Il buco dell’ozono si sta chiudendo grazie alla riduzione dei gas Cfc

Procede “a ritmo sostenuto” la chiusura del buco dell’ozono grazie alla drastica riduzione dei gas Cfc, cioè i clorofluorocarburi. Lo rivela un nuovo studio condotto dal Mit (Massachusetts Institute of Technology) e pubblicato su Nature, secondo il quale “possiamo davvero risolvere questo problema ambientale”.

L’autrice della ricerca è Susan Solomon. All’interno della stratosfera terrestre, l’ozono è un gas presente in natura che agisce come una sorta di crema solare, proteggendo il pianeta dalle dannose radiazioni ultraviolette del sole. Nel 1985, gli scienziati scoprirono un “buco” nello strato di ozono sopra l’Antartide che si apriva durante la primavera australe, tra settembre e dicembre. Questo impoverimento stagionale permetteva improvvisamente ai raggi UV di filtrare fino alla superficie, provocando cancro della pelle e altri effetti negativi sulla salute.

Nel 1986, Solomon, che allora lavorava presso la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), guidò delle spedizioni in Antartide, dove lei e i suoi colleghi raccolsero prove che confermarono rapidamente la causa del buco dell’ozono: i clorofluorocarburi, o CFC, sostanze chimiche che allora venivano utilizzate nella refrigerazione, nell’aria condizionata, nell’isolamento e nei propellenti aerosol. Quando i CFC si spostano verso la stratosfera, possono distruggere l’ozono in determinate condizioni stagionali.

L’anno successivo, queste rivelazioni portarono alla stesura del Protocollo di Montreal, un trattato internazionale che mirava a eliminare gradualmente la produzione di CFC e di altre sostanze che riducono lo strato di ozono, nella speranza di riparare il buco dell’ozono. Nel 2016, Solomon ha condotto uno studio che ha riportato i principali segni di recupero: il buco dell’ozono sembrava ridursi ogni anno, soprattutto a settembre, il periodo in cui di solito si apre. Tuttavia, queste osservazioni erano di tipo qualitativo e mostravano grandi incertezze su quanto di questo recupero fosse dovuto a sforzi per ridurre le sostanze che impoveriscono l’ozono o se il restringimento del buco fosse il risultato di altre “forze”, come la variabilità meteorologica di anno in anno dovuta a El Niño, La Niña e al vortice polare.

Nel nuovo studio, il team del Mit ha adottato un approccio differente e, dopo 15 anni di osservazioni, ha scoperto che il recupero è stato dovuto proprio alla drastica riduzione dei clorofluorocarburi. Per farlo hanno utilizzato un metodo chiamato noto come “fingerprinting”, sperimentato per la prima volta da Klaus Hasselmann, Premio Nobel per la Fisica nel 2021. Il sistema isola l’influenza di specifici fattori climatici, a parte il ‘rumore’ meteorologico e gli autori dello studio lo hanno utilizzato per identificare un altro segnale antropogenico: l’effetto della riduzione da parte dell’uomo delle sostanze che impoveriscono l’ozono sul recupero del buco dell’ozono.

Pichetto: “Con questi prezzi servirà intervento su gas. Nucleare per far fronte a domanda”

Con i prezzi del gas alle stelle e l’aumento della domanda di elettricità che richiede lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, il tema energia continua a tenere banco nel governo. La strategia è orientarsi su un mix che punti all’autoproduzione, investendo intanto sul nucleare, l’unica tecnologia che, secondo il ministro Gilberto Pichetto, potrà garantirci di far fronte alle esigenze del Paese.

Intanto, però, Mase e Mef ragionano in sinergia sui costi del gas, fa sapere Pichetto, ricordando l’energy release adottato per i grandi energivori. “E’ chiaro che se tenesse questi livelli dovremo intervenire anche sul prezzo complessivo che riguarda tutti, imprese e utenze domestiche“, avverte.

Federconsumatori ha stimato aumenti nel 2025 per 1.000 euro in più a famiglia, e secondo la Cgia di Mestre le imprese italiane dovranno sostenere spese energetiche supplementari per 13,7 miliardi.

Secondo le previsioni, la domanda “esploderà nei prossimi anni”, osserva il ministro, che citando gli analisti prospetta un raddoppio nei prossimi 20 anni. “Dobbiamo andare verso la neutralità, con emissioni zero al 2050, ma per fare questo non possiamo basarci solo sulla produzione di energie neutre odierne”, sottolinea Pichetto. Con l’idroelettrico, il geotermico, il fotovoltaico, l’eolico e l’idrogeno, infatti, non si riuscirebbe secondo il ministro ad avere la continuità necessaria. “Servirà una quota di nuovo nucleare”, insiste.

Sullo strumento da utilizzare, il titolare del dicastero di via Cristoforo Colombo non si sbilancia. Ma, gli fa eco il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti, “se non ci muoviamo per rompere il muro del sospetto rispetto ad alcune tecnologie continueremo a essere dipendenti da Paesi terzi”.

Il copresidente del Gruppo Ecr al Parlamento europeo, Nicola Procaccini, guarda alla fusione, una fonte che “sprigiona un fascino che travolge”, scandisce, intervenendo a un convegno di Fratelli d’Italia su ambiente ed energia, organizzato in Senato. Una “grande prospettiva” anche per il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, che precisa: “Se riusciamo a essere competitivi sulla fissione bene, ma dobbiamo puntare a essere l’avanguardia planetaria della fusione, piuttosto che la retroguardia della fissione”.

