Aumentano i rifiuti da imballaggio: nel 2021 l’Ue ne ha generati 84 milioni di tonnellate

Dai pacchi per gli acquisti online alle tazze da caffè da asporto, gli imballaggi sono “quasi ovunque”. Secondo i dati pubblicati da Eurostat, nel 2021 ogni cittadino europeo ha generato 188,7 chili di imballaggio, 10,8 chili in più per persona rispetto al 2020. È l’aumento maggiore in 10 anni. Dal 2011 il peso di rifiuti di imballaggi per abitante in Ue è aumentato di quasi 32 chili. In totale stiamo parlando di 84 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggio generate dall’Ue nel 2021, di cui il 40,3 per cento di carta e cartone. Poi, in ordine, la plastica ha rappresentato il 19,0 per cento, il vetro il 18,5, il legno il 17,1 e il metallo il 4,9 per cento. Rispetto all’anno precedente, sono aumentati sia la produzione di rifiuti di imballaggio in plastica che il loro riciclo: la produzione è aumentata di 1,4 kg pro capite (+4,0 per cento) e il riciclo di +1,2 kg pro capite (+9,5 per cento). Che significa che ogni persona che vive nell’Ue ha generato in media 35,9 kg di rifiuti di imballaggi in plastica, riciclandone 14,2 kg.

Preoccupante la tendenza nel lungo periodo: tra il 2011 e il 2021, la quantità pro capite di rifiuti di imballaggio in plastica generata è aumentata del 26,7 per cento (+7,6 kg/pro capite). Un tampone parziale a questo dato allarmante è l’aumento del 38,1 per cento (+3,9 kg/pro capite), nello stesso decennio, della quantità riciclata di rifiuti di imballaggio in plastica.
Il tasso di riciclaggio degli imballaggi in plastica in Ue si è attestato al 39,7 per cento. In crescita rispetto all’anno precedente (37,6 per cento), ma ancora sotto il 41 per cento del 2019. Una diminuzione, quella registrata dal 2020, dovuta all’implementazione di paletti più stringenti sul riciclaggio. Nel 2021, Slovenia (50,0 per cento), Belgio (49,2) e Paesi Bassi (48,9) hanno riciclato la metà, o quasi, dei rifiuti di imballaggio in plastica generati. Chiudono la classifica dei 27, con meno di un quarto dei rifiuti di imballaggio in plastica riciclati, Malta (20,5 per cento), Francia (23,1) e Svezia (23,8).

Al di là della plastica, il Belgio è il Paese campione per il riciclo e il riutilizzo degli imballaggi in Ue, con il 99,1 per cento di tasso di riuso e l’80,4 per cento di tasso di riciclo. Tra i virtuosi anche l’Italia, che nel 2021 ha raggiunto un tasso di riuso del 79,6 per cento e un tasso di riciclo del 72,9 per cento. In linea con la media Ue per quanto riguarda il riuso (79,9 per cento), ben al di sopra nel riciclo (64 per cento).

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Imballaggi, a Eurocamera primo ok alla stretta. Italia protesta, a novembre in plenaria

Un voto teso ma chiaro che conferma una linea dell’Europarlamento sugli imballaggi molto più stringente rispetto alle richieste dell’Italia. La commissione per l’Ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (Envi) del Parlamento europeo ha adottato con 56 voti a favore, 23 contrari e 5 astensioni la sua posizione negoziale sulla proposta di regolamento della Commissione europea sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggio, che ora finirà al voto dell’intera sessione plenaria a novembre.

Nulla ancora è detto, ma gli eurodeputati della commissione competente per il dossier vogliono vietare la vendita di sacchetti di plastica ultra leggere (sotto i 15 micron), a meno che non siano necessarie per motivi igienici o fornite come imballaggio primario per alimenti sfusi per aiutare a prevenire gli sprechi alimentari. Oltre agli obiettivi generali di riduzione degli imballaggi proposti anche dalla Commissione europea, i deputati hanno sostenuto la proposta della relatrice, l’eurodeputata di Renew Europe, Frederique Ries, di introdurre specifici obiettivi di riduzione dei rifiuti per gli imballaggi in plastica (10% entro il 2030, 15% entro il 2035 e 20% entro il 2040).

Gli eurodeputati sostengono anche limiti minimi di contenuto riciclato a seconda del tipo di imballaggio, con obiettivi specifici fissati per il 2030 e il 2040. Secondo il mandato adottato, entro la fine del 2025, la Commissione dovrebbe valutare la possibilità di proporre obiettivi e criteri di sostenibilità per la plastica di origine biologica, una risorsa chiave per “defossilizzare” l’economia della plastica. Fin dalla presentazione da parte della Commissione europea il 30 novembre 2022, la proposta ha attirato le critiche di industria e politica italiana che hanno contestato principalmente la parte della proposta che riguarda i limiti o divieti di imballaggi considerati ‘non essenziali’ e gli obiettivi di riutilizzo degli imballaggi, con obiettivi minimi per le aziende.

