Pnrr, luce verde dal Comitato economico alla terza rata. Fitto: “Passo importante”

Un passo in avanti importante. Così il ministro per gli Affari europei e il Pnrr, Raffaele Fitto, saluta il parere positivo che il Comitato economico finanziario del Consiglio dell’Ue ha dato oggi via libera all’erogazione della terza rata del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) italiano, pari a 18,5 miliardi di euro. “Prendiamo atto con soddisfazione del parere positivo espresso oggi dal Comitato economico e finanziario europeo sull’erogazione della terza rata. Un altro passo avanti importante”, ha scritto Fitto su X.

Un passo avanti importante, ma ancora non quello definitivo per la terza erogazione dei finanziamenti all’Italia per la ripresa economica dalla pandemia, e non solo. Lo scorso 28 luglio la Commissione europea aveva giudicato positivamente la “valutazione preliminare” della richiesta dell’Italia al pagamento della terza rata del Pnrr, in particolare sui 54 traguardi e obiettivi legati all’erogazione dei 18,5 miliardi di euro. Dopo l’ok preliminare di Palazzo Berlaymont di fine luglio, il dossier era passato dunque al vaglio del Comitato economico e finanziario, che ha avuto a disposizione quattro settimane di tempo per pronunciarsi sul parere preliminare della Commissione.

Il Comitato è un organo consultivo in seno al Consiglio Ue e promuove il coordinamento delle politiche degli Stati membri necessarie al funzionamento del mercato interno, esprimendo pareri su richiesta del Consiglio o della Commissione europea. Visto il via libera, ora la Commissione Ue potrà adottare la decisione di pagamento vero e proprio e sbloccare 18,5 miliardi di euro al Paese. Sui tempi per l’esborso tutto tace per il momento da Bruxelles, anche se è improbabile che arrivino prima della fine del mese.

Il Pnrr italiano prevede 132 investimenti e 58 riforme, che saranno sostenuti da 68,9 miliardi di euro di sovvenzioni e 122,6 miliardi di euro di prestiti da parte di Bruxelles. La prima rata da 21 miliardi di euro è stata ricevuta ad aprile 2022 e la seconda tranche, sempre da 21 miliardi, a settembre dello scorso anno. Ora il governo di Meloni, con mesi di ritardo sulla tabella di marcia e mesi di trattative con la Commissione, ha sbloccato la situazione ottenendo il via libera alla terza tranche da quasi 19 miliardi.

L’incomprensione con Bruxelles sulla terza rata riguardava l’obiettivo di costruire 7.500 nuovi alloggi per gli studenti, contestato a Bruxelles perché parte delle risorse sarebbero state usate dal governo per strutture che già sono di fatto studentati. Infine, il governo ha negoziato con Bruxelles per eliminare l’obiettivo da quelli necessari per ottenere la terza rata. L’intesa si è trovata, ma in cambio il governo italiano ha dovuto spostare circa 519mila euro previsti dalla terza rata (che è passata da 19 a 18,5 miliardi di euro) alla quarta rata che arriverà così a 16,5 miliardi di euro.

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Appello del settore auto all’Ue: “Sì a transizione green ma bisogna investire sulla competitività”

Un appello urgente “per stimolare la trasformazione dell’industria automobilistica europea e migliorare la competitività”. A lanciarlo è stata l’Acea – l’associazione europea dei costruttori di automobili – insieme ad altri sette rappresentanti della catena del valore automobilistica, compresi i rappresentanti dei sindacati e dei datori di lavoro. In una lettera indirizzata alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, i firmatari hanno invitato la Commissione europea a dare priorità a sei azioni chiave prima della fine dell’attuale mandato nel 2024: sviluppare una solida strategia industriale, ampliare un mercato europeo a emissioni zero e una catena del valore delle batterie, garantire un contesto normativo stabile e coerente per il settore, migliorare l’agenda per le competenze e il quadro per una transizione giusta, migliorare l’accessibilità dei trasporti e garantire condizioni di parità a livello globale.

