Ex Ilva, Avs: “Governo nasconde relazione Iss su rischi”. Urso: “Martedì tavolo finale”

Nuovo scontro sull’ex Ilva di Taranto. A ventiquattr’ore di distanza della riunione fiume al Mimit tra il ministro Adolfo Urso e gli enti locali, conclusa con una fumata grigia e lo slittamento della firma dell’accordo di programma a martedì prossimo, l’Alleanza Verdi Sinistra annuncia un’interrogazione parlamentare. L’Istituto superiore di sanità (Iss) – sostengono i rossoverdi – ha segnalato “lacune” nella Valutazione di impatto sanitario (Vis) presentata da Acciaierie d’Italia per ottenere la nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia) dell’ex Ilva, ma il governo “ha nascosto la relazione” da cui emerge una sottovalutazione dell’impatto degli effetti delle emissioni prodotte dallo stabilimento tarantino. Il leader dei Verdi, Angelo Bonelli, tuona: “Da mesi chiedevo, in qualità di parlamentare, la relazione dell’Iss che mette nero su bianco come rimangano non completate le stime di impatto e rischio per la salute”. Da qui la domanda: “Perché Urso, anche ieri, non ha comunicato agli enti locali, a partire dal Comune di Taranto, la dura critica dell’Iss sulla valutazione del danno sanitario?”. Anche il vicepresidente e responsabile del Comitato Economia, Lavoro e Imprese M5s, Mario Turco, parla di “denuncia chiara, scientifica e inequivocabile” dell’Iss, “non esistono le condizioni per autorizzare la prosecuzione della produzione senza compromettere gravemente la salute pubblica. È inaccettabile che il Governo continui a ignorare questi rilievi e ad autorizzare, di fatto, l’inquinamento sistematico di un’intera città”. Pronta la replica del ministero, che bolla come “fuorvianti e strumentali” le ricostruzioni delle ultime ore, “basate su presupposti errati e superati, volte solo a ostacolare un percorso condiviso e responsabile”. L’Iss, sostiene il Mimit, “non ha mai ‘bocciato’ la Vis presentata dal gestore, ma si è limitato a richiedere integrazioni, successivamente presentate, grazie alle quali il parere finale ha concluso per l’accettabilità del rischio”.

Il governo tira quindi dritto. Urso ha convocato ufficialmente il tavolo per definire l’accordo di programma interistituzionale. Martedì prossimo, alle 9, d’intesa con il Presidente della Regione Puglia e con i Sindaci di Taranto e Statte, sono attese le organizzazioni sindacali nazionali e di categoria per un aggiornamento sulla situazione dell’Ex Ilva che avverrà alla presenza di governo ed enti locali. Alle 10.30, poi, riunione con tutte le amministrazioni nazionali e locali della Puglia coinvolte per definire l’accordo. Sul tavolo ci sono due opzioni. La prima prevede il mantenimento del ruolo strategico dell’impianto con un percorso di decarbonizzazione di 8 anni, la seconda è invece subordinata all’eventuale indisponibilità della nave rigassificatrice che impedirebbe di garantire l’approvvigionamento di gas necessario ai forni Dri. Così la decarbonizzazione si completerebbe in 7 anni.

A meno di una settimana dall’incontro, il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano chiede un indirizzo politico: “Non credo sia normale che le autorità locali decidano di vicende su una installazione strategica per la Repubblica. Conoscere il punto di vista del Parlamento su una vicenda così complessa è di vitale importanza per noi. Siamo di fronte ad una scelta sicuramente complessa, non ci spaventa ma non possiamo sottovalutare”. La fumata grigia nell’incontro di ieri ha infine generato il rinvio di una settimana – dal 10 al 17 luglio – della Conferenza dei Servizi propedeutica al rinnovo dell’Aia. Lo slittamento è stato disposto dal Mase, d’intesa col Mimit, raccogliendo così le esigenze condivise da amministrazioni nazionali e locali pugliesi. Nel frattempo, parallelamente alla vicenda generale, c’è il decreto legge Ilva in fase di conversione. “E’ centrale e va coordinato nei tempi con la trattativa”, chiede Emiliano

Ue, vertice a 11 per rilancio chimica e siderurgia. Urso: “Stop export rottame ferroso”

Alla vigilia del piano d’azione europeo per l’industria chimica, 11 Paesi dell’Ue si riuniscono in videoconferenza per rilanciare la chimica e la siderurgia dell’Unione.

Con Adolfo Urso e il ministro francese per l’Industria e l’Energia, Marc Ferracci, partecipano i rappresentanti di Germania, Spagna, Polonia, Paesi Bassi, Belgio, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Svezia.

Sul tavolo, la tutela della chimica di base e della biochimica che è sempre più urgente, osserva Urso, domandando “investimenti lungo tutta la catena del valore e per lo sviluppo di tecnologie capaci di ridurre le dipendenze strategiche”. L’Italia ha già avviato processi di riconversione delle produzioni per la produzione di bioplastiche, biofuel e materiali bio-based. Per l’inquilino di Palazzo Piacentini è necessario proseguire nella semplificazione anche nel settore della chimica (con l’Omnibus dedicato) e l’importanza di attivare in sede europea strumenti finanziari adeguati a sostenere la transizione verde del comparto: l’appello a Bruxelles è che si garantisca “coerenza” tra le linee di azione del Piano della chimica e il prossimo Quadro Finanziario Pluriennale, la cui proposta è attesa il 16 luglio prossimo, attraverso incentivi a ricerca, innovazione, trasferimento tecnologico, incentivazione alla produzione di biocarburanti e di idrogeno pulito, alla gestione della Co2.

Ma al centro c’è anche la siderurgia, comparto strategico da “sostenere con decisione nel processo di decarbonizzazione”, viene sottolineato dal Mimit, per affrontare le sfide della competizione globale con tecnologie più pulite. Urso richiama l’esigenza di tutelare anche il settore siderurgico lungo il percorso della transizione verde.