Gli eurodeputati di Envi puntano a distinguere e chiarire i requisiti degli imballaggi da riutilizzare o da riempire. Gli imballaggi riutilizzabili dovrebbero soddisfare una serie di criteri, tra cui un numero minimo di volte in cui possono essere riutilizzati (da definire in una fase successiva nel negoziato con gli Stati membri), mentre distributori finali di bevande e cibi da asporto nel settore di ristorazione e hotel dovrebbero offrire ai consumatori la possibilità di portare il proprio contenitore. Rispetto alla proposta della Commissione, inoltre, i deputati vogliono vietare l’uso delle cosiddette “sostanze chimiche permanenti” aggiunte intenzionalmente (sostanze alchiliche per- e polifluorurate o Pfas) e del bisfenolo A negli imballaggi destinati al contatto con gli alimenti.

Se la delegazione italiana al Parlamento europeo era riuscita a ottenere un ammorbidimento delle regole nelle due commissioni non competenti che hanno espresso un parere (Itre e Imco), altrettanto non si è riuscito a fare in commissione Envi che è competente sul file legislativo. E l’Italia si dice pronta a dare battaglia. “Forte preoccupazione per l’incertezza dello scenario aperto dal voto di oggi in commissione Ambiente (Envi)” è stata espressa in una nota dall’europarlamentare di Forza Italia-Ppe Massimiliano Salini, relatore ombra sul dossier. Come Ppe “presenteremo una serie di emendamenti sulla base del compromesso alternativo che abbiamo sostenuto oggi: è necessario coniugare competitività e sostenibilità, un equilibrio di cui l’Italia è un esempio eccezionale da diffondere in quanto utile all’intera Ue“, ha anticipato. “La nostra battaglia continua: il fatto che sugli emendamenti chiave l’Aula si sia spaccata a metà, ci fa ben sperare in vista del voto finale in plenaria a novembre”, ha dichiarato. Il voto dovrebbe tenersi nella seconda sessione plenaria in programma dal 20 al 23 novembre.

Il voto conferma le nostre preoccupazioni: si continua ad andare verso un sistema che non valorizza il modello vincente italiano, ma che lo mette a rischio”, mette in guardia il ministro per l’Ambiente e la sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, promettendo che continueremo “la nostra battaglia in tutte le sedi comunitarie per difendere le ragioni di una filiera innovativa, che supera i target Ue con diversi anni di anticipo, che dà lavoro tutelando l’ambiente e affermando i più avanzati principi dell’economia circolare“.

Il nostro settore dell’ortofrutta è sicuramente preoccupato dal voto di oggi sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggi e speriamo di riuscire a modificarlo nel voto in plenaria” a novembre, ha spiegato a GEA Cristina Tinelli, responsabile relazioni Ue e internazionali di Confagricoltura, parlando di “un voto risicato ma questo c’è sul tavolo”. Tinelli ha riconosciuto che il regolamento sugli imballaggi “è sicuramente uno dei dossier che più ci ha tenuti impegnati nell’ultimo periodo. Ci sono parecchi aspetti dirimenti”, ha detto, citando l’obbligo proposto dalla Commissione europea “di utilizzare sacchetti monouso superiori a 1,5 kg per gli imballaggi dell’ortofrutta, che per noi voleva dire perdere tutto il settore della quarta gamma”, ha puntualizzato. Nella posizione adottata in commissione per l’Ambiente, la proposta “passa da 1,5 a 1 kg, però sappiamo bene che anche 1 kg è un risultato che non ci soddisfa per niente, soprattutto perché le altre due commissioni” che hanno adottato pareri sul dossier (Itre e Imco) “avevano completamente tolto questo vincolo”. Per Confagricoltura “è un grosso problema, come l’emendamento passato sulle etichette compostabili su frutta e verdura”. Tinelli ha riconosciuto l’aiuto “da parte degli eurodeputati italiani sul dossier però è necessario abbassare questo limite o addirittura toglierlo”.

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Agricoltura, in Commissione Envi non passa lo stop al rinnovo del glifosato

La commissione Ambiente del Parlamento europeo (Envi) ha respinto con 38 voti a favore, 40 contrari e 6 astensioni la proposta di obiezione all’atto delegato della Commissione europea per rinnovare l’approvazione del controverso erbicida glifosato. La proposta di rinnovo dell’uso del glifosato per altri dieci anni è arrivata lo scorso 20 settembre nelle mani dei ventisette governi, che hanno iniziato già il mese scorso a discuterne a livello di rappresentanti permanenti presso l’Ue.

L’uso del contestato erbicida era stato rinnovato per l’ultima volta nel 2017 per soli cinque anni e, in scadenza a dicembre di un anno fa, la licenza è stata rinnovata per ulteriori dodici mesi fino al 15 dicembre di quest’anno. Il Parlamento europeo non ha reale voce in capitolo sul rinnovo, su cui devono pronunciarsi gli Stati membri, ma è stata presentata un’obiezione sul rinnovo, che non ha trovato maggioranza in Aula. L’erbicida, il più diffuso al mondo, è al centro di una disputa scientifica a livello internazionale a causa della sua presunta cancerogenicità, classificata come ‘probabile’ nel 2015 dall‘Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità.