I firmatari hanno sottolineato il loro impegno per la decarbonizzazione dei trasporti, sottolineando al contempo che “l’inerzia dei legislatori minerà la trasformazione e la competitività dell’industria automobilistica europea” e “metterà inoltre a rischio l’occupazione in un settore che genera più di 13 milioni di posti di lavoro nell’Ue”.

La Cina fornisce un esempio significativo di strategia industriale mirata a sostegno dell’industria automobilistica nazionale competitiva a livello globale nel settore dell’elettromobilità. Il Reduction Act americano mostra anche che è possibile innescare centinaia di miliardi di investimenti un solido quadro di politica industriale”, si legge nelle prime righe della lettera-appello.

L’invito all’Ue è, quindi, quello di sviluppare “una solida strategia industriale” capace di garantire “condizioni di parità” sia dentro sia fuori l’Unione, ma anche di prevedere “un contesto stabile per gli investimenti” e la promozione di un’industria automobilistica davvero “competitiva”. Passando, naturalmente, da “un pilastro cruciale”, rappresentato dalla garanzia di fonti energetiche “affidabili e competitive, che riducano i costi per cittadini e imprese”.

Lo stop alla produzione di auto a benzina e diesel voluto dall’Unione europea a partire dal 2035 preoccupa l’intero settore, che chiede, quindi, di “ridurre la dipendenza dai paesi terzi su parti critiche della catena del valore”. A cominciare dalla Cina. La trasformazione verde e digitale, dicono i firmatari, “devono andare di pari passo con una transizione giusta. L’Unione Europea – si legge ancora nel testo – deve sostenere una tabella di marcia di trasformazione, soprattutto per le regioni che dipendono da essa”. Si chiedono perciò “inventivi” per “sostenere pienamente gli investimenti verdi e la riparabilità della catena del mercato post-vendita”, ad esempio nell’acquisizione di veicoli nei mercati nuovi e usati.

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L’Ue verso il terzo round di acquisti congiunti di gas dal 21 settembre

Dopo la pausa estiva delle istituzioni, riprende il lavoro della Commissione europea sugli acquisti congiunti di gas. Si aprirà giovedì 21 settembre il terzo round di acquisti congiunti di gas a livello europeo. A quanto apprende GEA, a partire da quella data le imprese europee potranno presentare le loro richieste per i volumi di aggregazione, e a partire dal 3 ottobre i fornitori internazionali di gas potranno quindi presentare le loro offerte per la domanda aggregata. Per l’Unione europea si tratta della terza gara di acquisti in comune, dopo due cicli che si sono conclusi rispettivamente a metà maggio e a inizio luglio. La Commissione europea punta a organizzare in tutto cinque round di acquisti congiunti entro la fine del 2023.

Il primo ciclo di acquisti congiunti si è chiuso a metà maggio con offerte per oltre 13 miliardi di metri cubi di gas, a fronte di una domanda complessiva di 11,6 miliardi di metri cubi richieste dalle aziende dell’Unione europea. Bruxelles ha fatto sapere che la domanda e l’offerta sono state abbinate per circa 10,9 miliardi di metri cubi di gas, tra Stati membri Ue e Ucraina, Moldova e Balcani Occidentali che hanno aderito alla piattaforma per gli acquisti congiunti. La seconda gara di acquisti congiunti si è chiusa lo scorso 10 luglio, con in tutto 25 fornitori internazionali che hanno risposto alla gara con offerte per la fornitura di un volume totale di 15,19 miliardi di metri cubi di gas per rispondere alla domanda europea aggregata di 15,92 miliardi di metri cubi di gas. I destinatari della gran parte degli acquisti congiunti finora sono stati Paesi Bassi, Francia, Italia, Bulgaria e Germania.