Oltre alle azioni proposte da Bruxelles nel Piano acciaio del 19 marzo scorso, bisogna, per Urso “stimolare la domanda interna per rafforzare l’intera filiera”. Il ministro avverte della necessità di intervenire sull’export del rottame ferroso, risorsa sempre più strategica nella transizione verso una siderurgia sostenibile. “È prioritario riconoscere il rottame come materia prima strategica a livello europeo — spiega — e avviare politiche che ne limitino l’export e ne tutelino l’approvvigionamento a beneficio dell’industria nazionale”.

In quest’ottica, il ministro delle Imprese e del Made in Italy annuncia “investimenti significativi per la realizzazione di impianti Dri in Italia”, fondamentali per la produzione di preridotto a basse emissioni, per la decarbonizzazione del settore e per rafforzare l’autonomia strategica dell’industria siderurgica nazionale ed europea. Al pari della chimica e degli altri settori energivori, ricorda, anche per la siderurgia è necessario agire sul fronte del costo dell’energia, per tutelare la competitività dell’industria europea.

Siderurgia green per rilanciare Taranto. Urso: “Su Ex Ilva prosegue trattativa con azeri”

Rilanciare Taranto attraverso la siderurgia, “volano di sviluppo”, coniugando ambiente e industria, salute e lavoro. Con questo obiettivo il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha riunito per la prima volta al Mimit le aziende, le associazioni d’impresa e le istituzioni del territorio tarantino.

Seguiranno altre occasioni, col tavolo di Taranto che diventerà strumento di monitoraggio continuo per i 15 progetti industriali per ora già censiti dal ministero, ovvero una base di partenza che può garantire potenziale occupazionale per oltre 5.000 addetti in cantieristica, nautica, meccanica, eolico offshore, logistica avanzata. Sul rilancio della siderurgia, Urso non transige: “Nella prospettiva della piena decarbonizzazione è una priorità nazionale”. La speranza è quella di realizzare “un modello europeo per la produzione di acciaio green, un polo d’eccellenza industriale all’avanguardia nella transizione ecologica” e Taranto “può essere protagonista della nuova rivoluzione industriale italiana, con la siderurgia green motore di un progetto integrato che guarda al futuro”.

Grazie ai 15 progetti già censiti, sottolinea il ministro, ci saranno “tutte le condizioni per rispondere alle esigenze di chi cerca lavoro o teme di perdere il proprio attuale impiego“. Occasioni all’orizzonte quindi in settori come siderurgia, cantieristica, aerospazio, nautica da diporto e crocieristica, carpenteria, ferrovie, eolico, meccanica e logistica, data center e Intelligenza Artificiale.

Webuild ha infatti proposto una grande fabbrica di carpenteria metallica proposta e cantieri navali per yacht di lusso. Il gruppo ha poi manifestato l’intenzione di realizzare una grande fabbrica di carpenteria metallica nell’area ex Ilva e, nel medio termine, un ulteriore stabilimento in un’altra area. Toto Holding-Renexia prevede invece la cantierizzazione di impianti eolici offshore, galleggianti e fissi, in un progetto in due fasi. Cantieri di Puglia sarebbe pronta poi ad assumere lavoratori diretti e indiretti per la realizzazione di cantieri navali per yacht di lusso nell’area ex Yard Belleli di Taranto, mentre Confapi ha avanzato proposte di alcune aziende associate per uno stabilimento a Grottaglie dedicato alla progettazione, produzione e gestione di dirigibili a uso commerciale e per la riqualificazione di un complesso industriale a Mar Piccolo per installare un impianto a energia solare. Fincantieri punta infine a realizzare fondazioni flottanti per il settore eolico.

La stella polare resta costruire “un nuovo modello produttivo, sostenibile e inclusivo, capace di rigenerare socialmente ed economicamente l’intero territorio, partendo dalla siderurgia come asset strategico imprescindibile per qualunque economia avanzata”. Fondamentale sarà il ruolo del Tecnopolo del Mediterraneo, “che si concentra sulla ricerca applicata e lo sviluppo di tecnologie avanzate, con particolare attenzione a energia pulita, economia circolare e decarbonizzazione dei processi industriali”. Il paragone scelto da Urso è con Piombino e Terni, “dove abbiamo avviato importanti processi di riconversione green della siderurgia”. Lo stesso può avvenire a Taranto, dove sull’ex Ilva il ministro ha già presentato alle autorità competenti il piano di decarbonizzazione: “Sarà alla base del progetto industriale che stiamo negoziando con gli azeri – spiega – l’Italia deve essere l’avanguardia della siderurgia sostenibile in Europa e Taranto ne sarà protagonista”. La trattativa con Baku prosegue, assicura il ministro, che sottolinea la necessità comunque di dover adattare il piano industriale “a quel che è accaduto, soprattutto nella fase di transizione verso la realizzazione dei forni elettrici e dei relativi DRI”.

Dazi, Urso: “A rischio 10% export italiano in Usa”. Opposizioni: “Deludente, si dimetta”

Contro i dazi commerciali degli Stati Uniti non servono reazioni di pancia ma sforzi diplomatici. Ne è certo il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che durante l’informativa sul tema alle Camere ricorda: “Se avessimo reagito di pancia ci saremmo fatti male, grave non trovare un compromesso”. Serve il dialogo, quindi. Anche se le tariffe decise dalla Casa Bianca non hanno penalizzato finora l’export italiano Oltreoceano, “che anzi è significativamente aumentato nei primi tre mesi dell’anno”, con le nostre esportazioni “aumentate dell’11,8% rispetto all’anno prima”.

