foreste

Giornata internazionale delle foreste. Pichetto: “Preziose contro il climate change”

“La giornata internazionale delle foreste, il cui tema è quest’anno ‘foreste e salute’, ci ricorda quanto questa preziosa ricchezza di biodiversità sia importante per il benessere del pianeta e dell’uomo. Per una gestione forestale sostenibile da ogni punto di vista – ambientale, economico e sociale – occorre un approccio scientifico rigoroso e aperto, una collaborazione interistituzionale solida e dinamica e una condivisione sempre più partecipativa e diffusa con le filiere interessate e i cittadini”. Lo dichiara il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto, in occasione della Giornata internazionale delle foreste che ricorre il 21 marzo. “Le foreste sono preziose – prosegue Pichetto – per fronteggiare il dissesto idrogeologico, i cambiamenti climatici e l’inquinamento. Investire sulla conservazione e il ripristino degli ecosistemi forestali significa investire sul nostro futuro”.

Il patrimonio forestale italiano è costituito da circa 9 milioni di ettari. All’interno delle aree protette la superficie forestale è di oltre 3 milioni e 800 mila ettari, nei parchi nazionali è di oltre 250 mila ettari. A livello mondiale, occupa oltre un terzo del territorio, si legge in una nota del Mase.

E in occasione della Giornata internazionale delle foreste, la Commissione Europea ricorda come “le foreste svolgono un ruolo cruciale nella lotta al cambiamento climatico, è fondamentale sostenerne la crescita”. Nella strategia presentata nel luglio del 2021 compare l’obiettivo di piantare tre miliardi di nuovi alberi su tutto il continente entro il 2030 e per questo motivo l’esecutivo comunitario chiama tutti i cittadini all’azione, utilizzando l’applicazione Map My Tree per registrare e monitorare gli alberi piantati. “Foreste sane significano aria e acqua pulite, terreni fertili, un clima regolato. Oggi devono affrontare sfide enormi che la nostra strategia per le Foreste e la nostra legge sul ripristino della natura possono risolvere”, ricorda il commissario europeo per l’Ambiente, Virginijus Sinkevičius. “Queste non sono azioni solo per la natura, ma per il nostro futuro”.

Frans Timmermans

Timmermans: “Auto solo elettriche dal 2035? No, ma a zero emissioni”

“Lasciamo all’Industria la scelta della tecnologia, ma dal 2035 le auto prodotte in Europa saranno senza emissioni. Questo non vuol dire che le auto termiche non ci saranno più, le auto termiche ci saranno ancora. Ma le nuove auto prodotte saranno senza emissioni”. Il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans arrivando a Pollenzo, (Cuneo) per l’inaugurazione dell’anno accademico nell’Università di scienze gastronomiche, è tornato su uno dei temi più attuali nell’agenda politica del governo (e dell’Europa) e del settore industriale. Una delle questioni più dibattute è quella legata all’alimentazione delle auto green. Dovranno essere solo elettriche? “No – ha risposto Timmermans – noi diciamo emissioni zero, dipende dall’industria quale tecnologia scegliere. Io preferisco auto elettriche o a idrogeno ma se ci sono altre tecnologie tocca all’industria scegliere”.

Sullo stop alle auto termiche dal 2035, così come deciso da Bruxelles, “quando abbiamo negoziato l’accordo – ha aggiunto il vicepresidente della Commissione Ue – l’Italia era felice perché avevamo trovato soluzione per i piccoli produttori. Spero che possiamo convincere il governo italiano. “Perché la Cina arriva con 80 modelli di auto elettriche quest’anno: se vogliamo un futuro per l’auto europea dobbiamo andare avanti, non indietro. Sono centinaia di migliaia di posti di lavoro che dobbiamo creare per il futuro. Questo è il futuro. Il futuro sono le auto senza emissioni”, ha ricordato.

L’obiettivo finale, infatti, è il net zero, per il quale serve uno sforzo congiunto. “Dobbiamo mettere pressione su chi ha la maggiore responsabilità” per i cambiamenti climatici, ha spiegato Timmermans. Anche perché “i Paesi del G20 sono responsabili dell’80% delle emissioni, la sola Cina del 30. Il mio lavoro di quest’anno sarà provare a far lavorare anche la Cina. Ma sono ottimista”.

Ursula von der Leyen

L’Ue lancia il piano industriale Net-Zero: 40% tecnologie pulite entro il 2030. Resta fuori il nucleare

Almeno il 40% delle tecnologie a emissioni zero necessarie alla transizioni dovrà essere prodotta in Europa entro il 2030. Questo l’obiettivo centrale del ‘Net-Zero Industry Act’, la proposta di regolamento adottata oggi dalla Commissione europea come perno centrale del Piano industriale per il Green Deal, che si pone l’obiettivo di introdurre un quadro normativo prevedibile e semplificato per lo sviluppo di tecnologia pulita ‘Made in Europe’, in risposta all’Inflation Reduction Act’ degli Usa. L’atto normativo fissa l’obiettivo che entro il 2030 la capacità dell’Unione europea di produrre tecnologia net-zero dovrà soddisfare almeno il 40% del fabbisogno annuo di tecnologia necessaria per raggiungere gli obiettivi del piano per l’indipendenza energetica ‘RePowerEu’ e del Green Deal. Fissa inoltre una serie di obiettivi settoriali per lo sviluppo delle capacità e l’accelerazione delle procedure di approvazione per i progetti considerati strategici.

