Ex Ilva, l’offerta migliore è della cordata azera. Urso: “Ora si apre il negoziato”

Sull’ex Ilva, la spunta la cordata Baku Steel-Azerbaijan Investment Company. La conferma arriva dal ministro delle Imprese Adolfo Urso, che lo annuncia a margine del Cosmoprof di Bologna: “I commissari mi hanno preannunciato che oggi invieranno una richiesta formale per essere autorizzati a un negoziato con il soggetto internazionale che ha fatto la proposta migliore, che verosimilmente sarà quella della compagine azera”, riferisce.

A quel punto, ci sarà da attendere il parere del comitato di sorveglianza e la delibera del Mimit. “Si apre una nuova e importante decisiva fase: quella del negoziato con il soggetto che allo Stato ha fatto l’offerta migliore”, scandisce il titolare di Palazzo Piacentini.

ArcelorMittal, che aveva una quota del 62%, ha lasciato le redini del colosso dell’acciaio ormai un anno fa. L’offerta azera è stata preferita a quelle dell’indiana Jindal Steel e del fondo americano Bedrock Industries.

Il cambio di guida dell’ex Ilva avviene in un momento cruciale per il polo siderurgico, con il settore che rischia di collassare sotto i dazi doganali del 25% imposti da Donald Trump. Con l’aumento dei prezzi dell’energia e il calo della domanda di acciaio, nel 2023 la fabbrica di Taranto ha prodotto meno di 3 milioni di tonnellate di acciaio e nel 2024 appena 2 milioni. Al momento, sono in funzione due altiforni su quattro.

Baku Steel, sostenuta dallo Stato azero, gestisce un’acciaieria con una capacità produttiva di 800mila tonnellate all’anno e si è impegnata a portare un rigassificatore nel porto di Taranto, offerta che deve aver pesato sul piatto della bilancia, nonostante i timori per l’ambiente.

Intanto, i sindacati domandano a una voce sola un nuovo tavolo con il governo prima dell’avvio delle trattative. Un confronto “imprescindibile” per Rocco Palombella, segretario generale Uilm, che domanda di conoscere i contenuti dell’offerta presentata. Il timore è che il nuovo piano rischi di “distruggere la produzione e provocare migliaia di esuberi”. Le parti sociali, avverte, non accetteranno “pacchi preconfezionati”. “Non siamo affezionati al nome e alla nazionalità, ma saremo attentissimi al piano proposto”, garantisce il segretario nazionale Fim Valerio D’Alò, sottolineando l’importanza di un approccio che tenga conto non solo degli aspetti economici, ma anche della salvaguardia dei posti di lavoro e della sostenibilità ambientale. Anche Fim Cisl evidenzia la necessità di un coinvolgimento diretto e trasparente da parte del governo italiano: “Attendiamo di conoscere come lo Stato declinerà la volontà di essere presente”, aggiunge D’Alò. Garanzia della piena occupazione, decarbonizzazione, integrità del gruppo, presenza pubblica dello Stato. Questo metteranno sul tavolo i sindacati: “E’ il tempo in cui tutti i soggetti dovranno essere partecipi”, osserva Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil. “I precedenti Governi hanno condotto trattative segrete – denuncia -, ora i lavoratori devono essere protagonisti di questa discussione fin da subito”.

Auto, Urso: “Riconvertire su difesa e Spazio”. No di Fiom, ma Fim apre

Riconvertire e diversificare: sono le parole chiave del governo per il futuro dell’automotive. A ribadire il concetto è Adolfo Urso, nella riunione con sindacati e attori del comparto al Mimit: “Siamo un governo responsabile: il nostro obiettivo è mettere in sicurezza le imprese e tutelare i lavoratori. Per questo incentiviamo le aziende della filiera automotive a diversificare e riconvertire le proprie attività verso settori ad alto potenziale di crescita, come la difesa, l’aerospazio, la blue economy e la cybersicurezza”, dice il ministro delle Imprese e del Made in Italy.

La riflessione parte dal dato di fatto che si tratta di due settori “in forte espansione e ad alta redditività”, che potrebbero “salvaguardare e valorizzare le competenze dei lavoratori, mettendo a frutto le loro capacità tecniche e il capitale umano già formato”. Da tempo nell’esecutivo si è fatta largo l’idea che la crisi dell’automotive debba essere risolta con soluzioni differenti dal solito ricorso a incentivi (“non rinnoveremo più l’Ecobonus, inefficace su scala nazionale”) e ammortizzatori sociali. Non proprio una ‘rivoluzione’, ma comunque un orientamento che segua di più gli andamenti del mercato.

Urso annuncia, poi, che insedierà un tavolo specifico con le imprese e le Regioniper governare la transizione e, quindi, anche la necessaria riconversione industriale verso i comparti in maggiore crescita su cui abbiamo anche campioni nazionali ed europei che possono contribuire a sviluppare le filiere produttive”.

