo scesa al 25%, stoccaggi procedono bene”

Stanno arrivando i primi risultati provenienti dagli sforzi fatti per diversificare le forniture di gas, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dall’energia russa. Durante la conferenza stampa che si è tenuta al termine del Consiglio europeo, il premier Mario Draghi ha analizzato con una certa soddisfazione gli sviluppi di una situazione da monitorare costantemente per colpa della guerra russo-ucraina: “Voglio ricordare che l’anno scorso dipendevamo per il 40% dal gas russo, oggi siamo arrivati al 25%, quindi le misure che il governo ha messo in campo già dall’inizio della guerra si stanno rivelando utili“, l’annuncio. In altre parole gli altri fornitori di gas cominciano a sostituire il flusso in arrivo dalla Russia. E non solo: “Per gli stoccaggi ci stiamo preparando per l’inverno e, al momento, stanno andando molto bene“.

Per quanto riguarda invece il discorso relativo al price cap, l’obiezione è solo una: “La paura di nuovi tagli da Mosca”, avverte Draghi. “Ci deve essere solidarietà, ma anche una risposta alle richieste di controllare il tetto sul prezzo del gas”. Nonostante la proposta avanzata dal premier di convocare un vertice straordinario a luglio per affrontare l’argomento, i piani per la Ue restano quelli di discuterne solo all’Eurosummit, che avrà luogo a ottobre. Ma c’è comunque soddisfazione: “Immaginavo – spiega l’ex presidente Bce – che alla fine saremmo finiti nel solito rinvio, con un linguaggio un po’ vago“. Al contrario, “le cose si stanno muovendo, ma le cose non vengono da sole e spesso non subito o non così rapidamente”. In ogni caso, Draghi è sicuro che al G7 se ne parlerà: “Gli Usa sono consapevoli delle difficoltà che stiamo incontrando per le sanzioni, che sono molto pesanti per noi. Gli Stati Uniti hanno già deciso qualche misura di aiuto nel portare gas liquido in Europa, ma sono cifre molto contenute ancora. Sono preoccupati soprattutto del prezzo del petrolio, in quel senso è stata avanzata l’ipotesi di un price cap” anche per il greggio.

(Photo credits: JOHN THYS / AFP)

Russia taglia ancora i flussi gas. Governo pronto ad attivare ‘scudi’

La strategia russa di ridurre i flussi di gas verso l’Europa continua. Anzi, diventa sempre più ampia. Perché stavolta il taglio delle forniture comunicato a Eni è del 50% a fronte di una richiesta giornaliera di circa 63 milioni di metri cubi. Peggio dell’Italia è andata alla Francia, che ha smesso di ricevere il gas da Mosca dallo scorso 15 giugno, secondo quanto riferito dall’operatore del sistema di trasporto transalpino, Grtgaz. Senza contare che negli ultimi giorni il gigante russo Gazprom ha ridotto notevolmente le sue forniture a quasi tutti i Paesi europei: la Germania attraverso il gasdotto Nord Stream 1. A Parigi, comunque, non è scattato ancora l’allarme perché le scorte francesi sono piene al 56%, rispetto all’abituale 50% nello stesso periodo. Al momento resta sotto controllo, assicura l’Ue, anche perché in estate i consumi scendono, ma i tagli arrivano proprio quando i Paesi devono riempire le proprie riserve almeno all’80%.

Per quanto riguarda l’Italia, gli stoccaggi sono al 52 percento e la situazione è sotto costante monitoraggio da parte del ministero della Transizione ecologica. Che settimana prossima tirerà le somme di questo taglio e prenderà le contromisure del caso. “Sono già pronte”, ha assicurato il ministro Roberto Cingolani, che lavorerà al tavolo per l’emergenza. Tra le risposte che il governo potrebbe dare c’è quella di un allungamento dei tempi per il phase-out dal carbone, oltre a un aumento delle percentuali di risparmio del gas. Ma il vero obiettivo, esplicitato chiaramente dallo stesso Cingolani durante il question time in Senato, giovedì scorso, è quello di aumentare la produzione nazionale, sfruttando molto di più i giacimenti nel suolo italiano, abbandonati circa vent’anni fa con una strategia che oggi ci consegna questo quadro: “Siamo passati da una produzione pari al 20% del fabbisogno, nel 2000, al 3-4% nel 2022, che non è coinciso con una riduzione assoluta del gas né un beneficio ambientale, ma solo con un aumento delle importazioni” e dei costi, ripete come un mantra il responsabile del Mite.

Il primo passo è quello di rivedere il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee. Senza questo step sarà impossibile riattivare le trivelle, che tornano centrali in questa fase storica: “E’ scoppiata una guerra che ha cambiato completamente il panorama mondiale dell’energia”, avvisa infatti Cingolani. Confermando comunque “la rotta della decarbonizzazione al 55%”. Sul punto il ministro incassa il sì di Federpetroli, ma anche del segretario generale della Uiltec, Paolo Pirani.