Il nucleo centrale della proposta è quello di individuare una categoria di “progetti strategici Net-Zero”, ovvero progetti considerati di importanza strategica dal punto di vista del contributo che possono dare alla transizione energetica. Per essere riconosciuti come tali, dovranno soddisfare criteri come la riduzione della dipendenza da Paesi terzi per determinati prodotti o stabilire nuovi standard di sostenibilità. Secondo la Commissione Ue, i progetti in questione poter godere di procedure accelerate per le autorizzazioni e di vedersi mobilitare fondi in via di priorità (dovranno essere considerati di “primario interesse pubblico” e trattati come tali nei processi amministrativi e giudiziari).

Nella proposta, Bruxelles ha individuato un elenco di tecnologie che riceveranno un sostegno particolare e soggette al target del 40%: solare fotovoltaico e solare termico, eolico onshore e offshore, batterie, pompe di calore ed energia geotermica, idrogeno rinnovabile, tecnologie del biometano, cattura e stoccaggio del carbonio e tecnologie di rete. Sono otto, non più nove come nelle precedenti bozze di regolamento. Il collegio dei commissari è stato diviso fino all’ultimo sull’inclusione della “fissione nucleare” nell’elenco, da cui alla fine è stato escluso. Tuttavia, nella proposta la Commissione apre alla possibilità di sostenere “in misura diversa” anche altre tecnologie, tra cui “i combustibili alternativi sostenibili, le tecnologie avanzate per la produzione di energia da processi nucleare con scorie minime dal ciclo del combustibile, i piccoli reattori modulari e i relativi combustibili migliori della categoria”, si legge.

Abbiamo bisogno di un contesto normativo che ci consenta di accelerare rapidamente la transizione verso l’energia pulita. Il Net-Zero Industry Act farà proprio questo. Creerà le migliori condizioni per quei settori che sono cruciali per noi per raggiungere lo zero netto entro il 2050: tecnologie come turbine eoliche, pompe di calore, pannelli solari, idrogeno rinnovabile e stoccaggio di CO2. La domanda sta crescendo in Europa e a livello globale e stiamo agendo ora per assicurarci di poter soddisfare una parte maggiore di questa domanda con l’offerta europea“, ha commentato la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen.

Ursula von der Leyen

Von der Leyen: “Entro il 2030 il 40% della tecnologia Ue sarà green”

L’obiettivo del Net-Zero Industry Act, che la Commissione Europea presenterà domani, è quello di produrre entro il 2030 almeno il 40% della tecnologia pulita in Europa. Lo ha annunciato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, intervenendo in plenaria a Strasburgo nel dibattito sulla preparazione al Consiglio europeo del 23 e 24 marzo. “Stiamo facilitando le autorizzazioni e creando regimi di aiuti di Stato più semplici, consentendo agevolazioni fiscali e un uso flessibile dei fondi Ue”, ha spiegato. Secondo von der Leyen, “l’anno scorso gli investimenti globali nella transizione pulita hanno superato i mille miliardi di dollari. Si tratta del 30% in più rispetto all’anno precedente. E questo mercato globale per le tecnologie a zero emissioni è destinato a triplicare entro il 2030, la corsa è iniziata. Dobbiamo darci da fare se vogliamo rimanere all’avanguardia. Dobbiamo coltivare la nostra base industriale di tecnologie pulite, sia per creare nuovi posti di lavoro qui in Europa sia per garantire l’accesso alle soluzioni pulite di cui abbiamo urgentemente bisogno. È questo il senso del Piano industriale per il Green Deal”.

La seconda iniziativa legislativa è la legge sulle materie prime critiche, “che il collegio adotterà domani. Si tratta di garantire l’approvvigionamento di materiali critici, estremamente necessari per la transizione digitale e verde. Questi minerali alimentano i telefoni e veicoli elettrici, chip e batterie, pannelli solari e turbine eoliche”. Von der Leyen ha ricordato che l’Ue “dipende fortemente da alcuni Paesi terzi per queste materie prime strategiche. Il 98% delle nostre forniture di terre rare e il 93% del nostro magnesio provengono dalla Cina. La pandemia e la guerra ci hanno insegnato una lezione sulle dipendenze. Se vogliamo essere indipendenti, dobbiamo urgentemente rafforzare e diversificare le nostre catene di approvvigionamento con partner affini”. La legge sulle materie prime critiche sosterrà gli sforzi delle aziende europee. “Vogliamo estrarre più minerali critici in Europa. Vogliamo aumentare la nostra capacità di lavorazione fino a raggiungere almeno il 40% del consumo annuale“. Prioritario per la Commissione “riciclare di più“, ha detto von der Leyen citando il Canada – dove si è recata la scorsa settimana – dove ha “visitato un’azienda che è in grado di riciclare il 95% di litio, cobalto e nichel dalle batterie. Il 95% riciclato. Questo è il futuro”, ha concluso.