La proposta divide i sindacati, tra chi si dice contrario, come la Fiom, e chi invece concede un’apertura di credito, come la Fim. “E’ evidente che la riconversione dell’automotive va fatta nell’automotive, non prendiamo in considerazione e non vogliamo aprire una discussione rispetto al fatto di passare dal green al militare”, risponde Samuele Lodi, della segreteria nazionale dei metalmeccanici Cgil. Ritenendo questa scelta del governo “assolutamente assurda, sia da un punto di vista etico che industriale e occupazionale”. Di tutt’altro avviso Ferdinando Uliano: “ Ci sono alcuni aspetti da cogliere rispetto a un settore che sta crescendo, come quello di aerospazio e difesa. Non crediamo che ci siano operazioni di compensazione, cioè di chiudere le fabbriche dell’Auto per fare operazioni militari. Pensiamo che si debba cogliere quelle opportunità”, sostiene il segretario generale della Fim Cisl. Punta su altri obiettivi la Uilm, che pur apprezzando “l’interessamento costruttivo” dell’esecutivo, nota “purtroppo che restano inevasi i due problemi fondamentali: la necessità di abbassare un costo abnorme della energia e l’urgenza di riformare un sistema degli ammortizzatori sociali che oggi offre poche tutele ai lavoratori ma pesa con forti oneri sulle aziende”.  Non solo, per il segretario nazionale, Gianluca Ficco, servono anche “forme di riqualificazione professionale e sostegno al reddito”.

Al tavolo automotive si è discusso anche di Europa, o meglio del percorso che il Vecchio continente dovrà seguire per non accelerare la crisi del settore. “L’Italia guida il fronte delle riforme in Europa”, rivendica Urso ricordando che il non paper presentato a Bruxelles “ha costretto la Commissione a inserire nel Piano d’azione il rinvio delle sanzioni previste per il 2025 e l’anticipo alla seconda metà di quest’anno della revisione del regolamento sui veicoli leggeri”. E sulla sfida europea il ministro può contare sull’Anfia che conferma la “piena sintonia col Mimit sulle azioni da proseguire per dare un’attuazione a un piano che vada realmente e concretamente nella direzione di supportare la filiera automotive europea”. Sulla scorta di questi passaggi, Urso indica come priorità “il sostegno alla componentistica”, con un intervento “a supporto della filiera, indirizzando risorse per 2,5 miliardi di euro nel triennio 2025-27, e solo per il 2025 1,6 miliardi di euro, tra accordi per l’innovazione, contratti e mini-contratti di sviluppo e credito d’imposta” oltre ai 100 milioni “per interventi mirati sulla domanda, non di autovetture, che concorderemo direttamente” con le aziende dell’indotto.

Nella riunione a Palazzo Piacentini, ovviamente, c’è spazio anche per discutere di Stellantis. Il ministro delle Imprese ribadisce che l’azienda ha “cambiato rotta” ma allo stesso tempo si aspetta che ci sia una velocizzazione sugli investimenti. Anche se, per Fiom, “Sono necessarie risorse private perché i 2 miliardi annunciati da Stellantis per il 2025 evidentemente non bastano. E servono anche risorse pubbliche, che devono essere condizionate alla tutela occupazionale”. Domande che potrebbero anche trovare spazio nell’audizione che il presidente del Gruppo, John Elkann, terrà mercoledì 19 marzo, alle 14.30, davanti alle commissioni congiunte Industria e agricoltura del Senato e Attività produttive della Camera. Uno degli appuntamenti cerchiati in rosso nell’agenda politica italiana.

Federchimica: Con più ricerca ricadute da 6 mld. Urso: “Chimica colonna portante economia”

La ricerca genera competitività e apre la via all’estero. L’effetto spillover è importante: 400 milioni di euro in investimenti nella chimica ad alta specialità generano 6 miliardi di euro sull’intera economia italiana. I dati arrivano dall’incontro ‘Innovazione chimica’, che si è tenuto questa mattina a Villa Madama a Roma, organizzato dal ministero degli Esteri e e da Federchimica.

“Il comparto ha un impatto a cascata su un numero infinito di settori della nostra economica e il rapporto che presentiamo oggi fotografa il ruolo della chimica come acceleratore di innovazione, export, crescita”, spiega, Antonio Tajani. Il ministro degli Esteri ricorda di aver rafforzato la “squadra della crescita”, ovvero Ice, Sace, Simest, Cassa Depositi e Prestiti, che sono al fianco delle imprese per aiutarle a crescere nei circuiti internazionali. “Dall’inizio del mio mandato ho messo in campo una precisa strategia di Diplomazia della crescita, a favore dell’export e per l’internazionalizzazione dei nostri territori”, rivendica il vicepremier, che in questi giorni ha lanciato una strategia di ulteriore rafforzamento e diversificazione dei mercati di sbocco, con un occhio d’attenzione agli emergenti.

L’industria chimica in Italia è “una delle colonne portanti dell’economia”, osserva Adolfo Urso, che snocciola i numeri: “Con un fatturato di 77 miliardi di euro e un ruolo centrale in Europa, siamo terzi per produzione dopo Germania e Francia”. Ma il settore, assicura, diventerà sempre più “competitivo, innovativo e sostenibile”. La trasversalità della chimica “la rende un motore di innovazione in molti settori, dall’ambiente alla salute, dall’industria ai nuovi materiali“, scandisce Anna Maria Bernini. Sono 125 i corsi di laurea in Italia, che si evolvono per “rispondere alle sfide del mercato del lavoro e della società, con percorsi altamente specializzati e orientati alla sostenibilità e alle nuove tecnologie”, chiosa la ministra dell’Università e della Ricerca.

