Trump allenta la pressione dei dazi sulle auto, ma la misura è temporanea

Il presidente americano Donald Trump ha alleggerito il carico dei dazi doganali per i costruttori automobilistici che producono negli Stati Uniti con componenti importati, evitando in particolare un accumulo delle imposte che sono in vigore dall’inizio di aprile. L’annuncio è arrivato in occasione dei primi 100 giorni del repubblicano alla Casa Bianca durante un comizio a Warren, vicino a Detroit, il cuore dell’industria automobilistica americana. “Vogliamo semplicemente aiutarli in questo periodo di transizione, ma a breve termine”, ha dichiarato il presidente prima di partire per il Michigan. “Se non potevano avere pezzi di ricambio, non volevamo penalizzarli”, ha aggiunto.

Dal 3 aprile, tutti i veicoli importati sul territorio americano sono tassati al 25%. Il decreto presidenziale firmato martedì esenta i costruttori automobilistici dal pagamento di altri dazi doganali, come quelli sull’acciaio o sull’alluminio, per evitare un cumulo. Pagheranno l’importo “più elevato”, ha precisato un responsabile del ministero del Commercio, affermando che queste nuove disposizioni avranno effetto retroattivo al 3 aprile.

I costruttori americani sono tra i più colpiti perché hanno stabilito fabbriche in Messico e Canada. Questi due paesi hanno un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, ma ciò non ha impedito a Donald Trump di includerli nella sua guerra commerciale mondiale. Il loro processo di produzione spesso comporta spostamenti tra i tre paesi. I pezzi di ricambio dovrebbero essere interessati al più tardi il 3 maggio. Alla chiusura della Borsa di New York, le azioni Ford erano in rialzo dell’1,30% e quelle di General Motors in calo dello 0,64%.

La Casa Bianca, inoltre, ha pubblicato sul suo sito web un decreto che istituisce un dispositivo di riduzione per due anni dei dazi doganali per i costruttori. Per tutti i veicoli fabbricati e venduti negli Stati Uniti con parti di ricambio importate, i costruttori americani e stranieri potranno così dedurre il 15% del prezzo di vendita raccomandato il primo anno – e il 10% il secondo – dai dazi doganali del 25% sulle importazioni successive. Questo corrisponderà, secondo quanto specificato nella dichiarazione, a una detrazione del 3,75% del prezzo consigliato nel primo anno (dal 3 aprile 2025 al 30 aprile 2026) e del 2,50% nel secondo (dal 1° maggio 2026 al 30 aprile 2027). Si tratta di “una riduzione e non di un rimborso”, ha precisato Trump, affermando che questo periodo di due anni è stato ritenuto sufficiente dagli industriali per installare una catena di approvvigionamento negli Stati Uniti. Non sono state fornite precisazioni sulle importazioni dalla Cina, che possono essere tassate fino al 245% (ad esempio i veicoli elettrici).

“Ford accoglie con favore e apprezza queste decisioni del presidente Trump, che contribuiranno ad alleggerire l’impatto dei dazi doganali sui costruttori automobilistici, i fornitori e i consumatori”, ha commentato Jim Farley, amministratore delegato del costruttore americano, prima dell’annuncio presidenziale, il cui contenuto era trapelato sui media già lunedì sera. Il costruttore “ritiene essenziali le politiche che incoraggiano le esportazioni e garantiscono una catena di approvvigionamento a costi accessibili per promuovere una maggiore crescita nazionale”, ha aggiunto. Da parte sua, l’amministratrice delegata di General Motors, Mary Barra, ha apprezzato “il sostegno del presidente Trump all’industria automobilistica e ai milioni di americani che dipendono da noi”. Stellantis, che oggi ha presentato i risultati del primo trimestre 2025 “si sta impegnando a fondo con le autorità politiche in materia di tariffe doganali, adottando al contempo misure per ridurne gli impatti”. “Proteggere l’azienda e al tempo stesso dialogare con le istituzioni governative competenti per facilitare l’implementazione e l’evoluzione informata dei provvedimenti” sono gli obiettivi indicati dal gruppo. Allo stesso tempo, “il management si sta attivando per adeguare i piani di produzione e individuare opportunità per migliorare gli approvvigionamenti”.

Dopo l’annuncio presidenziale, l’Associazione dei costruttori americani (AAPC), che rappresenta i tre storici costruttori Ford, GM e Stellantis (Chrysler, Jeep, Dodge, ecc.), ha accolto con favore queste decisioni. “L’applicazione di dazi multipli sullo stesso prodotto o sullo stesso pezzo di ricambio rappresentava una preoccupazione importante per i costruttori americani e siamo lieti che la questione sia stata risolta”, ha commentato Matt Blut, presidente dell’associazione, salutando anche il dispositivo di deduzione. Ha precisato che il decreto presidenziale sarà “esaminato attentamente” per valutarne l’“efficacia” nell’alleggerire il conto doganale.