Da Europarlamento via libera a direttiva case green. Pichetto: “Continuiamo a lottare”

Il governo Meloni si prepara a sfoderare (ancora) le armi a Bruxelles. L’Europarlamento dà il via libera alla direttiva sulle case green, che ora dovrà essere negoziata attraverso il trilogo (le trattative tra il Parlamento, la Commissione e il Consiglio europeo). Al netto di possibili modifiche, la misura prevede che tutti gli edifici residenziali dei Paesi membri debbano essere classificati in classe energetica da A ad E entro il 2030, da A a D entro il 2033, per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.

Un’iniziativa che porterebbe il patrimonio immobiliare italiano a una forte svalutazione, secondo il governo. “Continueremo a lottare a difesa dell’interesse nazionale”, giura il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, che giudica il testo “insoddisfacente” per il nostro Paese. Gli obiettivi ambientali di decarbonizzazione e di riqualificazione del patrimonio edilizio, assicura, non si mettono in discussione. Quello che manca è “una seria presa in considerazione del contesto italiano, diverso da quello di altri Paesi europei per questioni storiche, di conformazione geografica, oltre che di una radicata visione della casa come ‘bene rifugio’ delle famiglie”. Gli obiettivi temporali, specie per gli edifici residenziali esistenti, “sono ad oggi non raggiungibili per il nostro Paese“, taglia corto Pichetto. Nessun trattamento di favore. Il ministro chiede realismo: “Con l’attuale testo si potrebbe prefigurare la sostanziale inapplicabilità della Direttiva, facendo venire meno l’obiettivo ‘green’ e creando anche distorsioni sul mercato“.

Forte della mozione approvata in Parlamento, che impegna il governo a contrastare la direttiva della commissione, “agiremo per un risultato negoziale che riconosca le ragioni italiane”, giura. Il voto è “irricevibile e dannoso“, gli fa eco la sua vice ministra, Vannia Gava. Così come concepita, spiega, “è sbagliata nel merito e nel metodo“.

La transizione ecologica “non diventi una strage economica“, tuona il vicepremier Matteo Salvini. “A colpi di tasse e obblighi si impone agli italiani di spendere decine di miliardi di euro per mettere a norma la casa e le auto“, denuncia. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti ricorda che in Italia abbiamo 8 milioni di abitazioni in classe F e G: “Imporre” la direttiva con poco preavviso rischia di “imballare il settore dell’edilizia e mettere in difficoltà milioni di famiglie“, afferma.

Gridare all’eco-patrimoniale è un “capolavoro ‘tafazziano’, l’ennesimo di questo Governo che parla del voto di Strasburgo sulle Case green come di una mega tassa europea che andrà a colpire tutti i cittadini italiani“, commenta il senatore M5S, Stefano Patuanelli, bollando le dichiarazioni dell’esecutivo come “falsità volte a coprire una verità scomoda: la totale assenza di politica industriale“. Il governo, accusa, ha “smantellato pezzo dopo pezzo la più importante misura di efficientamento energetico presente in Italia, il Superbonus 110%. Oltre alla follia dell’aver cancellato una norma espansiva elogiata dalla stessa Commissione Ue, la direttiva presenta in realtà ampi margini di discrezionalità agli stessi Stati membri, che potranno anche chiedere alla Commissione di adattare i target europei per particolari categorie di edifici residenziali, per ragioni di fattibilità tecnica ed economica“.

Il via libera di Strasburgo è un’ottima notizia anche per i Verdi. L’Europarlamento dà “la risposta migliore a un governo, quello italiano, che ha intrapreso una politica del terrore sul clima e sul risparmio energetico“, festeggia Angelo Bonelli, co-portavoce di Europa Verde. La destra, sostiene, è “nemica dell’ambiente e della modernizzazione. Se fosse per loro, saremmo ancora con i carri trainati da cavalli“. L’esponente di Avs considera la direttiva una “grande opportunità per accelerare sulla strada della transizione energetica“. Utilizzando i finanziamenti del Fondo sociale per il clima, propone Bonelli, “l’Italia elabori un piano strutturale ultra-decennale che preveda incentivi e detrazioni per le abitazioni a bassa classe energetica, con dotazioni più elevate per i redditi bassi“.