Oltre alla strategia interna, però, il governo spinge sull’acceleratore anche in Europa per arrivare a un’intesa sul tetto massimo al prezzo del gas. Il premier Mario Draghi, alla luce dei tagli operati da Gazprom, ha fatto capire chiaramente che al prossimo Consiglio Ue del 23 e 24 giugno i partner dovranno discutere seriamente del price cap. Anche perché l’aumento dei prezzi del gas sta creando notevoli difficoltà agli stoccaggi. Secondo diversi analisti è una diretta conseguenza del calo delle forniture: ad esempio il gas naturale in Europa, il Ttf di Amsterdam, è balzato a circa 130 euro per megawattora, contro circa 100 euro di mercoledì scorso. Un anno fa, di questi tempi, era a 30 euro. Ma Vladimir Putin fa finta di nulla. Anzi, rimpalla le responsabilità cercando di ‘spostarle’ dal suo Paese, che a febbraio ha iniziato l’invasione dell’Ucraina terremotando i mercati mondiali. E’ stata “una politica energetica fallimentare” a far lievitare i prezzi dell’energia in Europa perché “la Russia non ha nulla a che vedere” con questo, ha detto il responsabile del Cremlino all’Economic Forum di San Pietroburgo.

Tra gli altri effetti della guerra, tra l’altro, c’è la crisi alimentare alle porte per il blocco del grano nei porti ucraini. Anche in questo caso Putin respinge le accuse. L’unica novità, sebbene parziale, è una timida apertura all’appello delle Nazioni Unite al dialogo sulla sicurezza alimentare. Ma, leggendo attentamente tra le righe, il suo assenso è condizionato al fatto che il fulcro del dialogo sia “la creazione di condizioni normali per la logistica, la finanza e il trasporto per aumentare le esportazioni russe di cibo e fertilizzanti”. Come rivelato da Draghi a Kiev, Putin ha rifiutato la Risoluzione Onu per far partire le navi cariche di grano e cereali che sono vitali per diversi Paesi poveri del mondo, Africa in primis.

Infine, in questo scenario, c’è anche un’altra preoccupazione a cui il governo deve dare risposta. Perché il rincaro dei carburanti torna a mordere la carne viva di cittadini e imprese, con cifre oltre i 2 euro al self per il gasolio. Dalla Lega arriva la richiesta di confermare il taglio delle accise di 25 centesimi e Matteo Salvini si aspetta il decreto entro la fine di giugno. Ma una proroga delle misure di contenimento è attesa un po’ da tutte le forze politiche. E il governo non dovrebbe tirarsi indietro. La fase è cruciale, dunque, ogni errore può essere pagato a caro prezzo. E non metaforicamente.

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Durata e riparabilità delle apparecchiature elettroniche. Il ‘repair score’ Ue

L’introduzione di regole armonizzate in Ue sulle informazioni ai consumatori riguardo a durata e riparabilità delle apparecchiature elettroniche è uno dei punti indicati dal Parlamento europeo in vista di una futura legge sul diritto di riparazione. Il ‘repair score‘ (indice di riparabilità), secondo una petizione promossa dal gruppo dei Verdi all’Europarlamento dovrebbe tenere conto di quattro differenti parametri: il design del prodotto accessibile; gli strumenti necessari per eseguire la riparazione; la disponibilità di pezzi necessari per la sostituzione; i prezzi dei pezzi di ricambio.

In attesa di una regolamentazione a livello comunitario, alcuni Paesi si sono già mossi autonomamente per dotare le nuove apparecchiature elettriche e elettroniche di un’indicazione chiara sulla riparabilità, sulla falsariga di quanto accade già per l’indice di prestazione energetica. Capofila assoluta è la Francia dove dal 1° gennaio, nell’ambito della legge anti spreco per l’economia circolare, è entrato in vigore l’obbligo dell’indice de réparabilité inizialmente solo per smartphone, televisori, lavatrici a oblò e tosaerba. Recentemente, però, la normativa è stata estesa anche a lavatrici a carica dall’alto, lavastoviglie, robot aspirapolvere, idropulitrici cablate e non e ad alta pressione. L’etichetta sulla riparabilità è caratterizzata da un punteggio compreso tra 1 e 10, calcolato come la media su una griglia di voci definite dal ministero della Transizione Ecologica. Quattro parametri sono comuni a tutte le categorie merceologiche: disponibilità di documentazione per riparatori e consumatori; facilità di smontaggio; disponibilità di pezzi di ricambio; prezzo dei pezzi di ricambio. La quinta voce è specifica per ogni tipologia di prodotto: ad esempio, per i pc portatili viene valutato l’aggiornamento del software. Al punteggio finale è anche collegata una scala di colori che va dal rosso scuro per gli oggetti meno riparabili al verde scuro di quelli più riparabili. Il tutto è contrassegnato da un pittogramma con un ingranaggio e una chiave inglese.