Tags:
, ,

Stellantis sospende le previsioni per il 2025: “Troppe incertezze legate ai dazi, ma bene misure riduzione”

Stop alla guidance finanziaria per il 2025 a causa delle incertezze legate alle tariffe doganali, alla loro evoluzione e alla “difficoltà di prevederne i possibili impatti sui volumi di mercato e sul panorama competitivo”. In sostanza, l’alleggerimento dei dazi sul settore automotive annunciato dal presidente Usa, Donald Trump non è sufficiente a rassicurare le aziende che ora puntano tutto sulla prudenza. In primis Stellantis, che nel giorno in cui annuncia i risultati del primo trimestre – non troppo lusinghieri – spiega che “non è possibile al momento garantire una previsione con un grado di accuratezza adeguato”. Ma, assicura il Cfo, Doug Ostermann, “l’azienda si impegna a ripristinare le previsioni finanziarie quando sarà in grado di farlo in modo attendibile”. Il contesto, insomma, è ancora troppo “turbolento”, anche perché il quadro politico sui dazi “è cambiato rispetto a quando abbiamo fissato le nostre previsioni per il 2025 e continua ad evolversi”. In ogni caso il gruppo apprezza naturalmente le misure di alleggerimento dei dazi” decise da Trump e valutando “l’impatto della nuova politica sulle nostre attività in Nord America. Ciononostante, permangono forti incertezze”.

Su questo fronte l’obiettivo del gruppo non cambia: “proteggere l’azienda e al tempo stesso dialogare con le istituzioni governative competenti per facilitare l’implementazione e l’evoluzione informata dei provvedimenti”. Allo stesso tempo, “il management si sta attivando per adeguare i piani di produzione e individuare opportunità per migliorare gli approvvigionamenti”.

Stellantis produce al di fuori degli Stati Uniti (in Messico e Canada) i due quinti delle auto che vende nel Paese. Sebbene abbia annunciato un aumento della produzione americana, ha già dovuto sospendere l’attività in alcuni stabilimenti per adeguarsi al nuovo costo dei componenti legato ai dazi doganali e al rallentamento del mercato americano.

In questo contesto, risultati del primo trimestre non sono eccezionali. I ricavi sono stati pari a 35,8 miliardi di euro, in calo del 14% rispetto al 1° trimestre 2024, principalmente, “a causa dei minori volumi di consegne, nonché di un mix e di prezzi sfavorevoli”. Nello stesso periodo dello scorso anno i ricavi netti erano stati pari a 41,7 miliardi di euro. Diminuiscono anche le consegne consolidate, che da gennaio a marzo sono state pari a 1.217 mila unità (118.000 in meno), in calo del 9%. Il dato, spiega il gruppo, “riflette la minore produzione in Nord America, conseguenza del prolungamento di inattività festiva in gennaio, l’impatto della transizione del portafoglio prodotti e i minori volumi di LCV nell’Europa allargata”.

Ecco perché, di fronte a una performance “difficile e non all’altezza delle nostre aspettative”, ha spiegato Ostermann, “ora ci concentriamo sull’esecuzione della strategia, cioè sulle cose che possiamo controllare in un contesto molto turbolento”. Allo stesso tempo, ha ricordato, “stiamo assistendo a importanti progressi grazie alle nostre azioni di ripresa commerciale. Inoltre, stiamo procedendo bene con il lancio della nuova ondata di prodotti per il 2025, colmando le lacune di prodotto e ampliando le nostre opportunità”.

In Europa, la quota di mercato del primo trimestre 2025, pari al 17,3%, è stata superiore di 190 punti base rispetto al quarto trimestre 2024 e in Sud America, il cosiddetto ‘Terzo motore’, l’azienda ha mantenuto la sua posizione di leader, con una quota di mercato del 23,8%, in aumento di 1,5 punti percentuali. “La ripresa commerciale” negli Usa “è in una fase iniziale”, ha detto il Cfo, e “stiamo assistendo a progressi incoraggianti”.

 

Stellantis, Elkann: “2024 anno difficile”. E sui dazi mostra fiducia: “Intesa Ue-Usa è possibile”

Il 2024 “non è stato un buon anno per Stellantis. I motivi sono stati in parte di nostra competenza, il che ha reso il risultato ancora più deludente”. John Elkann, aprendo l’Assemblea degli azionisti, rimarca quanto annunciato già a fine febbraio, cioè che lo scorso anno non è sicuramente da ricordare in positivo per le performance economiche. L’utile netto, infatti, è sceso a 5,5 miliardi di euro, in calo del 70%, quello operativo rettificato di a 8,6 miliardi di euro (-64% con un margine AOI del 5,5%). Calano anche i ricavi, pari a 156,9 miliardi di euro, segnando -17% rispetto al 2023. Le consegne sono diminuite del 12% a livello globale (sono state 5,4 milioni). L’Assemblea ha dato il via libera al bilancio.

A pesare, ricorda Elkann, è stato anche “il disallineamento tra il Consiglio di amministrazione e il nostro ceo Carlos Tavares”, situazione che lo ha portato “a lasciare l’azienda all’inizio di dicembre del 2024”. Da allora, dice il presidente di Stellantis, il Comitato esecutivo ad interim, “che il Consiglio mi ha chiesto di presiedere, ha lavorato con tutti i nostri team nella gestione quotidiana dell’azienda” e “sono state intraprese azioni importanti e decisive per garantire” che il gruppo “sia nella posizione più forte possibile quando verrà nominato il nostro nuovo Ceo”, entro la prima metà del 2025. E proprio quest’anno, spiega agli azionisti il presidente, “siamo concentrati sul lancio di nuovi prodotti e sul miglioramento delle nostre attività in un contesto molto difficile nei nostri due principali mercati”.