Agrifood 2023, Italia conferma no a Nutriscore e cibi sintetici: difendere Agricoltura

L’agricoltura come motore dell’economia, ma anche elemento dell’identità nazionale da difendere. Sono tanti gli spunti che emergono da Agrifood 2023, l’evento su ‘L’evoluzione dell’agroalimentare italiano ed europeo tra sostenibilità e benessere’, organizzato a Roma da Gea ed Eunews. Cinque panel per analizzare da ogni angolatura rischi e potenzialità di un settore che può diventare collettore di molti altri gangli del cuore economico italiano ed europeo. Nel primo blocco è stato analizzata la questione del Nutriscore. “Servirebbe uno sforzo, da parte anche delle industria agroalimentare italiana, nell’utilizzare il Nutrinform”, dice il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini. Che invita a cambiare schema di gioco: “Dobbiamo uscire dalla logica dell’emergenza e avere forza nella programmazione e nella strategia”, tant’è vero che “nel primo incontro con l’attuale presidente del Consiglio – racconta – ho chiesto di aumentare la dotazione del personale della nostra Ambasciata a Bruxelles”. Perché “non bisogna criticare ma lavorare al fianco delle nostre istituzioni, portando delle proposte alternative, facendo capire dove si sono commessi errori di valutazione” e “creando sinergie”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, che lancia anche una ironica sfida a Prandini: “Lo sfido, se ti alzi da tavola dopo 1 kg di parmigiano stai bene, dopo 1 kg di patatine fritte no…”, giocando sul fatto che il collega di Coldiretti aveva spiegato che al di là dei colori dei semafori, conta anche la quantità di cibo mangiato. Al di là dell’ironia, il concetto è chiaro: “Il Nutriscore, così come l’Ecoscore, sono veri e propri attacchi a modelli economici”, per questo – sostiene – “dobbiamo fare una battaglia di visione, di strategia, su come posizionare l’agricoltura in un contesto globale sempre più competitivo dove le imprese soffrono”. Paolo De Castro, eurodeputato della commissione Agri, poi avverte: “L’agroalimentare è il primo settore manifatturiero europeo, con 200 miliardi export lo scorso anno, eppure sembra sotto attacco”. Il Nutriscore per ora “è accantonato, la Commissione Ue sta ancora valutando l’impatto per cui in questa legislatura non mi aspetto novità, ma tornerà”, è la sua convinzione.

Il presidente della commissione Industria del Senato, Luca De Carlo, che da anni si occupa del tema, quella sul Nutriscore “non è una battaglia dell’Italia contro il mondo, ma l’Italia deve essere brava a mettere insieme più alleati, perché questo è un tema che coinvolge tutti”. A suo modo di vedere, “se l’affrontiamo come problema europeo, allora le ricadute sull’Italia saranno relative”. Va giù dritto anche Andrea Poli, presidente della Nutrition Foundation of Italy: “L’algoritmo su cui si basa il Nutriscore è superato. Non ha senso affidare un colore per tutti i cibi indistintamente”. Ci va più cauto, invece, il direttore della Rappresentanza della Commissione Ue in Italia, Antonio Parenti, che comunque non nasconde i suoi dubbi: “E’ perfetto? No. Credo ci siano delle dimostrazioni scientifiche, e mi prendo qualche rischio essendo parte della Commissione europea che sta ancora giudicando. Però, l’esigenza esiste”.

Nello scenario europeo si inserisce anche la questione dell’etichettatura del vino. Soprattutto dopo la scelta dell’Irlanda di inserire avvisi sui rischi per la salute al pari delle sigarette, avallata anche da Bruxelles. “Il concetto del vino all’interno della dieta mediterranea fa parte del nostra cultura”, dice il direttore generale del Crea, Stefano Vaccari, che boccia l’operato di Bruxelles. “Secondo dati del 2022 siamo il Paese nettamente con aspettative di vita superiori rispetto all’Irlanda: se il modello nutrizionale è vincente, dobbiamo mantenerlo”. Per Michele Contel, vice presidente dell’Osservatorio permanente Giovani e Alcol, “l’approccio irlandese è sostanzialmente coercitivo”, mentre la dietista e nutrizionista, Monica Artoni, è convinta che “soprattutto il settore medico e sanitario, deve insistere moltissimo, fino alla nausea, sul concetto di basso rischio e sulle modalità di consumo”.

L’agricoltura, inoltre, deve affrontare un altro problema: quello dei cibi sintetici. Sul punto è intervenuto Luigi Scordamaglia: “Trasparenza e consapevolezza della scelta sono condizionati da un fattore, a questo mondo: i soldi. Troppi, come quelli di chi investe e svilupperà 25 miliardi di dollari in 5 anni per lanciare la carne sintetica. E con queste cifre di opinioni ne fai cambiare”. Il consigliere delegato di Filiera Italia cita la app site food finanziata da Bill Gates sulla carne di pollo, chiedendo: “Si apre finalmente una discussione se una singola persona fisica, privata possa essere secondo finanziatore dell’Organizzazione mondiale della sanità che decide le politiche sanitarie a livello globale?”. Poi l’accenno all’Europa: “Questo ‘filantrocapitalista’, mai come di recente, incontra la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, con cui parla di ristrutturare il sistema di protezione sanitario. Bene: 25 miliardi di dollari sono il volume sviluppato, ma è niente rispetto alla capacità di comunicare sul web e alle nuove app di intelligenza artificiale”. La risposta, indiretta, arriva a stretto giro da Parenti: “Ho sentito certe cose che, francamente, mi sembrano leggermente fantasiose. Bill Gates, ad esempio, e ci sono i resoconti, è uno dei più grandi distributori di vaccino al mondo. Che la Commissione Ue parli con lui nel 2021 e 2022, soprattutto per facilitare la produzione di vaccini in Paesi terzi come l’Africa mi sembra non solo naturale, ma anche necessario”.

