Con RePowerEu spazio di manovra per Meloni sul Pnrr

Il nuovo governo Meloni non ha intenzione di “riscrivere” o “stravolgere” il piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), ma è convinto che, di fronte agli scenari mutati dalla guerra, sarà necessario valutare alcuni aggiustamenti per renderlo a prova di futuro. La replica a Palazzo Madama, nel tradizionale momento di chiedere la fiducia al Senato, è l’occasione per la neo premier di chiarire (di nuovo) la sua posizione sul piano nazionale di ripresa e resilienza, che sarà anche il banco di prova delle relazioni dell’esecutivo italiano con Bruxelles. Meloni evita lo strappo con l’Ue, ma si dice pronta a far sentire la voce dell’Italia nelle istituzioni.

Non abbiamo mai detto che il Pnrr andasse stravolto, non abbiamo mai detto che andasse riscritto. Abbiamo detto che vogliamo rivederlo sulla base dell’articolo 21 del Next generation Eu che consente agli Stati di fare degli aggiustamenti se cambiano gli scenari di valutare quegli scenari”, ha chiarito Meloni di fronte ai senatori, chiedendo loro la fiducia al nuovo governo (ottenuta a Palazzo Madama con 115 sì, 79 voti contrari 3 5 astenuti, dopo aver già incassato il via libera della Camera). Il punto, secondo il governo, è che il Pnrr è stato scritto in un tempo “in cui non c’erano la guerra in Ucraina e gli aumenti dei costi delle materie prime e dell’energia”. E dunque oggi per Meloni è “lecito ragionare se le risorse e gli interventi immaginati siano ancora validi in questo tempo mutato”. E il rischio è che “le gare vadano deserte e così le risorse non siano messe a terra”, ha messo in guardia, sottolineando di dover accelerare anche sull’attuazione del piano.

La modifica al Pnrr e la sua attuazione in linea con gli standard di Bruxelles è stata uno dei punti più controversi della campagna elettorale del centrodestra per le elezioni del 25 settembre. E così rischia di mettere alla prova i rapporti del governo di Roma con Bruxelles, anche se molto dipenderà da quanto Meloni rivendicherà la battaglia in sede a Bruxelles. Meloni chiede più spazio di manovra, dal momento che il piano “non è intoccabile“, ma lo spazio di manovra è minimo. Su richiesta dei giornalisti a Bruxelles, l’esecutivo comunitario (pur non volendo commentare direttamente le parole pronunciate da Meloni sulla possibile revisione dei piani), con la voce della portavoce per gli Affari economici, Veerle Nuyts, ha chiarito ieri che “in via prioritaria gli Stati membri devono attuare il piano di recupero e resilienza approvato dal Consiglio, che già comprendono tappe e obiettivi con tempistiche chiare. Modifiche possono essere richieste dai governi “ma solo in casi eccezionali”, dimostrando “di non poter più attuare parti o l’intero piano a causa di circostanze oggettive“, ha precisato la portavoce, mettendo in chiaro che in questo caso sarà necessaria una “valutazione molto attenta” da parte di Bruxelles.

Secondo l’Ue, il margine di modifica non è ampio, ma c’è un altro fronte su cui l’Italia (come gli altri Paesi membri) può lavorare per aggiornare il Pnrr ed è quello dato dalla transizione. Nel quadro del piano ‘REPowerEu’, presentato a maggio per affrancare l’Ue dalla dipendenza energetica dalla Russia, Bruxelles propone di aggiungere un nuovo capitolo ai loro Pnrr dedicato solo a centrare gli obiettivi del Repower, quindi l’indipendenza dai fossili russi al più tardi entro il 2027. La proposta della Commissione è ora al vaglio dei due co-legislatori (Parlamento e Consiglio Ue), con l’idea di trovare un accordo entro la fine dell’anno.

Nei piani dell’Ue, il capitolo aggiuntivo al Pnrr per l’attuazione del REPowerEU avrà un regime di valutazione speciale e l’Esecutivo ha previsto anche una deroga a uno dei principi fondanti del piano stesso, quello del non arrecare danno significativo all’ambiente (Dnsh, acronimo di ‘Do No Significant Harm’) per le misure che “migliorano le infrastrutture energetiche per soddisfare le esigenze immediate di sicurezza dell’approvvigionamento di petrolio e gas naturale”, spiegano fonti dell’Ue. Mettere in pausa il principio significa poter costruire nuove infrastrutture per il passaggio e il trasporto del gas e del petrolio, in alternativa alle vie che collegano l’Europa al fornitore russo. In sostanza, oleodotti e gasdotti che possano sostenere gli Stati membri nella diversificazione dei fornitori di risorse energetiche.