L’idea della Commissione europea è quella di attrarre fornitori su base regolare, indicativamente ogni due mesi (giugno, agosto, ottobre e dicembre) fino alla fine del 2023, consentendo a tutte le imprese di volta in volta di contrattare il gas per i successivi 12 mesi. Il regolamento Ue sugli acquisti congiunti prevede l’obbligo di aggregazione del 15% degli obiettivi annuali di stoccaggio del gas, in vista della prossima stagione di riempimento degli stoccaggi per l’inverno: i Paesi membri Ue hanno l’obbligo di riempire le riserve sotterranee di gas al 90% della capacità entro il primo novembre 2023.

La piattaforma è stata lanciata il 7 aprile 2022, ma il meccanismo per gli acquisti di gas ha impiegato quasi un anno a ingranare. Anche grazie agli acquisti congiunti, la media europea del livello di riempimento degli stoccaggi di gas ha già raggiunto (con due mesi di anticipo) l’obiettivo del 90 per cento stabilito lo scorso anno dalle istituzioni comunitarie entro il primo novembre. La Commissione europea sta valutando di rendere lo strumento degli acquisti congiunti strutturale nella politica energetica dell’Ue, estendendolo anche alle forniture di gas rinnovabili, materie prime critiche e idrogeno. A ottobre sarà pubblicato il primo resoconto sui risultati di questi primi mesi di esercizio degli acquisti congiunti, per capire anche come procedere nei prossimi passi e come portare avanti il lavoro fino alla fine dell’anno.

Il mercato auto europeo continua a crescere: le diesel superano le elettriche

A luglio, il mercato automobilistico europeo ha registrato il dodicesimo mese consecutivo di crescita, superando le 851.000 immatricolazioni, mentre le auto diesel hanno ripreso il sopravvento sulle vendite di auto elettriche. E’ quanto emerge dai dati diffusi dall’associazione dei costruttori automobilistici (Acea). Il mese scorso sono state vendute nell’Ue 851.156 unità, con un aumento del 15,2% rispetto all’anno precedente, con una netta crescita nei quattro mercati più grandi: +19,9% in Francia, +18,1% in Germania, +10,7% in Spagna e +8,7% in Italia.

Per i primi sette mesi dell’anno, l’aumento è stato del 17,6%, con 6,3 milioni di auto nuove vendute – una cifra che è comunque inferiore del 22% rispetto allo stesso periodo del 2019, prima della pandemia di Covid-19. Tuttavia, l’industria automobilistica sta mostrando “segni di ripresa dalle interruzioni di fornitura legate alla pandemia Covid-19“, osserva l’Acea. Il mercato automobilistico europeo è tornato a crescere in modo sostenuto dall’agosto 2022, quando la crisi sanitaria, unita alla carenza di pezzi di ricambio, tra cui componenti elettronici cruciali, gli ha inferto un duro colpo.

Nonostante un aumento vertiginoso del 60,6% a 115.971 unità a luglio, le vendite di auto elettriche rappresentano il 13,6% del mercato, dietro a quelle di auto a benzina (35,8%) e diesel (14,1%), anche se a giugno avevano superato queste ultime per la prima volta nella storia. Tra gennaio e luglio, nell’Ue sono state vendute circa 2,3 milioni di auto a benzina (+14% su base annua), contro 910.000 diesel (-3%) e 820.000 elettriche (+55%). Le ibride hanno rappresentato 1,6 milioni di vendite in questo periodo (+29%) e le ibride ricaricabili, che possono essere collegate a una presa o a un punto di ricarica, 468.000 unità (+2%). Secondo Gian Primo Quagliano, presidente del Centro Studi Promotor, “chi deve acquistare una nuova auto è fortemente stimolato a passare ad un’auto elettrica, ma non sempre vede in questo tipo di vettura una soluzione adeguata per tutte le esigenze di mobilità sue e della sua famiglia”, anche perché “i prezzi delle auto elettriche sono ancora molto lontani dalle possibilità di spesa delle masse”.