La chimica è un settore strategico dell’economia europea, ha un carattere pervasivo e abilitatore: il 95% di tutti i manufatti, già di uso comune o che lo diventeranno in futuro, sono disponibili a costi largamente accessibili grazie alla chimica. L’industria chimica, caratterizzata da specialità ad alto valore, offre le soluzioni tecnologiche che rendono possibile lo sviluppo e la produzione di molti prodotti finiti. In termini di competitività sui mercati globali, la geopolitica è entrata prepotentemente nelle nostre imprese con ricadute rilevanti per quanto riguarda la gestione sostenibile delle materie prime e i costi energetici, aspetti cruciali per contrastare la concorrenza globale, in particolare da Paesi che non sempre rispettano i nostri stessi standard ambientali, sociali e di sicurezza. Le imprese chimiche in Italia sono “fortemente orientate all’export e sono protagoniste in collaborazioni internazionali grazie alla forte spinta innovativa data dal loro Dna: esportano tecnologie e competenze, consolidando la presenza internazionale del settore e contribuendo al rafforzamento del Made in Italy a livello globale”, spiega Francesco Buzzella, Presidente Federchimica. Secondo l’Eurostat, l’export chimico italiano, dal 2010 al 2023, è cresciuto dell’85% con un valore totale che ha raggiunto i 40,6 miliardi di euro, il 6,4% sul totale delle esportazioni nazionali. Il confronto internazionale indica che gli Stati Uniti sono il primo mercato di destinazione per la chimica europea e la Cina è il primo fornitore per l’Europa. In questo scenario, la Cina produce prevalentemente commodities a basso costo, mentre gli USA sono anche alla ricerca di specialità innovative. In Italia la chimica è tra i settori con la più diffusa presenza di imprese innovative (80%) e, diversamente da altri comparti, l’innovazione si basa sulla ricerca. In effetti l’industria chimica è il primo settore – dopo la farmaceutica – in termini di quota di imprese che svolgono attività di R&S (75%). La ricerca non coinvolge solo le realtà più grandi, ma anche le PMI. In ambito europeo l’Italia è il secondo Paese, dopo la Germania, per numero di imprese chimiche attive nella ricerca, oltre 1.200. Secondo l’anticipazione di una indagine sul valore della ricerca chimica come moltiplicatore di internazionalizzazione e competitività, gli investimenti dell’industria chimica italiana toccano il 3,8% sui ricavi, percentuale che pone il settore ben al di là del 3% fissato dall’UE come obiettivo; nelle imprese ad alto valore aggiunto e specializzazione, l’investimento in R&S supera la soglia del 5%. Al tempo stesso l’81,5% delle imprese ha investito per cogliere opportunità all’estero, il 35,4% ha investito all’estero (da sola o in joint) e il 74,1% è impegnato in progetti internazionali. Oltre la metà delle imprese giudica importante la ricerca per farsi strada nei mercati internazionali.

Dati che ribadiscono il valore strategico dell’innovazione chimica a favore di una espansione sui mercati esteri. La ricerca genera, infatti, competitività e apre la via verso l’estero con importanti ritorni positivi per tutto il Sistema Paese: tre quarti delle imprese hanno programmi di collaborazione internazionali confermando la propensione delle imprese alla ricerca e il contributo che la chimica in Italia offre alla presenza internazionale dell’industria italiana in generale. L’export chimico italiano è cresciuto negli ultimi trent’anni e oggi vale il 4,4% del totale mondiale, con prestazioni positive anche nel confronto con Francia e Germania grazie al traino delle numerose nicchie di specializzazione nell’ambito della chimica a valle in un contesto di regole complesse e di costi elevati a cominciare dall’energia. “La competitività dell’industria europea è a rischio su terreni che tradizionalmente erano suoi punti di forza, come evidenziato dal Rapporto Draghi alla Commissione europea”, ricorda la vicepresidente alla ricerca di Federchimica, Ilaria Di Lorenzo, che denuncia un ritardo delle scelte comuni in materia di competitività e una cultura iper-regolatoria come “ostacoli da rimuovere al più presto per salvaguardare una preziosa e insostituibile infrastruttura tecnologica per il nostro Paese”.

A Parigi vertice sull’acciaio. Urso: “E’ nata un’alleanza per l’industria europea”

Senza acciaio non c’è industria, e senza un’industria forte l’Europa non può competere a livello globale“. Adolfo Urso vola a Parigi per la conferenza sul futuro della siderurgia con altri sei ministri europei per chiedere di non deindustrializzare il Vecchio Continente e garantirne “l’autonomia strategica” nell’energia, nell’industria e nella difesa.

Il ministro delle Imprese e del Made in Italy sottoscrive il non-paper sulla siderurgia insieme ai ministri di Francia, Belgio, Lussemburgo, Romania, Slovacchia e Spagna. Nel documento c’è un piano d’azione per rafforzare la competitività del settore e salvaguardare la produzione in Europa, in un contesto di forte crisi caratterizzato dalla crescente concorrenza internazionale. “Oggi a Parigi, di fatto, è nata un’alleanza per l’industria europea“, spiega poi da Bolzano, dove inaugura una Casa del Made in Italy. “Perché oggi – insiste – è il momento di mettere al centro dell’azione della Commissione Ue l’industria, l’impresa“.