Già, e i motivi per cui il settore “è sotto pressione” e l’industria automobilistica “è a rischio”, non sono pochi e viaggiano tra le due sponde dell’Atlantico. Colpa, dice Elkann, di “scelte politiche e normative” dell’Europa e degli Stati Uniti, di un “percorso di tariffe dolorose e regolamenti troppo rigidi”. A cominciare dai dazi imposti dall’inquilino della Casa Bianca, Donald Trump, che lo stesso presidente di Stellantis ha incontrato all’inizio di aprile a Washington. In quella occasione aveva chiesto maggiore chiarezza per poter lavorare sulla competitività. Il tema, infatti, è che “oltre al dazio del 25% imposto sui veicoli, siamo colpiti da una serie di dazi aggiuntivi, tra cui quelli su alluminio, acciaio e componenti”, dice Elkann. Uno spiraglio, però, forse c’è e “non è troppo tardi” se Usa e Ue intraprendono “le azioni urgenti necessarie per promuovere una transizione ordinata. Siamo incoraggiati da quanto indicato ieri dal presidente Trump sulle tariffe per l’industria automobilistica”. Il repubblicano, infatti, sta valutando di esentare temporaneamente le case automobilistiche dalle nuove imposte.

In Europa, invece, a pesare sono le normative sulle emissioni di CO2 che “hanno imposto un percorso irrealistico di elettrificazione, scollegato dalla realtà del mercato”. In effetti, precisa Elkann “i governi europei hanno ritirato, a volte bruscamente, gli incentivi all’acquisto e l’infrastruttura di ricarica rimane inadeguata. Di conseguenza, i consumatori tardano a passare ai veicoli elettrici”. Serve, quindi, un’inversione di rotta, è il ragionamento del presidente di Stellantis, altrimenti “sarebbe una tragedia, perché l’industria automobilistica è fonte di posti di lavoro, innovazione e comunità forte”.

Un terzo degli azionisti di Stellantis (il 33,07%), intanto, nel corso dell’Assemblea ha votato contro il Remuneration Report 2024, che include i compensi per i manager e la buonuscita dell’ex amministratore delegato Carlos Tavares, che riceverà 23,085 milioni di euro di compensi complessivi relativi al 2024 e una buonuscita totale di 12 milioni di euro, che sarà pagata nel 2025. Sul piede di guerra la Fiom: “Ancora una volta – dice il segretario generale Michele De Palma – vengono premiati i manager e gli azionisti di Stellantis mentre i lavoratori continuano ad essere in cassa integrazione”. 

 

 

Dazi, Ue pronta a rispondere al ‘fuoco amico’ Usa sulle auto. Ma negoziato va avanti

Ferma, proporzionata, solida, ben calibrata e tempestiva. Così il portavoce della Commissione europea per il Commercio, Olof Gill, descive la risposta che l’Unione europea darà ai dazi del 25% annunciati dal presidente Usa, Donald Trump, sulle importazioni oltre Oceano di automobili. Una reazione dai tempi di dispiegamento ancora incerti – “non posso parlare di tempistiche perché non sappiamo quali saranno queste misure future”  – ma a cui l’Ue si sta preparando: “Posso assicurare che sarà ferma, proporzionata, tempestiva, solida, ben calibrata e che otterrà l’impatto previsto”, scandisce Gill nella conferenza stampa quotidiana dell’esecutivo Ue.

La presidente Ursula von der Leyen si è detta “rammaricata” della decisione Usa, ricordando che l’industria automobilistica “è un motore di innovazione, competitività e posti di lavoro di alta qualità, attraverso catene di fornitura profondamente integrate su entrambe le sponde dell’Atlantico”. Le tariffe, ha ricordato, “sono dannose per le imprese e per i consumatori, sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea“. La strategia, ha spiegato von der Leyen, è quella di “continuare a cercare soluzioni negoziate, salvaguardando al contempo i propri interessi economici” e, allo stesso tempo, “proteggere i nostri lavoratori, le nostre imprese e i nostri consumatori in tutta l’Unione europea”.

La postura che Bruxelles vuole tenere è sulla preparazione al peggio, da un lato, e sulla ricerca di una soluzione negoziata dall’altro. “Il punto non è se siamo sorpresi o meno“, ma “se siamo preparati o meno, e qui la risposta è sempre sì: siamo preparati a salvaguardare i nostri interessi economici” contro “qualsiasi misura ingiusta e controproducente da parte degli Stati Uniti”. In tale contesto, però, la “priorità è trovare una soluzione negoziata, che funzioni per entrambe le parti”, nonostante il fatto che Bruxelles debba certificare che la spedizione di questa settimana a Washington del commissario al Commercio, Maros Sefcovic, “non ha prodotto alcun risultato negoziato che volevamo”, ma “ha offerto un’opportunità molto importante per noi di rafforzare i rapporti con la nuova Amministrazione statunitense”. Quindi, “i contatti tra l’Unione europea e l’amministrazione statunitense continuano e speriamo certamente che portino al tipo di risultati di cui stiamo parlando piuttosto che il contrario”, spiega Gill.

E, nel frattempo, l’Unione si guarda attorno: “Ovviamente stiamo parlando con alleati e partner globali in tutto il mondo di queste tariffe radicali e dannose annunciate dagli Stati Uniti perché danneggiano tutti, non solo Ue e Usa”. Oltre a non sbilanciarsi sui tempi, per ora Palazzo Berlaymont è riservato anche sulla lista dei prodotti su cui imporre contromisure da proporre agli Stati membri. “Prima di tutto posso dire che non vogliamo dover imporre contromisure sulle importazioni statunitensi nell’Ue” perché “crediamo sia un atto di autolesionismo economico da parte degli Stati Uniti”. Ma “ci prepariamo” e “l’elenco finale dei prodotti su cui proporre ai nostri Stati membri di imporre contromisure sarà ben selezionato per creare il massimo impatto nei confronti degli Stati Uniti e per ridurre al minimo l’impatto qui sulla nostra economia europea”.