In termini di marche e produttori, Tesla ha registrato la crescita più forte a luglio, con vendite di quasi 14.000 auto (+650%), anche se è ancora molto lontana dai colossi Volkswagen (233.000 unità, +18%) e Stellantis (144.000 vendite, -6,1%, ma con un +4,1% considerando il periodo gennaio-luglio). Il gruppo Renault ha registrato un aumento delle vendite del 17%, con 90.000 immatricolazioni.

Allerta stazioni sciistiche: in Europa il 50% a rischio per il riscaldamento globale

Circa la metà delle stazioni sciistiche di 28 Paesi europei sarà a rischio molto elevato di mancanza di neve in caso di riscaldamento globale di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali. E l’innevamento artificiale che ne conseguirà potrebbe peggiorare ulteriormente la situazione. Lo rivela un’analisi pubblicata su Nature Climate Change. Secondo lo studio, il 53% e il 98% delle stazioni sciistiche sono esposte a un rischio molto elevato di insufficienza di neve rispettivamente per livelli di riscaldamento globale di 2 °C e 4 °C, con ampie variazioni regionali. L’Europa ospita circa il 50% delle stazioni sciistiche del mondo, che dipendono da una copertura nevosa affidabile e prevedibile, rendendole altamente vulnerabili ai cambiamenti climatici.

Il documento fornisce un’analisi completa di 2.234 stazioni sciistiche in 28 Paesi europei per valutare i cambiamenti della copertura nevosa in caso di riscaldamento di 2 °C e di 4 °C. Per valutare il potenziale e gli impatti dell’innevamento artificiale, gli autori hanno quantificato l’effetto di diverse percentuali di stazioni sciistiche che utilizzano l’innevamento sulla copertura nevosa e sull’utilizzo delle risorse. Hanno scoperto che, ipotizzando che l’innevamento sia applicato al 50% dell’area di una località, la frazione di località a rischio si riduce in qualche misura; tuttavia, il 27% e il 71% delle località sarebbero comunque interessate da una sostanziale carenza di neve in presenza di un riscaldamento di 2 °C o 4 °C. Gli autori indicano che la creazione di neve artificiale aumenterà il fabbisogno di acqua ed elettricità e le emissioni di anidride carbonica per i resort dotati di questa tecnologia.

Gli autori sottolineano che queste previsioni sull’innevamento artificiale si basano su ipotesi semplificate, in particolare sulla copertura e sulla domanda di risorse dell’innevamento, e i loro risultati non devono essere considerati definitivi. Tuttavia, forniscono strumenti per tenere meglio conto degli impatti dei cambiamenti climatici sull’industria del turismo sciistico e forniscono approfondimenti sulle relazioni tra adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici per questo settore, compreso il potenziale di disadattamento.

Dal bilancio Ue 547 miliardi per gestire crisi e mitigazione climatica entro il 2027

Lotta ai cambiamenti climatici, mitigazione dei rischi e contrasto ai fenomeni meteorologici estremi. I soldi ci sono, e non sono pochi. Oltre cinquecento miliardi di euro, quasi un terzo del totale della dote a dodici stelle da investire qui. Da Bruxelles giunge il promemoria per gli Stati, invitati a utilizzare le tante risorse a disposizione. Del resto, ricorda la commissaria per la Coesione, Elisa Ferreira, c’è l ’accordo inter-istituzionale che accompagna il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 e che prevede “l’impegno a spendere almeno il 30% di tutte le risorse disponibili nell’ambito del bilancio settennale e di NextGenerationEU”, il programma di ripresa post-pandemico.