Il non paper siglato si collega al documento promosso dall’Italia e sottoscritto da Austria, Bulgaria, Polonia, Grecia e Cipro sulla revisione del Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alle Frontiere (CBAM) per le industrie energivore, a partire dalla siderurgia e dalla chimica. La revisione del CBAM sarà discussa nel prossimo Consiglio Competitività dell’Ue il 12 marzo.

La necessità di un intervento europeo strutturale si dimostra urgente soprattutto alla luce della crisi dell’automotive, che ha generato un forte calo della domanda di acciaio. In questo scenario, l’Italia, rivendica il ministro, si distingue per la “leadership” nella produzione di acciaio green, avendo già avviato una transizione verso la decarbonizzazione. “Oggi il nostro Paese vanta 34 impianti su 35 alimentati da forni elettrici, con una produzione che per l’80% è decarbonizzata“, sottolinea Urso. Un primato che testimonia l’impegno dell’industria italiana verso la sostenibilità e rafforza la posizione del Paese nell’indicare all’Europa la strada giusta da percorrere insieme.

In questa direzione va il processo in corso negli stabilimenti ex Ilva di Taranto che, con il nuovo piano industriale previsto nella procedura di assegnazione, diventerà il “principale stabilimento siderurgico green d’Europa“. Il tema del costo dell’energia è uno degli aspetti centrali del documento sottoscritto oggi. Il non-paper evidenzia la necessità di adottare politiche europee efficaci per ridurre il costo dell’energia, attualmente molto più elevato rispetto a quello di altri attori globali. In vista del dialogo strategico sulla siderurgia che la Commissione Europea avvierà a marzo, il documento pone anche l’accento sulla necessità di una politica commerciale più assertiva.

Per contrastare la concorrenza sleale sul piano internazionale, i firmatari indicano come fondamentale rafforzare le misure di salvaguardia e gli strumenti di difesa commerciale, arginando la sovraccapacità globale e le pratiche sleali dei competitor extra-Ue. Anche per questo, insiste Urso, “è assolutamente necessario che si trattengano in Europa i rottami ferrosi destinati alla produzione di acciaio green“. Allo stesso tempo, è necessario stimolare la domanda interna di acciaio attraverso strumenti di incentivazione mirati, capaci di sostenere il mercato europeo e valorizzare la produzione industriale del continente. Il non-paper richiama poi l’attenzione sull’urgenza di investimenti mirati per sostenere la transizione del settore. I Paesi firmatari chiedono alla Commissione europea di analizzare i gap di finanziamento e di predisporre risorse adeguate per accompagnare le imprese siderurgiche nella decarbonizzazione. Centrale, per i firmatari, è la creazione di un vero mercato europeo dell’acciaio verde, promuovendo il ‘Made in Europe’ e un modello industriale sostenibile e competitivo, in linea con gli obiettivi del Clean Industrial Deal e del futuro Industrial Decarbonisation Accelerator Act.

Siglate oltre 40 intese Italia-Eau, in arrivo investimenti per 40 mld dollari

Oltre 40 intese bilaterali per rafforzare su più settori la cooperazione Italia-Emirati Arabi Uniti. E’ il risultato della visita di Stato nel nostro Paese del presidente emiratino, Sheikh Mohamed bin Zayed Al Nahyan. Accolto ieri in Italia dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Zayed ha partecipato oggi con la premier Giorgia Meloni al Business Forum di Roma, evento organizzato dal ministero degli Esteri, dai Ministeri dell’Economia e degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, con la collaborazione dell’ICE Agenzia e il supporto di CDP e SACE. E’ stata l’occasione per annunciare investimenti dagli Emirati in Italia per 40 miliardi di dollari.

L’incontro – che è stata un’occasione di confronto per i due leader sulle principali sfide globali, come Ucraina e Medio Oriente – ha confermato il livello di straordinaria eccellenza raggiunto nelle relazioni bilaterali tra i due Paesi negli ultimi due anni. Le oltre 40 intese sottoscritte sono a livello governativo, incluso un accordo per un ulteriore rilancio della cooperazione nel settore della difesa, e nel settore privato.

Per la premier Meloni si tratta di “una giornata storica, un’altra tappa fondamentale nei nostri rapporti”. I due leader hanno infatti concordato di sviluppare un partenariato strategico complessivo, concentrando la cooperazione nei settori dell’economia più̀ orientati al futuro, sfruttando la capacità di innovazione italiana ed emiratina in settori come intelligenza artificiale, creazione di data centre, industria avanzata, nuove tecnologie, interconnessioni digitali ed energetiche, tecnologie in ambito subacqueo, minerali critici e spazio. Meloni ha salutato “con soddisfazione la decisione degli Emirati di investire 40 miliardi di dollari in Italia”, definendolo “uno dei più rilevanti e imponenti investimenti per la storia della nostra nazione, una straordinaria manifestazione di amicizia nei confronti dell’Italia, del suo sistema produttivo e della sua economia”. Meloni e Zayed hanno inoltre confermato, nel quadro del Piano Mattei per l’Africa, la volontà̀ di rafforzare la cooperazione trilaterale con le Nazioni del continente africano sulla base di un apposito partenariato istituito in occasione della visita, oltre ad accordi col settore privato emiratino finalizzati ad agevolare co-investimenti nell’ambito energetico e dell’acqua nel continente africano.