L’obiettivo del governo di Parigi è duplice: da un lato rendere più appetibili per consumatori i prodotti potenzialmente più durevoli, dall’altro stimolare le case costruttrici a migliorare le proprie pratiche, rendendole più circolari. Bruxelles ovviamente osserva con attenzione l’iniziativa francese che potrebbe diventare il modello di una futura etichettatura di riparabilità in Ue. Intanto, anche altri Paesi iniziano a muoversi nella stessa direzione. Il governo spagnolo ha annunciato la volontà di introdurre l’indice di riparabilità e la stessa richiesta è arrivata qualche settimana fa dal ministro tedesco per la Protezione dei consumatori, Steffi Lemke. La vera svolta, capace di indurre le grandi aziende a puntare su prodotti facilmente riparabili, può però arrivare solo grazie a un’iniziativa legislativa a livello europeo, sulla scia di quanto ha di recente fatto l’Europarlamento spingendo per l’introduzione del caricatore universale per i device elettronici.

(Photo credits: Maruf Rahman)

Riparazione

Cavazzini (Verdi): “In Ue diritto alla riparazione diventi storia di successo”

Il diritto alla riparazione come perno della strategia dell’Unione Europea per contrastare l’obsolescenza programmata e le pratiche sleali in ambito digitale, ma soprattutto per cercare di mettere un freno a uno spreco di rifiuti elettronici che ormai ammonta a 11mila tonnellate ogni anno nell’Ue. In attesa della proposta della Commissione Europea – annunciata dal gabinetto guidato da Ursula von der Leyen entro l’autunno 2022 – sono gli eurodeputati a voler fare da pungolo per alzare il più in alto possibile l’asticella delle ambizioni comunitarie. In particolare è questa l’intenzione della presidente della commissione per il Mercato interno e la protezione dei consumatori (IMCO) del Parlamento Ue e relatrice sul diritto alla riparazione, Anna Cavazzini. In un’intervista rilasciata a GEA – Green Economy Agency, l’eurodeputata tedesca del gruppo Verdi ha spiegato quali sono le prerogative dell’Eurocamera e come fare di questa iniziativa un vero punto di svolta per i diritti dei cittadini dell’Unione.

Presidente Cavazzini, qual è la linea rossa per il Parlamento Europeo in vista dell’imminente proposta della Commissione sul diritto alla riparazione?
“Il Parlamento ha definito chiaramente la sua posizione, ci aspettiamo che la Commissione si occupi del nucleo centrale del diritto alla riparazione, ovvero l’accesso ai pezzi di ricambio e ai manuali per gli attori del settore, compresi i consumatori. Abbiamo bisogno di migliori informazioni sulla durata e sulla riparabilità per consentire acquisti sostenibili. Allo stesso tempo, gli incentivi alla riparazione, anziché alla sostituzione, devono trovare riscontro nelle garanzie, nella responsabilità estesa del produttore e negli appalti pubblici”.

Quale parte della proposta rischia di essere la più critica?
“Dobbiamo fare in modo che i prodotti facilmente riparabili diventino una storia di successo non solo per i consumatori e il pianeta, ma anche per le imprese, i commercianti e i produttori. Abbiamo bisogno di un indice di riparazione che convinca i consumatori a spendere un po’ di più al momento dell’acquisto, ma solo se il prodotto dura di più. Questa richiesta sarà un incentivo per le aziende a passare alla riparabilità in fase di progettazione”.

C’è il pericolo che l’obsolescenza programmata rimanga nella pratica?
“L’obsolescenza programmata è particolarmente difficile da bandire, poiché molti operatori del settore ne negano l’esistenza. Inoltre, attualmente è il consumatore a doverla dimostrare. Ecco perché è necessaria un’inversione dell’onere della prova sul produttore, oltre all’inclusione dell’obsolescenza programmata nell’elenco delle pratiche commerciali sleali”.

A oggi abbiamo però una proposta della Commissione sulla modifica della direttiva sui diritti dei consumatori, a proposito della durata e riparabilità dei prodotti. Qual è la sua opinione?
“La proposta della Commissione sull’aggiornamento dei diritti dei consumatori va nella giusta direzione: le scelte sostenibili promuoveranno la transizione verde e l’economia circolare. Anche per quanto riguarda la riparabilità e la durata dei prodotti , le informazioni affidabili per i consumatori sono fondamentali. Siamo anche soddisfatti di vedere che la Commissione sta affrontando la questione dell’obsolescenza programmata, anche noi vorremmo un divieto totale”.

Quali altre iniziative possono essere adottate per implementare il concetto di diritto alla riparazione?
“Alcuni degli elementi fondamentali del diritto alla riparazione possono essere affrontati modificando, per esempio, la direttiva sulle vendite di beni che regola le garanzie: in caso di rottura di un prodotto, l’opzione della riparazione dovrebbe essere preferibile alla sostituzione. Servono poi ulteriori incentivi per rendere la riparazione la prima scelta dei consumatori, attualmente è troppo costosa e troppo lenta”.