A prezzi costanti il solo bilancio settennale dell’Ue vale 1.074 miliardi, a cui si aggiungono i 750 miliardi di euro del programma di ripresa post-pandemico. Il 30% di tutto questo si traduce in 547,2 miliardi di euro “per affrontare gli obiettivi climatici, compreso l’adattamento. Sono diversi i capitoli da cui attingere. Il solo programma ‘Ambiente e azione per il clima’ vale 12,8 miliardi. Qui ricadono il Just Transition Fund (transizione sostenibile) e il programma Life (conservazione della natura), ma ci sono anche le risorse messe a disposizione dalle politiche di coesione (330 miliardi in totale, tra i diversi fondi). A questi si aggiungono i programmi Horizon (ricerca), per soluzioni innovative, InvestEU (investimenti strategici), politica agricola comune e fondo per il mare. Senza dimenticare il meccanismo di protezione civile (1,1 miliardi) per le emergenze, che potrebbe anche vedere l’arrivo di soldi extra. Nel processo di revisione intermedia di bilancio, la Commissione ha proposto un aumento di 2,5 miliardi di euro della riserva per la solidarietà e gli aiuti d’urgenza per rafforzare la capacità dell’Ue di affrontare crisi e situazioni di emergenza. Se approvata, salirebbe a 549,7 miliardi il totale per far fronte alla questione climatica.

Tutto questo ‘tesoretto’ per il clima riaccende una volta di più le luci dei riflettori sulla capacità dei governi di fare buon uso delle risorse, attraverso la buona politica. “Il regolamento recante disposizioni comuni che disciplina il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo sociale europeo Plus, il Fondo di coesione, il Fondo per una transizione giusta e il Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura, richiede che la prova climatica sia parte integrante della programmazione e dell’attuazione di questi fondi”, ricorda Ferreira, a riprova del fatto che la questione climatica è sempre più centrale nell’agenda europea, come pure quella nazionale.

La necessità di un’attenzione al clima, con le risorse dedicate, ripropone il tema della capacità di attuare le riforme, in particolare quelle concordate con Bruxelles per la messa in atto dei piani nazionali per la ripresa (Pnrr) che prevedono azioni e misure per clima, ambiente. Un nuovo invito a fare presto e bene, in nome di ambiente, tenuta economica e competitività.

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Cala ancora la domanda di gas in Europa. E continuerà a scendere nella seconda metà del 2023

La domanda di Gas in Europa è diminuita drasticamente nella prima metà del 2023 e questa tendenza sembra destinata a continuare nella seconda metà dell’anno. E’ quanto emerge da un rapporto del secondo il Forum degli Esportatori di Gas (GECF). Sotto esame dall’inizio della guerra in Ucraina, che ha complicato le forniture di Gas all’Ue privata dei gasdotti russi, il consumo è sceso del 10,6% nella prima metà del 2023, ovvero di 21 miliardi di metri cubi.

Secondo il rapporto, questo calo può essere spiegato “principalmente dall’inverno eccezionalmente caldo” in Europa nel primo trimestre del 2023, che ha portato a un calo della domanda di riscaldamento domestico. Il rapporto cita anche la politica proattiva di Bruxelles, che ha fissato un obiettivo di riduzione dei consumi del 15% per i 27 Paesi membri.

Nella seconda metà del 2023, “la probabilità di osservare tendenze simili nel consumo di Gas naturale in Europa rimane particolarmente elevata”, secondo il Gecf, che raggruppa una dozzina di Paesi esportatori di Gas al di fuori degli Stati Uniti. In particolare, si basa sulle più recenti previsioni meteorologiche “che suggeriscono che il quarto trimestre del 2023 sarà caratterizzato da condizioni relativamente più calde”.

Al di là di questo aspetto legato al clima, il rapporto sottolinea la necessità che l’Europa continui la sua politica volontaria di sobrietà. Il documento menziona il calo della domanda da parte del settore industriale, che “difficilmente si riprenderà in modo sostanziale nei prossimi sei mesi”. Nella prima metà del 2023, infatti, nonostante il calo dei prezzi del Gas in Europa, la domanda industriale non è tornata ai livelli precedenti al declino. “Per il 2023, prevediamo un calo tra l’8% e il 10% rispetto al 2022”, afferma il Forum.