Lo scorso 13 ottobre gli Stati membri in seno al comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi non hanno raggiunto la maggioranza qualificata necessaria per sostenere o bocciare la proposta della Commissione europea di rinnovare per altri dieci anni (su un totale di quindici) l’uso in Europa del controverso erbicida che divide l’Ue. In assenza di una maggioranza qualificata, come prevedono le norme Ue, la Commissione europea poteva scegliere di modificare la proposta e tornare al Comitato o inviarla a un comitato d’appello. La Commissione von der Leyen ha scelto questa seconda opzione e entro la metà di novembre la proposta sarà ri-votata dagli Stati membri in un comitato d’appello, senza modifiche.

Ma quanto costerebbe all’Italia eliminare l’uso di uno dei pesticidi più diffusi, cioè il glifosato? Secondo uno studio di Areté-The Agrifood Intelligence Company pubblicato alla fine del 2022 e commissionato da Bayer, se l’Europa vieterà l’utilizzo di glifosato, il 37% del valore aggiunto dell’agricoltura italiana rischia una severa contrazione. Un prodotto – questo erbicida – che, comunque, le autorità regolatorie di quattro grandi paesi europei (Francia, Paesi Bassi, Ungheria e Svezia) ritengono sicuro per l’uomo.

In uno scenario ‘glifosato free’, le più consistenti riduzioni dei volumi di produzione su scala nazionale (derivanti dalle diminuzioni di resa causate da un controllo meno efficace delle malerbe e da altre ripercussioni negative sulla naturale fertilità dei terreni) sono stimate per la soia (-18,2%), il riso (-17,7%), e il frumento duro (-12,2%). Per quanto riguarda i costi di transizione, il confronto tra i costi aggiuntivi per unità di prodotto e il prezzo medio di vendita risulta essere particolarmente penalizzante per la soia, il mais, il frumento tenero e il frumento duro. Considerando gli impatti complessivi a livello agricolo, le colture che sarebbero maggiormente impattate in Italia sono il mais ed il frumento duro, per cui si attendono costi aggiuntivi significativi (pari fino al 14% del prezzo medio per il mais irriguo nel nord Italia, e al 15% del prezzo medio per il frumento duro nel sud Italia)

Ma non solo. Lo studio ha preso in considerazione anche gli impatti ambientali di un futuro senza glifosato e i risultati della ricerca “presentano una notevole complessità sul piano scientifico, che si traduce in una certa difficoltà nell’elaborare conclusioni univoche al riguardo”. Ad esempio, per quanto riguarda il riso, l’eventuale divieto all’uso di questo pesticida rischia di produrre gravi conseguenze ambientali, poiché aumenterebbe il consumo di acqua, arrecando contemporaneamente gravi cali produttivi stimati tra -133.866 (-8,8%) e -407.705 tonnellate (-26,7%).

Secondo lo studio, inoltre, l’opzione alternativa oggi più concretamente praticabile per la pulizia del letto di semina prevede un aumento del numero e una intensificazione delle lavorazioni meccaniche sul terreno, anche in combinazione con l’applicazione di erbicidi chimici in pre e/o post emergenza. Anche l’opzione meccanica, riferisce la ricerca, “non è ad impatto zero, in quanto comporta un complessivo aumento del consumo di energia” con conseguente aumento del consumo di gasolio agricolo, e quindi anche di emissioni inquinanti.

European Chips Act

Ue avverte la Cina: “Alleanza internazionale per germanio e gallio”

L’Unione europea non si ferma. E’ decisa a giocare la partita della sostenibilità, accettando la sfida geopolitica lanciata da una Cina entrata prepotentemente nella corsa per la definizione di un nuovo modello economico-produttiva. Di fronte allo stop cinese all’export di germanio e gallio, materie prime utili alle transizioni verde e digitale, “la Commissione è in contatto con raffinatori e riciclatori internazionali e con sede nell’Ue per vedere se, se necessario, potrebbero aumentare o riprendere la produzione”. Lo assicura il commissario per il Mercato interno e l’industria, Thierry Breton, che mostra come l’Ue non sia ferma a guardare. “Ne vale la pena, poiché il gallio e il germanio sono sottoprodotti di metalli più comuni”, aggiunge. Avanti dunque con un’alleanza commerciale e industriale in salsa anti-cinese.

Forte di un territorio ricco di materie prime indispensabili e di un controllo di ciò che non è presente nel proprio sottosuolo, la Repubblica popolare chiude i rubinetti a dei flussi commerciali non casuali. Germania e gallio sono elementi utilizzati nei chip dei computer, nel settore delle telecomunicazioni, per la produzione di pannelli solari e veicoli elettrici. La Repubblica popolare cinese ha annunciato restrizioni nella vendita all’estero di queste materie prime, ma il commissario per l’Industria, Thierry Breton, ostenta ottimismo: “I materiali sono sottoprodotti e quindi il potenziale per raffinarli nell’Ue è elevato, anche a breve termine”. Come spiega, “il gallio, ad esempio, è stato prodotto nell’Ue fino al 2016, e il recupero del germanio dalle scorie è ancora in corso nell’Ue, e i progetti strategici orientati alla sua produzione potrebbero essere sostenuti dall’Ue”.