Anche con una riduzione, fa capire Urso, i dazi imposti dall’amministrazione Trump faranno comunque male alle nostre imprese. Per questo motivo, il ministro loda le azioni intraprese dal nostro governo, “tempestivo ed efficace nell’indirizzare la Commissione europea e l’amministrazione Usa sulla giusta strada del negoziato”, da svolgere “con consapevolezza a responsabilità”, avendo chiaro l’obiettivo che “è unire, non dividere, l’Occidente”. Per evitare nuove tariffe, però, l’Italia rifiuta l’idea di reazioni muscolari. “Le misure compensative – sottolinea Urso – sono efficaci solo se decise a livello europeo”.

Al momento, se il quadro delle misure annunciate fosse confermato, ci sarebbe un impatto del 10% sull’esportazione italiana negli Usa in caso di dazi reciproci al 20%; effetto che scenderebbe al 6,5% se si arrivasse ad un dimezzamento, cioè al 10% dei dazi reciproci. Auto e medicinali i settori più a rischio. “I dazi Usa non avranno impatto sulla vendita di auto esportate dall’Italia – sottolinea Urso – ma lo avranno molto significativo sulla filiera dell’automotive”. Analogo impatto potrebbe avvenire nel settore della farmaceutica dopo “le misure draconiane annunciate da Trump”. Evitare nuove tariffe, sottolinea in conclusione Urso, aiuterebbe anche a tenere bassa l’inflazione “sotto controllo nel 2024, pari a 1,1%”. Meno di Francia (2,3%), Germania 2,5% e Spagna (2,9%). “Una delle conseguenze della chiusura dei mercati e di massive misure dei dazi – avverte il titolare del Mimit – sarebbe inevitabilmente l’aumento dell’inflazione per i cittadini europei e americani. Dobbiamo evitarlo”.

L’informativa non è però piaciuta alle opposizioni, che hanno attaccato il ministro in entrambe le Camere criticando anche il ritardo con cui si è presentato in parlamento. Ne chiede le dimissioni la capogruppo IV al Senato Raffaella Paita: “Chieda scusa e si dimetta”. La responsabilità politica “di questo colpevole ritardo è tutta di Urso, che deve dimettersi”, ripete il senatore Marco Lombardo di Azione. Urso “è il peggior ministro dell’Europa”, rincara la dose il senatore M5s Luigi Nave. “Urso è un mistero, dice nulla e lo dice male”, sottolinea il capogruppo M5s al Senato Stefano Patuanelli. Un paio d’ore dopo, la vicepresidente M5S Chiara Appendino affonda il colpo: “Quella di Urso non è tranquillità: è pericolosa mancanza di consapevolezza di quello che accade fuori da questo palazzo”. Netto anche il deputato Ubaldo Pagano, capogruppo Pd in Commissione Bilancio: “Urso deludente, conferma l’immobilità del governo”.

StM annuncia 2.800 uscite volontarie. Sindacati preoccupati, Urso: “Italia torni leader microchip”

StMicroelectronics (StM) annuncia 2.800 uscite volontarie a livello globale nei prossimi tre anni, “principalmente nel 2026 e 2027“, oltre al turnover naturale. Si tratta del dato più interessante emerso dal tavolo plenario dedicato al piano industriale di StM convocato oggi d’intesa col ministero dell’Economia e delle Finanze e presieduto dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso.

Presenti al tavolo, oltre ai rappresentanti dell’azienda, anche le organizzazioni sindacali e i rappresentanti delle Regioni Siciliana e Lombardia. Il confronto verteva principalmente sugli investimenti futuri in Italia dell’azienda, in un settore come quello dei semiconduttori ritenuto strategico e fondamentale per la transizione digitale e la competitività di tutti i comparti industriali. StM conta infatti circa 13mila dipendenti in Italia, molti concentrati nei due siti principali di Catania e Agrate Brianza (Monza), con oltre 5 mila dipendenti ciascuno.

Il Mef, al pari del governo francese, detiene il 50% di Stm Holding, che a sua volta controlla il 27,5% della multinazionale. All’appuntamento ci si è arrivati dopo giorni di tensione. Tra Italia e Francia è infatti in corso un braccio di ferro sulla governance della società. Dopo la bocciatura da parte del consiglio di sorveglianza della nomina di Marcello Sala, il direttore generale del dipartimento Economia del Mef che avrebbe espresso disappunto per la strategia e la persona dell’ad Stm, Jean-Marc Chery, lo stesso Mef ha infatti giudicato l’atto “gravissimo e inaccettabile“, col ministro Giorgetti che ieri aveva sottolineato come l’atteggiamento dell’azionista italiano sarebbe stato, da lì in avanti, “di critica opposizione“.

In mattinata, di tutta risposta, il consiglio di sorveglianza della STMicroelectronics aveva espresso “il suo rinnovato sostegno” a Chery e al suo team di dirigenti. Su questo, però, Urso si è subito schierato apertamente al tavolo: “Condivido pienamente quanto espresso dal ministro Giorgetti, che con il Mef esercita il ruolo di azionista”. Poi ha assicurato di voler proseguire il confronto con gli omologhi francesi: “Lavoreremo in piena condivisione di intenti, nei luoghi e nelle sedi competenti”. Per il ministro, la priorità è “affrontare i problemi e risolverli in modo strutturale, noi siamo il governo del fare”. A maggior ragione se si tratta di un piano industriale “assolutamente strategico” come quello di StM, utile “per riaffermare la leadership tecnologica italiana nel comparto della microelettronica”, “vogliamo riportare i chip al centro della nostra politica industriale”.