L’interscambio commerciale tra Italia ed Emirati Arabi Uniti nei primi undici mesi del 2024 ha raggiunto il valore di 9 miliardi di euro, con un incremento del 14,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Nel Paese operano oltre 600 aziende italiane, mentre il livello di investimenti italiani negli Emirati nel 2023 è stato di oltre 11 miliardi di euro. “Gli Emirati Arabi Uniti sono un partner economico strategico per l’Italia e primo mercato di destinazione dell’export italiano nell’area Medio Oriente Nord Africa”, ha sottolineato il ministro degli Affari esteri, Antonio Tajani. Per la Farnesina, l’interscambio commerciale “è di fondamentale importanza”. Tajani ha infatti ricordato come il 40% del prodotto interno lordo della Repubblica Italiana derivi dall’export. “La nostra intenzione – ha concluso il ministro – è incrementare anche il giro di affari. Siamo arrivati a 626 miliardi lo scorso anno. L’obiettivo è quello di arrivare ai 700 miliardi alla fine di questa legislatura”.

Cinque gli accordi strategici siglati dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, per consolidare la cooperazione economica e industriale tra i due Paesi. Le intese sono finalizzate a promuovere investimenti reciproci, innovazione tecnologica e collaborazione nei settori chiave dell’economia, realizzando un’alleanza strategica sul futuro dall’intelligenza artificiale ai data center, dalle materie prime critiche allo spazio, alle fibre ottiche, alla connettività e alle infrastrutture, alla farmaceutica e alle scienze della vita. Uno degli accordi principali riguarda il partenariato strategico sugli investimenti, siglato tra il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e il Ministero dell’Industria e delle Tecnologie Avanzate degli Emirati Arabi Uniti. L’intesa prevede la creazione di un Gruppo di Lavoro dedicato all’identificazione di progetti congiunti e opportunità di investimento in settori di interesse comune, creando una cornice adeguata alla mobilitazione dei capitali.

Nell’ambito di questa intesa, Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e Abu Dhabi Investment Office (ADIO) hanno firmato un Memorandum of Understanding per facilitare la collaborazione tra imprese italiane ed emiratine e agevolare l’accesso agli investitori ai mercati di riferimento. Accordi analoghi sono stati siglati tra Confapi e AIM Global Foundation, per favorire l’internazionalizzazione delle PMI, e tra la Abu Dhabi Chamber of Commerce e Confindustria Lazio, con l’obiettivo di incentivare investimenti privati nei due Paesi.

Crolla l’industria in Italia. Opposizioni: “Urso si dimetta”. Il ministro: “Crisi in tutta Ue”

Crolla la produzione industriale in Italia. A dicembre 2024 l’Istat stima una perdita del 3,1% rispetto a novembre, del 7,1% su base annua. Nella media del quarto trimestre il livello della produzione si riduce dell’1,2% rispetto ai tre mesi precedenti, quando le stime erano solo per un -0,1% mensile dopo il +0,3% congiunturale di novembre.

Nel 2024, spiega l’istituto commentando i dati, la dinamica tendenziale dell’indice corretto per gli effetti di calendario è stata negativa per tutti i mesi, con cali in tutti i trimestri. Solamente per l’energia c’è un incremento nel complesso e, nell’ambito della manifattura, solo le industrie alimentari, bevande e tabacco sono in crescita rispetto all’anno precedente, mentre le flessioni più marcate si rilevano per industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori e fabbricazione di mezzi di trasporto.

Una catastrofe secondo le opposizioni, che chiedono la testa del ministro delle Imprese e del Made in Italy. “La crisi della produzione industriale non è italiana, ma europea, a partire da Paesi come la Germania“, si difende Alfonso Urso. L’idea è quella di rafforzare la posizione italiana come seconda industria manifatturiera europea, anche perché, osserva, “la Germania ha problemi strutturali maggiori dei nostri“.

Intanto però i parlamentari del Movimento 5 Stelle ricordano i 42 miliardi di ricavi “bruciati” nel 2024, oltre al “calo eclatante” della produzione. Si tratta del 23esimo mese in fila di “crollo inesorabile” che per i pentastellati è ascrivibile in toto alla “inesistente politica industriale del governo Meloni“. I deputati M5S domandano le dimissioni del titolare del Mimit, accusando la premier di aver affidato un ministero chiave a “una figura assolutamente inadeguata“.
Di “desertificazione industriale” in Italia parla il responsabile Economia nella segreteria nazionale del Pd, Antonio Misiani, un “disastro” di fronte al quale qualunque governo correrebbe ai ripari. Nell’ultima legge di bilancio, denuncia l’esponente Dem, è stato “drasticamente tagliato non solo il fondo automotive (-75%) ma l’insieme delle risorse stanziate per le politiche industriali, che passeranno dai 5,8 miliardi del 2024 a 3,9 miliardi nel 2025 fino a 1,2 miliardi nel 2027“. Il parlamentare chiede che il governo riferisca in Parlamento per spiegare all’Italia cosa ha intenzione di fare.
L’Italia “non è il Paese delle meraviglie come vuoi farci credere“, tuona il co-portavoce di Europa Verde e deputato di Avs, Angelo Bonelli, rivolgendosi alla premier: “E’ il Paese in cui la produzione industriale cala a picco, in cui il caro energia mette in ginocchio le famiglie italiane e la disoccupazione giovanile aumenta. Basta propaganda, Giorgia Meloni, comincia a raccontare il Paese reale“.