E come risolvere il problema dei costi?
“Può essere affrontato a livello di Stati membri. Per esempio, attraverso la riduzione dell’Iva per i servizi di riparazione. Il ritmo delle riparazioni sarà più veloce quando questo mercato non sarà più disfunzionale e ci saranno più attori, non solo le officine autorizzate”.

Un’ultima domanda. Come possiamo stimare il contributo del diritto alla riparazione al Green Deal europeo?
“Il diritto alla riparazione funziona su entrambi i fronti nella transizione verso un’economia circolare. Da una parte, consente ai consumatori di riparare invece di buttare e comprare di più. Dall’altra, si risparmiano risorse mantenendo i prodotti in uso più a lungo. Insieme al riciclo alla fine del ciclo di vita, è un elemento tangibile del Green Deal europeo, che contribuirà a proteggere il clima e l’ambiente”.

(Photo credits: Jan Vašek)

parlamento ue

Anno decisivo per l’Ue su diritto riparazione: eurodeputati fissano paletti

Quattro cittadini europei su cinque preferirebbero riparare i propri dispositivi piuttosto che acquistarne di nuovi e ritengono che i produttori dovrebbero essere obbligati a rendere più semplice la sostituzione delle singole componenti. Ma, allo stesso tempo, i rifiuti elettronici sono il flusso di rifiuti in più rapida crescita al mondo, e solo nell’Unione Europea lo spreco si attesta tra le 11 e le 13mila di tonnellate. Ogni anno. È per questo motivo che a Bruxelles il diritto alla riparazione sta diventando un’urgenza per le istituzioni comunitarie.

Un impegno che il gabinetto guidato da Ursula von der Leyen ha fissato entro la fine del 2022, per “incoraggiare l’utilizzo di prodotti per un periodo più lungo, rendere la riparazione più semplice e stimolare l’uso dei beni di seconda mano“, come ha precisato la vicepresidente per i Valori e la trasparenza, Věra Jourová. La proposta è ancora in fase di elaborazione, ma secondo quanto trapela da fonti europee, dovrebbe includere misure per l’affidabilità, la facilità di disassemblaggio, l’aumento del riciclo, oltre a incentivi alla riparazione e l’accesso a pezzi di ricambio critici, in particolare per smartphone e computer portatili, i più soggetti a pratiche di obsolescenza programmata.

A fare da pungolo è il Parlamento Europeo, perché il diritto alla riparazione diventi un tassello fondamentale per la realizzazione degli obiettivi del Green Deal Europeo. La posizione favorevole degli eurodeputati è decennale, con due risoluzioni già adottate sulle misure concrete che possono rendere le riparazioni sistematiche ed efficienti sul piano economico. L’ultimo voto in sessione plenaria è dello scorso 7 aprile, a stragrande maggioranza: con 509 voti a favore, 3 contrari e 13 astensioni, l’Eurocamera ha posto i propri paletti sull’imminente proposta della Commissione. Il punto centrale riguarda la fase di progettazione: i prodotti devono essere realizzati per durare più a lungo e per essere riparati in modo sicuro, anche grazie all’accesso gratuito alle informazioni sulla manutenzione per riparatori e consumatori.

Per quanto riguarda i dispositivi digitali, la richiesta degli eurodeputati è di rendere reversibili gli aggiornamenti software, e che non comportino riduzioni di prestazione. Si tratta del contrasto all’obsolescenza programmata – da considerare come ‘pratica commerciale sleale’ – che dovrebbe tradursi in un divieto a livello Ue. Nella futura legge sul diritto alla riparazione dovrebbero essere garantiti incentivi per scegliere la riparazione rispetto alla sostituzione, regole armonizzate in fase di vendita (punteggio di riparazione, durata stimata, pezzi di ricambio, servizi di riparazione) e un sistema di etichettatura intelligente, come codici QR o passaporti digitali dei prodotti. Da studiare anche un meccanismo di responsabilità congiunta produttore-venditore in caso di vendita di prodotti non conformi.

In attesa della proposta entro fine 2022, il diritto alla riparazione è il faro che ha guidato la Commissione nella proposta di revisione della direttiva sui diritti dei consumatori (che attualmente copre solo un numero limitato di prodotti, come elettrodomestici bianchi e televisori). Nello specifico, secondo la proposta che dovrà essere vagliata da Parlamento e Consiglio, agli utenti finali devono essere garantite le informazioni di durata del prodotto in fase di progettazione e come può essere riparato (sulla confezione o su un sito web), “sempre prima dell’acquisto e in modo chiaro e comprensibile”. Se il produttore offre una garanzia commerciale di durata superiore a due anni, il venditore dovrà informare il consumatore, mentre per i beni energivori questa regola dovrebbe valere anche quando il produttore non l’ha comunicata. Sul piano della riparazione, dovranno essere incluse specifiche “pertinenti“: punteggio di riparabilità, disponibilità di pezzi di ricambio, manuale di riparazione e aggiornamenti del software, nel caso di dispositivi intelligenti e contenuti digitali.