Di fatto, la priorità dell’Ue resta, ancora, il dialogo. “Il primo aprile non accadrà nulla, perché la Commissione ha preso la decisione di allineare i tempi delle nostre due serie di contromisure”, ricorda Gill. Dal primo aprile avrebbero dovuto tornare in funzione le contromisure Ue del 2018 e del 2020 che erano state sospese. Ma “abbiamo sostanzialmente esteso quella sospensione affinché sia allineata con il nostro secondo elenco di contromisure su cui ci siamo consultati con le principali parti interessate” e che “presto useremo come base per l’elenco da proporre ai nostri Paesi”, illustra. “Abbiamo allineato le tempistiche per trovare in modo più efficiente il giusto equilibrio di prodotti” e per avere “più tempo per negoziare con gli americani”, perché “questa è la nostra massima priorità“, ricorda Gill. E in più, se il negoziato dovesse andare a vuoto, “questo approccio ricalibrato massimizza la nostra capacità di fornire la risposta più ferma e proporzionata possibile ai dazi americani”.

Se va in tilt l’auto in Cina e trequarti dei produttori rischiano la scomparsa

Il settore cinese dei veicoli a nuova energia è coinvolto in una feroce guerra dei prezzi che, secondo gli esperti, porterà a una brutale “gara di eliminazione” che durerà tre anni. In questo scenario, è improbabile che più di tre quarti delle aziende sopravvivano, come evidenziato in un’analisi pubblicata dal ‘South China Morning Post’.

La rapida evoluzione del mercato delle auto elettriche in Cina è ormai una realtà consolidata, con un numero di produttori che si è drasticamente ridotto. Verso la fine del decennio 2010, più di 400 produttori operavano nel paese, ma oggi quella cifra è scesa a circa 40, e la tendenza alla riduzione sembra destinata a proseguire. “Ce n’è uno che va offline ogni due mesi”, ha dichiarato He Xiaopeng, fondatore e Ceo di Xpeng Motors, uno dei principali produttori di auto elettriche cinesi. Questa continua onda di fusioni e acquisizioni, che sta riducendo il panorama competitivo, è descritta come un fenomeno estremamente rapido.

Solo negli ultimi due anni, importanti marchi come WM Motor e HiPhi hanno dichiarato bancarotta, mentre altri, come Jiyue, supportato da Baidu, sono stati costretti a ridimensionare le loro attività. Secondo He, l’ondata di chiusure continuerà per molti anni, e “probabilmente sopravviveranno meno di sette marchi”. La pressione sulla concorrenza del settore è tale che, durante l’incontro annuale delle “due sessioni” a Pechino, il premier Li Qiang ha annunciato l’intenzione del governo cinese di avviare una “repressione completa” del neijuan, il termine che descrive la concorrenza eccessiva e dannosa tra le aziende.

Il nuovo settore energetico cinese, che include produttori di auto elettriche e pannelli solari, è visto come una delle principali vittime di questa spirale competitiva, con molte aziende costrette a vendere a prezzi insostenibili per sopravvivere. Li Changdong, Ceo dell’azienda Guangdong Brunp Recycling Technology, ha cercato di minimizzare la situazione, sottolineando che l’eccessiva concorrenza è un problema temporaneo. “È come un problema localizzato che si vede nei primi 100 o 200 metri di una maratona”, ha dichiarato Li, prevedendo che la domanda nel settore crescerà in modo significativo nei prossimi cinque o dieci anni. Ma per far fronte alle difficoltà nei prossimi anni – si legge nell’analisi del ‘South China Morning Post’ – le aziende di veicoli elettrici cinesi dovranno concentrarsi sull’innovazione tecnologica e sulla globalizzazione.

Il settore dovrà cercare di adattarsi a una mentalità a lungo termine, puntando alla qualità e alla tecnologia piuttosto che alla competizione sui prezzi. “Se nell’ultimo decennio il tasso di penetrazione dei nuovi veicoli energetici in Cina è cresciuto dallo 0,5% a oltre il 50%, credo che nel prossimo decennio il tasso di adozione dei veicoli alimentati dall’intelligenza artificiale aumenterà dall’attuale meno del 5% a una cifra compresa tra il 50 e il 90%”, hanno dichiarato gli esperti del settore.

Tuttavia, le sfide non mancano, soprattutto a livello internazionale. I veicoli elettrici cinesi stanno affrontando crescenti barriere commerciali, in particolare in Occidente, dove i politici accusano la Cina di esportare la sua sovracapacità industriale e di danneggiare i settori manifatturieri locali. L’Unione Europea ha imposto dazi fino al 35,3% sulle auto elettriche cinesi, mentre Stati Uniti e Canada hanno raddoppiato i dazi del 100%. “Non ci preoccupa la presenza di dazi”, ha commentato He Xiaopeng. “Piuttosto, ci preoccupa l’assenza di politiche o rapidi cambiamenti improvvisi… Finché le politiche tariffarie saranno stabili e prevedibili, avremo la capacità di affrontare queste sfide attraverso la tecnologia e il miglioramento della qualità”. Infatti, nonostante le difficoltà, Xpeng Motors potrebbe espandere la sua presenza nei mercati occidentali, con He che ha affermato che l’azienda potrebbe annunciare il suo primo sito di produzione all’estero entro la fine dell’anno.