Fissione o fusione, resta il nodo costi. “Non c’è energia che non sia integrata a tariffa in Italia”, spiega Pichetto. In questo momento, infatti, lo Stato interviene su tutte le fonti, dal termoelettrico all’eolico, al fotovoltaico, all’idroelettrico e al geotermico. Quando si arriverà a poter utilizzare l’atomo, “si valuterà di quanto integrare”, sostiene, parlando di parificazione nelle stesse modalità delle altre fonti, “per creare il maggior vantaggio possibile al Paese”.

Una prospettiva che non piace alle opposizioni. Pichetto “conferma che il nucleare lo pagheranno gli italiani con l’aumento del costo delle bollette”, mette in guardia il co-portavoce di Europa Verde, Angelo Bonelli. “Hanno ammazzato le rinnovabili, condannando l’Italia alla dipendenza dal gas e al caro bollette – denuncia -. Il risultato? Oltre 60 miliardi di extraprofitti per le grandi società energetiche in due anni e mezzo, una rapina sociale ai danni di famiglie e imprese”.

“Forse il ministro Fratin fino a oggi ha vissuto sulla Luna”, concordano le deputate M5S Emma Pavanelli e Ilaria Fontana, per le quali “sentire da un esponente di governo che, se il prezzo del gas non scende, si dovrà intervenire significa ammettere che fino a ora non hanno fatto nulla”. Per le pentastellate, “servono proposte concrete, come quelle che il Movimento 5 Stelle ha presentato con una mozione alla Camera, invece di parlare di un nucleare che ancora non esiste e di una tecnologia che va avanti a colpi di ricerca e sperimentazione”.

Petrolio, gas, difesa e commercio: ecco perché l’Artico fa gola al mondo

Il ghiaccio marino si scioglie e la voglia di Artico esplode. L’America di Donald Trump, i Paesi nordici, la Russia di Vladimir Putin e anche la Cina sono impegnati in una competizione per l’influenza su questo territorio, mentre si rivela il potenziale economico e il valore strategico della regione polare. “Si dice che l’Artico nel suo complesso contenga il 25% delle riserve mondiali non scoperte di idrocarburi convenzionali”, spiega Mikaa Blugeon-Mered, docente di geopolitica a Sciences Po, riferendosi a un rapporto del Servizio geologico statunitense (USGS). Ed è, quindi, facile intuire il perché delle ambizioni geopolitiche ed economiche sul territorio da parte del resto del mondo.

Il riscaldamento globale sta causando un rapido scioglimento dei ghiacci polari nell’Artico, che sta stimolando l’attività economica, compreso il turismo, nonostante l’ambiente inospitale. Secondo l’osservatorio Copernicus, l’Artico europeo è la regione che si riscalda più rapidamente al mondo.

I Paesi confinanti cercano di accedere al petrolio, al gas e ai minerali che abbondano sotto la superficie, oltre che alle vaste riserve ittiche della zona. Per quanto riguarda il Passaggio a Nord-Est, una rotta marittima al largo delle coste della Siberia che è diventata gradualmente praticabile a causa del riscaldamento globale, promette di far risparmiare tempo – da una a due settimane – e carburante per collegare l’Europa e l’Asia rispetto alla rotta tradizionale attraverso il Canale di Suez.

Ma l’Artico ha anche implicazioni militari. “Da un punto di vista geopolitico, la regione è centrale. Per gli aerei e i missili, la via più breve tra (…) la Russia e gli Stati Uniti passa attraverso l’Oceano Artico. È anche un’area dove ci sono molti sottomarini che pattugliano e dove i russi hanno le loro più grandi basi militari”, spiega Njord Wegge, professore dell’Accademia militare norvegese.

Una “linea di faglia” che sta stuzzicando l’appetito del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il quale ha espresso a gran voce il suo progetto di annettere l’enorme isola artica della Groenlandia. Sabato ha promesso che gli Stati Uniti “prenderanno” il territorio autonomo danese. Come, però, non è ancora chiaro.

La fine della Guerra Fredda ha inaugurato un’era di cooperazione tra gli otto Stati costieri: Norvegia, Danimarca (attraverso il territorio autonomo della Groenlandia), Svezia, Finlandia, Russia, Stati Uniti, Canada e Islanda. Ma il Consiglio Artico, che riunisce questi Paesi dal 1996, ha perso la sua capacità di azione, soprattutto dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022.

“La linea di demarcazione è di tipo militare, poiché sette degli otto Paesi della regione artica sono membri della NATO”, sottolinea Blugeon-Mered. Oltre il 50% delle coste artiche è russo e Mosca sfrutta l’area da decenni. Secondo una raccolta di dati compilata da questo ricercatore, oltre l’80% del gas russo e il 60% del petrolio sono prodotti nell’Artico. Per Max Bergmann, del think tank americano CSIS, è la Russia a rappresentare la più grande minaccia per gli Stati Uniti. “La minaccia è rappresentata dalla continua militarizzazione dell’Artico da parte della Russia e dalla nostra scarsa presenza”, dice l’esperto. Tuttavia, il ricercatore non approva l’espansionismo di Donald Trump, che considera “inutile”. A suo avviso, “prendere la Groenlandia (…) sovrastima la minaccia alla sicurezza nazionale”. “L’unico motivo per possedere la Groenlandia sarebbe quello di avere accesso a minerali” come le terre rare utilizzate nella transizione energetica e presenti in grandi quantità sull’isola danese, ritiene, ma il presidente “ha firmato decreti per fermare la transizione”.