Meloni finora non ha chiarito nello specifico in quali termini vorrebbe apportare modifiche all’attuale piano, ma in Aula al Senato ha sottolineato che dal Pnrr può esserci una “piccola grande occasione che riguarda il Mezzogiorno d’Italia, dove tutto manca fuorché vento, mare e sole per produrre rinnovabili”. E l’idea è quella di fare “del Sud Italia l’hub di approvvigionamento energetico del Sud Europa”, sfruttando le risorse del Pnrr. E’ verosimile che l’attuazione del Pnrr sarà centrale nella prima visita in veste di premier che farà Meloni a Bruxelles nei prossimi giorni. Un incontro che, secondo varie fonti, potrebbe tenersi già nelle prossime settimane.

Bozza vertice Ue: Corridoio dinamico gas e acquisti congiunti

Esplorare un corridoio di prezzo dinamico temporaneo per il gas naturale e sviluppare un nuovo benchmark che rifletta più accuratamente le condizioni del mercato del gas in Europa. Poi ancora, fare acquisti congiunti di gas e negoziare con i partner affidabili dell’Ue forniture a prezzi vantaggiosi per entrambi. E’ quanto proporranno i capi di stato e governo dell’Ue riuniti a Bruxelles giovedì e venerdì (20-21 ottobre), secondo l’ultima bozza di conclusioni del vertice Ue (datata 16 ottobre) di cui GEA ha preso visione.

Il documento è solo una bozza, sarà discussa tra gli ambasciatori dei 27 nel comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue e subirà verosimilmente delle modifiche da qui alla riunione di giovedì dei leader dell’Ue, ma è indicativo di quali saranno i temi al centro della riunione. Per accelerare la risposta dell’Ue contro il caro bollette, il Consiglio europeo propone una serie di misure, tra cui acquistare congiuntamente il gas” e “accelerare i negoziati con partner affidabili per cercare partenariati reciprocamente vantaggiosi”; sviluppare un nuovo parametro di riferimento per il gas naturale liquefatto “che rifletta più accuratamente le condizioni del mercato del gas”, quindi alternativo al mercato olandese Ttf di Amsterdam; “esplorare un corridoio di prezzo dinamico temporaneo per il gas naturale per limitare i prezzi fino all’introduzione del parametro di riferimento”.

Si apre anche all’idea di “esplorare un quadro temporaneo dell’UE per limitare il prezzo del gas nella produzione di elettricità”, ovvero pensare di estendere il modello di price-cap iberico (introdotto da Spagna e Portogallo) a tutta l’Ue (diversi Stati membri, come l’Italia, sono contrari a questa misura perché andrebbe finanziata con risorse nazionali). Nella bozza si legge ancora che l’Ue dovrebbe “aumentare gli investimenti in infrastrutture energetiche pronte per il futuro, comprese le interconnessioni” e “accelerare i lavori sulla riforma strutturale del mercato dell’energia elettrica”, una proposta che la Commissione europea dovrebbe avanzare nel primo trimestre del 2023.

Sulla questione energetica la bozza apre quindi a diverse opzioni, ma lo fa perché i governi sono nei fatti in attesa della presentazione da parte della Commissione europea della nuova proposta legislativa contro il caro energia, che avverrà dopo l’adozione del collegio riunito a Strasburgo. La proposta dell’esecutivo, secondo le indiscrezioni, dovrebbe prevedere un limite di prezzo dinamico e temporaneo a tutte le transazioni nel Dutch Title Transfer Facility (Ttf), il mercato olandese di riferimento per gli scambi del gas in Europa; una misura temporanea fino all’introduzione di un nuovo parametro di riferimento per il gas naturale liquefatto (GNL) da rendere operativo entro la fine del 2022 e acquisti congiunti di gas obbligatori per il riempimento di almeno il 15% delle riserve europee. Per ora Bruxelles sembra invece escludere l’idea di estendere il ‘cap’ iberico applicato in Spagna e Portogallo anche al resto dell’Ue.

I leader dovrebbero fissare tra le priorità quella di proteggere famiglie e imprese dai rincari energetici. E farlo “coordinando strettamente le nostre risposte politiche” ma anche rimanendo pronti “a sviluppare soluzioni comuni a livello europeo”. La bozza di conclusioni del Vertice Ue del 20-21 ottobre sembra aprire all’idea di sviluppare soluzioni economiche comuni di fronte alle sfide energetiche che la guerra di Russia in Ucraina ha portato con sé. Il passaggio citato è parte del quarto paragrafo sulle ‘Questioni economiche’, in cui si legge che di fronte alla crisi la priorità immediata dell’Ue deve essere quella di proteggere famiglie e imprese, “in particolare i soggetti più vulnerabili delle nostre società, preservando la competitività globale dell’Unione e mantenendo condizioni di parità e integrità” del mercato unico. Il Consiglio europeo si impegna dunque “a coordinare strettamente le risposte politiche, rimanendo al contempo pronto a sviluppare soluzioni comuni a livello europeo”.