Questo non impedisce ai Paesi europei di riempire gli impianti di stoccaggio in vista dell’inverno: secondo i dati aggregati di Gas Infrastructure Europe (Gie), la media dei 27 Paesi membri dell’Unione Europea ha superato il target del 90% delle capacità, come stabilito dal Regolamento Ue RePowerEu. Secondo l’ultimo aggiornamento la media delle scorte europee ha raggiunto la soglia fissata con più di due mesi di anticipo sulla data stabilita dal Regolamento, il 1° novembre 2023. Le scorte in Italia sono salite dello 0,22% rispetto alla rilevazione precedente al 90,62%. Gli unici Paesi membri Ue a non aver ancora toccato quota 90% sono Belgio (87,85%), Danimarca (86,55%), Francia (84,04%), Lettonia (77,33%), Romania (82,72%) Ungheria (85,75%). Il livello massimo di riempimento degli stoccaggi è stato raggiunto dalla Spagna, con il 99,98%.

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Batterie, entra in vigore il regolamento Ue per una catena di valore più sostenibile

“Le batterie sono strategiche per la transizione dell’Ue verso un’economia neutrale dal punto di vista climatico”. Lo scrive la Commissione Europea su X annunciando che dal 17 agosto “il Regolamento sulle batterie garantirà che le batterie siano sicure, circolari e sostenibili durante il loro intero ciclo di vita”. Il via libera definitivo al Regolamento presentato nel 2020 dalla Commissione Ue – sulla base dell’accordo tra i co-legislatori del 9 dicembre 2022 – era arrivato lo scorso 14 giugno dall’Eurocamera e il 10 luglio dal Consiglio dell’Ue.

Il nuovo Regolamento rafforza le norme di sostenibilità per le batterie e ne disciplina l’intero ciclo di vita, dalla produzione al riutilizzo, fino al riciclo dei rifiuti. Sono incluse tutte le batterie e i relativi rifiuti: batterie portatili, industriali, per i veicoli elettrici, per l’avviamento, l’accensione e la fulminazione (utilizzate principalmente per veicoli e macchinari) e per mezzi di trasporto leggeri (biciclette elettriche, monopattini elettrici ed e-scooter).

Al centro della legislazione comunitaria c’è lo sforzo di ridurre gli impatti ambientali e sociali durante l’intero ciclo di vita delle batterie, con regole stringenti per gli operatori che devono verificare l’origine delle materie prime utilizzate per le batterie immesse sul mercato. Per questo motivo sono previsti requisiti di etichettatura e informazione sui componenti e sul contenuto riciclato, anche attraverso un “passaporto della batteria” elettronico (entro il 2026) e un codice QR (entro il 2027).

Per quanto riguarda la raccolta dei rifiuti di batterie portatili da parte dei produttori, è stato stabilito l’obiettivo del 45 per cento entro la fine del 2023, del 63 entro il 2027 e del 73 entro il 2030, con un target specifico per i rifiuti di batterie per mezzi di trasporto leggeri al 51 per cento entro la fine del 2028 e al 61 entro il 2031. Sul piano dei livelli minimi di litio recuperato dai rifiuti di batterie è previsto l’obiettivo del 50 per cento entro la fine del 2027 e dell’80 entro il 2031. Per cobalto, rame, piombo e nichel è invece pari al 90 per cento entro il 2027 e al 95 entro il 2031.

Tra le introduzioni del nuovo Regolamento Ue c’è anche l’obbligo entro il 2027 per cui le batterie portatili incorporate negli apparecchi siano rimovibili e sostituibili dall’utente finale, lasciando agli operatori il tempo sufficiente per adattare la progettazione dei loro prodotti a questo requisito.