L’Unione europea non è indifferente ai piani di Trump per la Groenlandia. Diversi leader hanno espresso le loro preoccupazioni negli ultimi giorni. Ad aggravare le tensioni regionali, la Cina, un altro attore importante ma non rivierasco nell’Artico, sta avanzando la sua posizione nella regione. “I russi non hanno altra scelta che collaborare con la Cina (…) il principale acquirente a lungo termine delle risorse dell’Artico russo”, analizza Blugeon-Mered, riferendosi alle perdite commerciali di Mosca in Europa dall’inizio della guerra in Ucraina.

Washington non vede di buon occhio il crescente potere di Pechino nell’Artico. A luglio, il Pentagono ha messo in guardia contro una maggiore cooperazione sino-russa nella regione. Mentre la Russia ha rafforzato la sua presenza militare nell’Artico riaprendo e modernizzando diverse basi e campi d’aviazione abbandonati dalla fine dell’era sovietica, la Cina ha iniettato fondi nell’esplorazione e nella ricerca polare. “Mentre i russi cedono spazio alla Cina, la Cina penetra di fatto. E per gli americani, siano essi repubblicani o gran parte dei democratici, questo è percepito come un rischio”, spiega Blugeon-Mered.

Effetto Trump su petrolio e Gnl: il greggio cala, il gas ritorna a 50 euro

Il giorno il giuramento di Trump e il giorno dopo le promesse del neo presidente degli Stati Uniti su petrolio e gas – “trivelleremo, baby, trivelleremo” e “esporteremo il nostro gas in tutto il mondo” – i mercati navigano a vista. Greggio e gas prendono direzioni opposte, ma il sottofondo non è dei più accomodanti. C’è come la sensazione che tutto possa succedere.

I contratti futures sul petrolio Brent hanno registrato oscillazioni intorno ai 79 dollari al barile, in calo dell’1% dopo la discesa di ieri, a seguito dell’annuncio di Trump riguardo l’intenzione di aumentare la produzione di petrolio e gas negli Stati Uniti, dichiarando un’emergenza nazionale. Un’importante misura proposta da Trump prevede l’introduzione di tariffe del 25% sulle importazioni provenienti da Canada e Messico, che entreranno in vigore il 1° febbraio. Questa proposta ha contribuito a smorzare le aspettative di un rallentamento nelle politiche commerciali, ma la decisione di rimandare l’introduzione di imposte sulle importazioni cinesi ha mantenuto i mercati in un’incertezza relativa. Oltre alle tariffe commerciali, gli investitori seguono con attenzione anche la possibilità che l’amministrazione Trump imponga nuove sanzioni contro importanti esportatori di petrolio come Russia, Iran e Venezuela. Parallelamente, comunque, un calo del rischio geopolitico ha contribuito a contenere le oscillazioni dei prezzi, soprattutto dopo il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, che ha portato a un accordo sul rilascio degli ostaggi.

Sul fronte del gas naturale, i prezzi in Europa sono tornati con un balzo di quasi il 3% fino a 50 euro per megawattora. I flussi di gas naturale russo attraverso l’Ucraina sono stati interrotti all’inizio dell’anno, dopo che i due governi non sono riusciti a raggiungere un accordo, ma sebbene l’International Energy Agency abbia osservato che questa interruzione non rappresenti un rischio immediato per la sicurezza dell’approvvigionamento dell’Ue, si prevede un aumento delle importazioni di Gnl in Europa, con stime che indicano un incremento di oltre il 15% nel 2025. Attualmente, i livelli di stoccaggio del gas dell’Ue si aggirano intorno al 60% della capacità totale, con gli esperti che suggeriscono che la situazione potrebbe comportare una maggiore dipendenza dalle importazioni di Gnl nei prossimi anni. Anche perché, come ha riportato Bloomberg, Trump ha invitato l’Europa ad acquistare il suo gas, o saranno dazi.
Sul fronte americano, va infine specificato, che per i trader la revoca della moratoria sulle nuove licenze per le esportazioni di gas naturale liquefatto potrebbe aprire la strada a nuovi permessi, con un impatto potenzialmente positivo sulla domanda di Gnl da parte dell’Europa e dell’Asia. Magari a prezzi più bassi.

 

La bolletta del gas tutelato sale ancora. Pichetto: “Rivedere price cap europeo”

Il mese di dicembre 2024 segna un nuovo aumento dei prezzi del gas in Italia, con il costo di riferimento per il cliente tipo che arriva a 125,22 centesimi di euro per metro cubo, in crescita del 2,5% rispetto a novembre. L’incremento è stato determinato dall’aumento dei prezzi all’ingrosso, un fattore che incide direttamente sulla spesa per la materia prima. La conferma arriva dall’Arera, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, che ha comunicato anche il valore della materia prima per il Servizio di Tutela della Vulnerabilità gas, che per dicembre 2024 si attesta a 47,59 euro/MWh. Attualmente, circa 2,36 milioni di clienti domestici usufruiscono di questo servizio di protezione, che in due mesi – tra novembre e dicembre – hanno visto la loro tariffa aumentare di ben oltre il 20%. In particolare, secondo Arera, la spesa per la materia prima gas naturale incide per il 42,98% del totale della bolletta, pari a 53,82 centesimi di euro. La spesa per il trasporto e la gestione del contatore, che copre la distribuzione, la misura e i servizi correlati, rappresenta il 22,4%, pari a 28,03 centesimi. Gli oneri di sistema e le imposte incidevano rispettivamente per il 2,35% e il 27,36%.