Condizionali d’ordinanza, perché a Bruxelles si è consapevoli della posta in gioco. Gallio e germanio sono stati inseriti nella lista Ue delle materie prime strategiche, versione 2023, quella dunque aggiornata. Per queste due materie prime l’esecutivo comunitario riconosce “rischi sistemici”. In particolare per il Gallio, “a causa della maggiore concentrazione della produzione globale in Cina e dell’interruzione di un’importante produzione interna”. Pechino ha iniziato a produrre solo per sé stessa, per tagliare fuori concorrenti nel nuovo business mondiale, voluto dagli europei.

Numeri alla mano, il compito che si è dato il team von der Leyen risulta tanto necessario quanto arduo. L’Ue ha un tasso di dipendenza dall’estero del 98% per quanto riguarda il gallio. Il ‘made in China’ da solo vale il 71% di questa domanda. Gli altri partner principali sono Stati Uniti (10%) e Regno Unito (9%). Diverso il mercato del germanio. Belgio e Germania riescono sia a produrre sia a lavorare, seppur in volumi insufficienti. Bisogna dunque affidarsi a Stati Uniti, Giappone e magari alle loro imprese. Perché alla fine la green economy l’Ue non potrà non farla senza un qualche contributo esterno. “Partnership strategiche potrebbero aiutare, nel medio termine, a diversificare l’offerta di gallio e germanio”, riconosce Breton. La Commissione è al lavoro. Perché non ha alternative.

autostrade

Euro7, Commissione Envi adotta mandato: a novembre voto in plenaria

Stessi standard ma tempi più lunghi per la loro entrata in vigore. La commissione Ambiente (Envi) del Parlamento europeo ha adottato con 52 voti favorevoli, 32 contrari e 1 astensione la sua posizione sui nuovi standard di emissione Euro7 per ridurre le emissioni inquinanti e fissare requisiti di durata delle batterie per autovetture, furgoni, autobus e camion. La relazione – a prima firma dell’eurodeputato di Ecr, Alexandr Vondra – è passata con il sostegno dei gruppi Renew Europe, Partito popolare europeo, Conservatori e riformisti europei e Identità e democrazia, mentre i 32 voti contrari sono arrivati ​​dai Socialisti e Democratici, dai Verdi e dalla Sinistra che hanno denunciato la scarsa ambizione ambientale del testo che finirà al voto dell’intera plenaria del Parlamento europeo a novembre. Rispetto alla proposta della Commissione europea di novembre 2022, la commissione ambiente ha spostato in avanti l’entrata in vigore dei nuovi standard.

Gli eurodeputati hanno di fatto mantenuto gli standard proposti dalla Commissione per le emissioni inquinanti (come ossidi di azoto, particolato, monossido di carbonio e ammoniaca) per le autovetture, ma le norme sulle emissioni attualmente in vigore (gli standard Euro 6) si applicherebbero fino al primo luglio 2030 per auto e furgoni e fino al primo luglio 2031 per autobus e camion (mentre la Commissione Ue proponeva rispettivamente 2025 e 2027). Gli eurodeputati di Envi hanno proposto inoltre un’ulteriore ripartizione delle emissioni in tre categorie per i veicoli commerciali leggeri in base al loro peso. Il testo adottato propone limiti più severi per le emissioni di gas di scarico degli autobus e dei veicoli pesanti, compresi i livelli fissati per le emissioni reali di guida. Tra le altre proposte degli eurodeputati, anche un passaporto ambientale aggiornato del veicolo con le informazioni quali consumo di carburante, stato della batteria, limiti di emissioni, risultati delle ispezioni tecniche periodiche; requisiti di durata più severi per veicoli, motori e sistemi di controllo dell’inquinamento; obbligo di installare sistemi di bordo per il monitoraggio di diversi parametri come le emissioni di gas di scarico in eccesso, il consumo reale di carburante ed energia e lo stato di salute delle batterie di trazione.

Nel voto in commissione di oggi è stato bocciato l’emendamento sostenuto dai gruppi dai Ppe, Ecr e Id che mirava a reintrodurre l’utilizzo dei carburanti sintetici, gli e-fuels, dopo il 2035. Ma non è detta l’ultima parola e, secondo l’eurodeputato di Forza Italia-Ppe, Massimiliano Salini, la battaglia continua in vista del voto finale in plenaria dove, tra gli emendamenti, “proporremo anche una definizione di ‘Carburanti CO2 neutri’ che include i biocarburanti sostenuti dall’Italia accanto agli e-fuel della Germania”. Il riferimento di Salini è al fatto che nel regolamento sugli standard CO2 per nuove auto e furgoni è stato introdotto il divieto di immatricolare auto con motori a combustione interna, diesel e benzina, dopo il 2035 pur prevedendo un’eccezione per i carburanti sintetici.