Auto, Urso: “Riconvertire su difesa e Spazio”. No di Fiom, ma Fim apre

Riconvertire e diversificare: sono le parole chiave del governo per il futuro dell’automotive. A ribadire il concetto è Adolfo Urso, nella riunione con sindacati e attori del comparto al Mimit: “Siamo un governo responsabile: il nostro obiettivo è mettere in sicurezza le imprese e tutelare i lavoratori. Per questo incentiviamo le aziende della filiera automotive a diversificare e riconvertire le proprie attività verso settori ad alto potenziale di crescita, come la difesa, l’aerospazio, la blue economy e la cybersicurezza”, dice il ministro delle Imprese e del Made in Italy.

La riflessione parte dal dato di fatto che si tratta di due settori “in forte espansione e ad alta redditività”, che potrebbero “salvaguardare e valorizzare le competenze dei lavoratori, mettendo a frutto le loro capacità tecniche e il capitale umano già formato”. Da tempo nell’esecutivo si è fatta largo l’idea che la crisi dell’automotive debba essere risolta con soluzioni differenti dal solito ricorso a incentivi (“non rinnoveremo più l’Ecobonus, inefficace su scala nazionale”) e ammortizzatori sociali. Non proprio una ‘rivoluzione’, ma comunque un orientamento che segua di più gli andamenti del mercato.

Urso annuncia, poi, che insedierà un tavolo specifico con le imprese e le Regioniper governare la transizione e, quindi, anche la necessaria riconversione industriale verso i comparti in maggiore crescita su cui abbiamo anche campioni nazionali ed europei che possono contribuire a sviluppare le filiere produttive”.

La proposta divide i sindacati, tra chi si dice contrario, come la Fiom, e chi invece concede un’apertura di credito, come la Fim. “E’ evidente che la riconversione dell’automotive va fatta nell’automotive, non prendiamo in considerazione e non vogliamo aprire una discussione rispetto al fatto di passare dal green al militare”, risponde Samuele Lodi, della segreteria nazionale dei metalmeccanici Cgil. Ritenendo questa scelta del governo “assolutamente assurda, sia da un punto di vista etico che industriale e occupazionale”. Di tutt’altro avviso Ferdinando Uliano: “ Ci sono alcuni aspetti da cogliere rispetto a un settore che sta crescendo, come quello di aerospazio e difesa. Non crediamo che ci siano operazioni di compensazione, cioè di chiudere le fabbriche dell’Auto per fare operazioni militari. Pensiamo che si debba cogliere quelle opportunità”, sostiene il segretario generale della Fim Cisl. Punta su altri obiettivi la Uilm, che pur apprezzando “l’interessamento costruttivo” dell’esecutivo, nota “purtroppo che restano inevasi i due problemi fondamentali: la necessità di abbassare un costo abnorme della energia e l’urgenza di riformare un sistema degli ammortizzatori sociali che oggi offre poche tutele ai lavoratori ma pesa con forti oneri sulle aziende”.  Non solo, per il segretario nazionale, Gianluca Ficco, servono anche “forme di riqualificazione professionale e sostegno al reddito”.

Al tavolo automotive si è discusso anche di Europa, o meglio del percorso che il Vecchio continente dovrà seguire per non accelerare la crisi del settore. “L’Italia guida il fronte delle riforme in Europa”, rivendica Urso ricordando che il non paper presentato a Bruxelles “ha costretto la Commissione a inserire nel Piano d’azione il rinvio delle sanzioni previste per il 2025 e l’anticipo alla seconda metà di quest’anno della revisione del regolamento sui veicoli leggeri”. E sulla sfida europea il ministro può contare sull’Anfia che conferma la “piena sintonia col Mimit sulle azioni da proseguire per dare un’attuazione a un piano che vada realmente e concretamente nella direzione di supportare la filiera automotive europea”. Sulla scorta di questi passaggi, Urso indica come priorità “il sostegno alla componentistica”, con un intervento “a supporto della filiera, indirizzando risorse per 2,5 miliardi di euro nel triennio 2025-27, e solo per il 2025 1,6 miliardi di euro, tra accordi per l’innovazione, contratti e mini-contratti di sviluppo e credito d’imposta” oltre ai 100 milioni “per interventi mirati sulla domanda, non di autovetture, che concorderemo direttamente” con le aziende dell’indotto.

Nella riunione a Palazzo Piacentini, ovviamente, c’è spazio anche per discutere di Stellantis. Il ministro delle Imprese ribadisce che l’azienda ha “cambiato rotta” ma allo stesso tempo si aspetta che ci sia una velocizzazione sugli investimenti. Anche se, per Fiom, “Sono necessarie risorse private perché i 2 miliardi annunciati da Stellantis per il 2025 evidentemente non bastano. E servono anche risorse pubbliche, che devono essere condizionate alla tutela occupazionale”. Domande che potrebbero anche trovare spazio nell’audizione che il presidente del Gruppo, John Elkann, terrà mercoledì 19 marzo, alle 14.30, davanti alle commissioni congiunte Industria e agricoltura del Senato e Attività produttive della Camera. Uno degli appuntamenti cerchiati in rosso nell’agenda politica italiana.

costa rica - batterie -

Tesla contro Byd: ricercatori smontano le batterie per scoprirne i segreti

Sono due i principali produttori che dominano il mercato dei veicoli elettrici: Tesla, che è più popolare in Europa e Nord America, e BYD, che è leader in Cina. Tuttavia, entrambi hanno sempre rilasciato dati limitati sulle loro batterie, quindi la struttura meccanica e le caratteristiche delle celle sono rimaste un mistero. Ma un team di ricercatori ha deciso di smontarle, per conoscere più da vicino il loro funzionamento. I risultati, pubblicati il 6 marzo sulla rivista Cell Reports Physical Science di Cell Press, mostrano che le batterie Tesla danno priorità all’alta densità energetica e alle prestazioni, mentre quelle BYD all’efficienza del volume e ai materiali a basso costo. Nel complesso, lo studio ha rivelato che la batteria BYD è più efficiente perché consente una più facile gestione termica.