Aviazione

Aviazione ad alto impatto, T&E: “Troppi biocarburanti non sostenibili”

Trasporto aereo e sostenibilità, la Commissione europea è poco ambiziosa e segue un’impostazione che contraddice le aspirazioni green della transizione verde che pure è al centro dell’agenda politica a dodici stelle. A rimettere tutto in discussione Transport & Environment, l’ombrello di organizzazioni non governative attive nella promozione del trasporto sostenibile in Europa, nell’analisi dedicata ad aviazione civile e i suoi carburanti. Si contesta a Bruxelles di aver riposto attenzioni e fiducia alle alternative sbagliate. Si punta troppo sui biocarburanti “derivati da materie prime non sostenibili, e troppo poco sul cherosene ecologico, generato dalla combinazione di idrogeno verde (H2) e anidride carbonica (CO2), e che “ha il potenziale per ridurre sostanzialmente l’impatto climatico dell’aviazione” in modo quantitativamente e qualitativamente migliore.

Il mercato ci sarebbe. T&E stima che i produttori di combustibili sostenibili in Europa potrebbero produrre 1,83 milioni di tonnellate di cherosene ecologico per l’aviazione nel 2030, permettendo l’abbattimento di circa cinque milioni di tonnellate di CO2, l’equivalente di 30mila voli transatlantici. A patto che si voglia investire davvero qui. Perché se gli operatori sono pronti, la politica non lo è. Il mercato europeo del cherosene ecologico “è pronto per quote più elevate e una più rapida produzione, ma i responsabili politici non stanno fornendo incentivi sufficienti per sviluppare ulteriormente la produzione”. Le organizzazioni non governative del comparto dunque invitano la politica, soprattutto quella comunitaria, a cambiare rotta.

Al fine di de-carbonizzare l’aviazione in modo rapido ed efficiente, l’e-cherosene deve essere reso prontamente disponibile per le compagnie aeree per integrarsi nei loro carburanti per jet esistenti”. La richiesta è chiara, e tiene conto dell’andamento dell’offerta. Si stima che entro il 2025 più di 0,16 milioni di tonnellate di e-cherosene possono essere messe a disposizione per le compagnie aeree ogni anno, e che la disponibilità conoscerà una rapida impennata, visto che “entro il 2030, questa cifra raggiungerà oltre 1,83 milioni di tonnellate”, la quota indicata come utile a tagliare cinque milioni di emissione di uno dei principali responsabili del surriscaldamento del pianeta alla base dei cambiamenti climatici.

L’agenda che non è stata capace di dettare l’esecutivo comunitario, la mette a punto Transport & Environment. Gli obiettivi della Commissione per il cherosene pulito per l’aviazione “sono troppo bassi e iniziano troppo tardi”. Si contesta l’assenza di impegni e obblighi al 2025 e solo dello 0,7% al 2030, quando servirebbe “almeno lo 0,1% nel 2025 e il 2% nel 2030”. In sintesi, “l’Ue deve alzare la posta sul cherosene ecologico”, insiste Matteo Mirolo, responsabile delle politiche aeronautiche di T&E.

(Photo credits: AXEL HEIMKEN / AFP)

Unione dell’Energia più vicina: da Parlamento Ue un passo in avanti

Completare l’Unione dell’Energia, basandola sull’efficienza energetica e sulle energie rinnovabili, in linea con gli accordi internazionali per mitigare i cambiamenti climatici. L’Europarlamento riunito a Strasburgo in sessione plenaria ha approvato a larga maggioranza (355 voti favorevoli, 154 contrari e 48 astensioni) giovedì una risoluzione per chiedere ai capi di stato e governo l’apertura di una convenzione per riformare i trattati dell’Unione europea. Anche affidando all’UE maggiori competenze nei settori in cui ne ha poche (tra le materie “concorrenti” tra Ue e governi c’è anche l’energia) o nessuna (come nel caso della salute).

L’atto di indirizzo chiede di “adeguare le competenze conferite all’Unione nei trattati”, tra le altre cose nel “completamento dell’unione dell’energia basata sull’efficienza energetica e sulle energie rinnovabili, in linea con gli accordi internazionali per mitigare i cambiamenti climatici”, come si legge. L’Unione dell’energia è un progetto strategico presentato dalla Commissione UE nel 2015, per iniziare a integrare la politica energetica e la politica climatica dell’Unione per il raggiungimento di obiettivi successivi al 2020. La strategia si articola principalmente in tre pilastri: decarbonizzazione; efficienza energetica; sicurezza energetica e solidarietà nell’Unione Europea. Soprattutto si manifesta attraverso l’interconnessione dei sistemi energetici degli Stati membri. Il dibattito su come portare avanti il lavoro sull’Unione dell’energia è pienamente rilanciato ora, alla luce della guerra di Russia in Ucraina e dalla necessità di ripensare il sistema energetico dell’Unione Europea (compresa la sua dipendenza strategica da Paesi terzi).