Una questione aperta ormai due settimane fa da una proposta dei commissari per l’Economia, Paolo Gentiloni, e per il mercato interno, Thierry Breton, di introdurre uno strumento simile a Sure (varato durante il Covid-19 per il sostegno temporaneo contro la perdita di posti di lavoro e rischi di disoccupazione) contro il caro bolletta. Nella sostanza, hanno evocato la necessità di emettere nuovo debito comune (come è stato fatto per il Next Generation Eu) per finanziare la risposta alla crisi dei prezzi dell’energia attraverso nuovi prestiti ai governi, dopo il varo da parte della Germania dello scudo da 200 miliardi di euro per famiglie e aziende. Una questione aperta ma al momento divisiva, su cui, stando alla bozza di conclusioni, i leader si confronteranno.

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La Ue cerca consenso sulle misure anticrisi, ma il price cap divide i governi

La Commissione europea cerca la quadra politica tra i Ventisette governi prima di presentare la prossima settimana, il 18 ottobre, il nuovo pacchetto di misure contro il caro energia. Nel fine settimana, Bruxelles porterà avanti i colloqui con gli Stati membri per mettere sul tavolo una proposta che unisca gli animi divisi su come ridurre i prezzi del gas, in modo che anche il via libera alle misure sia il più rapido possibile.

Le discussioni sono ancora in corso e andranno avanti nel weekend” per arrivare a presentare le proposte il prossimo martedì, ha confermato oggi il portavoce della Commissione Ue per l’energia, Tim McPhie, rispondendo al briefing con la stampa a una domanda sul nuovo pacchetto di misure. Al vaglio di Bruxelles anche un meccanismo di controllo dei prezzi del gas che possa ottenere il più ampio consenso possibile tra i governi. Come anticipato nelle linee dalla Commissione europea, il piano verterà su quattro pilastri: un indice dei prezzi alternativo al Ttf (Title Transfer Facility) di Amsterdam (il mercato di riferimento per gli scambi di gas) un aumento della riduzione della domanda di gas, un rafforzamento dell’attuale sistema di solidarietà tra gli Stati membri per il gas, e infine, una proposta per facilitare gli acquisti congiunti di gas attraverso la piattaforma lanciata ad aprile e mai effettivamente entrata in funzione.

La Commissione è convinta della necessità di introdurre un meccanismo immediato (e temporaneo) di controllo dei prezzi di gas, ma non è chiaro in che forma viste le divisioni tra i governi sul cosiddetto tetto al prezzo del gas, il price cap. I ministri dell’energia dei ventisette, all’informale di Praga dell’11-12 ottobre, hanno cercato di limare le divergenze e fare un appello comune alla Commissione europea per chiedere misure mirate contro i prezzi dell’energia. Da questa due giorni è infine emersa una lettera firmata dall’Italia, insieme alla Grecia, la Polonia, il Belgio e (per la prima volta) i Paesi Bassi per chiedere alla Commissione europea interventi mirati da introdurre a livello europeo per ridurre i prezzi del gas. Il documento in questione era stato firmato inizialmente anche dalla Germania, che invece ha deciso di sfilarsene all’ultimo.

Il non-paper era soprattutto un tentativo di trovare una mediazione tra i due schieramenti di Paesi contrapposti sulla questione: Italia, Belgio, Grecia e Polonia proponevano un corridoio dinamico per tutto il gas all’ingrosso importato nell’Ue; mentre Germania e Paesi Bassi hanno rilanciato a inizio settimana l’idea di un price-cap solo sul gas russo. Il compromesso raggiunto tra questi due gruppi di Paesi (o almeno dai Paesi Bassi e gli altri quattro) è un avvicinamento tra posizioni distanti, ma nei fatti non è risolutivo. Nel non-paper, i cinque governi chiedono alla Commissione Ue un intervento contro gli effetti del Ttf olandese sul gas proponendo due opzioni: modificare i riferimenti all’indice Ttf nei contratti pertinenti attraverso una misura legale e/o regolamentare dell’Ue; oppure applicare un “limite/corridoio di prezzo” al mercato all’ingrosso e la creazione di un meccanismo separato per far incontrare domanda e offerta in caso di superamento del limite di prezzo. Sono gli stessi cinque Paesi Ue a precisare però alla fine del documento che i “pareri divergono su questa opzione e sulla possibilità che tale misura sia possibile ed economicamente efficiente o che possa portare a razionamenti, arbitraggi o sussidi”.

A detta della ministra belga dell’energia, Tinne Van der Straeten, la lettera dovrebbe essere stata trasmessa alla Commissione europea ieri sera. Secondo il portavoce della Commissione europea, Eric Mamer, l’Esecutivo non l’ha ancora formalmente ricevuta. Alla ricerca di un consenso più ampio possibile, sembra invece probabile che Bruxelles faccia marcia indietro sull’idea di introdurre un tetto massimo per il gas usato per la produzione di energia elettrica, sul modello iberico. Un’opzione su cui l’Italia si è detta contraria perché nei fatti andrebbe finanziata da risorse pubbliche e svantaggerebbe gli Stati senza grande spazio fiscale, ma su cui sembrano avere dubbi anche Germania e Paesi Bassi.