A complicare ulteriormente la situazione, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha sottolineato l’impatto dello stop al transito delle forniture di gas da parte di Gazprom attraverso l’Ucraina. Sebbene l’Italia abbia continuato a ricevere gas dalla Russia nel corso del 2024, Pichetto ha rassicurato sullo stoccaggio nazionale, che ha raggiunto l’80% della quota di dosaggio. “Abbiamo una decina di miliardi di metri cubi di disponibilità e riusciamo a far fronte al passaggio invernale“, ha dichiarato il ministro, facendo riferimento anche ai rifornimenti verso l’Austria attraverso il punto di Tarvisio.

Tuttavia, la principale preoccupazione resta l’incremento dei prezzi, legato non solo alla riduzione dei quantitativi di gas disponibili per l’Europa, ma anche ai possibili rischi di speculazione nel mercato spot. Pichetto ha suggerito che uno degli strumenti per contrastare tale fenomeno sia rappresentato dai contratti di lungo termine, che permettono una maggiore stabilità e protezione contro le fluttuazioni improvvise dei prezzi. Per quanto riguarda le soluzioni politiche, Pichetto a Radio Radicale ha sottolineato che “l’Unione europea dovrebbe, a questo punto, e lo abbiamo chiesto, rinnovare l’eventuale price cap, ma non a 180 euro come il precedente, ma a 50-60 euro – ha sottolineato il responsabile del Mase -. Questo significherebbe porre anche un freno a quelle operazioni puramente finanziari che non c’entrano niente con la materia prima, ma pesano sulle famiglie e sulle imprese“.

Intanto, l’eurodeputata Annalisa Corrado, responsabile Ambiente del Partito Democratico, in una nota sottolinea che “occorre proteggere in maniera strutturale e solida le fasce più fragili della popolazione, a partire dai consumatori cosiddetti ‘vulnerabili’, difendendoli dalle speculazioni di un mercato fuori controllo; occorre accelerare ogni azione possibile per far penetrare nelle bollette i benefici del basso costo delle rinnovabili, il modo più rapido ed efficace che abbiamo di correre ai ripari, abbassando la nostra dipendenza dal gas di qualunque provenienza, che rende elevati e instabili i costi. Torniamo a chiedere al Governo e a tutte le forze politiche di prendere in considerazione la nostra proposta di riforma dell’Acquirente Unico, che risponde in maniera strutturale a diverse delle problematiche qui illustrate, innanzitutto a immediata tutela dei consumatori vulnerabili“, conclude la nota della Corrado.

Tabarelli

Il prezzo del gas a 50 euro al megawattora. Tabarelli: “Rincari medi di 30mila euro anno per le imprese”

Il prezzo del gas resta intorno ai 50 euro per megawattora, ma potrebbe subire un nuovo aumento nel breve periodo, arrivando fino a 70 euro/MWh. A lanciare l’allarme è Gianclaudio Torlizzi, fondatore di TCommodity, intervistato da Class Cnbc. Secondo Torlizzi, infatti, l’interruzione delle forniture di gas russo verso l’Europa attraverso l’Ucraina sta mettendo sotto pressione i mercati energetici, già tesi da mesi. Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, sentito da GEA, non fa previsioni ma evidenzia che, nonostante l’alto livello delle scorte a gennaio, basta un lieve disallineamento tra domanda e offerta per far schizzare i prezzi alle stelle. “Il mercato è molto tirato e i traders non vedono l’ora di far salire i prezzi”, sottolinea, calcolando che nel 2025, “la previsione per una famiglia media è un aumento della bolletta energetica tra i 250 e i 300 euro annui. Le imprese, invece, potrebbero affrontare un incremento più consistente, che per una realtà con un consumo annuo di 1 milione di kWh potrebbe arrivare fino a 30.000 euro in più all’anno”.

Secondo Torlizzi, uno degli ostacoli principali alla competitività dell’Unione Europea nella “guerra economica” contro Mosca è il Green Deal. La necessità di accelerare la transizione verso fonti di energia rinnovabile potrebbe rendere più difficile per l’UE rispondere prontamente alle sfide imposte dalla crisi energetica in corso. E Tabarelli fa notare che le politiche annunciate dall’Unione Europea per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico non hanno portato ai risultati sperati. “La Commissione Europea sta continuando a diffondere ottimismo da anni, ma la realtà è che siamo ancora in piena crisi. E si è fatto poco per concretizzare le politiche di diversificazione”, osserva a GEA il presidente di Nomisma Energia.

Un altro aspetto che preoccupa gli esperti è la domanda debole, un fenomeno che ha caratterizzato la crescita economica negli ultimi anni. “Siamo in una fase di ‘decrescita felice’, se vogliamo definirla così”, commenta Tabarelli, mettendo in evidenza la necessità di risposte più rapide ed efficaci da parte delle istituzioni.

Tra le alternative al gas naturale, il biogas e il biometano sembrano essere soluzioni promettenti, ma non sufficienti a colmare il gap creato dalla crisi energetica. Tabarelli spiega che, sebbene ci siano buoni risultati nel settore delle energie rinnovabili, l’Italia consuma circa 61 miliardi di metri cubi di gas all’anno e solo una piccola parte di questo fabbisogno può essere soddisfatta dal biometano, che al momento produce circa 0,2 miliardi di metri cubi. “Se riusciremo a raggiungere 1 miliardo di metri cubi di biometano, sarà un grande successo, ma è un obiettivo ancora lontano”, spiega.