Per questo motivo, ha chiesto all’azienda “un nuovo piano che riporti l’Italia al centro dello sviluppo”. Dall’azienda italo-francese sono arrivate rassicurazioni sugli investimenti: “Quelli approvati e previsti in ltalia e in Francia sono confermati”, inoltre l’impatto complessivo e le soluzioni utilizzate per l’attuazione del programma globale “saranno sostanzialmente equivalenti” tra i due Paesi, con l’azienda che garantisce investimenti più equilibrati tra Francia, in cui ci si era mossi prima, e Italia, dove ora si recupererà il terreno perso. Salvi, nel Piano 2025-27, anche i vari siti StM. “Nessuno degli attuali, in Italia e nel mondo, verrà chiuso. Ciascuno continuerà ad avere un ruolo e una missione specifica”. Si cerca poi un dialogo “costruttivo con le parti sociali per evitare azioni unilaterali”.

Nel Piano, viene ribadita l’intenzione di destinare, già nel primo triennio 2025-2027, la maggior parte degli investimenti al nostro Paese, sia in termini complessivi – 4 miliardi su un totale di 6,5 miliardi a livello europeo – sia per singolo stabilimento, con 2,6 miliardi destinati al sito di Catania, parte del più importante investimento strategico che si dispiegherà progressivamente anche negli anni successivi. Il Piano presentato non soddisfa però la Fiom Cgil. La segretaria nazionale, Barbara Tibaldi, ha puntato il dito sul taglio all’occupazione in Italia, “che non è stato né quantificato né articolato. All’ultimo minuto hanno detto che c’è un esubero di personale di 2800 persone dichiarato a livello complessivo. Come questo si articolerà sul nostro territorio non è dato saperlo”. Resta dubbiosa anche la Uilm. Per il segretario generale, Rocco Palombella, la partita è ancora lontana dal chiudersi: “Una rappresentazione così, con lo stabilimento di Catania che ha fatto due settimane di cassa integrazione e l’incertezza sul futuro, non ci lascia tranquilli. Quindi abbiamo deciso di riservarci qualsiasi possibilità di giudizio dopo aver approfondito e capito bene se effettivamente tutti i siti italiani, compresi quelli di Agrate e Catania, hanno delle missioni produttive vere”.

La palla ora torna a Urso, che auspica di arrivare alla definizione di un protocollo d’intesa sottoscritto da tutte le parti coinvoltesul modello di quanto abbiamo fatto con Eni Versalis e che stiamo facendo con Beko. Ora – ha concluso il ministro – via ai tavoli tecnici per gli approfondimenti”.

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Dazi, Meloni convoca vertice a Chigi. Poi spiega: “Non è catastrofe che tutti raccontano”

Nei palazzi di Roma, il ‘Liberation day’ after è frenetico. Dopo l’annuncio dei dazi di Donald Trump ai Paesi europei, Giorgia Meloni deve correre ai ripari. La premier annulla tutti gli impegni in agenda e convoca d’urgenza i ministri competenti a studiare una strategia per proteggere il Made in Italy da effetti potenzialmente devastanti. “Penso che la scelta degli Stati Uniti sia sbagliata, non favorisce né l’economia europea né quella americana, ma non dobbiamo alimentare l’allarmismo che sto sentendo in queste ore“, spiega in serata, in un’intervista al Tg1. “Non smetteremo di esportare negli Stati Uniti“, garantisce, pur ammettendo che “ovviamente abbiamo un altro problema da risolvere, ma non è la catastrofe che alcuni stanno raccontando“. Il ruolo dell’Italia è “portare gli interessi italiani, particolarmente in Europa“, ribadisce. Perché mentre si tratta con gli americani, osserva, “ci sono molte cose che possiamo fare per rimuovere i dazi che l’Unione europea si è autoimposta“. E sostiene che “forse una revisione del Patto di stabilità a questo punto sarebbe necessaria“.

A Palazzo Chigi arrivano il vice Matteo Salvini, con i ministri Giancarlo Giorgetti (Economia), Adolfo Urso (Imprese), Tommaso Foti (Rapporti europei), Francesco Lollobrigida (Agricoltura). In videocollegamento da Bruxelles c’è l’altro vicepremier, Antonio Tajani, reduce da un nuovo confronto con il commissario al Commercio Maros Sefcovic.

Nell’incontro europeo, fa sapere la Farnesina, “i due hanno convenuto sulla necessità di mantenere un approccio fermo ma basato sul dialogo, volto ad evitare un’ulteriore escalation sul fronte commerciale”. Il piano prevede la diversificazione dei mercati dell’export. Solo per l’Italia, gli Stati Uniti valgono il 10%. Si guarda dunque a nuovi accordi commerciali con Paesi terzi, come i Paesi del Mercosur, l’India (dove Tajani andrà tra qualche giorno) e altre economie emergenti chiave nell’Indo-Pacifico, in Africa e nel Golfo. Ieri, il ministro degli Esteri ha annunciato anche la nomina del nuovo inviato speciale dell’Italia nell’Imec (il corridoio India-Medio Oriente-Europa) Francesco Maria Talò. Al Commissario, il ministro consegna la strategia per l’export italiano lanciata a Villa Madama qualche giorno fa per rafforzare la presenza delle imprese italiane in tutti i mercati in crescita. “Il mio disegno sarebbe quello di avere un mercato unico transatlantico, zero tariffe di qua e zero tariffe di là, quello sarebbe il modo migliore per sviluppare il commercio e rinforzare la posizione dell’Occidente“, confessa il titolare della Farnesina, che affida a Sefcovic la lista dei prodotti italiani su cui bisognerebbe intervenire per essere tutelati (“compreso il whisky e tutta la produzione vinicola”), nella trattativa che ci sarà all’interno dell’Ue in vista della decisione del Consiglio di lunedì in Lussemburgo. “Ci sono cibi – riferisce -, settori che riguardano il settore della gioielleria, le pietre preziose”. Insomma, “una lunga lista di una trentina di punti“.