Ecco le regole Ue per viaggiare con cani e gatti al seguito

A chi lascio Fuffy? Adesso come faccio con Cocò? Per chi possiede un cane o un gatto le vacanze estive rischiano di diventare motivo di stress. Nessun problema, nell’Ue viaggiare con il proprio animale da compagnia si può. A patto di seguire le norme comunitarie ed essere in regola con tutto ciò che viene richiesto. In linea di principio generale, per potersi spostare da uno Stato membro dell’Ue altro con cani, gatti e furetti, serve che l’amico a quattro zampe abbia regolare microchip (o un tatuaggio chiaramente leggibile se applicato prima del 3 luglio 2011). Occorre poi che sia stato vaccinato contro la rabbia e abbia subito un trattamento contro la tenia Echinococcus multilocularis, se la zona di destinazione fa parte di quelle non affette da tale tenia (Finlandia, Irlanda, Malta, Norvegia e Irlanda del Nord).

Ricordarsi poi dei documenti. Per poter attraversare le frontiere con trasportini e gabbie serve un un passaporto europeo per animali da compagnia in corso di validità, se si viaggia da un paese dell’Ue o dall’Irlanda del Nord verso un altro paese dell’Ue, o verso l’Irlanda del Nord, o un certificato sanitario dell’Ue, se si viaggia verso un paese terzo. E’ bene avere tutto in regola, perché altrimenti in alcuni casi l’animale non potrà proseguire il viaggio e, in situazioni estreme, come nel caso delle isole, anche essere abbattuto.
Un passaporto europeo per animali da compagnia è un documento basato su un modello standard dell’Ue ed è essenziale per gli spostamenti tra i paesi membri (più Norvegia e Irlanda del Nord). Contiene una descrizione e i dettagli relativi all’animale da compagnia, compreso il suo codice microchip o tatuaggio, il codice relativo alla vaccinazione antirabbica e gli estremi del proprietario e del veterinario che ha rilasciato il passaporto. Il passaporto europeo per cane, gatto o furetto è rilasciato da qualsiasi veterinario autorizzato dalle autorità competenti. Una volta ottenuto non c’è alcuna necessità di rinnovo: lo speciale documento è valido per tutta la vita, a condizione che la vaccinazione contro la rabbia sia valida.

Per destinazioni extra-Ue o arrivi da un territorio extra-Ue l’animale da compagnia deve invece esere munito di un certificato sanitario dell’Ue rilasciato da un veterinario ufficiale appartenente al servizio veterinario pubblico del Paese di partenza non più di 10 giorni prima dell’arrivo dell’animale da compagnia nell’Ue. In aggiunta, occorre compilare e allegare al certificato sanitario dell’animale da compagnia una dichiarazione scritta attestante che il viaggio non è dovuto a motivi commerciali.
Di norma, gli animali da compagnia devono viaggiare con i proprietari. Esiste tuttavia la possibilità di delega. Si può autorizzare per iscritto un’altra persona ad accompagnare l’animale da compagnia al proprio posto previa compilazione dell’apposito modulo scaricabile sui siti della Commissione europea. In questo caso però il proprietario di Fuffy, Cocò o Rascal dovrà raggiungere l’amico animale entro 5 giorni dal suo trasferimento.

Le regole Ue consentono la libera circolazione con un massimo di cinque animali da compagnia. In caso di un numero superiore occorre comprovare che lo spostamento con così tanti cani, gatti o furetti è legato alla partecipazione a competizioni, esposizioni o eventi sportivi (fornendo copia di invito e un documento di iscrizione), e che ognuno dell’esemplare abbia un’età superiore a 6 mesi.
Per tutti gli altri animali da compagnia diversi da cani, gatti e furetti (quali ad esempio roditori, conigli, uccelli) la Commissione Ue invita a verificare le norme nazionale del Paese in cui si vuole soggiornare.