Ia, Urso: “Supercalcolatori e datacenter in Italia, ponte tra Ue e continenti del futuro”

L’Europa deve avere una propria visione e autonomia strategica sull‘intelligenza artificiale rispetto agli Stati Uniti e la Cina. Dal grande vertice sull’Ia di Parigi, Adolfo Urso lancia le proposte italiane sulla sfida del secolo. Ricorda la legge del governo Meloni sul tema, “anticipatrice di alcune decisioni europee“, rivendica, e insiste sull’urgenza di aggiornare la strumentazione per “recuperare i ritardi sugli investimenti che si realizzano in altri continenti“.

Il titolare di Palazzo Piacentini presenta un progetto che ripropone l’Italia come hub, questa volta mondiale. Propone di avere supercalcolatori quantum e datacenter (che “sono le miniere del futuro“) completamente nel nostro Paese. Un ponte della connettività tra l’Europa, l’Occidente e i “continenti del futuro, spiega il ministro, con le fibre ottiche che attraverso il Mediterraneo e che giungono e includono “l’Africa, il grande Medio Oriente, la Penisola Arabica, l’India, l’Oceania“.

Italia, dunque, al centro della trasmissione di dati e di informazioni : “Per questo – fa sapere – stiamo lavorando perché possa diventare il Paese ideale dove investire e realizzare attraverso l’intelligenza artificiale anche il suo sviluppo con il super computer, con il quantum“.

Dal palco del vertice, il ministro chiede all’Unione di prendere la “via antropocentrica” della tecnologia al servizio dell’uomo e non viceversa, in linea con la “terza via” evocata dal presidente francese Emmanuel Macron, alternativa ai modelli di Washington e Pechino. Una strada che sia “autonoma, equilibrata e sicura“.
Nello stesso contesto in cui si è caratterizzata anche la presidenza italiana del G7, che ha avviato l’AI Hub per lo Sviluppo Sostenibile, in linea con il Piano Mattei, un’iniziativa pionieristica che mira a favorire l’adozione dell’Ia nei Paesi emergenti, con un’attenzione particolare all’Africa, che opererà in sei settori chiave: energia, agricoltura, salute, acqua, istruzione e infrastrutture. “Vogliamo accompagnare le piccole e medie imprese africane verso un utilizzo sicuro e produttivo dell’intelligenza artificiale, che risponda alle loro esigenze locali”, scandisce Urso, che mette in luce la leadership italiana nei supercalcolatori e nelle tecnologie quantistiche. Due tra i più potenti supercalcolatori al mondo sono nel nostro Paese: il Cineca a Bologna e il Davinci di Genova, che oggi, ricorda, è “il terzo più performante a livello globale”.

Soluzione industriale vicina per Portovesme. Urso: “Possibile un nuovo investitore”

Si intravede la luce in fondo al tunnel per la Portovesme Srl, società del Cagliaritano unica produttrice di zinco e piombo​ in Italia, controllata​ del gruppo Glencore.​
Se Glencore, che il 23 dicembre ha deciso di fermare la linea zinco per gli alti costi energetici, deciderà di continuare la produzione, sarà supportata. In caso contrario, alcuni operatori primari del settore si sono detti disponibili a rilevare l’intero impianto. Adolfo Urso lo annuncia tirando un respiro di sollievo durante il tavolo al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, il primo incontro dal 27 dicembre quando il ministro ha visitato la fabbrica nel Sulcis per rassicurare i lavoratori.

Riprendere la produzione di zinco “risponderebbe agli interessi strategici del Paese e consentirebbe di meglio tutelare l’occupazione”, osserva Urso. Il titolare di Palazzo Piacentini non esclude inoltre nuove prospettive di crescita, qualora si realizzasse anche il progetto di recupero del litio, “per il quale abbiamo supportato la richiesta di Glencore alla Commissione europea”, fa sapere il ministro, parlando su una “soluzione industriale” all’orizzonte.

Nella ricerca di nuovi investitori, Glencore ha dato disponibilità ad aprire gli impianti e rendere accessibile la data room, per consentire una due diligence adeguata. La linea dello zinco è “strategica” per il Paese, ribadisce Urso, garantendo massimo impegno per la continuità produttiva.

Oltre allo zinco e al piombo, Mimit e Mase lavorano per consentire la realizzazione del progetto sul litio, con l’obiettivo di rafforzare il polo produttivo del Sulcis e tutelare i livelli occupazionali e dotare il Paese di una struttura industriale in grado di produrre materie prime fondamentali per la transizione.
Il governo è poi impegnato anche sul fronte energetico, prossimo a un’intesa per dotare la Sardegna di una rete per l’approvvigionamento e per la distribuzione del gas. Il progetto prevede lo stazionamento di due navi rigassificatrici e un collegamento che garantirà il rifornimento di gas all’area del Sulcis, a partire da Eurallumina, per rendere possibile la sua riapertura. Un risultato “atteso da tempo”, rivendica Urso, per poter assicurare all’isola un approvvigionamento di gas continuo e a costi contenuti, in modo da ridurre il divario nel costo dell’energia rispetto ad altre aree del Paese.
“Così mettiamo in sicurezza l’intero sito di Portovesme”, spiega il ministro, convinto che il governo abbia fatto la sua parte “con coerenza e convinzione”: “Ora tocca all’azienda fare la sua”.