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Stock comuni e limite ai prezzi, il 18 ottobre piano Ue contro il caro energia

Martedì 18 ottobre. C’è, infine, una data per la presentazione da parte della Commissione europea di un nuovo pacchetto di misure per affrontare il caro energia, che conterrà una proposta per lanciare nell’effettivo gli acquisti congiunti di gas e sviluppare un indice dei prezzi alternativo al Ttf di Amsterdam.

Il pacchetto dovrebbe contenere anche un meccanismo di controllo dei prezzi del gas, anche se non è chiaro ancora in che forma. A confermarlo è stata la commissaria europea per l’energia, Kadri Simson, da Praga dove ieri e oggi si è tenuto il Consiglio informale dell’energia. Una riunione dei ministri che non è riuscita a sciogliere il nodo del tetto al prezzo del gas. In primo luogo, la commissaria estone ha confermato che nel pacchetto ci sarà una proposta per un parametro di riferimento alternativo al Ttf di Amsterdam, il mercato olandese di riferimento per lo scambio di gas (che oggi si applica al gas da gasdotto), dal momento che non è “più rappresentativo della realtà del mercato energetico dell’UE e gonfia artificialmente i prezzi”.

Il nuovo indice dei prezzi, secondo l’Ue, non sarà operativo prima della stagione di riempimento delle riserve di gas, ovvero la primavera. Serve quindi un intervento più immediato e “temporaneo per limitare i prezzi”. Quale tipo di meccanismo è ancora incerto. Al vaglio di Bruxelles ci sono già diverse opzioni di tetto al prezzo del gas, vanno dalla proposta di un tetto su tutto il gas importato o solo sul gas importato dalla Russia (su cui spinge Bruxelles), un “corridoio dinamico” per il prezzo (come suggerito dall’Italia, Polonia, Grecia e Belgio in un non-paper trasmesso a Bruxelles), o ancora un tetto massimo per il gas usato per la produzione di energia elettrica, sul modello iberico (un’opzione su cui l’Italia è contraria perché nei fatti andrebbe finanziata da risorse pubbliche). Quest’ultima opzione, però, sembra superata dal momento che a livello Ue non sembra esserci un consenso. Rispondendo a una domanda su questa ipotesi, Simson ha chiarito che la proposta Ue “conterrà elementi su cui avremo il massimo sostegno consensuale da parte dei governi, quindi vedremo nel weekend come procedere con l’idea di fissare un tetto sul prezzo del gas per la produzione di energia elettrica. Se è possibile trovare una maggioranza in quella fase“.

L’idea di un price cap sul gas usato per generare energia elettrica era stata scoraggiata già da Italia, Polonia, Belgio e Grecia e oggi anche da Paesi Bassi e Germania, che hanno presentato al Consiglio un non-paper per contribuire al dibattito di oggi riproponendo la via del cap solo sul gas russo. Bruxelles avverte, però, che qualunque tipo di intervento sul mercato del gas per mitigare i prezzi richiederà un’ulteriore riduzione della domanda di gas. Anche qui non ci sono dettagli sulla forma che potrebbe assumere l’intervento ma “un’opzione potrebbe essere attivare l’allerta UE” e dunque rendere “obbligatorio l’obiettivo di riduzione della domanda di gas del 15%” rispetto alla media degli ultimi cinque anni. Andare quindi verso l’obbligo di riduzione della domanda di gas, oggi su base volontaria. La terza misura riguarderà la solidarietà, la Commissione “proporrà un accordo per garantire che gli accordi di solidarietà” siano attivi nel momento di bisogno, ovvero carenza di approvvigionamento. Al momento gli accordi di solidarietà sono solo su base volontaria e ce ne sono meno di dieci stipulati a livello comunitario. In ultimo, il piano conterrà una proposta per facilitare gli acquisti congiunti di gas attraverso la piattaforma lanciata ad aprile e mai effettivamente entrata in funzione. “Ciò consentirà all’UE di utilizzare il nostro potere d’acquisto collettivo per limitare i prezzi ed evitare che gli Stati membri si sorpassino a vicenda sul mercato, aumentando così i prezzi”, ha detto la commissaria. Le misure che saranno presentate la prossima settimana saranno oggetto di confronto tra i capi di stato e governo che si incontreranno a Bruxelles il 20-21 ottobre in un Vertice Ue in cui il dossier energia sarà centrale.

Draghi in pressing su Ue per misure concrete su energia: “Soddisfatto, cose si muovono”

L’intesa in Europa non c’è ancora, ma sul fronte energia “le cose si stanno muovendo. Uscendo dal vertice informale di Praga, al termine del suo mandato di governo, Mario Draghi si dice “soddisfatto.