“Abbiamo trovato con successo un equilibrio tra gli obiettivi ambientali e gli interessi vitali dei produttori”, ha esultato l’eurodeputato relatore Alexandr Vondra (Ecr). Il testo manca di ambizione secondo i Socialdemocratici e i Verdi che alla fine hanno deciso di votare contro. “L’accordo del Parlamento europeo non è degno di essere etichettato come Euro7”, denuncia senza mezzi termini Christel Schaldemose, negoziatore S&D sulla bozza di relazione, sottolineando che “come progressisti, siamo impegnati a lottare per una migliore qualità dell’aria per i nostri cittadini. Sfortunatamente, il liberale Renew ha stretto un accordo con i conservatori Ppe, insieme all’Ecr e all’ID di destra, che non porterà a miglioramenti sostanziali nella qualità dell’aria”. Gli Stati membri Ue hanno adottato il loro mandato lo scorso 25 ottobre durante il Consiglio Ue competitività, annacquando di molto la proposta della Commissione europea.

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Dalla Svezia alla Spagna: l’Europa in cerca della ‘sobrietà energetica’ verso l’inverno

Tutta l’Europa sta cercando di ridurre la propria dipendenza dalle importazioni di idrocarburi, dalla Spagna, che punta sull’energia eolica, alla Finlandia, che ha acquisito il suo nuovo reattore nucleare EPR. L’obiettivo è duplice: abbassare i prezzi dell’elettricità e del gas, che sono saliti alle stelle dopo la cessazione, dal 2022, di gran parte delle forniture di gas russo a causa della guerra in Ucraina, e raggiungere gli obiettivi del piano climatico dell’Unione Europea che mira a ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030.

GERMANIA. A settembre il Bundestag ha adottato una legge sull’efficienza energetica che impone alle aziende piani di riduzione dei consumi e alle amministrazioni di risparmiare il 2% di energia all’anno. I consumatori sono oggetto di una campagna denominata “80 milioni insieme per cambiare l’energia”. Nel 2022, il consumo di elettricità è diminuito del 4% su base annua, attestandosi a 484,2 TWh. Quello del gas è diminuito del 17,6% in un anno, secondo l’Ufficio federale delle reti.

SPAGNA. Nell’estate 2022, il governo ha imposto ad aziende, uffici, cinema, teatri, stazioni ferroviarie e aeroporti di limitare l’aria condizionata a un minimo di 27°C e il riscaldamento a un massimo di 19°C. I negozi devono tenere le porte chiuse. A queste misure si è aggiunto un piano di ‘sobrietà’ che prevede aiuti alle Pmi che desiderano investire in dispositivi di risparmio energetico e nell’installazione di contatori ‘intelligenti’, per controllare meglio i propri consumi. Secondo i gestori delle reti gas ed elettricità, lo scorso anno la Spagna ha ridotto il consumo di gas a 364,4 TWh (-3,7%) e di elettricità a 250,5 TWh (-2,4%).

ESTONIA. Gli estoni sono incoraggiati a staccare la spina degli elettrodomestici inutilizzati, a ristrutturare le loro case e a installare pannelli solari. Il consumo di energia elettrica è aumentato nel 2022 a 9,6 TWh, mentre quello di gas naturale è diminuito del 27%, a 352 milioni di m3.

FRANCIA. Nel 2022, secondo il governo, il consumo finale di elettricità è diminuito di quasi il 5% rispetto al 2021, attestandosi a 414 TWh. Dal 1 agosto 2022 al 31 luglio 2023 è diminuito del 7,4% rispetto alla media 2014-2019. Lato gas il calo dei consumi è del 9,5% rispetto al periodo 2018-2019. Engie ed EDF offrono “sfide” ai propri clienti per incoraggiarli a risparmiare elettricità quest’inverno, premiati con bonus (Engie) o posti per partecipare agli eventi dei Giochi Olimpici (EDF).

REGNO UNITO. Il Regno Unito punta a ridurre il proprio consumo energetico del 15% entro il 2030. Quest’inverno, i gestori delle reti elettriche e del gas dovranno rinnovare gli incentivi finanziari per incoraggiare gli utenti a restare sobri. British Gas ha prolungato fino a dicembre la sua promozione che offre una riduzione del 50% sulla bolletta per i consumi elettrici effettuati tra le 11 e le 16 della domenica, periodo in cui la domanda delle imprese è minore mentre gli impianti eolici offshore del Nord continuano a girare.

GRECIA. Secondo l’operatore di rete nazionale, il consumo di elettricità da gennaio ad agosto 2023 è diminuito del 4,15% rispetto allo stesso periodo del 2022. Non sono state annunciate misure per incoraggiare ulteriori riduzioni dei consumi quest’inverno.

POLONIA. Nel 2022, secondo l’agenzia di regolamentazione dell’energia, il consumo di energia elettrica è sceso dello 0,5% rispetto al 2021, a 173,4 Twh, e quello di gas è sceso a 17 miliardi di m3.
Il governo ha annunciato una misura che offre una riduzione del 10% sulla bolletta energetica delle famiglie che riducono i consumi tra il 1° ottobre 2022 e il 31 dicembre 2023 rispetto al periodo equivalente precedente.

REPUBBLICA CECA. Secondo l’Ufficio di regolamentazione dell’energia, il consumo di elettricità è diminuito del 3,9% nel 2022 a 60,4 Twh rispetto al 2021, con il consumo delle famiglie in calo del 9% nel corso dell’anno, il calo più forte mai registrato in 20 anni.