La questione della crisi alimentare viene analizzata anche in chiave Mediterraneo. Con l’intervento dell’Ambasciatore del Marocco in Italia, Youssef Balla: “Il Marocco sta affrontando una crisi alimentare causata dallo sfruttamento senza precedenti di risorse naturali, da cambiamenti climatici e da congiunture economiche nazionali e internazionali. La parola chiave si è rivelata essere innovazione”. Per il diplomatico servirebbe “una cooperazione tripartita, marocchina, europea e africana, per l’agricoltura sostenibile, che si basi sulla diffusione di nuove tecnologie digitali e sulla formazione professionale di lavoro qualificato per utilizzo ottimale delle tecnologie stesse”.

Orso Marsincano

Dall’orso alla lince, il programma Life per salvare la fauna selvatica in Europa

Un lavoro quotidiano “per onorare la promessa fatta al mondo di proteggere e curare tutte le creature viventi che lo abitano”. È il commissario europeo per l’Ambiente, gli oceani e la pesca, Virginijus Sinkevičius, in occasione del World Wildlife Day a ricordare che l’Ue sta cercando di invertire una tendenza globale dai tratti drammatici: le popolazioni di animali selvatici sono diminuite o estinte del 69% in meno di 50 anni. Ed è per questo che per la Giornata Mondiale della fauna selvatica a Bruxelles si ricorda l’impegno legislativo e operativo, in cui il programma Life rappresenta la punta di diamante.

Attivo dal 1992, con un supporto a oltre 5.500 progetti di promozione e conservazione dell’ambiente e degli animali selvatici in Europa, il programma Life è a tutti gli effetti lo strumento finanziario dell’Ue per “garantire un futuro in cui la fauna selvatica prosperi e gli ecosistemi siano sani, è quanto sottolinea il gabinetto von der Leyen. Dalla Spagna all’Italia, passando dalla Grecia, la Francia, la Germania e tutti i 27 Paesi membri, lo strumento Ue si dirama in diverse direttrici di protezione di specifici animali selvatici a rischio estinzione, per evitarne la scomparsa definitiva e per spingere il ripopolamento nelle zone di riproduzione naturale.

È il caso di ‘Life Arcprom’, il progetto che mira a migliorare la coesistenza tra uomo e orso bruno in quattro parchi nazionali europei: tre in Grecia (Prespa, Pindo settentrionale e Monti Rodopi) e in Italia il Parco Nazionale della Maiella, in Abruzzo. Si tratta di una “specie prioritaria”, protetta dalla legislazione Ue in quanto a rischio estinzione: se nei parchi greci l’orso bruno rientra nella categoria “in pericolo”, nell’Appenino Centrale la sottospecie Ursus arctos marsicanus è “in pericolo critico”. Di qui la spinta da Bruxelles al raggiungimento in tempi rapidi degli obiettivi di riduzione di pratiche illegali e di bracconaggio (come l’uso di esche avvelenate), ma anche di sviluppo di approcci sostenibili nelle aree residenziali per la prevenzione dei danni, per esempio con recinzioni elettriche e contenitori per rifiuti a prova di orso. Pratiche necessarie per evitare l’abbattimento di esemplari e permettere il ripopolamento nelle aree selvatiche.

Il modello da seguire è quello di ‘Life LynxConnect’, un progetto di cooperazione transnazionale tra Spagna e Portogallo per la conservazione della lince iberica. Dopo i risultati positivi del precedente progetto ‘Life IberLince’ per il recupero della distribuzione storica della specie Lynx pardinus, dal 2020 si è impostato il nuovo obiettivo di mettere in contatto i due Paesi membri, quattro governi regionali spagnoli, organizzazioni ambientali non governative, rappresentanti dei cacciatori, aziende private e scienziati per rendere la popolazione “autosufficiente e geneticamente vitale” sul lungo termine. Un progetto di successo, che al momento ha evitato l’estinzione di un animale precedentemente “in pericolo critico” e oggi in fase di stabilizzazione, grazie all’implementazione di misure di miglioramento dell’habitat e di sviluppo delle attività economiche che possono svilupparsi (come tour di osservazione e safari).