Nella riunione, il premier ha ripercorso le tappe del dibattito europeo da marzo ad oggi. Ha ricordato come già sette mesi fa l’Italia avesse avanzato una proposta sul price cap e sottolineato che ora ci sono Paesi che hanno esaurito il proprio spazio fiscale. Per l’ex capo della Bce, insomma, l’Europa si trova di fronte a una scelta. E’ per questo che spinge Commissione e leader dei Paesi a dare una risposta forte e comune per far fronte alla crisi energetica. Il che significa anche poter disporre di fondi comuni, in modo che tutti i Paesi europei possano stare sullo stesso terreno di gioco sul piano finanziario. Al termine del vertice di Praga, il prezzo del gas è sceso a 155 euro, -12% al Ttf.

Dopo il maxi piano tedesco, da 200 miliardi di euro, è infatti difficile non immaginare un nuovo strumento di debito comune, per evitare frammentazioni. In questo senso, Draghi condivide la proposta dei commissari per l’Energia, Paolo Gentiloni, e per il Mercato interno, Thierry Breton, di rilanciare “l’Europa della solidarietà” dando vita a un nuovo prestito congiunto da parte dell’Unione Europea, sulla falsariga di quello emesso durante la pandemia da Covid-19 con Sure. E’, in fondo, quello che lo stesso Draghi aveva avanzato “cinque o sei mesi fa” , rivendica parlando ai cronisti a margine dell’incontro: “E’ molto naturale in questa situazione, soprattutto dopo la decisione tedesca. E’ quello che serve per cercare di mettere tutti i Paesi, sia quelli che hanno spazio fiscale sia quelli che non hanno spazio fiscale, su un livello uguale“.

Al Consiglio Ue, il 20 e 21 ottobre, la Commissione porterà una proposta per “tentare di diminuire i prezzi, avere un elemento di solidarietà nel meccanismo e iniziare la riforma del mercato dell’elettricità“, fa sapere. Però ammette di aspettarsi di più per quell’appuntamento: “Non più vaghe proposte, ma qualcosa di chiaro e concreto e in parte, addirittura, già proposte di regolamento“. “È in gioco l’unità tra di noi, a livello europeo” ha ricordato Draghi nel suo intervento, invitando a dare alla Commissione un “mandato ampio” per presentare quanto prima le proposte sui temi all’ordine del giorno del dossier energetico.

Tra le opzioni al vaglio del vertice per far fronte al caro energia, c’era anche la proposta di Italia, Belgio, Polonia e Grecia, di applicare un “corridoio dinamico di prezzo” a tutte le transazioni all’ingrosso di gas, non solo a quello importato dalla Russia e non solo sul gas usato per la generazione di energia elettrica. Un’idea che Gentiloni appoggia: “Un price cap bloccato può avere delle controindicazioni nel senso che l’andamento dei mercati, il trattamento verso i Paesi, richiedono uno strumento abbastanza sofisticato – ha spiegato su Radio 1 -. Un price cap dinamico potrebbe andare incontro a questa necessità“. Per il momento, confessa Draghi, non si è parlato nel dettaglio di tutte le proposte, perché si attende che la presidenza ceca convochi, prima del 20 ottobre, “tanti consigli dell’energia quanti sono necessari ad arrivare a una proposta concreta“.

fracking petrolio

L’Europa ha più gas di scisto degli Usa, ma non “può” usarlo

La nuova premier britannica, Liz Truss, qualche giorno fa ha annunciato che porrà fine alla moratoria al fracking sulle “nostre enormi riserve di scisto che potrebbero far circolare il gas in appena sei mesi“. Parlando alla Camera dei Comuni, ha anticipato che il governo concederà nuove licenze per petrolio e gas già questa settimana – lutto per Regina permettendo – che dovrebbero portare a oltre 100 nuove concessioni, dalle due attuali. Un cambio di rotta epocale, dopo il blocco deciso nel 2019 poiché – sostenevano istituzioni e associazioni inglesi – “non è possibile con la tecnologia attuale prevedere con precisione la probabilità di tremori associati al fracking“.

Il fracking è una tecnica estrattiva di petrolio e gas naturale che fu utilizzata per la prima volta negli Stati Uniti nel 1947 dalla Halliburton. In pratica si sfrutta la pressione dei liquidi per provocare delle fratture negli strati rocciosi più profondi del terreno, così da agevolare la fuoriuscita del petrolio o dei gas presenti nelle rocce. Proprio gli Stati Uniti, grazie al cosiddetto gas di scisto, sono diventati primi esportatori mondiali e ce lo stanno vendendo sotto forma di Gnl, gas liquefatto.

La mossa di Liz Truss ha riaperto il dibattito in Europa, alle prese con la scarsità di metano visto il blocco operato dalla Russia. Alcuni osservatori hanno ritirato fuori uno studio dell’Eia, Energy information administration americana, del 2015 in base al quale ci sarebbe più gas di scisto in Europa che negli Stati Uniti. In realtà lo studio considera nel Vecchio Continente anche Russia e Turchia, tuttavia anche escludendo anche questi due Paesi, sfruttando il fracking si potrebbero coprire i fabbisogni europei per oltre 30 anni.

