Giorgetti punta sul nucleare per frenare il caro energia: “In passato scelte scellerate”

L’energia resta un tema cruciale per la crescita economica. Dopo l’appello lanciato da Confindustria all’ultima assemblea nazionale, anche in Senato i rincari trovano spazio nella discussione sulle nuove regole di bilancio. Giancarlo Giorgetti prende appunti, poi risponde: “Sul costo dell’energia dobbiamo guardarci tutti allo specchio” e pensare “alle scelte scellerate che hanno privato questo Paese dell’unica fonte di energia che lo avrebbe reso sovrano e indipendente: il nucleare”.

Proprio per questo motivo, il ministro dell’Economia spera che “davanti a scelte che potranno produrre effetti, ahimè, tra 10 anni, tutto il Parlamento in qualche modo seguirà il nuovo indirizzo che finalmente il governo ha coraggiosamente deciso di dare”. Ogni riferimento alla legge delega è più che voluto.

Il responsabile del Mef, come tutto l’esecutivo, sa che i tempi sono cambiati rispetto agli anni Ottanta. Le bollette che ogni bimestre arrivano nelle cassette postali degli italiani e sulle caselle mail delle aziende sempre più alte, erodendo la capacità di acquisto delle famiglie e quella di fare investimenti delle imprese. Anche i numeri indicano che la strada del nucleare ha molti meno ostacoli rispetto al passato. Secondo quanto emerge dall’ultimo sondaggio condotto da Swg per Fondazione Lottomatica, infatti, il 57% degli italiani guarda con favore al ritorno dell’energia nucleare, mentre il 64% è favorevole a investimenti nella nuova generazione di impianti.

Anche la ricerca ‘Italia: energia sicura?‘, realizzata dall’istituto Gpf Inspiring Research, conferma questa tendenza: “Il 58,4% degli intervistati accetta (con diverse sfumature di opinione) di reinvestire nel nucleare per il fabbisogno energetico nazionale”. Sono soprattutto i giovani ad avere la maggiore apertura verso il nucleare, visto che tra gli under 35 la percentuale arriva al 62,3.

Al di là del nucleare, Giorgetti allarga il ragionamento anche alle energie alternative, anche se solo da un punto di vista economico. Perché il ministro invita a riflettere sulle “dubbie politiche anche in materia di rinnovabili, non per la bontà delle medesime” ma per “come si sono costruiti gli oneri di sistema e quanto pesano nel tempo per capire che si è sbagliato qualcosa su tutta la politica energetica nazionale”. Parole che potrebbero anche preludere a un prossimo intervento del governo in materia. Del resto, le soluzioni per le politiche industriali sono sempre oggetto di studio al Mef. Anche se Giorgetti non cambia idea sui piani quinquennali: “Sono stati un fallimento storico, economico e anche politico. Continuare a concepire la politica industriale in questi termini non potrà che replicare gli stessi esiti”.

L’unica ammenda che il responsabile del Mef concede è sulla difesa: “Siccome la domanda è pubblica, e saremo chiamati a valutare ingenti risorse da destinare alla difesa, l’offerta inevitabilmente deve essere guidata e consigliata”. Il governo assicura che non si farà trovare impreparato nemmeno sui cosiddetti ‘campioni’: “Faremo la nostra parte“.

Dal fagiolo di Meloni al tappo delle bottiglie di Metsola

Il fagiolo di Giorgia Meloni e il tappo delle bottiglie di plastica di Roberta Metsola sono stati i momenti più ‘alti’ dell’assemblea di Confindustria, là dove il presidente Orsini è stato molto diretto nel lanciare l’allarme energia, nel chiedere all’Europa un brusco cambio di passo e nell’invocare un nuovo piano industriale, anzi un piano industriale straordinario per l’Italia, quantificabile in 8 miliardi all’anno per i prossimi tre, meglio sarebbe per cinque.

Il fagiolo (se è più piccolo di un centimetro non è europeo) è il paradosso che ha usato la premier per fare capire come questa Europa sia fuori dal tempo e distante dalla realtà, vittima di regole che si autoimpone e di dazi interni che sono molto peggio di quelli ballerini millantati da Donald Trump. Il tappo attaccato al collo delle bottiglie di plastica è invece l’immagine usata dalla presidente del Parlamento Ue per dire che la Ue medesima non è quella di questo provvedimento ecologico ma può e deve essere qualcosa di diverso. Delicata ma netta, insomma. Quasi critica. Poi l’una ha aperto le porte di Chigi agli industriali sul tema dell’energia (come dire: se avete un problema venite da me e non lamentatevi pubblicamente), l’altra ha voluto chiarire subito, ad inizio intervento, che il parlamento di Strasburgo e gli uffici ovattati di Bruxelles stanno dalla parte degli imprenditori e sono al fianco degli industriali. Non sia mai.