I rincari intanto vengono al pettine e venerdì l’Arera, Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, è attesa per l’annuncio dei nuovi prezzi del gas per il mese di dicembre, noto come ‘Componente CMEMm’. Le previsioni indicano che i clienti in tutela, cioè i più vulnerabili, potrebbero subire un incremento del 2,5% sulle bollette, mentre per chi è nel mercato libero con un’offerta indicizzata al PSV (Punto di Scambio Virtuale), il rincaro potrebbe essere simile, considerando che il prezzo medio del gas di dicembre è stato pari a 47,6 euro/MWh. E Tabarelli conferma: “Per il gas, ci aspettiamo aumenti tra il 4 e il 5% già nei primi mesi del 2025”.

Non sale però solo il gas. I future sul petrolio Wti salgono di quasi il 2,5% a 73,4 dollari al barile, raggiungendo il livello più alto da ottobre, alimentati dall’ottimismo sulla domanda di petrolio e da un rapporto che mostra una riduzione delle scorte di greggio statunitensi. L’ottimismo è cresciuto dopo il discorso di Capodanno del presidente cinese Xi Jinping, nel quale ha espresso fiducia nella ripresa economica della Cina nonostante le incertezze globali. Inoltre, il settore manifatturiero cinese ha continuato la sua leggera espansione per il terzo mese consecutivo, sollevando ulteriormente le aspettative di una forte domanda di petrolio. L’aumento dei prezzi è stato anche supportato da un rapporto dell’Eia, che ha mostrato che le scorte di greggio statunitensi sono diminuite di 1,178 milioni di barili la scorsa settimana, segnando la sesta settimana consecutiva di riduzione delle scorte

In Italia non c’è allarme scorte di gas, ma il livello di attenzione diventa massimo

Lo stop al transito di gas russo via Ucraina in direzione Europa mette in allarme sugli stoccaggi. L’Ue minimizza, facendo sapere che avrò impatti minimi; l’Italia non fa drammi e tramite il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, assicura che le scorte sono “a un livello adeguato”, ma comunque “si stanno valutando ulteriori misure per massimizzare la giacenza”.

L’inverno 2024/2025 si sta rivelando più freddo di quello dell’anno scorso, ragion per cui i riscaldamenti sono a pieno regime già dallo scorso mese di novembre in tutta Italia, e in alcuni casi anche da fine ottobre. È ragionevole immaginare un consumo più alto, dunque, ma non oltre la soglia di attenzione. “L’interruzione dei transiti di gas dall’Ucraina è tutto meno che una sorpresa”, dice al ‘Corsera’ il presidente di Arera, Stefano Besseghini. Dall’Authority non arrivano allarmi, visto che “gli impatti sul sistema saranno ragionevolmente gestibili”, ma “appare in tutta la sua evidenza la delicatezza del sistema Gas ancora oggi a quasi tre anni dall’inizio della guerra”. Ragion per cui, raccomanda Besseghini, “molto è stato fatto, ma non deve scendere il livello di attenzione”.

La fine delle forniture di Gazprom via Ucraina non è di sicuro un fulmine a ciel sereno: da tempo era preventivata questa interruzione e “il sistema si era già preparato”, assicura il numero uno di Arera al ‘Sole 24 Ore’. Ricordando come la combo tra stoccaggi “coperti” nel breve periodo e temperature non estremamente rigide, con consumi tutto sommato sotto controllo, “non deve portarci a rallentare il percorso di rafforzamento del sistema”. Questo perché “non dobbiamo dimenticarci che siamo ancora in una situazione di mercato estremamente fragile ed è troppo presto per scordarsi dell’emergenza”.

Non a caso dal mondo delle imprese partono i primi, preoccupati appelli. “L’annuncio di Gazprom di interrompere le forniture di Gas alla Moldavia a partire dall’inizio di gennaio segnala un aumento del rischio di una grave crisi energetica e umanitaria in Europa”, avverte ad esempio il presidente di Confapi, Cristian Camisa.

Il tema, ovviamente, tiene banco anche nel mondo politico. Dall’opposizione è Angelo Bonelli ad attaccare: “La storia non ha insegnato nulla a chi governa l’Italia: ci ritroviamo a dover affrontare costi energetici inaccettabili per imprese e famiglie che ci riportano al 2021-2022 – sostiene il deputato di Avs -, quando l’aumento del prezzo del Gas portò alla triplicazione del costo delle bollette realizzando un vero e proprio salasso economico per i settori sociali ed economici più deboli. L’esecutivo è responsabile di questa situazione perché non ha una strategia energetica ed invece di puntare sulle rinnovabili è impegnato a riportare l’Italia nella produzione di nucleare da fissione che porterà a fare pagare l’energia più di quanto la paghiamo oggi”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il Cinquestelle, Davide Aiello, sottolineando che “la stangata sulle bollette di luce e gas nell’ex mercato tutelato registra un incremento del 18% per i prossimi mesi”. Il 2025, dunque, inizia già in salita ma senza (ancora) il suono d’allarme delle ‘sirene’.

Capodanno col botto: stop al gas russo in Europa via Ucraina, prezzo a 50 euro/Mwh

Il 2025 inizia con una crisi energetica per l’Europa. Capodanno col botto, viene da dire, considerando che dalle 6 dell’1 gennaio i flussi di gas russo verso l’Europa attraverso l’Ucraina potrebbero cessare per sempre, visto il decadere dell’accordo sul transito che legava Mosca e Kiev dal 2019. Secondo i dati forniti dall’operatore di rete ucraino, le richieste di gas alla stazione di aspirazione di Sudzha, al confine tra Russia e Ucraina, sono scese a zero, una cifra ben al di sotto dei 40 milioni di metri cubi al giorno solitamente registrati. L’interruzione dei flussi russi, salvo improvvise retromarce nelle prossime ore o nei prossimi giorni, avrà impatti diretti sull’Europa, che già fatica a fronteggiare l’alta domanda e la scarsità delle risorse.