Nel dettaglio gli Usa nel 2015 erano seduti su 622 trilioni di piedi cubi di shale gas, ovvero 17.612 miliardi di metri cubi di gas, che saranno diminuiti vista la corsa allo sfruttamento scattata soprattutto nell’ultimo decennio. In Europa ci sarebbero invece ancora 16.944 miliardi di metri cubi, benché l’unica grande attività di fracking sia proprio in Ucraina, che è riuscita a staccarsi dal gas russo anni fa. I Paesi più ricchi di gas di scisto sono Polonia, Romania, Francia, Danimarca, Olanda e Regno Unito. L’Italia nemmeno compare in questa classifica stilata dall’Eia. Eppure nel Vecchio continente non è stato praticamente mosso un dito, principalmente per due motivi: la densità di popolazione, tre volte quella americana, e le proteste delle comunità locali, le quali hanno fatto letteralmente scappare investitori-perforatori del calibro di Exxon o Chevron.

Secondo il sito oilprice.com, inoltre, ci sono altri due fattori che giocano in favore della Russia e contro lo sfruttamento di gas dalle rocce: la terra disabitata in Europa è scarsa, così come talvolta è insufficiente l’acqua per sfruttare i pozzi di scisto. Burocrazia e proteste ambientaliste a parte, inoltre il costo di produzione di gas russo è circa un sesto inferiore al costo di pareggio dello shale britannico. Anche se a questi prezzi ad Amsterdam perfino il gas di scisto sembra economico… difficile però che in Europa si prenda questa direzione, se non si è nemmeno in grado di stabilire un tetto al prezzo del gas o acquisti comuni di metano…

Bicicletta

Italia ‘green’ nell’Ue dove cresce la voglia di bicicletta

Agli europei la bicicletta piace sempre di più. Che si tratti di quella tradizionale o di quella elettrica, non fa differenza. La domanda interna cresce, trainando l’industria del settore e le importazioni, soprattutto da Cambogia, Taiwan e Cina. I dati Eurostat mostrano un’Europa sempre più votata alla mobilità sostenibile, che conferma l’attenzione dei cittadini alle questioni climatico-ambientali. Nel 2021 l’Ue ha comprato dai Paesi terzi più modelli della due ruote ecologica di quanti ne abbia venduti. Ne sono state esportate 1.487.700 di quelle tradizionali, a fronte di 5.743.700 importate. Un flusso commerciale che si traduce in 433 milioni di euro di export , e poco più di un miliardo di euro di import (1,046 miliardi) . Un ‘deficit’ di oltre 500 milioni. Rispetto al 2020, un aumento delle importazioni pari al 17%, a fronte di esportazioni cresciute del 16%.

Analoghe le dinamiche per le biciclette con pedalata assistita, i modelli elettrici di nuova generazione. Lo scorso anno la domanda estera per i prodotti ‘made in Eu’ (315.800 unità) è risultata praticamente un terzo della domanda europea per i vari ‘made in’ extra-europei (1.148.600 modelli). Anche qui saldo commerciale penalizzante per l’Unione europea: 488 milioni di euro di ricavi a fronte di 849 milioni di euro di acquisti. In nome della sostenibilità, dunque, l’Ue è fin qui disposta a peggiorare la propria bilancia. Uno sforzo economico-commerciale ripagato dalle ricadute positive in termini di sostenibilità. “La bicicletta promuove la salute e il benessere personale”, sottolinea l’istituto di statistica europeo nel presentare i numeri. L’utilizzo della bici, che sia quella classica o quella moderna, “è economico e, nella misura in cui può sostituire l’uso dell’auto privata, aiuta a ridurre l’inquinamento atmosferico”.

Gli europei, dati alla mano, sembrano prenderne coscienza sempre di più. Questa voglia di nuovi stili di vita permette all’Italia di svolgere un ruolo da protagonista nel comparto. Nel 2021 la produzione dell’Unione europea ha registrato un incremento del’11% rispetto ai modelli usciti da fabbriche e stabilimenti nel 2020. Sono state immesse sul mercato 13,5 milioni di nuovi veicoli ecologici. Un mini ‘boom’ trainato anche dalle imprese tricolore. L’Italia risulta il terzo produttore europeo delle due ruote ecologiche , con 1,9 milioni di esemplari tutti nuovi. Meglio solo Portogallo (2,9 milioni) e Romania (2,5 milioni) . Dallo Stivale un contributo significativo alla trasformazione green dell’Ue.

inquinamento plastica

Italia rimandata all’esame Ue sull’attuazione delle norme ambientali

Due passi avanti e tre indietro. L’Italia viene rimandata all’esame dell’attuazione delle norme ambientali negli Stati membri presentato dalla Commissione europea, che ha definito le tendenze comuni sulla base delle 27 relazioni nazionali, con incluse le informazioni sulla protezione della qualità dell’aria e dell’acqua, la gestione dei rifiuti e la protezione della natura da parte dei 27 governi dell’Unione.