Mentre il ministro degli Esteri è in riunione col commissario europeo, da Roma il leader del Carroccio però fa trasmettere una nota in cui continua a difendere la strategia di Trump e ad attaccare l’Europa: “Nelle ultime ore Matteo Salvini si è confrontato con il gruppo economico della Lega, ribadendo che se gli Stati Uniti hanno deciso di tutelare le proprie imprese, è necessario che l’Italia continui a difendere con determinazione il proprio interesse nazionale anche alla luce dei troppi limiti dell’Europa“, scrive il partito. Che nel tardo pomeriggio firma un’altra nota, più diretta ancora verso l’Ue: “Prima di pensare a guerre commerciali o contro-dazi che sarebbero un suicidio, l’Unione europea tagli burocrazia, vincoli e regole europee che soffocano le imprese italiane, azzerando il Green deal e il tutto elettrico“.

A riportare le intenzioni del governo dopo il vertice, però, è Urso rispondendo a un’interrogazione durante il question time al Senato. “Noi guidiamo il fronte delle riforme in Europa“, rivendica, elencando una serie di richieste del governo a Bruxelles. L’immediata sospensione delle regole del Green Deal che “hanno portato al collasso il settore delle auto“; un immediato “shock di deregulation” che liberi da lacci e lacciuoli le imprese; l’introduzione del principio del “Buy European“, speculare al Buy American; la preferenza in ogni appalto pubblico del Made in Europe; la finalizzazione di accordi di libero scambio con altre aree del mondo per mercati alternativi; una politica industriale come delineata nei documenti sulla revisione del Cbam. Questo è un pacchetto d’azione che proteggerebbe il tessuto imprenditoriale europeo senza entrare in scontro aperto con gli Stati Uniti. Perché, spiega l’inquilino di Palazzo Piacentini, “rispondere ai dazi su beni con altri dazi su beni aggrava l’impatto sull’economia europea“. Secondo la Bce i dazi americani avrebbero un impatto dello 0,3% sulla nostra crescita e le eventuali contromisure aggraverebbero l’impatto allo 0,5. Ma, avverte Urso: “Secondo altri istituti, l’effetto moltiplicatore negativo sarebbe ancora peggiore”. La prima regola, quindi, è “non farci altro male da soli innescando un’escalation di ritorsioni che scatenerebbe una devastante guerra commerciale“, spiega il ministro a Palazzo Madama. Occorre reagire “in modo intelligente, mantenendo la calma per valutare le conseguenze dirette e indirette e quindi la migliore risposta, tenendo anche conto che le misure americane differiscono in modo sostanziali: sarebbero pari al 20% per i beni europei ma ben maggiori per altri Paesi, in alcuni casi oltre il 50%”, scandisce. Nei prossimi giorni, il ministro incontrerà le associazioni di impresa per valutare con loro le possibili contromisure da prendere.

Domanda cautela anche Foti: “Dobbiamo capire se dietro questa iniziativa vi è una volontà di andare fino in fondo o di cercare, nazione per nazione, di riequilibrare una bilancia commerciale che nel caso degli Stati Uniti è pesantemente deficitaria rispetto a quanto viene esportato“, afferma. La prima risposta, ribadisce, la deve dare l’Unione europea e “certo non bisogna dare delle risposte di pancia”. In generale, per Foti, “più che scendere in una polemica serve fermezza e idee chiare su come si vuole agire, cioè la reazione deve esserci ma non deve essere una reazione di pancia, deve essere una reazione che suggerisce anche al nostro interlocutore americano che è meglio sedersi a un tavolo”.

Dazi, Meloni: “Dialogo, ma non escludere risposta adeguata”. Mattarella: “Ue sia compatta”

Col passare delle ore la tensione è sempre più palpabile. I dazi spaventano i mercati e rendono anche la risposta politica molto complicata. Il governo italiano ha scelto la via della prudenza, ripetendo con quasi tutti i suoi ministri l’invito a mantenere aperto il dialogo, ma ora la premier comprende che è arrivato il momento di prendere posizione. “Resto convinta che si debba lavorare per scongiurare una guerra commerciale” dice Giorgia Meloni, sottolineando che questo “non esclude di immaginare risposte adeguate a proteggere le nostre produzioni”.

La presidente del Consiglio lancia anche un messaggio (indiretto) agli storici alleati Usa: “Bisogna ricordare che sono il secondo mercato di destinazione, con un export salito del 17%: l’introduzione di nuovi dazi avrebbe risvolti pesanti e penso che sarebbe un’ingiustizia per gli americani”. Il tema è al centro delle agende delle varie cancellerie europee.

Lo dimostra il fatto che sia stato discusso anche nell’incontro al Quirinale tra il capo dello Stato, Sergio Mattarella, e il presidente della Repubblica di Estonia, Alar Karis, in visita ufficiale in Italia. Mattarella definisce l’inasprimento delle tariffe sulle importazioni un “errore profondo”, ma allo stesso tempo auspica “una risposta compatta, serena, determinata” da parte dell’Europa. Che lo scenario stia cambiando rapidamente lo si capisce anche dai toni usati dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani. “Il quadro è particolarmente complesso, la sfida dei dazi mette alla prova i rapporti commerciali”, dice in aula alla Camera durante il question time. Il vicepremier domani sarà a Bruxelles, dove in programma c’è anche un incontro con il commissario Commissario Ue al commercio, Maros Sefcovic: “Dobbiamo avere un approccio pragmatico e dialogante mantenendo la schiena dritta. Se sarà necessario – spiega – dovremo avere una decisione che comporti reazioni a livello europeo” e con tempi decisamente diversi rispetto a quelli cui l’Ue ci ha abituato in questi anni: “Non si deve andare alle calende greche”, avverte Tajani. Che, assicura, discuterà di dazi con il vicepresidente Usa, JD Vance, durante la visita che farà in Italia dal 18 al 20 aprile prossimi.