Nonostante la quantità di gas perduto rappresenti solo il 5% del fabbisogno complessivo, l’effetto sull’economia potrebbe “essere devastante, con una stima che parla di un aumento dei costi energetici per i consumatori europei fino a 120 miliardi di euro, tra gas e elettricità”, scrive Bloomberg. I prezzi del gas, infatti, hanno già cominciato a salire, superando anche i 50 euro per megawattora, il livello più alto da novembre 2023. L’Unione Europea, grande assente in questi mesi di tentativi di accordo andati a vuoto, ha cercato di rassicurare in questi giorni affermando che la sicurezza energetica non è a rischio grazie alla diversificazione delle fonti, tra cui le importazioni di gas naturale liquefatto, in particolare dagli Stati Uniti. Tuttavia, paesi come la Slovacchia, che dipendono ancora dalle forniture russe, potrebbero incontrare difficoltà nell’affrontare la carenza di gas, con conseguenti costi più elevati per il trasporto delle risorse alternative.

Le tensioni politiche tra Russia e Ucraina avevano già causato interruzioni nel 2006 – due settimane di stop – e nel 2009 – qualche giorno senza flusso di gas – ma la situazione attuale appare più complessa per via di una guerra ancora in corso. Il presidente ucraino Zelensky ha escluso qualsiasi accordo che possa rafforzare l’economia russa, mentre Putin ha dichiarato che non ci sarebbe stato tempo per trovare un compromesso prima della fine dell’anno. Mosca comunque continuerà a fornire gas a Serbia e Ungheria tramite il gasdotto TurkStream, che non attraversa l’Ucraina, ma questo non basta a compensare la perdita della rotta principale verso l’Europa centrale e, a cascata, levando materia prima e quindi potenziale elettricità ai Paesi attorno, fino all’Italia. Lo testimonia la galoppata del prezzo del gas, che in Europa è salito di oltre il 50% in un anno. Non siamo fortunatamente ai livelli dell’estate 2022. All’epoca il Ttf quotato ad Amsterdam arrivò al picco di 340 euro per megawattora perché si temeva che il Vecchio Continente non avrebbe avuto gas a sufficienza in vista dell’inverno e tutti i grandi Paesi spesero cifre folli per assicurarsi le forniture. Adesso siamo sui 50 euro/Mwh, ma è pur sempre il 200% in più rispetto a fine 2019. Le bollette non a caso hanno ripreso a salire a doppia cifra, con inevitabili conseguenze per inflazione, redditi familiari e competitività delle imprese. E l’inverno non è finito. Anzi…

Bollette, gas in aumento: per gli italiani il prossimo inverno sarà il più caro di sempre

L’inverno che sta per iniziare sarà il più caro di sempre per le famiglie italiane. Lo anticipa l’analisi presentata dal think tank italiano per il clima Ecco. Le previsioni per la bolletta del gas per la stagione invernale 2024-2025 mostrano infatti costi significativamente superiori al periodo della crisi prezzi del gas (2022-2023).

L’analisi dei ricercatori stima il costo della bolletta gas nel prossimo inverno per tre abitazioni tipo di 38, 70 e 110 mq in tre città italiane: Milano, Roma e Palermo. Per un’abitazione di 70 mq in classe energetica G, nel comune di Milano, il costo sarà maggiore del 20% rispetto al periodo di crisi e del 68% rispetto al periodo pre-Covid. Tra i motivi dell’aumento, l’incremento del prezzo del gas, che si è alzato a 48 euro MWh per effetto dell’instabilità geopolitica dei Paesi fornitori. Questo nonostante gli stoccaggi siano pieni e i gasdotti di importazione siano stati utilizzati soltanto al 42% della loro capacità nominale negli ultimi dodici mesi (76% per i rigassificatori).

Abitazioni poco efficienti e una continua dipendenza dal gas costringono oggi le famiglie italiane a pagare i costi dei ritardi della transizione. Sorprende che oggi, con un prezzo del gas tre volte più alto di settembre 2019 e una previsione di costo per le famiglie maggiore del periodo di crisi, non si vedono azioni legislative e nemmeno informative per mettere in sicurezza le famiglie”, spiega Matteo Leonardi, Cofondatore e Direttore Esecutivo di Ecco. Secondo Leonardi, “l’efficienza energetica si conferma l’unico strumento in grado di garantire sicurezza e risparmi per le famiglie italiane. Ma, nonostante questo, nella Legge di bilancio attualmente in discussione in Parlamento, viene smantellato il sistema di detrazioni fiscali per l’efficienza energetica negli edifici. Per promuovere l’efficienza riducendo la spesa complessiva per la collettività e accompagnare le famiglie nella transizione serve, con urgenza, una visione d’insieme che armonizzi incentivi, fiscalità energetica, tassazione dei prodotti energetici, ponendo al centro la sicurezza energetica delle abitazioni, gli obiettivi climatici e la sostenibilità finanziaria a lungo termine. Cancellare le politiche per l’efficienza senza offrire alternative espone le famiglie a costi energetici insostenibili senza possibilità di attuare investimenti che assicurino l’uscita dal problema”.