SVEZIA. Il governo ha annunciato alla fine di settembre che le emissioni di CO2 del paese aumenteranno entro il 2030, principalmente a causa della riduzione delle tasse sul carburante.
Secondo l’Agenzia svedese per l’energia, nel 2022 il consumo di elettricità è diminuito del 4,45% a 137 TWh. Un calo dovuto soprattutto ai “prezzi molto alti dell’energia elettrica”, ha spiegato.

Giovedì il negoziato sulle case green per scongiurare una nuova batosta

Giovedì è il giorno in cui Parlamento e Consiglio Ue, con la moderazione della Commissione, si siederanno intorno a un tavolo per stabilire quale sarà il destino del provvedimento ribattezzato ‘case green’. Stando alle voci dovrebbe non essere un negoziato interlocutorio: dal trilogo potrebbe scaturire infatti un accordo definitivo. Sempre stando alle voci, il commiato del vicepresidente Frans Timmermans ha/avrebbe reso meno intransigente la posizione dell’Europa, abituata negli ultimi tempi a piantare paletti e delimitare steccati, innescando una serie di reazioni a catena esiziali per il percorso sacrosanto della transizione ecologica.

Riavvolgendo il nastro: la nuova versione del testo – da approvare o modificare per l’appunto giovedì – prevede come obiettivi la classe energetica ‘E’ entro il 2030 e quella ‘D’ entro il 2033 allo scopo di raggiungere zero emissioni entro il fatidico 2050. Sono esonerati edifici di pregio artistico, di culto e con una superficie inferiore ai 50 mq. Ora: dubitiamo che il cittadino ‘comune’ abbia conoscenza di cosa significa classe ‘E’ o ‘D’; dubitiamo che possa avere contezza di quanto e cosa serva per abbassare le emissioni nocive della sua abitazione; siamo invece certi che quando gli verrà ‘presentato il conto salatissimo‘ non si abbandonerà a urla di giubilo.

Al momento poco si sa. E meno ancora ne sa l’opinione pubblica. Però ci sono alcuni dati che inducono a riflessioni serie e in serie per quanto riguarda l’Italia. Secondo le stime dell’associazione dei costruttori edili (Ance), su 12 milioni di edifici residenziali, oltre 9 milioni non risulterebbero a norma. Secondo il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, in Italia ci sono 31 milioni di immobili e di questi tra i 15 e 20 milioni dovrebbe essere adeguato alla direttiva Ue. E ancora: secondo l’Enea, il 74% delle abitazioni italiane apparterebbe a classi inferiori alla ‘D’. Ultimo riscontro, il Codacons: l’impatto sulle tasche degli italiani sarebbe complessivamente di 108 miliardi di euro.

I numeri delle case verdi rischiano di fare sbiancare gli italiani, tenuto conto che un cappotto termico oscilla dai 180 ai 400 euro al metro quadrato, per gli infissi si parla di 10-15 mila euro, per tacere del costo di caldaie a condensazione, dato che quelle tradizionali saranno bandite. La vita, diceva quello là, non è un bancomat e non tutti sono ricchi proprio come nessuno ‘nasce imparato’.
E’ fuori discussione che l’efficienza energetica ci permetterà in futuro di inquinare di meno e di risparmiare di più, su questo non ci sono dubbi, ma per arrivare agli standard che vorrebbe imporre l’Europa ci vogliono (più) tempo e (molta) moderazione. A meno che a Bruxelles vivano in una bolla e non sappiano cosa stia accadendo – di brutto e bruttissimo – intorno a loro. Qui diventa dirimente l’azione del governo di Giorgia Meloni che già sui temi dell’emergenza gas, dei biocarburanti e degli Euro 7 ha saputo farsi ascoltare a brutto muso dalla Ue.

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Tra elettrico ed eco-innovazioni, il futuro dell’automotive Ue entra nel vivo

Elettrico e idrogeno, ma non solo. A Bruxelles è entrata nel vivo la disputa su come sarà il futuro dell’automotive europeo e, dopo le tensioni degli ultimi mesi sullo stop ai motori termici a partire dal 2035, per l’Ue è tempo di stabilire quale sarà la procedura per approvare quelle tecnologie cosiddette innovative (che la Commissione chiama ‘eco-innovazioni’) che potranno continuare ad alimentare le auto e i furgoni tra dodici anni, quando le norme saranno in vigore, e che di fatto saranno alternative al solo elettrico.

Il divisivo provvedimento sullo stop ai motori a combustione interna tradizionale, diesel e benzina, ha visto la luce in un quadro di reazioni frammentato, tra Stati membri Ue profondamente divisi. Alla fine un ammorbidimento di Bruxelles c’è stato per andare incontro alle richieste della Germania, aprendo alla possibilità di continuare ad immatricolare nuove auto con motori a combustione anche dopo il 2035, a condizione che funzionino esclusivamente con carburanti a zero emissioni di CO2. La decisione era mirata alle richieste di Berlino di includere nel futuro dell’automotive i carburanti sintetici, i cosiddetti efuels, che vengono prodotti utilizzando elettricità rinnovabile e anidride carbonica catturata dall’atmosfera (compensando dunque la CO2 emessa).