E’ un fatto che verso una vera Unione dell’Energia, l’UE sta già andando senza rimettere mano alle proprie competenze specifiche. Ad esempio, la guerra ha costretto Bruxelles a porre degli obblighi nazionali per tenere piene le riserve comuni di gas. Come è accaduto per i vaccini anti-Covid19, l’UE ha dato vita a una task force per negoziare a nome degli Stati membri e cercare approvvigionamenti di gas prima del prossimo inverno per sostenere i governi e mantenere anche i prezzi più contenuti potendo gestire la domanda. Nei prossimi mesi, come già annunciato dalla presidente dell’Esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, seguirà una proposta per un’ampia riforma del mercato elettrico dell’Ue, che porterà inevitabilmente a sistemi energetici più integrati e funzionali.

La richiesta degli eurodeputati di aprire una convenzione per la riforma dei Trattati sarà sul tavolo dei capi di stato e di governo al prossimo Consiglio europeo del 23-24 giugno. Al Consiglio europeo è necessaria una maggioranza semplice (14 Stati membri) per aprire una convenzione europea in cui discutere di riforma dei trattati, quindi non è così impensabile. Non è però vincolante che con l’apertura di una convenzione si arrivi poi a una riforma strutturale dell’UE.

Grano ucraino

I leader Ue alla ricerca di soluzioni contro la crisi alimentare

Aumentare la cooperazione con i partner africani e internazionali sulla sicurezza alimentare e cercare una via per superare il blocco russo delle 20 milioni di tonnellate di grano ferme nei porti ucraini. Emergono queste due linee generali dalle conclusioni del Consiglio Europeo del 30-31 maggio sulla questione della crisi alimentare innescata dall’aggressione militare di Mosca in Ucraina.

Affrontando la causa scatenante della crisi, i leader Ue hanno ribadito la “ferma” condanna alla “distruzione e appropriazione illegale della produzione agricola” messa in atto dall’esercito russo. Che, come ricordato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, alla stampa, “non solo blocca le esportazioni di grano e cereali dai porti del Mar Nero, ma bombarda deliberatamente i depositi e mina i campi coltivabili o dove ci sarà raccolto”. Oltre alla necessità della rimozione del blocco marittimo, in particolare nel porto di Odessa, il Consiglio Ue ha riconosciuto che la soluzione nell’immediato deve essere un’accelerazione sui corridoi di solidarietà proposti dalla Commissione, che permettano ai generi alimentari di raggiungere via terra e via ferrovia i Paesi membri e, di lì, i popoli più vulnerabili nel mondo.

Altre due soluzioni da sondare, ma con “poche possibilità di riuscita” – come spiegato dal presidente del Consiglio Ue, Charles Michel – sono quelle di “un corridoio marittimo nel Mar Nero” e un “accesso ai porti Mar Baltico attraverso la Bielorussia”. La prima è “minata dall’atteggiamento della Russia”, la seconda dalla “posizione di Minsk, che aiuta Mosca in questa guerra”. È qui che si inserisce il discorso della cooperazione internazionale, fermo restando che, per usare le parole di von der Leyen, “la crisi alimentare globale è imputabile solo alla guerra della Russia in Ucraina, dire che è colpa delle nostre sanzioni è disinformazione del Cremlino”. I Ventisette hanno accolto favorevolmente le iniziative delle Nazioni Unite, del G7 e multilaterali per “mitigare le conseguenze sui livelli dei prezzi, sulla produzione e sull’accesso e la fornitura di cereali”, ribadendo l’impegno a “mantenere il commercio globale di prodotti alimentari di base libero da barriere ingiustificate”.

A proposito di cooperazione internazionale, l’Ue sta rafforzando il confronto con i leader africani. La presidente von der Leyen ha annunciato che viaggerà presto al Cairo per incontrare il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, con l’obiettivo di “affrontare le questioni di sicurezza alimentare anche in senso regionale, non solo europeo o dell’Ucraina”. Ai 27 capi di Stato e di governo Ue riuniti a Bruxelles si è invece rivolto il presidente del Senegal e di turno dell’Unione Africana, Macky Sall, che ha ribadito l’unità d’intenti tra i due partner per affrontare una crisi che sta colpendo duramente i Paesi dell’Africa: “Nel 2020, circa 282 milioni di persone erano già sottonutrite, il peggio potrebbe ancora venire se la tendenza attuale dovesse continuare”. Ecco perché “bisogna fare tutto il possibile per liberare le scorte di grano disponibili e garantire il trasporto e l’accesso al mercato, per evitare lo scenario catastrofico della scarsità e dell’aumento generalizzato dei prezzi”, ha esortato il presidente Sall parlando ai Ventisette. Inequivocabile l’approccio dell’Unione Europea, secondo le parole di von der Leyen: “Non abbiamo mai imposto sanzioni sui prodotti agricoli e alimentari, sui fertilizzanti e sui concimi e non lo faremo mai, questa è stata una decisione umanitaria chiara, tutti devono poterne averne accesso”.