Nel mese di novembre i consumi di gas nel settore civile hanno avuto un incremento del 9% rispetto al 2023, nonostante i prezzi elevati e complice la poca sensibilizzazione del consumatore. L’analisi prende a riferimento il prezzo del gas dei prossimi mesi e stima il costo della bolletta a fine inverno, comparandolo con l’anno della crisi 2022-2023 e con il periodo precrisi. A Milano per riscaldare, cucinare e produrre acqua calda, nel periodo novembre-marzo (2024-25): in un’abitazione di 70 mq in classe energetica G si spenderanno circa 1403 euro , +20% rispetto all’anno della crisi 2022-2023 (1171 euro); +68% rispetto al periodo precrisi 2019-2020 (832 euro); se la casa è di 110 mq si pagherà 2143 euro, l’aumento sarà di 382 euro rispetto all’inverno 2022-2023 e di circa 1000 euro rispetto al periodo precrisi 2019-2020. Se la casa è di 38 mq si pagherà 788 euro l’aumento sarà di 108 euro rispetto all’inverno 2022-2023 e di circa 300 euro rispetto al periodo precrisi 2022-2023. Cifre simili interesseranno anche il centro e il sud. A Roma l’aumento arriva quasi a 430 euro per una casa di 70 mq rispetto all’inverno 2022-2023. Sono 635 euro in più rispetto al periodo precrisi. A Palermo l’incremento sarà più lieve e varierà tra 50 e 210 euro rispetto all’inverno della crisi 2022-2023. Si alzerà fino a 420 euro nel caso di abitazione di 110 mq rispetto al periodo precrisi.

Ben diverso il caso di chi ha una casa in fascia di efficienza più alta. Infatti, una casa in Classe A pagherà una bolletta del 60-65% inferiore a una Classe G. Nei diversi casi elaborati questo si traduce in un risparmio fino ai 1400 euro all’anno. “Superare l’esperienza del Superbonus è necessario per il bilancio dello Stato ma deve essere fatto in modo ragionato, mantenendo un differenziale tra le ristrutturazioni generiche e quelle per l’efficienza energetica. Riportare il bonus casa al 36% e mantenere l’ecobonus al 65% avrebbe lo stesso impatto in termini di spesa pubblica, e manterrebbe un importante sostegno all’efficienza“, sostiene Francesca Andreolli, Ricercatrice Senior Energia ed Efficienza di Ecco. Secondo Andreolli, “impiegare risorse pubbliche per aiutare le famiglie a rendere efficiente la propria abitazione produce benefici significativi nel tempo, in primis per occupazione e crescita economica: tra il 2021 e il 2022 il valore della produzione delle ristrutturazioni profonde è cresciuto del 19,6% e l’occupazione del 3,8%. L’efficienza va a vantaggio di famiglie e imprese, favorisce l’uscita dal gas e lotta al cambiamento climatico e permette una riduzione dell’inquinamento urbano. Inazione significa maggiori costi sociali nel futuro per mitigazione e adattamento, mancata competitività dei settori industriali nei mercati globali, costi dell’energia più alti per famiglie e imprese e progressivamente insostenibilità della finanza pubblica“.

A preoccupare maggiormente è il costo giornaliero. A Milano nelle 10 giornate più fredde con una temperatura esterna di 1,5° si spenderanno 23 euro al giorno per mantenere una temperatura interna di 20° in una casa in classe G di 110 mq. Erano 22 euro nel 2022-2023 e 14 euro nel periodo precrisi. Con temperature più rigide si registrano valori a due cifre in tutta Italia anche per le abitazioni di 70 mq. Si scende sotto la doppia cifra solo con temperature più miti e negli appartamenti più piccoli (38mq).

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Perché anche in Italia c’è bisogno dell’energia nucleare

La domanda di energia, e di energia elettrica in particolare, sta aumentando in tutto il mondo. Ciò accade non soltanto per lo sviluppo di nuove economie (si pensi a cosa è avvenuto in Asia negli ultimi trenta anni, e a cosa avverrà in Africa nei prossimi trenta): anche le economie già sviluppate, come Stati Uniti d’AmericaCanadaEuropaGiapponeAustralia ecc. vedono una crescita costante dei consumi elettrici. Questo tanto per l’elettrificazione progressiva dovuta alla necessità di decarbonizzazione e di lotta al cambiamento climatico dei processi industriali e dei sistemi di trasporto, quanto perché l’era dell’Intelligenza Artificiale, dei grandi centri di elaborazione dati e della digitalizzazione si presenta come estremamente energivora.

È ormai chiaro a tutti che le energie rinnovabili, in particolare fotovoltaico ed eolico, non bastano perché sole e vento sono intermittenti e non programmabili e quindi non possono soddisfare a pieno le esigenze di base load (energia di base continua) che è indispensabile nei settori industriali, compresi quelli delle nuove tecnologie digitali, ed ancor più nei servizi di base strategici come ospedali, difesa, sicurezza, trasporti e tutela ambientale, che devono funzionare 24 ore su 24. Anche la tecnologia degli accumuli e delle batterie che immagazzinano l’energia prodotta dalle rinnovabili nelle ore di funzionamento sono inefficienti e del tutto insufficienti per i grandi consumi industriali.

In questo contesto, sommariamente delineato, l’utilizzo di energia nucleare torna ad essere un elemento determinante. In molte parti d’Europa e del mondo questo è già realtà. In Italia la transizione energetica nel presente e nel prossimo futuro, oltre che delle rinnovabili, non potrà fare a meno del gas, che comunque ha un’impronta di CO2 decisamente più bassa del carbone, e all’utilizzo del quale possono essere applicate le tecnologie delle CCUS (carbon capture utilisation and storage) di cui parleremo un’altra volta; né potrà fare a meno, soprattutto per le esigenze di base load, del nucleare, che a poco a poco renderà il gas residuale.

