Perché anche in Italia c’è bisogno dell’energia nucleare
La domanda di energia, e di energia elettrica in particolare, sta aumentando in tutto il mondo. Ciò accade non soltanto per lo sviluppo di nuove economie (si pensi a cosa è avvenuto in Asia negli ultimi trenta anni, e a cosa avverrà in Africa nei prossimi trenta): anche le economie già sviluppate, come Stati Uniti d’America, Canada, Europa, Giappone, Australia ecc. vedono una crescita costante dei consumi elettrici. Questo tanto per l’elettrificazione progressiva dovuta alla necessità di decarbonizzazione e di lotta al cambiamento climatico dei processi industriali e dei sistemi di trasporto, quanto perché l’era dell’Intelligenza Artificiale, dei grandi centri di elaborazione dati e della digitalizzazione si presenta come estremamente energivora.
È ormai chiaro a tutti che le energie rinnovabili, in particolare fotovoltaico ed eolico, non bastano perché sole e vento sono intermittenti e non programmabili e quindi non possono soddisfare a pieno le esigenze di base load (energia di base continua) che è indispensabile nei settori industriali, compresi quelli delle nuove tecnologie digitali, ed ancor più nei servizi di base strategici come ospedali, difesa, sicurezza, trasporti e tutela ambientale, che devono funzionare 24 ore su 24. Anche la tecnologia degli accumuli e delle batterie che immagazzinano l’energia prodotta dalle rinnovabili nelle ore di funzionamento sono inefficienti e del tutto insufficienti per i grandi consumi industriali.
In questo contesto, sommariamente delineato, l’utilizzo di energia nucleare torna ad essere un elemento determinante. In molte parti d’Europa e del mondo questo è già realtà. In Italia la transizione energetica nel presente e nel prossimo futuro, oltre che delle rinnovabili, non potrà fare a meno del gas, che comunque ha un’impronta di CO2 decisamente più bassa del carbone, e all’utilizzo del quale possono essere applicate le tecnologie delle CCUS (carbon capture utilisation and storage) di cui parleremo un’altra volta; né potrà fare a meno, soprattutto per le esigenze di base load, del nucleare, che a poco a poco renderà il gas residuale.
La riflessione e il dibattito si sono ufficialmente riaperti nel nostro Paese. Prima con un voto del Parlamento a maggioranza con cui si è stabilito che “al fine di accelerare il processo di decarbonizzazione dell’Italia il Governo deve valutare l’opportunità di reinserire nel mix energetico nazionale anche il nucleare quale fonte alternativa e pulita per la produzione di energia”, poi con un’iniziativa del Ministro dell’Energia Pichetto Fratin, che ha incaricato un insigne giurista di predisporre uno schema legislativo da sottoporre al Parlamento che sia in grado di superare i limiti e vincoli discendenti dai referendum di moltissimi anni fa.
Nel frattempo si susseguono convegni, approfondimenti, prese di posizione in cui si torna a discutere della questione. La cosa interessante è che i cittadini mostrano una nuova attenzione al tema, e soprattutto che i giovani, liberi da pregiudizi ideologici tipici dell’ambientalismo militante, si dichiarano in maggioranza favorevoli al nucleare. Emerge con sempre maggiore chiarezza che il futuro energetico, completamente decarbonizzato, sta in un mix di rinnovabili e nucleare perché queste tecnologie mostrano una totale complementarietà.
Il nucleare tra l’altro consentirebbe di produrre idrogeno a costi contenuti, cosa che oggi non è se lo si produce con energia verde, e quindi darebbe un fondamentale contributo a risolvere il problema dei processi e settori industriali non elettrificabili (ceramica, cemento, vetro ecc.).
Se si vuole affrontare il tema senza contrapposizioni ideologiche e estremismi vari bisogna andare al merito, ed analizzare oggettivamente i problemi partendo innanzitutto dalla sicurezza e dai costi di questa fonte energetica.
Si parla qui di nucleare di quarta generazione, e cioè di un’evoluzione sostanziale della tecnologia attuale. Molte sono le novità che dovrebbero consentire di avere impianti di questo tipo funzionanti tra una decina d’anni. Parliamo innanzitutto di piccole unità da 250/350 MW (SMR che sta per Small Reactors) dai costi di impianto decisamente più contenuti rispetto a quelli degli impianti tradizionali e quindi abbordabili per investitori privati anche utilizzatori.
Il tema dei costi è uno dei più dibattuti. Gli avversari del nucleare sostengono che questa tecnologia è molto costosa se non la più costosa (vedi buon ultimo il Sindaco di Milano Sala sulle pagine del ‘Corriere della Sera’qualche giorno fa). In realtà molto spesso chi fa questi discorsi incorre in inesattezze. Quando si fa il confronto dei costi di installazione a MW delle varie tecnologie energetiche si deve considerare la loro producibilità: il fotovoltaico funziona da noi non più di 1400 ore l’anno, l’eolico non più di 2500, il nucleare ovviamente per tutte le 8700 ore dell’anno. Ciò significa che il costo della tecnologia va necessariamente correlato alla quantità di energia prodotta nell’anno. E se si fa questo confronto il nucleare di nuova generazione è imbattibile.
Inoltre, come è stato giustamente rilevato, i costi vanno considerati tutti, non solo quelli di generazione dell’energia. Una parte significativa dei costi odierni, anche delle rinnovabili, sono i costi accessori. Lo sanno bene le famiglie e le imprese perché leggono sulle bollette che la componente energia vale circa un terzo del prezzo totale. E ciò si deve appunto in gran parte ai costi accessori destinati a crescere esponenzialmente in uno scenario di sole rinnovabili. Si tratta di costi di sbilanciamento e cioè di supporto alla rete quando non c’è sole e non c’è vento, e di costi di trasporto e distribuzione, perché spesso le rinnovabili sono lontane dalla domanda, come succede oggi in Italia. Pannelli fotovoltaici e torri eoliche, infatti, sono installati prevalentemente al Sud quando il grosso dei consumi è al nord.
Il nucleare di quarta generazione, poi, affronta in maniera radicale il problema della sicurezza. Parliamo di impianti progettati per essere estremamente sicuri dal punto di vista strutturale e capaci di utilizzare uranio impoverito riducendo così anche il problema e il costo dello smaltimento delle scorie.
Questi tipi di impianti, per le loro dimensioni contenute, potrebbe essere tranquillamente installati in singoli distretti industriali, supportando così il fabbisogno energetico delle industrie italiane energivore, che pagano oggi l’energia elettrica molto di più di quanto la pagano le loro concorrenti francesi, spagnole e tedesche.
Le imprese siderurgiche italiane hanno recentemente avviato una collaborazione con EDF, Edison, Ansaldo Nucleare proprio sul supporto a progetti di installazione di SMR volti anche a soddisfare la domanda elettrica delle imprese dell’acciaio italiano.
La copertura di una parte dei fabbisogni di energia elettrica di queste imprese con energia nucleare magari comprata in Francia, in attesa che si realizzino gli impianti in Italia, consentirebbe al nostro Paese di essere il primo al mondo a produrre acciaio completamente ‘verde’ e cioè decarbonizzato. Già oggi, infatti, gli elettrosiderurgici italiani consumano energia elettrica prevalentemente prodotta con fonti rinnovabili.
Una bella prospettiva, un obiettivo realistico e ravvicinato che consentirebbe di dire che, come in molti altri campi ambientali e di economia circolare, il nostro Paese è all’avanguardia.