Sulla scia tedesca, l’Italia ha cercato di negoziare altrettanto per una deroga sui biocarburanti, ma senza ottenerla. Rispetto agli efuels, la Commissione ha sempre detto che i biocarburanti presentano maggiori sfide dal punto di vista della neutralità climatica e hanno una maggiore impronta in termini di uso del suolo, con un impatto indiretto anche sull’agricoltura. Non è la stessa tecnologia che si usa per gli efuels e per Bruxelles i biocarburanti non hanno la stessa capacità dei carburanti sintetici di compensare le emissioni di CO2, quindi non rispettano pienamente il principio di neutralità tecnologica.

Nei prossimi mesi, non è difficile immaginarlo, la disputa a Bruxelles sarà come definire i carburanti di nuova generazione come CO2 neutri. La Commissione europea ha aperto il mese scorso la consultazione pubblica sull’atto delegato al regolamento che dovrà creare un percorso legale per la vendita di nuove auto che funzionano anche con carburanti sintetici o innovativi (che possano dimostrare di non emettere CO2 o di risparmiarla) dopo il 2035. La proposta di Bruxelles, vista da GEA, prevede di considerare CO2 neutri i carburanti in grado di ridurre le loro emissioni di CO2 del 100% per essere approvato. La percentuale del 100% è stata al centro di una disputa tra due direzioni generali della Commissione europea, la DG Clima e la DG Grow, dove quest’ultima spingeva per abbassare il target al 70%. Alla fine ha prevalso la proposta del 100%, che ora è al vaglio fino al 15 novembre del gruppo di esperti della Commissione sui veicoli a motore, di cui fanno parte i rappresentanti dei 27 Stati membri Ue.

Quanto all’idrogeno, il vettore come carburante alternativo in Ue resta ancora di nicchia e una delle ragioni è anche la carenza delle infrastrutture. Nel 2021, l’Unione europea contava 136 punti di rifornimento di idrogeno. Nel quadro dell’ambizioso pacchetto sul clima ‘Fit for 55’, il Parlamento e il Consiglio hanno concordato gli obiettivi nazionali obbligatori per la realizzazione dell’infrastruttura e le nuove regole prevedono l’installazione di stazioni di rifornimento di idrogeno almeno ogni 200 km sulle principali strade dell’Ue entro il 2031.

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Euro7, Stati Ue verso accordo lunedì su testo di compromesso annacquato

Stretta sulle particelle inquinanti di gomme e batterie, limiti attuali per le emissioni di scarico. Standard Euro7, un accordo a 27 potrebbe essere vicino. La Presidenza spagnola alla guida dell’Ue porterà lunedì al Consiglio Ue competitività un testo di compromesso sulla proposta della Commissione europea di regolamento sugli standard Euro7 che di fatto si concentrerà su una stretta sulle particelle inquinanti derivate da batterie e pneumatici, mantenendo “approssimativamente il regolamento” attuale degli “Euro 6 per quanto riguarda le emissioni di scarico. E’ questa la tipologia di testo che stiamo sottoponendo ai ministri”, ha chiarito oggi un alto funzionario europeo alla vigilia del Consiglio che si terrà lunedì a Bruxelles.

Un file legislativo “difficile fin dall’inizio”, come viene definito dal funzionario, che ha incontrato la resistenza di un gruppo di otto Paesi (Bulgaria, Repubblica ceca, Francia, Polonia, Romania, Slovacchia e Ungheria), su cui però la presidenza Ue rimane ottimista di poter trovare un accordo, per avviare il negoziato con il Parlamento europeo. A creare resistenza è la sensazione che l’Unione Europea si stia muovendo verso “un ambiente decarbonizzato per il 2035” con lo stop all’immatricolazione di nuove auto con motori tradizionali, diesel e benzina “e ci si è chiesti se avesse senso andare oltre i regolamenti Euro 6 più vecchi per passare a un regolamento Euro 7”, ha spiegato il funzionario. Il testo di compromesso – ha proseguito – può godere di “un sostegno complessivo” da parte delle Ventisette delegazioni, pur essendoci ancora “un certo numero di questioni che sono ancora aperte”. Che potrebbero essere risolte a livello politico lunedì.

La proposta sui nuovi standard Euro7 è stata avanzata da Bruxelles a novembre dello scorso anno, proponendo di rendere i test sulle emissioni dei veicoli più coerenti con le condizioni di guida reali e di fissare limiti alle emissioni di particolato causate dall’usura di freni e pneumatici (che, secondo Bruxelles, stanno per diventare le principali fonti di emissioni di particolato dai veicoli), con l’obiettivo di ridurre entro il 2035 le emissioni di ossido di azoto (NOx) di auto e veicoli commerciali leggeri del 35 per cento rispetto al precedente standard Euro 6. Gli standard di emissione Euro7 introducono dunque limiti più ambiziosi per gli inquinanti atmosferici, ma non riguardano le emissioni di CO2 che invece sono regolate dal regolamento sull’addio alla vendita delle auto e dei furgoni con motore a combustione interna, diesel e benzina, dal 2035.