La riflessione e il dibattito si sono ufficialmente riaperti nel nostro Paese. Prima con un voto del Parlamento a maggioranza con cui si è stabilito che “al fine di accelerare il processo di decarbonizzazione dell’Italia il Governo deve valutare l’opportunità di reinserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia”, poi con un’iniziativa del Ministro dell’Energia Pichetto Fratin, che ha incaricato un insigne giurista di predisporre uno schema legislativo da sottoporre al Parlamento che sia in grado di superare i limiti e vincoli discendenti dai referendum di moltissimi anni fa.

Nel frattempo si susseguono convegni, approfondimenti, prese di posizione in cui si torna a discutere della questione. La cosa interessante è che i cittadini mostrano una nuova attenzione al tema, e soprattutto che i giovani, liberi da pregiudizi ideologici tipici dell’ambientalismo militante, si dichiarano in maggioranza favorevoli al nucleare. Emerge con sempre maggiore chiarezza che il futuro energetico, completamente decarbonizzato, sta in un mix di rinnovabili e nucleare perché queste tecnologie mostrano una totale complementarietà.

Il nucleare tra l’altro consentirebbe di produrre idrogeno a costi contenuti, cosa che oggi non è se lo si produce con energia verde, e quindi darebbe un fondamentale contributo a risolvere il problema dei processi e settori industriali non elettrificabili (ceramica, cemento, vetro ecc.).

Se si vuole affrontare il tema senza contrapposizioni ideologiche e estremismi vari bisogna andare al merito, ed analizzare oggettivamente i problemi partendo innanzitutto dalla sicurezza e dai costi di questa fonte energetica.

Si parla qui di nucleare di quarta generazione, e cioè di un’evoluzione sostanziale della tecnologia attuale. Molte sono le novità che dovrebbero consentire di avere impianti di questo tipo funzionanti tra una decina d’anni. Parliamo innanzitutto di piccole unità da 250/350 MW (SMR che sta per Small Reactors) dai costi di impianto decisamente più contenuti rispetto a quelli degli impianti tradizionali e quindi abbordabili per investitori privati anche utilizzatori.

Il tema dei costi è uno dei più dibattuti. Gli avversari del nucleare sostengono che questa tecnologia è molto costosa se non la più costosa (vedi buon ultimo il Sindaco di Milano Sala sulle pagine del ‘Corriere della Sera’qualche giorno fa). In realtà molto spesso chi fa questi discorsi incorre in inesattezze. Quando si fa il confronto dei costi di installazione a MW delle varie tecnologie energetiche si deve considerare la loro producibilità: il fotovoltaico funziona da noi non più di 1400 ore l’anno, l’eolico non più di 2500, il nucleare ovviamente per tutte le 8700 ore dell’anno. Ciò significa che il costo della tecnologia va necessariamente correlato alla quantità di energia prodotta nell’anno. E se si fa questo confronto il nucleare di nuova generazione è imbattibile.

Inoltre, come è stato giustamente rilevato, i costi vanno considerati tutti, non solo quelli di generazione dell’energia. Una parte significativa dei costi odierni, anche delle rinnovabili, sono i costi accessori. Lo sanno bene le famiglie e le imprese perché leggono sulle bollette che la componente energia vale circa un terzo del prezzo totale. E ciò si deve appunto in gran parte ai costi accessori destinati a crescere esponenzialmente in uno scenario di sole rinnovabili. Si tratta di costi di sbilanciamento e cioè di supporto alla rete quando non c’è sole e non c’è vento, e di costi di trasporto e distribuzione, perché spesso le rinnovabili sono lontane dalla domanda, come succede oggi in Italia. Pannelli fotovoltaici e torri eoliche, infatti, sono installati prevalentemente al Sud quando il grosso dei consumi è al nord.

Il nucleare di quarta generazione, poi, affronta in maniera radicale il problema della sicurezza. Parliamo di impianti progettati per essere estremamente sicuri dal punto di vista strutturale e capaci di utilizzare uranio impoverito riducendo così anche il problema e il costo dello smaltimento delle scorie.

Questi tipi di impianti, per le loro dimensioni contenute, potrebbe essere tranquillamente installati in singoli distretti industriali, supportando così il fabbisogno energetico delle industrie italiane energivore, che pagano oggi l’energia elettrica molto di più di quanto la pagano le loro concorrenti francesi, spagnole e tedesche.

Le imprese siderurgiche italiane hanno recentemente avviato una collaborazione con EDF, Edison, Ansaldo Nucleare proprio sul supporto a progetti di installazione di SMR volti anche a soddisfare la domanda elettrica delle imprese dell’acciaio italiano.

La copertura di una parte dei fabbisogni di energia elettrica di queste imprese con energia nucleare magari comprata in Francia, in attesa che si realizzino gli impianti in Italia, consentirebbe al nostro Paese di essere il primo al mondo a produrre acciaio completamente ‘verde’ e cioè decarbonizzato. Già oggi, infatti, gli elettrosiderurgici italiani consumano energia elettrica prevalentemente prodotta con fonti rinnovabili.

Una bella prospettiva, un obiettivo realistico e ravvicinato che consentirebbe di dire che, come in molti altri campi ambientali e di economia circolare, il nostro Paese è all’avanguardia.