Riavvolgendo il nastro dell’appuntamento bolognese, emerge che Orsini, Meloni e Metsola la pensano allo stesso modo sull’Europa. Che va cambiata. Che va riformata. Che va adeguata alle necessità dei 400 milioni e passa di cittadini. E in fretta. Ma la nota dolente è che troppe volte si è sentito questo refrain senza che nulla di concreto sia stato fatto per imprimere una svolta radicale. Al massimo ci sono state delle correzioni in corsa con evidenti malumori interni. Ma tra Trump che incombe e la Cina che minaccia, tra guerre sparse e terre (rare) da conquistare il conto alla rovescia si è esaurito da un pezzo. Il pachiderma di Bruxelles non ha più ragione di esistere, bisogna essere grilli, saltare di qua e di là.

Dopo aver detto che l’Italia è più credibile e quindi spendibile verso l’esterno, la chiosa della presidente del Consiglio agli industriali è stato un inno alla gioia: “pensate in grande perché io lo farò”. Un ‘claim‘ a presa rapida accolto con molti assensi del capo da una platea gremita di eccellenze, anche se prima si è andati a sbattere contro il muro dei costi energetici. Disaccoppiamento di gas ed elettricità, oltre al nucleare di ultima generazione sono le strade da battere per uscire da una situazione delicatissima, che sta piegando la nostra industria riducendone la competitività. Per Meloni le speculazioni energetiche sono inaccettabili, per Orsini a Roma non devono frenare sulle rinnovabili, che da sole non risolvono il problema ma nell’ambito di un indispensabile mix energetico sicuramente aiutano.

Dopo le richieste e le risposte si attendono a strettissimo giro atti concreti. Dimenticandosi di fagioli e tappi di bottiglia.

Sos industriali: “Costi energia insostenibili”. Meloni: “Porte governo sempre aperte”

La prima, tra le preoccupazioni delle imprese, resta il costo dell’energia. Una situazione “insostenibile” tuona dal palco di Bologna, per l’assemblea annuale, il presidente di Confindustria Emanuele Orsini. In platea, c’è quasi tutto il governo, premier inclusa.

L’industriale supplica l’esecutivo di “agire con urgenza“, perché si tratta di un “vero dramma che si compie ogni giorno: per le famiglie, per le imprese e per l’Italia intera“. D’altra parte, i consumi industriali italiani rappresentano il 42% del fabbisogno elettrico nazionale (125 TWh) e per le imprese il prezzo dell’energia viene calcolato in base al costo dell’elettricità prodotta con il gas. La produzione di energia da fonti rinnovabili rappresenta il 45% dell’elettricità messa in rete, ma “non concorre alla formazione di un prezzo più competitivo per l’industria”, ricorda Orsini.

L’Autorità dell’Energia ha calcolato che gli incentivi alle rinnovabili ammontano, fino ad oggi, a 170 miliardi di euro. Incentivi “pagati da famiglie e imprese attraverso le loro bollette”. Dopo tutti gli incentivi per le rinnovabili, noi “non possiamo più accettare di continuare a pagare l’energia al prezzo vincolato a quello del gas. Per questo dobbiamo entrare subito nella logica del disaccoppiamento”, sollecita.

La porta del governo è e rimane sempre aperta“, assicura Giorgia Meloni, che sull’energia si dice disponibile ad accogliere “proposte, idee nuove e progetti seri“. E torna sul “cammino del nucleare“, sui mini reattori, una “scelta coraggiosa per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione rafforzando la competitività delle nostre imprese“, spiega. Per Orsini è “possibile e necessario” ridurre nella bolletta gli oneri generali di sistema, che da soli gravano per circa 40 euro per MWh. Questo dovrebbe riguardare tutte le PMI industriali, non solo gli artigiani e i commercianti con utenze in bassa tensione.

“Bisogna battersi in Europa per sospendere l’ETS, visto che consumo ed emissione di CO2 pesano a loro volta in bolletta elettrica tra i 25 e i 35 euro a MWh”. E poi, “bisogna snellire e accelerare le procedure dell’Energy Release e della Gas Release che sulla carta riservano all’industria quote di energia a prezzi minori”. Confindustria domanda a politica e sindacati cooperazione per un piano industriale straordinario per l’Italia, un sostegno agli investimenti di 8 miliardi di euro l’anno per i prossimi 3 anni, “ancora meglio se avessimo un orizzonte temporale di 5 anni”. Con un obiettivo di crescita ambizioso: raggiungere almeno il 2% di crescita del Pil nel prossimo triennio.