“I dati e le analisi approfondite disponibili sulle batterie all’avanguardia per le applicazioni automobilistiche sono molto limitati”, spiega Jonas Gorsch, ricercatore presso il dipartimento di ingegneria della produzione di componenti per la mobilità elettrica dell’Università RWTH di Aquisgrana in Germania e autore principale dello studio.

Per risolvere questo problema, i ricercatori hanno esaminato la batteria Tesla, la cella Tesla 4680, e la batteria BYD, la cella BYD Blade, concentrandosi sul design specifico e sulle caratteristiche prestazionali di ciascuna. Hanno valutato i design meccanici e le dimensioni delle celle, le esatte composizioni dei materiali dei loro elettrodi e le prestazioni elettriche e termiche. Hanno anche dedotto i processi utilizzati per assemblarle e i costi dei materiali utilizzati per realizzarle. “Siamo rimasti sorpresi di non trovare traccia di silicio negli anodi di nessuna delle due celle, specialmente nella cella di Tesla, poiché il silicio è ampiamente considerato nella ricerca come un materiale chiave per aumentare la densità energetica”, dice Gorsch.

Il team ha scoperto che i due tipi di batterie presentavano differenze significative nella velocità di carica (o scarica) rispetto alla loro capacità massima. Ma hanno anche mostrato somiglianze inaspettate: entrambe utilizzano un modo insolito di collegare i loro sottili fogli di elettrodo, cioè con la saldatura laser invece della saldatura a ultrasuoni, utilizzata da molti altri nel settore. Inoltre, sebbene la cella BYD sia molto più grande di quella Tesla, la frazione dei componenti passivi della cella, come i collettori di corrente, l’alloggiamento e le sbarre collettrici, è simile.

I risultati di questo studio mettono in luce come la batteria di Tesla, la cella 4680, e quella di BYD, la cella Blade, adottino due approcci progettuali “altamente innovativi” ma “fondamentalmente diversi”, afferma Gorsch. Sono necessari ulteriori studi per determinare l’impatto delle scelte progettuali meccaniche delle celle sulle prestazioni degli elettrodi nelle batterie dei veicoli elettrici, nonché la durata delle celle Tesla e BYD.

Auto elettrica

Elettriche, flessibilità sulle multe e revisione emissioni Co2: l’Ue svela il Piano Auto

Innovazione e digitalizzazione, mobilità pulita, competitività e resilienza della catena di fornitura, competenze, parità di condizioni. Sono i punti del Piano d’azione della Commissione europea per l’automotive scaturito dalle 5 settimane di Dialogo strategico di Bruxelles col settore.

Di fatto, la Commissione conferma le anticipazioni di lunedì della presidente Ursula von der Leyen sulla flessibilità sulle multe per il 2025 e sulla neutralità tecnologica e, poi, cala l’asso annunciando, come auspicato dall’Italia, di anticipare dal 2026 alla seconda parte del 2025 la revisione del regolamento sulle emissioni di Co2. Il cambiamento di tempi, però, non toccherà lo stop per il 2035 alle immatricolazioni di auto a motore endotermico. “Ci atteniamo ai target”, ma “valuteremo la possibilità di nuove o altre tecnologie” perché “per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2035 avremmo bisogno di un approccio tecnologicamente neutro“, ha dichiarato in conferenza stampa il commissario Ue ai Trasporti, Apostolos Tzitzikostas, che ha redatto il Piano d’azione.

Dunque, nella revisione “saranno presi in considerazione gli e-fuels”, come già annunciato, ma esamineranno “altre tecnologie” considerate utili ad arrivare agli obiettivi del 2035. E, con il principio della neutralità tecnologica, si riapre la partita per i biofuels cari all’Italia. Il Piano Ue per l’automotive stabilisce “iniziative di punta in cinque aree rivoluzionarie“, per Tzitzikostas, e l’Unione ha “i fondi per trasformare l’ambizione in realtà“.

Ed ecco le cifre: alle tecnologie e alla mobilità pulite fino a 50 miliardi di euro nell’ambito di InvestEu; alla produzione di batterie 1,8 miliardi di euro dal Fondo per l’innovazione; per veicoli e batterie connessi e autonomi 1 miliardo di euro da Horizon Europe; a punti di ricarica, con focus sui camion 570 milioni di euro nell’ambito dell’Alternative Fuels Infrastructure Facility. E ci saranno poi finanziamenti per lo sviluppo delle competenze, inclusi 90 milioni di euro da Erasmus+ per la formazione della forza lavoro, e finanziamenti aggiuntivi per le Pmi.