Transnazionale, come lo sono le popolazioni di rapaci, è il progetto ‘Life Eurokite’, per la protezione di specie come il nibbio reale, l’aquila di mare, l’aquila imperiale e il nibbio bruno. L’idea alla base del progetto è quella di utilizzare la telemetria per identificare l’uso spaziale dell’habitat e definire le principali cause di mortalità delle specie di rapaci sul territorio comunitario (avvelenamento, collisioni con il traffico stradale e ferroviario, parchi eolici, pali dell’elettricità), per sviluppare poi azioni specifiche di conservazione e ripopolamento. Il metodo operativo consiste nell’equipaggiare fino al 2024 un totale di 615 nibbi reali – di cui il 95% della popolazione riproduttiva globale si trova nei Paesi Ue – e altri 80 rapaci in circa 40 aree di marcatura con localizzatori Gps, per un tracciamento in tempo reale e la possibilità di intervenire tempestivamente in caso di mortalità lungo tutta la rotta, dalle zone di riproduzione nell’Europa centrale a quelle di svernamento in Spagna e nella Francia meridionale.

Meloni rivendica il ‘pit stop’ Ue sul blocco alle auto a diesel e benzina dal 2035: “Successo italiano”

L’Europa fa un ‘pit stop’ di riflessione sul blocco alla produzione di motori endotermici dal 2035. La notizia fa tirare un sospiro di sollievo all’Italia, che in queste settimane ha messo in campo un’azione politica importante per chiedere flessibilità per evitare contraccolpi pericolosi al sistema industriale nazionale (e continentale), che sarebbe poi inevitabilmente ricaduto sul tessuto sociale del nostro Paese. “Il rinvio, a data da destinarsi, del voto alla riunione degli ambasciatori Ue sul Regolamento che prevede lo stop dal 2035 alla vendita di Auto nuove diesel e benzina è un successo italiano”, rivendica la premier, Giorgia Meloni.

Che sui suoi canali social sottolinea: “La posizione del nostro governo è chiara: una transizione sostenibile ed equa deve essere pianificata e condotta con attenzione, per evitare ripercussioni negative sotto l’aspetto produttivo e occupazionale”. Ecco perché “la decisione del Coreper di tornare sulla questione a tempo debito va esattamente nella direzione di neutralità tecnologica da noi indicata”. La presidente del Consiglio pianta anche un altro paletto quando scrive che è “giusto puntare a zero emissioni di Co2 nel minor tempo possibile, ma deve essere lasciata la libertà agli Stati di percorrere la strada che reputano più efficace e sostenibile”. A suo modo di vedere “questo vuol dire non chiudere a priori il percorso verso tecnologie pulite diverse dall’elettrico”. E la linea dell’Italia, specifica Meloni, ha “trovato largo consenso in Europa.

Soddisfatto anche il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, secondo cui il rinvio “tiene giustamente conto di una forte resistenza di alcuni Paesi europei, con l’Italia in prima fila, a un’impostazione del Regolamento troppo ideologica e poco concreta”. Per il responsabile del Mase la posizione di Roma è “molto chiara: l’elettrico non può essere l’unica soluzione del futuro, tanto più se continuerà, come è oggi, ad essere una filiera per pochi”. Meglio “puntare inoltre sui carburanti rinnovabili – argomenta Pichetto – è una soluzione strategica e altrettanto pulita, che consente di raggiungere importanti risultati ambientali evitando pesanti ripercussioni negative in chiave occupazionale e produttiva”. La decarbonizzazione dei trasporti, comunque, “resta obiettivo prioritario – aggiunge il responsabile del Mise – e deve tenere conto delle peculiarità nazionali e di tempistiche compatibili con lo sviluppo del settore dell’automotive”. Ma “una transizione sostenibile non è compatibile con la fissazione di una data secca al 2035”.

Esulta su Twitter il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso: “L’Italia ha svegliato l’Europa. Mi auguro che ora ci sia una riflessione comune per una competitività sostenibile anche nel settore automotive”. Anche perché nel passaggio all’elettrico tout court il rischio è quello di trovarci in “una peggiore e più grave subordinazione alle materie critiche, che sono appannaggio della Cina e dei suoi alleati”. Una preoccupazione, dice, condivisa anche dal ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, in visita venerdì a Roma.

Sul piano politico chi rivendica con forza questo risultato è la Lega, con il suo segretario, nonché vicepremier, Matteo Salvini. “E’ stata ascoltata la voce di milioni di italiani e il nostro governo ha dimostrato di offrire argomenti di buonsenso sui tavoli internazionali, a difesa della nostra storia e del nostro lavoro – afferma -. La strada è ancora lunga ma non ci svenderemo alla Cina”. Il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, intanto, continua “l’azione diplomatica a difesa dei lavoratori e delle imprese italiane ed europee”, riferisce una nota del Mit. Informando di una telefonata con il collega della Repubblica Ceca, Martin Kupka: “Praga condivide le preoccupazioni italiane sui Regolamenti Co2 auto, veicoli pesanti e direttiva Euro7 e intende promuovere un’iniziativa di Paesi ‘like-minded’ in difesa della neutralità tecnologica”.