Fumata bianca al vertice Ue: trovato accordo su embargo a petrolio russo

Fumata bianca. Dopo oltre tre settimane di impasse, i capi di stato e governo hanno trovato nella tarda serata tra lunedì e martedì un accordo politico per tagliare il 90% delle importazioni di petrolio da Mosca entro la fine dell’anno, sbloccando il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia proposto dalla Commissione Ue lo scorso 4 maggio.
Ad annunciarlo in un tweet il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, chiudendo i lavori della prima giornata di Vertice Ue che proseguiranno questa mattina a Bruxelles.

COSA PREVEDE L’ACCORDO

L’accordo di principio raggiunto a fatica dai leader sull’embargo consentirà di tagliare nell’immediato più di due terzi delle importazioni di greggio dalla Russia, ovvero tutto quello importato via mare, ed entro la fine dell’anno bandire il 90% del petrolio importato in Europa. L’accordo – che dovrà essere finalizzato nei dettagli mercoledì dal Consiglio dell’Ue – in sostanza lascia fuori temporaneamente il petrolio greggio importato attraverso gli oleodotti e riguarderà solo quello in arrivo via mare. I governi hanno dovuto esentare il passaggio tramite oleodotto per andare incontro alle richieste dell’Ungheria, tra i Paesi senza sbocco sul mare e dipendente per il 65% dalle importazioni di greggio russo e che per settimane ha posto il veto sull’embargo.

VERSO STOP AL 90% DEL GREGGIO

Circa ⅔ del petrolio importato dalla Russia in Europa arriva via mare, il restante ⅓ attraverso oleodotto. La quota del 90% annunciata dai vertici comunitari si spiega perché la Germania e la Polonia – che potrebbero beneficiare dell’esenzione prevista per gli oleodotti – si sono impegnate al Vertice a porre fine alle loro importazioni di greggio via l’oleodotto Druzhba. Attraverso questo impianto passa circa un terzo del petrolio russo importato nell’Unione Europea. Il tracciato settentrionale dell’oleodotto trasporta il greggio in Germania e in Polonia, la parte meridionale invece in Ungheria e anche Slovacchia. Berlino e Varsavia si sono impegnate a chiudere i rifornimenti dal tracciato settentrionale. Sommando quindi il 75% del petrolio importato via mare in regime di embargo e la quota di greggio via oleodotto a cui rinunceranno Polonia e Germania entro fine anno, si arriva a oltre il 90% di petrolio russo menzionato dai vertici Ue. Rimane ora da capire in quali tempi i leader prevedono di porre fine anche al tracciato meridionale rimasto, che corrisponde al restante 10% di petrolio importato.

UE: “GRANDE PASSO IN AVANTI”

I capi di stato e governo si sono impegnati nel testo delle conclusioni a tornare “quanto prima sulla questione dell’eccezione temporanea per il greggio consegnato tramite oleodotto”, si legge. Per fare in modo, ha precisato Michel ai giornalisti, di andare a colpire “tutto il petrolio russo”. “Torneremo presto sulla questione di quel restante 10% del petrolio dell’oleodotto”, ha assicurato anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, scesa in conferenza stampa al termine del Vertice, salutando l’accordo di principio come un “grande passo in avanti”. Solo poche ore prima, in entrata al Summit, la presidente si era detta poco ottimista che un accordo sarebbe stato raggiungibile nelle 48 ore di Vertice.
Nel testo delle conclusioni i leader si sono accordati per introdurre misure di emergenza per garantire “la sicurezza dell’approvvigionamento” in caso di tagli alle forniture dalla Russia (come sta accadendo per il gas). Budapest ha chiesto maggiori garanzie dall’Ue in caso di brusche interruzioni e, secondo quanto riferito da von der Leyen in conferenza stampa, la Croazia ha dato disponibilità ad aumentare la capacità di petrolio trasportata dall’oleodotto di Adria, che passa proprio in Croazia, Serbia e Ungheria con diramazioni verso la Slovenia e la Bosnia ed Erzegovina, che potrebbero essere deviate verso Budapest in caso di necessità. Per questo aumento di capacità servirà un intervallo di tempo “da 45 a 60 giorni”, ha stimato la presidente. Ha aggiunto che serviranno investimenti per riqualificare le raffinerie ungheresi “adattate al petrolio russo”.