Un suggerimento sulla contromossa più utile per rispondere alle scelte dell’Amministrazione Trump arriva dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso: “Alla Commissione Ue chiediamo di cogliere le nuove opportunità sui mercati globali, piuttosto che pensare solo a reagire ai dazi con altri dazi: cosa che aggraverebbe il peso per l’Europa”. L’idea è puntare su “accordi bilaterali di libero scambio” sulla scorta di quelli sottoscritti in passato con Cile, Canada, Corea del Sud e Mercosur, verso aree “di maggiore crescita che abbiamo definito e indicato: Messico, Indo-Pacifico, India, Malesia, Indonesia, Vietnam e Giappone”. Resta sulla strada della prudenza, invece, Tommaso Foti: “Meno alziamo i toni sotto il profilo delle parole e meglio è, la reazione non deve essere di pancia ma di ragione”, ammonisce il ministro per gli Affari europei, il Pnrr e le Politiche di coesione.

Nel governo c’è anche chi, come Francesco Lollobrigida, scommette che l’Italia non ne uscirà ridimensionata sui mercati. Di sicuro non quello agroalimentare: “L’apprensione di questi giorni non ci deve far dimenticare i record raggiunti in questi anni. L’Italia è una superpotenza in questo settore e saprà vincere qualunque sfida”, rasserena il ministro dell’Agricoltura. Anche se Coldiretti chiede di “fare prevalere il buonsenso ed evitare a tutti i costi un’escalation della guerra commerciale che avrebbe effetti disastrosi sulle economie europee e statunitense – avverte il presidente, Ettore Prandini – , dove i primi ad essere penalizzati sarebbero i cittadini e gli agricoltori di entrambe le sponde dell’Atlantico”. Mentre Confagricoltura chiede all’Europa una risposta “unita e allineata con la medesima strategia” per proteggere un export da circa 70 miliardi di euro. E la Cia-Agricoltori italiani teme che dazi al 25% “ridurrebbe fortemente la competitività delle eccellenze del Made in Italy”. Un danno che Uninimpresa stima complessivamente in 2 miliardi circa. In questo quadro si inserisce pure lo scontro politico. Perché le opposizioni accusano il governo di troppo immobilismo. Il Pd si schiera sulle posizioni di Mattarella: “I dazi americani sono un errore profondo – sostiene la vicepresidente dem, Chiara Gribaudo -. Trovo inquietanti gli effetti che ricadranno sulla nostra economia, ma è altrettanto inquietante il sovranismo di chi appoggia l’amministrazione Trump, lasciando l’Italia e l’Europa in questa situazione”. Per la Cinquestelle Chiara Appendino “Meloni minimizza”, quindi “è complice del disastro che sta facendo non tutelando le nostre imprese”. Dura anche Avs, che lancia la campagna ‘Trump tax’. Per Iv, invece, le differenti posizioni nella maggioranza di governo lasciano l’Italia “appesa”, mentre Azione non boccia la scelta della premier di dialogare con Washington, purché in accordo con l’Ue.

Ex Ilva, l’offerta migliore è della cordata azera. Urso: “Ora si apre il negoziato”

Sull’ex Ilva, la spunta la cordata Baku Steel-Azerbaijan Investment Company. La conferma arriva dal ministro delle Imprese Adolfo Urso, che lo annuncia a margine del Cosmoprof di Bologna: “I commissari mi hanno preannunciato che oggi invieranno una richiesta formale per essere autorizzati a un negoziato con il soggetto internazionale che ha fatto la proposta migliore, che verosimilmente sarà quella della compagine azera”, riferisce.

A quel punto, ci sarà da attendere il parere del comitato di sorveglianza e la delibera del Mimit. “Si apre una nuova e importante decisiva fase: quella del negoziato con il soggetto che allo Stato ha fatto l’offerta migliore”, scandisce il titolare di Palazzo Piacentini.

ArcelorMittal, che aveva una quota del 62%, ha lasciato le redini del colosso dell’acciaio ormai un anno fa. L’offerta azera è stata preferita a quelle dell’indiana Jindal Steel e del fondo americano Bedrock Industries.

Il cambio di guida dell’ex Ilva avviene in un momento cruciale per il polo siderurgico, con il settore che rischia di collassare sotto i dazi doganali del 25% imposti da Donald Trump. Con l’aumento dei prezzi dell’energia e il calo della domanda di acciaio, nel 2023 la fabbrica di Taranto ha prodotto meno di 3 milioni di tonnellate di acciaio e nel 2024 appena 2 milioni. Al momento, sono in funzione due altiforni su quattro.

Baku Steel, sostenuta dallo Stato azero, gestisce un’acciaieria con una capacità produttiva di 800mila tonnellate all’anno e si è impegnata a portare un rigassificatore nel porto di Taranto, offerta che deve aver pesato sul piatto della bilancia, nonostante i timori per l’ambiente.

Intanto, i sindacati domandano a una voce sola un nuovo tavolo con il governo prima dell’avvio delle trattative. Un confronto “imprescindibile” per Rocco Palombella, segretario generale Uilm, che domanda di conoscere i contenuti dell’offerta presentata. Il timore è che il nuovo piano rischi di “distruggere la produzione e provocare migliaia di esuberi”. Le parti sociali, avverte, non accetteranno “pacchi preconfezionati”. “Non siamo affezionati al nome e alla nazionalità, ma saremo attentissimi al piano proposto”, garantisce il segretario nazionale Fim Valerio D’Alò, sottolineando l’importanza di un approccio che tenga conto non solo degli aspetti economici, ma anche della salvaguardia dei posti di lavoro e della sostenibilità ambientale. Anche Fim Cisl evidenzia la necessità di un coinvolgimento diretto e trasparente da parte del governo italiano: “Attendiamo di conoscere come lo Stato declinerà la volontà di essere presente”, aggiunge D’Alò. Garanzia della piena occupazione, decarbonizzazione, integrità del gruppo, presenza pubblica dello Stato. Questo metteranno sul tavolo i sindacati: “E’ il tempo in cui tutti i soggetti dovranno essere partecipi”, osserva Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil. “I precedenti Governi hanno condotto trattative segrete – denuncia -, ora i lavoratori devono essere protagonisti di questa discussione fin da subito”.