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In Ue è emergenza incendi, ma cala il numero di vigili del fuoco occupati

L’emergenza incendi cresce, ma i vigili del fuoco diminuiscono. La gestione dei disastri naturali che si stanno intensificando in questo 2023 dalle temperature record diventa ancora più preoccupante alla luce del quadro tracciato da Eurostat sull’occupazione 2022 dei professionisti della lotta anti-incendio. Perché in un solo anno – tra il 2021 e il 2022 – in tutta l’Unione Europea sono diminuiti di oltre 5 mila unità i vigili del fuoco, con un forte calo registrato in 10 Paesi membri che ha trascinato verso il basso la media dei Ventisette.

La denuncia arriva dalla Confederazione europea dei sindacati (Etuc): “I tagli hanno inciso sulla capacità dell’Europa di far fronte agli incendi causati dall’estate più calda mai registrata”. Più di un terzo dei Paesi membri Ue non ha ritenuto necessario mantenere quantomeno stabile il livello di vigili del fuoco arruolati – Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Lettonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Svezia e Ungheria – e questo ha avuto un impatto su tutta l’Unione: la diminuzione generale si attesta al -1,5%, ovvero 5.288 professionisti in meno. Tra il 2021 e il 2022 i tagli percentuali più consistenti si sono verificati in Slovacchia (-30%), Bulgaria (-22) e Portogallo (-21), ma in doppia cifra sono andati anche Belgio (-19), Romania (-15), Lettonia (-14) e Francia (-12). In termini assoluti invece è la Francia il membro Ue con il record negativo (-5.446), seguita da Romania (-4.250), Portogallo (-2.907) e Slovacchia (-2.702), con altri tre Paesi in deficit di oltre mille unità: Germania (-1.821), Belgio (-1.787) e Bulgaria (1.768).

A nulla sono valsi gli sforzi degli altri 12 Paesi membri Ue (per Austria, Danimarca, Irlanda, Lussemburgo e Malta non ci sono dati disponibili) nell’aumentare i propri organici di vigili del fuoco. A trainare l’occupazione 2022 per la lotta anti-incendi in questa stagione estiva sono stati i Paesi mediterranei – Grecia (+6.900), Spagna (+5.233) e Italia (+2.004) – con il contributo di Repubblica Ceca (+1.578) e Lituania (+1.049), oltre a Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Paesi Bassi e Polonia. Come sottolinea Eurostat, nel 2022 c’erano 359.780 vigili del fuoco professionisti nell’Ue, pari allo 0,2 per cento dell’occupazione totale: Grecia, Estonia e Cipro hanno registrato la quota più alta nell’occupazione nazionale (oltre lo 0,4 per cento), mentre Paesi Bassi e Francia hanno registrato le quote più basse intorno allo 0,1. Ma è chiara la preoccupazione dell’Etuc, relativa alla proposta di riforma del patto di stabilità: “Ulteriori tagli se l’Ue reintrodurrà le regole dell’austerità a gennaio“. In questo scenario “l’importo che i Paesi saranno costretti a tagliare dai bilanci nazionali il prossimo anno per rispettare le nuove regole” sarebbe pari a quello necessario per pagare lo stipendio di “oltre un milione di lavoratori del settore pubblico”.

Durissima la reazione della segretaria generale dell’Etuc, Esther Lynch – “tagliare il numero dei vigili del fuoco nel bel mezzo di una crisi climatica è una ricetta per il disastro” – in particolare sulla prospettiva di una austerità 2.0: “Tutti i Paesi dovrebbero investire nei loro servizi antincendio e in altri servizi pubblici per far fronte all’aumento del carico che sarà loro imposto dal cambiamento climatico”, ma sembra evidente che “gli investimenti sono già insufficienti e temo che potrebbero arrivare altri tagli se l’Ue reintrodurrà le regole dell’austerità il prossimo anno”. Critiche dai sindacati europei sono rivolte anche all’indirizzo del commissario europeo per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič: “Siamo preoccupati di sentire che non riesce a trovare il tempo per incontrare i rappresentanti dei vigili del fuoco della Federazione sindacale europea dei servizi pubblici per discutere degli incendi”.