(Photo by JOHN THYS / AFP)

Energia, Ue cerca un accordo sull’embargo al petrolio russo

Restare uniti e approvare in fretta il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, incluso l’embargo sul petrolio russo. E’ un appello all’unità quello che il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha fatto ai leader dell’UE nel suo intervento al Consiglio europeo straordinario in corso lunedì e martedì a Bruxelles. Rimanere uniti e non dividersi di fronte a Mosca, approvando “prima possibile” il sesto pacchetto di sanzioni contro il Cremlino.

Non senza difficoltà, l’embargo graduale sul petrolio russo è infine arrivato sul tavolo dei leader Ue riuniti in un Vertice straordinario dedicato alle conseguenze della guerra in Ucraina, sul fronte energetico e della difesa. Gli ambasciatori dei Ventisette Stati membri hanno raggiunto questa mattina – dopo settimane di impasse a livello tecnico – un accordo di massima per includere nella bozza di conclusioni del Consiglio europeo l’impegno sul sesto pacchetto di sanzioni, che fino a ieri non era neanche menzionato tra le conclusioni. Ma potrebbe non essere così facile. Rispetto alla proposta iniziale della Commissione Europea avanzata lo scorso 4 maggio (che prevedeva un embargo su tutto il petrolio, via mare e via oleodotto, greggio o raffinato), l’accordo di massima raggiunto dagli ambasciatori è al ribasso.

Il bando dovrebbe andare a colpire tutto il petrolio in arrivo in Ue via mare, che secondo le stime di Bruxelles rappresenta oltre due terzi delle importazioni di petrolio totali in arrivo in UE da Mosca. Bruxelles importa dalla Russia circa il 27% del proprio approvvigionamento di petrolio. Nell’accordo sono state previste dunque “alcune eccezioni temporanee per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento di alcuni Stati membri”, ovvero si lascerà fuori per il momento il petrolio trasportato attraverso oleodotti per andare incontro alle resistenze di alcuni Paesi come l’Ungheria (ma anche la Slovacchia e la Repubblica Ceca) senza sbocco sul mare, che dipendendo dal greggio importato esclusivamente via oleodotto. L’accordo di massima è stato inserito nella bozza di conclusioni del Vertice che i leader dovranno approvare, ma i quando e i come di questo compromesso saranno lasciati alla definizione a livello tecnico.

L’unità e la rapidità dimostrate fino a questo momento nell’approvazione di cinque pacchetti di sanzioni contro la Russia – di cui uno è andato a colpire le importazioni di carbone – non si sono finora trovate anche sul sesto pacchetto, viste le difficoltà che alcuni Paesi come l’Ungheria trovano nel liberarsi definitivamente dal greggio russo. Proprio il primo ministro ungherese, Viktor Orban, al suo arrivo al vertice questo momento ha spento gli entusiasmi di tutti affermando senza mezzi termini che un compromesso sul pacchetto ancora non c’è. L’Ungheria si trova di fronte “a una situazione molto complessa”, ha ricordato, sottolineando che secondo lui è necessario “cambiare approccio” dell’UE sulle sanzioni alla Russia: “prima ci servono le soluzioni e poi le sanzioni”. Ha aggiunto di essere “pronto a sostenere il sesto pacchetto di sanzioni, se ci sono soluzioni per le forniture energetiche ungheresi”. Giusta la decisione di esentare gli oleodotti temporaneamente ma “se ci dovessero essere incidenti ai nostri oleodotti dobbiamo avere garanzia di forniture russe da altri canali”, ha spiegato ai giornalisti. Ulteriori garanzie finanziarie e di sicurezza energetica, in sostanza. A quanto si apprende, il premier Mario Draghi dopo l’intervento del presidente ucraino ha ribadito la necessità di “mantenere unità sulle sanzioni. L’Italia è d’accordo sul pacchetto, purché non ci siano squilibri tra gli Stati membri”. Poco ottimista di poter raggiungere un accordo già entro mercoledì, anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.Abbiamo lavorato sodo sul sesto pacchetto, ma ancora non ci siamo”, ha detto al suo arrivo al Vertice europeo a Bruxelles. Aggiunge di non avere “grandi aspettative” per raggiungere un accordo già “nelle prossime 48 ore, ma sono fiduciosa che poi ci possa essere una possibilità”, ha chiarito. Un appello all’unità ai leader è arrivato anche dalla presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola, nel rituale intervento di apertura del Vertice. “Spero davvero che oggi ci sia un accordo, non possiamo permetterci che non ci sia. Il nostro obiettivo deve rimanere quello di svincolarci dall’energia russa”, ha detto in merito al sesto pacchetto di sanzioni. Ai Ventisette ha ricordato che c’è “un limite a quanta flessibilità possiamo concedere senza perdere credibilità nei confronti delle nostre popolazione e apparire deboli di fronte a una Russia che, come sappiamo, non rispetta la debolezza”. Se sarà trovato l’accordo politico nella due giorni di Consiglio europeo, gli ambasciatori presso l’UE potrebbero chiudere il testo legislativo già in settimana.