Posizione netta è anche quella degli industriali. Per Carlo Bonomi, infatti, lo stop alle auto a motore endotermico dal 2035 “non mi convince, viene meno lo spirito iniziale dell’Europa sulla transizione che era quello della neutralità tecnologica“. Secondo il presidente di Confindustria “portava ad uno spiazzamento delle industrie europee a favore di quelle asiatiche“. Dunque, “saremmo diventati importatori netti lasciando un’Asia monopolista e a decidere i prezzi: si chiama effetto Cuba, quando le classi medie non hanno soldi per comprare una tecnologia che costa molto e non c’è ricambio del parco auto“.

A Bruxelles di nuovo rinviato il voto su auto a benzina e diesel

Rinviato a data da destinarsi. Perché anche oggi  il comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue (Coreper) ha deciso, pochi minuti dopo essersi riunito in sessione, di rinviare di nuovo il voto sul regolamento sulle emissioni di auto e furgoni, che prevede anche lo stop all’immatricolazione di auto e furgoni con motore a combustione, diesel e benzina, a partire dal 2035. Per ora il punto è slittato come si diceva “a data da destinarsi”, precisano fonti diplomatiche. Dopo il via libera al Coreper, il testo del compromesso raggiunto a fine ottobre da Parlamento e Consiglio sarebbe finito sul tavolo del Consiglio Ue dell’Istruzione, gioventù, cultura, sport in programma martedì 7 marzo per il via libera formale, ma essendo slittato il voto di oggi tra gli ambasciatori le stesse fonti precisano che il punto sulle auto è stato rimosso anche dall’ordine del giorno del Consiglio Ue di prossima settimana.  La posizione italiana sulla vicenda è nota: il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha confermato che, quando ci sarà l’opportunità, voterà contro l’accordo con il Parlamento europeo sullo stop alla vendita dei motori a combustione, diesel e benzina, a partire dal 2035. Una revisione del regolamento sulle emissioni di nuove auto e furgoni parte dell’ambizioso pacchetto sul clima ‘Fit for 55’, presentato a luglio 2021 come strategia per abbattere le emissioni del 55% entro il 2030 come tappa intermedia per la neutralità climatica.

La transizione passa anche per le auto e per la mobilità, ma per l’attuale governo italiano il futuro non può essere solo elettrico. I Ventisette sono chiamati a dare il via libera a un accordo politico raggiunto con l’Eurocamera nella notte tra il 27 e il 28 ottobre scorso. L’Eurocamera ha confermato l’accordo con gli Stati nella scorsa plenaria di febbraio, mancava ora il passaggio formale tra gli ambasciatori al Coreper (comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue) e poi in Consiglio dove è richiesta una maggioranza qualificata. L’Italia ha annunciato che voterà contro insieme alla Polonia, mentre la Bulgaria si asterrà. Questi tre Paesi da soli non bastano a formare una minoranza di blocco, è la Germania che ha sollevato alcune perplessità pur avendo sostenuto in passato l’accordo (come anche l’Italia). Urso rivendica il merito all’Italia di aver rilanciato il dibattito, di aver aperto una riflessione su un capitolo che sembrava chiuso.

Un “segnale d’allarme, una sveglia a tutta l’Europa a non dare nulla per scontato”, ha spiegato il ministro. “A dire che l’Italia c’è, è presente e lo saremo in ogni consesso in maniera qualificata e autorevole. Questa battaglia non è del governo di Giorgia Meloni, ma del Paese e dell’Italia“. Sul fronte dell’automotive, i dossier aperti su cui l’Italia punta ad alzare la voce sono quelli delle norme Euro 7 – su cui Roma rivendica il principio di neutralità tecnologica – e quelle relative ai veicoli pesanti. Ma, sintomo che anche il governo italiano è convinto che il provvedimento passerà, sul fascicolo al voto del Coreper, invece, Urso assicura che l’Italia non mette in dubbio le date del 2035 o del 2050, “ma chiediamo che ci sia una riflessione sulla base dei dati concreti che sono sotto gli occhi di tutti e che hanno portato le associazioni di imprese europee e i lavoratori europei a chiedere un cambio di passo alla Commissione”. L’appuntamento per l’Italia è un altro ed è il 2026 quando, se l’accordo otterrà il via libera, “con la clausola di revisione potremmo rimettere in discussione questo percorso in un clima molto diverso, con un nuovo Parlamento europeo in cui aumenta la consapevolezza che occorre cambiare e in una nuova Commissione che uscirà appunto il prossimo anno come indicazione dei diversi governi dell’Ue”.

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Voto su stop ai motori termici slitta a venerdì. L’Italia si schiera contro

La presidenza svedese dell’Ue ha rinviato alla riunione di venerdì il voto degli ambasciatori sul regolamento sulle emissioni di CO2 di auto e furgoni, che prevede anche lo stop alla vendita di motori a combustione, diesel e benzina, entro il 2035. Il voto sull’accordo raggiunto con il Parlamento europeo in ottobre era il primo punto all’ordine del giorno alla riunione degli ambasciatori in programma mercoledì a Bruxelles. In sede di Coreper, il voto sarà a maggioranza qualificata, che si raggiunge quando il 55% degli Stati membri vota a favore (in pratica ciò equivale a 15 paesi su 27) e quando gli Stati membri che appoggiano la proposta rappresentano almeno il 65% della popolazione totale dell’Ue.