Auto, Urso: “Riconvertire su difesa e Spazio”. No di Fiom, ma Fim apre

Riconvertire e diversificare: sono le parole chiave del governo per il futuro dell’automotive. A ribadire il concetto è Adolfo Urso, nella riunione con sindacati e attori del comparto al Mimit: “Siamo un governo responsabile: il nostro obiettivo è mettere in sicurezza le imprese e tutelare i lavoratori. Per questo incentiviamo le aziende della filiera automotive a diversificare e riconvertire le proprie attività verso settori ad alto potenziale di crescita, come la difesa, l’aerospazio, la blue economy e la cybersicurezza”, dice il ministro delle Imprese e del Made in Italy.

La riflessione parte dal dato di fatto che si tratta di due settori “in forte espansione e ad alta redditività”, che potrebbero “salvaguardare e valorizzare le competenze dei lavoratori, mettendo a frutto le loro capacità tecniche e il capitale umano già formato”. Da tempo nell’esecutivo si è fatta largo l’idea che la crisi dell’automotive debba essere risolta con soluzioni differenti dal solito ricorso a incentivi (“non rinnoveremo più l’Ecobonus, inefficace su scala nazionale”) e ammortizzatori sociali. Non proprio una ‘rivoluzione’, ma comunque un orientamento che segua di più gli andamenti del mercato.

Urso annuncia, poi, che insedierà un tavolo specifico con le imprese e le Regioniper governare la transizione e, quindi, anche la necessaria riconversione industriale verso i comparti in maggiore crescita su cui abbiamo anche campioni nazionali ed europei che possono contribuire a sviluppare le filiere produttive”.

La proposta divide i sindacati, tra chi si dice contrario, come la Fiom, e chi invece concede un’apertura di credito, come la Fim. “E’ evidente che la riconversione dell’automotive va fatta nell’automotive, non prendiamo in considerazione e non vogliamo aprire una discussione rispetto al fatto di passare dal green al militare”, risponde Samuele Lodi, della segreteria nazionale dei metalmeccanici Cgil. Ritenendo questa scelta del governo “assolutamente assurda, sia da un punto di vista etico che industriale e occupazionale”. Di tutt’altro avviso Ferdinando Uliano: “ Ci sono alcuni aspetti da cogliere rispetto a un settore che sta crescendo, come quello di aerospazio e difesa. Non crediamo che ci siano operazioni di compensazione, cioè di chiudere le fabbriche dell’Auto per fare operazioni militari. Pensiamo che si debba cogliere quelle opportunità”, sostiene il segretario generale della Fim Cisl. Punta su altri obiettivi la Uilm, che pur apprezzando “l’interessamento costruttivo” dell’esecutivo, nota “purtroppo che restano inevasi i due problemi fondamentali: la necessità di abbassare un costo abnorme della energia e l’urgenza di riformare un sistema degli ammortizzatori sociali che oggi offre poche tutele ai lavoratori ma pesa con forti oneri sulle aziende”.  Non solo, per il segretario nazionale, Gianluca Ficco, servono anche “forme di riqualificazione professionale e sostegno al reddito”.

Al tavolo automotive si è discusso anche di Europa, o meglio del percorso che il Vecchio continente dovrà seguire per non accelerare la crisi del settore. “L’Italia guida il fronte delle riforme in Europa”, rivendica Urso ricordando che il non paper presentato a Bruxelles “ha costretto la Commissione a inserire nel Piano d’azione il rinvio delle sanzioni previste per il 2025 e l’anticipo alla seconda metà di quest’anno della revisione del regolamento sui veicoli leggeri”. E sulla sfida europea il ministro può contare sull’Anfia che conferma la “piena sintonia col Mimit sulle azioni da proseguire per dare un’attuazione a un piano che vada realmente e concretamente nella direzione di supportare la filiera automotive europea”. Sulla scorta di questi passaggi, Urso indica come priorità “il sostegno alla componentistica”, con un intervento “a supporto della filiera, indirizzando risorse per 2,5 miliardi di euro nel triennio 2025-27, e solo per il 2025 1,6 miliardi di euro, tra accordi per l’innovazione, contratti e mini-contratti di sviluppo e credito d’imposta” oltre ai 100 milioni “per interventi mirati sulla domanda, non di autovetture, che concorderemo direttamente” con le aziende dell’indotto.

Nella riunione a Palazzo Piacentini, ovviamente, c’è spazio anche per discutere di Stellantis. Il ministro delle Imprese ribadisce che l’azienda ha “cambiato rotta” ma allo stesso tempo si aspetta che ci sia una velocizzazione sugli investimenti. Anche se, per Fiom, “Sono necessarie risorse private perché i 2 miliardi annunciati da Stellantis per il 2025 evidentemente non bastano. E servono anche risorse pubbliche, che devono essere condizionate alla tutela occupazionale”. Domande che potrebbero anche trovare spazio nell’audizione che il presidente del Gruppo, John Elkann, terrà mercoledì 19 marzo, alle 14.30, davanti alle commissioni congiunte Industria e agricoltura del Senato e Attività produttive della Camera. Uno degli appuntamenti cerchiati in rosso nell’agenda politica italiana.

Federchimica: Con più ricerca ricadute da 6 mld. Urso: “Chimica colonna portante economia”

La ricerca genera competitività e apre la via all’estero. L’effetto spillover è importante: 400 milioni di euro in investimenti nella chimica ad alta specialità generano 6 miliardi di euro sull’intera economia italiana. I dati arrivano dall’incontro ‘Innovazione chimica’, che si è tenuto questa mattina a Villa Madama a Roma, organizzato dal ministero degli Esteri e e da Federchimica.