Come evidenziato dal rapporto specifico sull’Italia, il Paese mostra ancora gravi carenze su diversi dossier, come inquinamento, gestione dei rifiuti e siti naturali, mentre passi in avanti sono stati evidenziati sulla gestione idrica e sull’economia circolare. “Il riesame dell’attuazione ambientale di quest’anno è un invito all’azione“, ha spiegato il commissario europeo per l’Ambiente, gli Oceani e la Pesca, Virginijus Sinkevičius: “Se da un lato mostra i progressi compiuti in alcune aree rispetto al precedente riesame, dall’altro mi preoccupa il fatto che in altri settori il divario di attuazione si stia ancora ampliando, rendendoci tutti più vulnerabili all’inquinamento ambientale e ai rischi correlati“.

La bocciatura più grossa per l’Italia è quella sui rifiuti, per cui il Paese “continua a pagare multe per non-conformità alla normativa europea sulle acque reflue urbane, per le discariche irregolari e per la gestione dei rifiuti nella regione Campania“, sottolinea il rapporto, ma anche i nitrati nell’Italia settentrionale e l’acqua potabile nel Lazio rappresentano “importanti” problemi ambientali. Per quanto riguarda l’inquinamento, si registrano “sostanziali” superamenti dei valori-limite degli inquinanti atmosferici per il particolato fine e il biossido di azoto, soprattutto nella pianura Padana. L’esecutivo comunitario stima che nel 2019 siano stati causati circa 50 mila e oltre 10.500 decessi prematuri attribuibili rispettivamente al particolato fine e al biossido di azoto. Infine, per le aree marine devono ancora essere designati i siti Natura 2000 ed “è necessario migliorare” lo stato di conservazione di habitat e specie, la cui qualità di misurazione è “spesso insufficiente“.

I punti positivi riguardano invece l’adozione dei Piani di gestione dei bacini idrografici di terza generazione e i Piani di gestione del rischio di alluvioni di seconda generazione. Ma soprattutto “l’ambizioso Piano nazionale di recupero e resilienza” (Pnrr), che prevede “riforme-chiave in settori quali l’economia circolare, la gestione dei rifiuti con importanti investimenti nel riciclaggio e la governance dell’acqua“, ha messo nero su bianco la Commissione Ue.

Von der Leyen

Cinque proposte della Commissione Ue contro il caro-prezzi

La Commissione europea proporrà ai governi dell’Ue di fissare un tetto al prezzo del gas russo importato insieme ad altre quattro misure contro il caro energia: dalla riduzione obbligatoria dell’uso dell’elettricità durante le ore di punta, a un tetto sulle entrate dei produttori di energia elettrica non prodotta da gas e dai combustibili fossili, passando per sostegni sotto forma di liquidità alle compagnie energetiche. È quanto ha annunciato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in un punto stampa, anticipando le proposte che l’esecutivo presenterà alla riunione straordinaria dei ministri dell’energia che si terrà venerdì 8 settembre a Bruxelles.

Nello specifico, la prima misura prevede di fissare un obiettivo obbligatorio per la riduzione del consumo di elettricità nelle ore di punta, quando si verificano i picchi di prezzo. “Lavoreremo a stretto contatto con gli Stati membri per raggiungere questo obiettivo”, ha assicurato la presidente. Secondo indiscrezioni del Financial Times, che ha preso visione della “bozza di proposte” in questione, il target proposto dalla Commissione sarebbe fissato al 5%. In secondo luogo, secondo la Commissione è arrivato il momento di proporre un tetto alle entrate delle compagnie “che producono elettricità a basso costo, quelle a basse emissioni di CO2 come le rinnovabili che stanno ottenendo “entrate inaspettate, che non riflettono i loro costi di produzione”. Queste entrate dovrebbero essere reindirizzate “ai più vulnerabili” così come, in terzo luogo, Bruxelles proporrà per i profitti inaspettati delle compagnie che si occupano di combustibili fossili. Gli “Stati membri dovrebbero investire queste entrate per sostenere le famiglie vulnerabili e investire in fonti energetiche pulite di produzione propria”, ha affermato la presidente. La quarta iniziativa riguarderà il sostegno alla liquidità da parte degli Stati membri per le società energeticheper far fronte alla volatilità dei mercati”. Von der Leyen ha assicurato che “aggiorneremo il nostro quadro temporaneo per consentire la rapida consegna delle garanzie statali”. In ultimo, la Commissione Ue dà infine il via libera alla proposta per un tetto al prezzo del gas importato dalla Russia “per ridurre le entrate” con cui il Cremlino sta finanziando la guerra in Ucraina. Il price-cap sul gas russo è una misura richiesta a più riprese a livello comunitario dal premier dimissionario Mario Draghi per ottenere un doppio effetto: da un lato, per affrontare il rincaro sulle bollette elettriche e far valere il potere dell’Unione Europea come principale acquirente dei combustibili fossili importati da Mosca; dall’altro, perché un tetto solo per il gas russo si tradurrebbe in una sanzione indiretta nei confronti della Russia, principale fornitore di gas all’Ue.