Il governo italiano a ottobre ha votato a favore dell’accordo, ma martedì ha chiarito l’intenzione di votare contro alla riunione degli ambasciatori Ue. Ma anche in caso del cambiamento di posizione da parte dell’Italia, è inverosimile che sposti l’equilibrio dei voti in sede di voto. Pur condividendo gli obiettivi di decarbonizzazione, l’Italia sostiene che i target ambientali vadano perseguiti attraverso “una transizione economicamente sostenibile e socialmente equa”, pianificata e guidata con grande attenzione, per evitare ripercussioni negative per il paese sia sotto l’aspetto occupazionale che produttivo. L’Italia ritiene inoltre – questa la posizione che verrà espressa – che la scelta dell’elettrico non debba rappresentare, nella fase di transizione, l’unica via per arrivare a zero emissioni. Il successo delle auto elettriche dipenderà molto da come diventeranno accessibili a prezzi concorrenziali, è il ragionamento. Secondo il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica una razionale scelta di neutralità tecnologica a fronte di obiettivi ambientali condivisi deve consentire agli Stati membri di avvalersi di tutte le soluzioni per decarbonizzare il settore dei trasporti, tenendo conto delle diverse realtà nazionali, e con una più graduale pianificazione dei tempi. “L’utilizzo di carburanti rinnovabili, compatibili con i motori termici – afferma il ministro Pichetto contribuirà ad una riduzione delle emissioni senza richiedere inattuabili sacrifici economici ai cittadini”. In una dichiarazione inviata alla presidenza svedese dell’Ue e agli altri Stati membri per motivare la decisione del voto contrario, l’Italia precisa che “l’elettrificazione richiede cambiamenti significativi nell’intero settore automobilistico che devono essere pianificati e guidati con la dovuta attenzione, al fine di evitare effetti economici, industriali e sociali indesiderati. Le Auto con motore termico sono di proprietà di cittadini a basso reddito e rimarranno in circolazione oltre il 2035″. E, siccome non prevedealcun incentivo per l’uso di carburanti rinnovabili, il regolamento proposto non è in linea con il principio di neutralità tecnologica. Pertanto, l’Italia non può sostenerlo“.

Nella dichiarazione italiana sono poi ricordate alcune condizioni prioritarie che devono essere assicurate per permettere il raggiungimento di un obiettivo di riduzione delle emissioni del 100%, tra cui: lo sviluppo di una catena di valore dei motori e delle batterie elettriche nell’Unione; un approvvigionamento sostenibile e diversificato delle materie prime necessarie; adeguate infrastrutture di ricarica e rifornimento; un miglioramento della rete elettrica, in modo che possa far fronte all’aumento della domanda; un adeguamento dell’intero settore automobilistico, anche attraverso la fornitura delle competenze necessarie; l’accettazione da parte del mercato dei nuovi veicoli, che dovrebbero essere disponibili a un prezzo accessibile, in particolare per le famiglie e i consumatori più vulnerabili. Sono quindi elencate una serie di iniziative che dal punto di vista italiano dovrebbero essere adottate dalla Commissione europea: sostenere con tutti i mezzi disponibili, legislativi e finanziari, la transizione del settore automobilistico, in particolare delle PMI; monitorare e riferire in modo tempestivo ed esaustivo sui progressi verso una mobilità stradale a zero emissioni, considerando tutti i fattori che contribuiscono a una transizione equa ed efficiente dal punto di vista dei costi, compresa una valutazione delle possibili carenze di finanziamento; garantire, sulla base di tale monitoraggio, una revisione rigorosa e credibile degli obiettivi nel 2026; dare seguito alla disposizione che prevede l’immatricolazione, dopo il 2035, di veicoli alimentati esclusivamente con carburanti a zero emissioni di CO2; presentare una proposta per includere nel Regolamento meccanismi di contabilizzazione dei benefici, in termini di riduzione delle emissioni di CO2, dei carburanti rinnovabili.

Secondo fonti diplomatiche, la decisione del rinvio del punto al prossimo Coreper di venerdì potrebbe essere legata al voto a maggioranza qualificata che si preannunciava incerto nella riunione di oggi. Oltre all’Italia, la Polonia aveva già annunciato il voto contrario e la Bulgaria la propria astensione. Anche la Germania – sebbene senza confermare una possibile astensione o un voto contrario – ha mostrato di avere una posizione incerta, con le dichiarazioni del ministro dei Trasporti Volker Wissing, che ha incalzato la Commissione europea a presentare una proposta per cui i motori a combustione saranno venduti dopo il 2035 se si potrà dimostrare che sono alimentati con carburanti sintetici (e-fuel).