Più nel dettaglio, sull’innovazione e alla digitalizzazione, il Piano lancia una Alleanza europea per i veicoli connessi e autonomi, che riunirà gli stakeholder automobilistici europei per sviluppare i veicoli di prossima generazione e contribuire a sviluppare il software condiviso e l’hardware digitale necessari. Sulla mobilità pulita, Bruxelles introduce – oltre all’anticipo a fine 2025 della revisione – la flessibilità sulle multe per il mancato raggiungimento degli obiettivi di Co2 del 2025, permettendo ai produttori di conformarsi calcolando la media delle loro prestazioni su un periodo di tre anni (2025-2027) e non più su uno. Sul fronte della domanda, la Commissione punta ad incoraggiare gli Stati membri a intraprendere azioni per rendere più ecologiche le vetture aziendali (pari al 60% delle nuove immatricolazioni) e prevede incentivi ai consumatori: agevolazioni fiscali, regole per taxi e servizi di car-sharing, azioni per le società di autonoleggio, programmi di leasing sociale e un’installazione più rapida di punti di ricarica. Infine, su competitività e resilienza della catena di fornitura, Bruxelles vuole concentrarsi sulle batterie – “L’Europa ha bisogno di una propria fornitura“, ha affermato Tzitzikostas – e valuta dei requisiti “europei” per batterie e componenti venduti nel vecchio continente. Sul fronte del lavoro, un Osservatorio per una transizione equa seguirà le tendenze occupazionali, mentre sulla dimensione internazionale, l’Ue continuerà “a perseguire accordi di libero scambio e partnership“.

auto elettrica

Eurelectric: “Sfruttare la flessibilità delle auto elettriche per risparmiare denaro e ottimizzare la rete”

Dai 450 a quasi 3mila euro di risparmi annui grazie alla ricarica intelligente e bidirezionale, che permette cioè di  immagazzinare l’elettricità in eccesso e, con le tecnologie vehicle-to-grid (V2G), di rivenderla alla rete. E’ quanto emerge dal nuovo studio di Eurelectric-EY, presentato in occasione di E-Vision, l’evento annuale che mette in contatto politica e mondo dei trasporti e dell’energia. Questo sistema può contribuire  a bilanciare la rete elettrica, ridurre la congestione e integrare le fonti rinnovabili variabili. Tuttavia, i consumatori non hanno chiari incentivi economici per fornire questo servizio. Per sfruttare questo potenziale sono necessari chiari segnali di prezzo, un migliore accesso ai mercati flessibili e dati interoperabili in tutto l’ecosistema della mobilità elettrica.

Il fabbisogno di flessibilità è destinato a raddoppiare nei prossimi cinque anni in Europa, con l’ingresso di un numero maggiore di fonti rinnovabili nel sistema e l’elettrificazione dei settori di utilizzo finale. Lo studio stima che le batterie dei veicoli elettrici potrebbero fornire circa 114 TWh di capacità entro il 2030, sufficienti per alimentare 30 milioni di case ogni anno, pari a circa il 4 per cento della domanda di energia annuale prevista in Europa. Tuttavia, questo potenziale rimane in gran parte inutilizzato.

“Le auto elettriche sono divertenti da guidare. Il nostro studio dimostra che possono aiutare i conducenti di veicoli elettrici a guadagnare stabilizzando il sistema energetico, mai clienti hanno bisogno di scelta nel mercato e di chiari incentivi ad agire”, ha dichiarato il segretario generale di Eurelectric, Kristian Ruby.

Le vendite di veicoli elettrici hanno superato la fase dei primi acquirenti e ora devono convincere i consumatori tradizionali. Tuttavia, gli elevati costi iniziali rimangono il principale ostacolo all’adozione dei veicoli elettrici, che sono leggermente diminuiti di anno in anno nel 2024, mentre sono già in ripresa nel 2025. Tuttavia, fornendo flessibilità, i consumatori potrebbero beneficiare di costi di gestione molto più bassi, portando il costo totale di proprietà dei veicoli elettrici al di sotto di quello delle auto convenzionali.

La disponibilità di ricarica è un’altra fonte di preoccupazione. I caricatori pubblici sono aumentati del 30 per cento nel 2024, raggiungendo più di 820.000 unità, ma devono crescere ancora più velocemente per raggiungere l’obiettivo di 3,5 milioni della Commissione entro il 2030. Ciò significa installare 8.600 caricatori a settimana.

“Affinché i consumatori possano svolgere un ruolo attivo nella flessibilità, l’intero ecosistema della mobilità elettrica deve aiutarli a considerare i veicoli elettrici come qualcosa di più di un semplice mezzo per spostarsi da un punto A a un punto B. Proposte di ricarica intelligente facili da usare con chiari vantaggi in termini di costi sono fondamentali per il coinvolgimento e l’adozione da parte dei consumatori”, ha aggiunto Serge Colle, Global Power & Utilities Sector Leader di EY.

Per quanto riguarda la rete, i gestori dei sistemi di distribuzione (DSO) potrebbero beneficiare di un risparmio previsto di 4 miliardi di euro all’anno, poiché una maggiore flessibilità riduce parzialmente la necessità di espandere le infrastrutture. Tuttavia, ciò può avere successo solo se i DSO possono utilizzare il monitoraggio digitale in tempo reale e avere accesso a dati interoperabili senza costi, come previsto dalla legge UE sui veicoli, ancora da attuare. “Trasformiamo il potenziale in energia”, è l’auspicio di Euroelectric.