 

 

Moda, governo lavora a rilancio. Urso: 250 mln per imprese

Continua il lavoro del governo per il rilancio del comparto moda, un “asset strategico per il Made in Italy, con 100 miliardi circa di fatturato e un export atteso di 90 miliardi nel 2024“. Il ministro Adolfo Urso presiede un nuovo tavolo permanente sul settore, al Mimit, per un confronto con imprese, ministeri, sindacati ed enti locali che trovi un punto di caduta per affrontare la sfida della duplice transizione green e digitale. “La battaglia per la sostenibilità industriale si vince o si perde in Europa“, mette in chiaro Urso, al lavoro sull’intero fronte della revisione e della attuazione dei regolamenti europei, insieme al Mase.

Nella riunione il ministro annuncia che per il 2025 il ministero delle Imprese e del Made in Italy ha destinato al settore 250 milioni di euro: 100 milioni per i Contratti di sviluppo, 100 milioni ai Mini contratti di sviluppo, 15 milioni per accompagnare la transizione ecologica e digitale, e 30,5 milioni per promuovere la sostenibilità nel settore moda. Una “cifra significativa”, spiega, messa a disposizione attraverso “strumenti concreti per dare alle aziende della moda la stabilità e la fiducia di cui hanno bisogno per tornare a crescere”. Nel corso dell’anno, poi, saranno destinate alle imprese di tutti i settori produttivi risorse per oltre 22 miliardi di euro. “Massimo sforzo” per il rilancio industriale, rivendica Urso, illustrando le misure messe in campo dal governo, che annoverano circa 9 miliardi per le misure fiscali Piano Transizione 4.0 e 5.0 e Ires premiale; 2,2 miliardi per il credito d’imposta nella ZES unica; oltre 7,5 miliardi tra contratti e mini contratti di sviluppo; 1,7 miliardi della Nuova Sabatini.

“Un impegno importante a fronte delle ristrettezze del Bilancio, a cui possono usufruire anche le imprese del comparto moda, di cui 3 miliardi dedicati esclusivamente alle PMI e 4 miliardi destinati esclusivamente alle imprese del Mezzogiorno”. Riguardo il tema del credito d’Imposta Ricerca e Sviluppo, Urso ha annunciato la presentazione di un emendamento al Dl Milleproroghe per migliorare la misura già predisposta in Legge di Bilancio “per dare una soluzione, per quanto sostenibile, a quanto accaduto nel passato, che pesa come un macigno anche sulle imprese della moda”. L’emendamento, tra l’altro, riapre i termini di adesione alla procedura di riversamento e prevede uno sconto in sostituzione del contributo – che avrebbe penalizzato imprese che devono riversare somme rilevanti – nei limiti di uno stanziamento complessivo di 250 milioni. Sull’occupazione, il ricorso delle aziende della moda alla cassa integrazione straordinaria nell’ultimo anno è stato particolarmente limitato. Secondo il monitoraggio dell’Inps per il 2024 e il 2025 per il settore della moda, su cui il governo ha stanziato circa 110 milioni di euro, si evince che sono stati erogati allo stato attuale solo 2,9 milioni per la CIG. Mimit e Ministero del Lavoro avvieranno un confronto con le Regioni affinché, nel prorogare la misura sulla cassa integrazione, si possa anche riperimetrare il raggio di azione.

Mentre le Regioni spingono per estendere gli ammortizzatori sociali, i sindacati di settore (Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil) avanzano una propria proposta in cinque punti: una politica industriale complessiva che valorizzi il comparto moda, con interventi a sostegno delle imprese e degli investimenti in Italia; una riforma e un rifinanziamento degli ammortizzatori sociali per tutti i lavoratori del settore; attenzione alle politiche di filiera e di sostenibilità, che considerino legalità, salute e sicurezza come elementi prioritari; impegno diretto e costante del Ministero delle Imprese e del Made in Italy sui singoli Tavoli di crisi; un Tavolo permanente per concordare eventuali azioni correttive, che a partire da casi di deindustrializzazione dei distretti, valuti atti concreti per contrastare il fenomeno.

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Imprese, ok in cdm al primo ddl sulle Pmi. Urso: Svolta strategica”

Via libera in consiglio dei ministri al primo disegno di legge annuale sulle Pmi, che introduce misure strategiche incentivando l’aggregazione, l’innovazione del sistema produttivo e l’accesso al credito.

Tra gli interventi principali, spiccano i ‘Mini Contratti di Sviluppo’ per il settore Moda, le Centrali consortili per coordinare le filiere produttive e nuovi incentivi fiscali per le reti d’impresa. Vengono promossi il ricambio generazionale con assunzioni agevolate di giovani, la tutela della concorrenza con norme contro le false recensioni online e il riordino della disciplina dei Confidi per semplificare l’accesso al credito.