Dobbiamo tagliare le entrate della Russia che Putin usa per finanziare questa atroce guerra contro l’Ucraina”, ha affermato von der Leyen, compiacendosi del fatto che prima della guerra il gas russo era il 40% di tutto il gas importato. “Oggi è solo il 9% delle nostre importazioni di gas” e la Norvegia esporta più gas in Europa del Cremlino.

L’Italia ha pagato 8,6 mld a Putin da inizio guerra per gas e petrolio

Bloomberg scrive che l’economia russa rischia una forte crisi, Mosca invece fa sapere che quest’anno il Pil calerà di appena il 2,9%. La decisione di Mosca di interrompere il flusso del Nord Stream per alcuni osservatori sta a indicare che, senza export di metano, Putin vedrebbe ridurre drasticamente i propri introiti. Altri sostengono che le sanzioni stanno facendo male più all’Europa che alla Russia. Chi ha provato a fare luce sui numeri è il Center for Research on Energy and Clean Air (Crea), un think tank indipendente finlandese, secondo il quale la Russia ha guadagnato 158 miliardi di euro di entrate dalle esportazioni di combustibili fossili nei primi sei mesi di guerra (dal 24 febbraio al 24 agosto), poco meno di un miliardo al giorno. E la Ue ne ha importato il 54%, per un valore di circa 85 miliardi di euro. Più precisamente le esportazioni di combustibili fossili hanno contribuito con circa 43 miliardi al bilancio federale russo dall’inizio dell’invasione, contribuendo a finanziare la stessa guerra in Ucraina, sottolinea il Crea.

La principale importatrice di combustibili fossili è stata appunto la Ue (85,1 miliardi di euro), seguita da Cina (34,9 miliardi), Turchia (10,7), India (6,6), Giappone (2,5 miliardi), Egitto (2,3) e Corea del Sud (2 miliardi di euro). A sua volta, all’interno della Ue, la parte del leone la fa la Germania con 19 miliardi di euro pagati a Mosca per importare principalmente gas e petrolio, poi segue l’Olanda (11,1 miliardi soprattutto per il petrolio) nonostante sia la base della borsa che fa impazzire il prezzo del gas e nonostante sia seduta su decine di miliardi di metri cubi inutilizzati a Groningen, al terzo posto l’Italia che in 180 giorni ha versato nelle casse di Putin 8,6 miliardi pari a circa 50 milioni al giorno per ricevere in cambio gas via Tarvisio (sempre meno), petrolio, derivanti dal petrolio e un po’ di carbone (materia prima sulla quale è scattato l’embargo a inizio agosto). In pratica il nostro Paese durante i sei mesi che hanno sconvolto il mondo ha versato più soldi a Putin dell’India, che recentemente ha confermato di non voler applicare sanzioni verso il Cremlino e di voler intensificare gli acquisti di metano e greggio da Mosca. Fuori dal podio europeo troviamo infine la Polonia (7,4 miliardi di euro di prodotti fossili importati), Francia (5,5 miliardi), Bulgaria (5,2), Belgio (4,5) e Spagna 3,3).

Tornando sull’Italia nei due mesi che hanno preceduto il blocco all’import di carbone russo, abbiamo continuato a comprarne in compagnia di Olanda, Polonia, Germania e Spagna. Più o meno gli stessi Paesi che nelle ultime settimane si sono convertiti al carbone sudafricano che parte dal Richards Bay Coal Terminal benché la domanda fosse già cresciuta del 40% da gennaio a maggio. A proposito di carbone, ieri il prezzo del Newcastle Coal ha toccato i massimi a 463 euro a tonnellata. Ad agosto, i ricavi e i volumi delle esportazioni di combustibili fossili della Russia sono leggermente rimbalzati dal minimo raggiunto a giugno, nonostante le esportazioni russe siano diminuite del 18% rispetto al livello record raggiunto all’inizio dell’invasione (febbraio-marzo). Infatti rispetto all’inizio dell’invasione, le riduzioni delle importazioni di combustibili fossili russi sono costate al Paese 170 milioni di euro al giorno in mancate entrate in luglio e agosto. Il calo complessivo dei volumi delle esportazioni è stato determinato da un calo delle esportazioni verso la Ue, che sono diminuite del 35%.

Da notare infine un dato: dopo l’Europa il più grande importatore dalla Russia è la Cina. E la spesa maggiore di Pechino è per il petrolio, per il quale ha investito circa 25 miliardi. Il gas? Pesa molto meno dell’import di carbone: un paio di miliardi per il metano, quasi 4 per il carbone. E pure l’India è affamata di petrolio e non di gas. Per cui sorge una domanda: se il gas russo non va in Europa, a chi lo venderà Mosca?

(Photo credits: Odd ANDERSEN / AFP)