La proposta però è bersaglio politico di un gruppo di Stati membri ridotto ma del peso politico della Germania e dell’Italia, che nei mesi scorsi si sono riuniti nel formato ministeriale per alzare la voce contro la proposta e rimandarne i lavori legislativi, o almeno annacquarne gli obiettivi. Anche se la Commissione sembra intenzionata a portare avanti il dossier, nonostante le critiche. Rispetto a quella della Commissione europea, la proposta della presidenza di Madrid ha ritardato i tempi per l’entrata in vigore delle disposizioni: le scadenze di attuazione di metà 2025 per le auto e metà 2027 per i camion verrebbero posticipate e le automobili e i piccoli camion dovrebbero conformarsi solo 24 mesi dopo l’entrata in vigore del regolamento e 48 mesi per autobus e camion.

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Consiglio Ue approva modifiche al Pnrr italiano. Fitto: “Frutto della collaborazione con Bruxelles”

Il Consiglio europeo ha approvato le modifiche al Pnrr italiano, che riguardano 10 obiettivi dei 27 originariamente associati alla quarta rata del Piano, tra cui gli incentivi all’efficienza energetica nell’ambito del cosiddetto Superbonus, l’aumento delle strutture per l’infanzia, lo sviluppo dell’industria spaziale e cinematografica e il trasporto sostenibile. A questi si è aggiunto un ulteriore traguardo relativo al potenziamento dell’offerta di alloggi per gli studenti universitari.

La richiesta di modifica era stata avanzata dal nostro Paese lo scorso 11 luglio, perché il piano risultava “parzialmente non più realizzabile”. La decisione del Consiglio europeo si basa sulla valutazione della Commissione secondo cui le modifiche proposte “sono giustificate e non incidono sulla pertinenza, l’efficacia, l’efficienza e la coerenza del suo piano di ripresa e resilienza”. Il costo totale stimato del Pnrr modificato rimane invariato, pari a 191,5 miliardi di euro, di cui 68,8 miliardi di euro in sovvenzioni e 122,6 miliardi di euro in prestiti.

Il via libera, spiega da Bruxelles il ministro per gli Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, “è un risultato positivo”, frutto di “un’intensa e proficua collaborazione” tra il Governo e la Commissione europea e “consentirà all’Italia di presentare la relativa richiesta di pagamento ed avviare la procedura per l’esborso dei 16,5 miliardi di euro previsti per la quarta rata del Pnrr”. Secondo Fitto “la decisione odierna del Consiglio dell’Unione europea è la migliore prova che l’Italia può gestire in maniera efficiente le risorse europee, per dare impulso all’attuazione del Piano e rilanciare crescita, produttività e occupazione nel nostro Paese”.

Bruxelles, però, lancia l‘allarme ritardi. Anche se l’attuazione del Pnrr italiano è in corso – spiega nell’annesso al report annuale 2023 sul Recovery and Resilience Facility – restano alcune criticità. “L’Italia ha presentato tre richieste di pagamento – spiega la Commissione – che corrispondono a 151 tappe e obiettivi del piano e che comportano un esborso complessivo di 42 miliardi di euro”, riferito alle prime due richieste di pagamento presentate. Il 30 dicembre 2022 il nostro Paese aveva presentato la terza richiesta di pagamento, la cui valutazione preliminare è stata approvata dalla Commissione il 28 luglio 2023: “Procedere rapidamente con l’attuazione del piano e la negoziazione della sua modifica è essenziale a causa della natura temporanea dell’Rrf in vigore fino al 2026”.

Il Recovery and Resilience Facility “finanzierà 191,6 miliardi di euro di investimenti in Italia nel periodo 2022-2026 (10,7% del Pil)” e il piano italiano “iniziale (e ancora attuale) consiste in 132 investimenti e 58 riforme”. L’Italia “è il maggior beneficiario in termini assoluti”, ricorda la Commissione.

E di ritardi ha parlato anche Monica Pratesi, direttrice del Dipartimento per la produzione statistica dell’Istat, in audizione davanti alle commissioni Bilancio congiunte sullo stato di attuazione del Pnrr. “Particolarmente complessa – spiega – è la valutazione degli ostacoli o dei fattori che hanno rallentato l’adozione delle misure Pnrr da parte della pubblica amministrazione a livello centrale e territoriale. A questo proposito, nell’ambito del Censimento delle istituzioni pubbliche, la cui raccolta dati è in corso di completamento (terminerà il prossimo 20 ottobre), sono stati inseriti, d’intesa con altri stakeholders istituzionali, una serie di quesiti finalizzati a rilevare il grado di conoscenza delle opportunità offerte dal Pnrr, le competenze tecnico-giuridiche disponibili interamente o esternamente all’amministrazione pubblica per la progettazione degli interventi, nonché i principali ostacoli riscontrati nel processo di adesione e implementazione dei progetti Pnrr. Si tratta di informazioni che saranno rese disponibili nei prossimi mesi”. 

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