Una svolta per la politica industriale del nostro Paese che valorizza il ruolo delle piccole e medie imprese, cuore pulsante dell’economia nazionale e dell’identità produttiva del Made in Italy, attraverso un sistema normativo mirato all’innovazione, alla competitività e alla crescita“, spiega il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Il ddl rappresenta la prima attuazione dell’art. 18 della Legge 180 del 2011, che aveva previsto l’adozione di una legge annuale per la tutela e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese, “impegno disatteso da tutti i governi che ci hanno preceduto e che noi intendiamo rispettare puntualmente ogni anno, come stiamo facendo per la legge annuale sulla concorrenza, secondo una chiara visione strategica“, afferma Urso.

Nel dettaglio, vengono introdotte misure per incentivare forme di aggregazione tra imprese del settore Moda, per consentire alle Pmi del comparto di unire le forze e affrontare con maggiore efficacia le sfide del mercato globale, incrementando la capacità di investimento, di innovazione e la propria presenza sui mercati internazionali. A questo scopo sono destinati alle filiere del comparto Moda fino a 100 milioni di euro per i ‘Mini Contratti di Sviluppo’, finalizzati a sostenere programmi di investimento di importo non inferiore a 3 milioni di euro e non superiore a 20 milioni. Il disegno di legge introduce inoltre le ‘Centrali consortili’, nuovi enti giuridici che fungono da strutture di indirizzo e coordinamento per le micro, piccole e medie imprese già organizzate in consorzi di filiera. Questi enti mirano a rafforzare la competitività e l’innovazione delle imprese attraverso modelli di cooperazione efficienti e solidali. Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy esercita la vigilanza esclusiva per garantire il rispetto delle finalità mutualistiche. La norma delega il Governo a disciplinare il funzionamento e la vigilanza delle Centrali consortili entro 12 mesi. Per favorire l’accesso al credito delle micro, piccole e media imprese, il disegno di legge attribuisce al Governo una delega per il riordino normativo della disciplina dei Confidi, a oltre vent’anni dall’emanazione della legge in materia. L’obiettivo dell’intervento è semplificare e riorganizzare le regole che disciplinano questo strumento, attraverso la revisione dei requisiti di iscrizione all’albo previsto dall’articolo 106 del Testo Unico Bancario (TUB), l’ampliamento delle attività consentite, la promozione di processi di aggregazione tramite agevolazioni normative e l’estensione delle possibilità operative per i Confidi iscritti. Sono inoltre previste misure per ridurre i costi di istruttoria nella valutazione del merito creditizio delle imprese e interventi volti a favorire l’integrazione tra consorzi, consentendo loro di partecipare ad altri enti senza modificare il proprio oggetto sociale.

Sono inoltre introdotti incentivi fiscali per le imprese che aderiscono a un contratto di “rete soggetto”, consentendo la sospensione d’imposta sulla quota di utili destinata a investimenti previsti dal programma comune di rete. L’agevolazione, finanziata fino a 45 milioni di euro dal 2027 al 2029, riguarda gli utili realizzati tra il 2026 e il 2028, destinati al fondo patrimoniale comune o al patrimonio dedicato all’affare.

Per incrementare l’occupazione giovanile, il Ddl contiene una disposizione sulla “staffetta generazionale” nelle imprese, che mira a liberare in anticipo nuovi posti di lavoro mediante un sistema di pensionamento flessibile, che consenta al lavoratore anziano una migliore conciliazione vita/lavoro e, al contempo, attui il trasferimento delle competenze professionali a favore di giovani lavoratori assunti in sua parziale sostituzione. Viene quindi introdotto, per le imprese fino a 50 dipendenti, un sistema di trasferimento generazionale con part-time incentivato per l’accompagnamento alla pensione e assunzioni agevolate di giovani under 35, garantendo così il passaggio di know-how. Il neoassunto potrà sostituire integralmente la posizione lavorativa del lavoratore anziano, una volta cessato il rapporto di lavoro di quest’ultimo.

Per contrastare il fenomeno delle false recensioni online nel mercato della ristorazione e del turismo e per garantire una concorrenza leale ed equa, il Ddl interviene prevedendo l’obbligo di verificare l’attendibilità della recensione, assicurandosi che questa sia realmente scritta da un consumatore che abbia effettivamente usufruito del servizio o acquistato il prodotto recensito. La disposizione definisce che il consumatore potrà rilasciare una recensione motivata entro 15 giorni dalla data di utilizzo del servizio. L’impresa interessata potrà richiederne la cancellazione nel caso in cui il giudizio risulti falso o ingannevole, o qualora il commento non dovesse più essere attuale trascorsi i due anni dalla sua pubblicazione o in ragione dell’adozione di misure idonee a superare le criticità che avevano dato origine al giudizio espresso. Infine, a tredici anni dal primo “Startup Act”, il Ddl delega al Governo l’adozione di un decreto legislativo per la redazione di un testo unico in materia di startup, incubatori e Pmi innovative. L’obiettivo è coordinare le norme vigenti, apportando modifiche per migliorarne la coerenza giuridica, logica e funzionale, e abrogare espressamente le disposizioni obsolete o prive di contenuto normativo. Viene consolidata la figura del Garante per questo comparto di imprese e ampliati i suoi compiti, con lo scopo di promuovere la cultura, la formazione e la crescita dell’ecosistema italiano dell’innovazione tecnologica per massimizzarne la competitività.