“Il comparto ha un impatto a cascata su un numero infinito di settori della nostra economica e il rapporto che presentiamo oggi fotografa il ruolo della chimica come acceleratore di innovazione, export, crescita”, spiega, Antonio Tajani. Il ministro degli Esteri ricorda di aver rafforzato la “squadra della crescita”, ovvero Ice, Sace, Simest, Cassa Depositi e Prestiti, che sono al fianco delle imprese per aiutarle a crescere nei circuiti internazionali. “Dall’inizio del mio mandato ho messo in campo una precisa strategia di Diplomazia della crescita, a favore dell’export e per l’internazionalizzazione dei nostri territori”, rivendica il vicepremier, che in questi giorni ha lanciato una strategia di ulteriore rafforzamento e diversificazione dei mercati di sbocco, con un occhio d’attenzione agli emergenti.

L’industria chimica in Italia è “una delle colonne portanti dell’economia”, osserva Adolfo Urso, che snocciola i numeri: “Con un fatturato di 77 miliardi di euro e un ruolo centrale in Europa, siamo terzi per produzione dopo Germania e Francia”. Ma il settore, assicura, diventerà sempre più “competitivo, innovativo e sostenibile”. La trasversalità della chimica “la rende un motore di innovazione in molti settori, dall’ambiente alla salute, dall’industria ai nuovi materiali“, scandisce Anna Maria Bernini. Sono 125 i corsi di laurea in Italia, che si evolvono per “rispondere alle sfide del mercato del lavoro e della società, con percorsi altamente specializzati e orientati alla sostenibilità e alle nuove tecnologie”, chiosa la ministra dell’Università e della Ricerca.

La chimica è un settore strategico dell’economia europea, ha un carattere pervasivo e abilitatore: il 95% di tutti i manufatti, già di uso comune o che lo diventeranno in futuro, sono disponibili a costi largamente accessibili grazie alla chimica. L’industria chimica, caratterizzata da specialità ad alto valore, offre le soluzioni tecnologiche che rendono possibile lo sviluppo e la produzione di molti prodotti finiti. In termini di competitività sui mercati globali, la geopolitica è entrata prepotentemente nelle nostre imprese con ricadute rilevanti per quanto riguarda la gestione sostenibile delle materie prime e i costi energetici, aspetti cruciali per contrastare la concorrenza globale, in particolare da Paesi che non sempre rispettano i nostri stessi standard ambientali, sociali e di sicurezza. Le imprese chimiche in Italia sono “fortemente orientate all’export e sono protagoniste in collaborazioni internazionali grazie alla forte spinta innovativa data dal loro Dna: esportano tecnologie e competenze, consolidando la presenza internazionale del settore e contribuendo al rafforzamento del Made in Italy a livello globale”, spiega Francesco Buzzella, Presidente Federchimica. Secondo l’Eurostat, l’export chimico italiano, dal 2010 al 2023, è cresciuto dell’85% con un valore totale che ha raggiunto i 40,6 miliardi di euro, il 6,4% sul totale delle esportazioni nazionali. Il confronto internazionale indica che gli Stati Uniti sono il primo mercato di destinazione per la chimica europea e la Cina è il primo fornitore per l’Europa. In questo scenario, la Cina produce prevalentemente commodities a basso costo, mentre gli USA sono anche alla ricerca di specialità innovative. In Italia la chimica è tra i settori con la più diffusa presenza di imprese innovative (80%) e, diversamente da altri comparti, l’innovazione si basa sulla ricerca. In effetti l’industria chimica è il primo settore – dopo la farmaceutica – in termini di quota di imprese che svolgono attività di R&S (75%). La ricerca non coinvolge solo le realtà più grandi, ma anche le PMI. In ambito europeo l’Italia è il secondo Paese, dopo la Germania, per numero di imprese chimiche attive nella ricerca, oltre 1.200. Secondo l’anticipazione di una indagine sul valore della ricerca chimica come moltiplicatore di internazionalizzazione e competitività, gli investimenti dell’industria chimica italiana toccano il 3,8% sui ricavi, percentuale che pone il settore ben al di là del 3% fissato dall’UE come obiettivo; nelle imprese ad alto valore aggiunto e specializzazione, l’investimento in R&S supera la soglia del 5%. Al tempo stesso l’81,5% delle imprese ha investito per cogliere opportunità all’estero, il 35,4% ha investito all’estero (da sola o in joint) e il 74,1% è impegnato in progetti internazionali. Oltre la metà delle imprese giudica importante la ricerca per farsi strada nei mercati internazionali.

Dati che ribadiscono il valore strategico dell’innovazione chimica a favore di una espansione sui mercati esteri. La ricerca genera, infatti, competitività e apre la via verso l’estero con importanti ritorni positivi per tutto il Sistema Paese: tre quarti delle imprese hanno programmi di collaborazione internazionali confermando la propensione delle imprese alla ricerca e il contributo che la chimica in Italia offre alla presenza internazionale dell’industria italiana in generale. L’export chimico italiano è cresciuto negli ultimi trent’anni e oggi vale il 4,4% del totale mondiale, con prestazioni positive anche nel confronto con Francia e Germania grazie al traino delle numerose nicchie di specializzazione nell’ambito della chimica a valle in un contesto di regole complesse e di costi elevati a cominciare dall’energia. “La competitività dell’industria europea è a rischio su terreni che tradizionalmente erano suoi punti di forza, come evidenziato dal Rapporto Draghi alla Commissione europea”, ricorda la vicepresidente alla ricerca di Federchimica, Ilaria Di Lorenzo, che denuncia un ritardo delle scelte comuni in materia di competitività e una cultura iper-regolatoria come “ostacoli da rimuovere al più presto per salvaguardare una preziosa e insostituibile infrastruttura tecnologica per il nostro Paese”.