 

Vavassori (Anfia): “Trattare per dazi reciproci Usa-Ue, Italia può avere ruolo importante”

Nella prima riunione del suo gabinetto alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato che i prodotti europei saranno soggetti a dazi doganali del 25% “a breve”. “Abbiamo preso la decisione e la annunceremo presto, sarà del 25%”, ha spiegato Trump, ovvero il livello al quale anche i prodotti canadesi e messicani dovrebbero essere tassati a partire dall’inizio di aprile. Nel mirino ci sono soprattutto le auto. Nell’Unione Europea “non accettano le nostre auto”, ha spiegato. Ma quale sarà l’impatto?

In una intervista a GEA, Roberto Vavassori, presidente di Anfia, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, non dà numeri, ma evidenzia subito che “ha fatto bene il Commissario Ue per l’Economia, Valdis Dombrovskis, ad andare a Washington qualche settimana fa per proporre di ridurre reciprocamente i dazi. Oggi dagli Usa il principale esportatore di autoveicoli non è un americano, ma Bwm. E’ chiaro che nella globalizzazione i produttori e la componentistica si sono posizionati in varie parti del mondo per servire certi mercati… quindi l’idea di fondo non dovrebbe essere portare i dazi al 25%, che non avrebbe senso, ma di portare dal 10% attuale il dazio sui veicoli importati dagli Usa al 2,5%, che è la tassa che si paga dall’Europa per esportare in America”.

Si può trattare dunque?
“Quelli di Trump non sono come i dazi europei verso la Cina, perequativi per rispondere a sussidi sbilanciati, e non sono nemmeno i dazi di Biden del 102% sulle auto cinesi. Quelli di Trump sono di un terzo tipo: dazi invocati su certi settori per invocarne altri. Bisogna però stare attenti, lo dico per Trump: se alla fine invochi troppe volte la parola dazi senza poi procedere, i risultati potrebbero non essere quelli desiderati. Fu così all’inizio con Canada e Messico, dopo la revisione del Nafta che non ha cambiato i giochi, anzi il Messico è diventato più importante.

Qual è la capacità produttiva americana?
“Gli Usa producono solo 5 milioni di auto, poi altri 5 milioni vengono realizzati tra Canada e Messico. Il resto è importato a vario titolo”.

La mossa di Trump potrebbe spingere ad aumentare la produzione Usa a scapito di quella europea?
“Questo è il tema strategico a cui guardare. Trump sta cercando di attirare produzione, ricerca e filiere, penso alla chimica e alla farmaceutica, promettendo energia a basso costo e promettendo basse imposte. Su questi temi la Ue deve essere vigile. Dobbiamo essere consapevoli che una fabbrica che chiude qua non riaprirà mai più, se non in Asia o negli Usa. Questo è il rischio che noi europei dobbiamo sventare. Che poi andare a produrre negli Usa non è facile: lo shale gas non è eterno, la manodopera scarseggia, mancano truck driver nella logistica nonostante siano pagati 110 mila dollari all’anno”.

La risposta italiana ed europea allora quale dovrebbe essere alla minaccia di dazi?
“Se la nostra premier ha il compito di fare da elemento di congiunzione e ricucitura, ruolo storico dell’Italia, lasciamo pure agli altri Paesi altri ruoli, ma serve una strategia a carte coperte. E poi serve il coraggio di metterci in piedi noi. Tu Trump ci minacci? Noi rispondiamo con fatti concreti. Anche perché siamo un mercato di 400 milioni di consumatori. Terza risposta: mentre mostriamo i muscoli dovremo cercare il calumet della pace e di sotterrare l’ascia di guerra”.

Intanto però il mercato italiano è in contrazione, non solo nell’elettrico: quali soluzioni deve prendere il governo e la Ue per ripartire?
“C’è una domanda stagnante in Europa e in Italia, un 20% in meno rispetto al pre-Covid che forse non tornerà più. Quindi siamo in presenza di una sovracapacità europea che va adeguata. Mi spiego: dobbiamo convivere con costi elevati, energetici e non solo, una competizione cinese arrembante che stiamo cercando di addomesticare. Poi la regolamentazione e ora i dazi. Il tema è come mantenere vitale un settore fondamentale in Europa. Ecco, serve un piano europeo privato che svegli i capitali dormienti nei conti corrente, come dice Draghi, che investano nella ripresa. E’ una necessità”.

Dazi Usa da una parte e auto cinesi low cost dall’altra: la transizione verso l’elettrico finirà in crisi?
“La dobbiamo rimodulare. Anche la politica europea ha capito che la nostra industria sta in piedi se vendiamo 17-18 milioni con i rispettivi componenti, elettrici o ibridi. Va disegnata la transizione con questo livello di vendite in testa. Anche guardandoci in casa. Nei prossimi 10 anni dovremo mettere mano, con l’aiuto di soldi pubblici, per rinnovare il parco circolante. L’età media delle auto è di 12,5 anni nella Ue… se vogliamo decarbonizzare dobbiamo partire cambiando, con sussidi calibrati a livello europeo, il nostro parco circolante vecchiotto, poco sicuro e inquinante. Questo aiuterebbe l’industria e la componentistica ad andare avanti. La Cina ci ha tagliato fuori alcuni mercati di sbocco importanti, passando da 1 a 5 milioni di veicoli esportati. Serve una european way”.

In poche parole, che percorso avrebbe l’european way che dice lei?
“In sostanza va finanziata la ricerca per trovare un modello europeo di elettrificazione. Nel giro di una o due generazioni di auto il 90% del lavoro sarà fatto, passando per ibrido plug-in a modelli range extender evoluti”.