Il governo è “perfettamente consapevole” dell’impatto che i costi energetici hanno sulle famiglie e sulle imprese soprattutto su quelle di piccole e medie dimensioni e “lo sappiamo anche perché dall’inizio di questo governo noi abbiamo stanziato circa 60 miliardi di Euro, l’equivalente di due leggi finanziarie per cercare di alleviare i costi”, ribatte la premier. Ma mette in chiaro che “continuare a cercare di tamponare spendendo soldi pubblici non può essere la soluzione”. Per questo, lo stanziamento delle risorse è stato accompagnato da diversi interventi. Uno, già disponibile, è il disaccoppiamento del prezzo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili da quello del gas. Poi c’è lo strumento dei contratti pluriennali a prezzo fisso di acquisto di energia prodotta da fonti rinnovabili, dove il corrispettivo viene è stabilito tra le parti e riflette i reali costi di produzione per ciascuna tecnologia.

Accoglie l’sos anche il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica: “Il primo obiettivo che ci unisce è ridurre strutturalmente il peso che oggi grava su famiglie e imprese”, spiega Gilberto Pichetto Fratin. Il piano è accelerare nella trasformazione del modello energetico: “Lavoriamo su strumenti innovativi e più mirati, anche in chiave di disaccoppiamento del prezzo delle rinnovabili da quello del gas, puntando – conferma – su contratti pluriennali a prezzo fisso che offrano maggiore stabilità e prevedibilità a cittadini e imprese”.

Alla fine del suo lungo intervento, il messaggio di Meloni per gli industriali è “pensate in grande, perché l’Italia è grande“. Fuori dai confini, per la presidente del Consiglio, c’è una voglia d’Italia che “troppo spesso noi siamo gli unici a non vedere”, per questo, insiste “la prima cosa che noi dobbiamo fare è crederci. Pensate in grande, perché io farò lo stesso”.

Pichetto: “Ddl Nucleare legge entro l’anno”. Enea guarda a fusione col primo magnete per DTT

Il disegno di legge sul Nucleare diventerà legge entro l’anno e l’Italia, dopo 40 anni, potrà tornare in corsa per produrre energia da fissione e in futuro da fusione. E’ l’auspicio di Gilberto Pichetto Fratin, che partecipa alla presentazione del primo magnete per il progetto DTT (Divertor Tokamak Test) nello stabilimento di ASG Superconductors della Spezia.

Il ddl è stato licenziato in consiglio dei ministri alla fine di febbraio, ma deve ancora approdare in Parlamento. “Noi vogliamo accompagnare ma anche accelerare” l’energia Nucleare, spiega il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. Non solo quindi l’esecutivo sceglie di produrla, ma prevede anche di avere un ente di controllo e di sostenere la ricerca e la formazione. Si partirà inevitabilmente dai “piccoli reattori” da fissione di “terza generazione avanzata”, per poi arrivare alla fissione di quarta generazione, con raffreddamento a piombo, fino all'”eldorado della fusione“, precisa Pichetto Fratin.

Proprio alla fusione guarda il Dtt, macchina sperimentale 100% italiana in costruzione nel Centro Ricerche ENEA di Frascati. Oggi è stato presentato il primo dei diciotto magneti che costituiranno il “cuore” tecnologico del reattore. “Un ulteriore e importante tassello verso la fusione, da molti considerata la più importante sfida tecnologica del nostro secolo”, ribadisce l’inquilino del dicastero di viale Cristoforo Colombo. Un progetto promosso da un consorzio composto da ENEA, Eni e diverse università e istituzioni di ricerca italiane, con un investimento complessivo superiore ai 600 milioni di euro e che si stima possa generare un impatto economico e occupazionale pari a circa 2 miliardi di euro. Il progetto darà vita anche a uno dei centri scientifico-tecnologici più avanzati a livello mondiale, concepito come un hub internazionale aperto alla collaborazione di ricercatori e scienziati provenienti da tutto il mondo.

In questi decenni, sia nel campo della fusione che quello della fissione l’Italia ha mantenuto “una rete industriale robusta, una importantissima catena di approvvigionamento per impianti europei e internazionali, un sistema di ricerca avanzato e istituzioni accademiche di eccellenza, che forniscono competenze qualificate a livello internazionale – ad esempio in grado di formare, già oggi, circa il 10% degli ingegneri nucleari europei“, ricorda Pichetto Fratin.

Il magnete superconduttore misura oltre 6 metri di altezza e pesa 16 tonnellate. E’ composto con tecnologie costruttive all’avanguardia e materiali innovativi per contenere 33 metri cubi di plasma a una temperatura di oltre 100 milioni di gradi. Il DTT vuole essere un elemento di raccordo tra i grandi programmi internazionali ITER e DEMO e promette di dare risposte cruciali ad alcune delle principali sfide ancora aperte nel percorso verso la produzione di energia da fusione, come ad esempio la gestione dei flussi di potenza estremamente elevati generati dal plasma.

“Siamo particolarmente orgogliosi di contribuire, con le nostre competenze e infrastrutture, a questo risultato che rappresenta un importante passo in avanti nella roadmap per la realizzazione della facility DTT e in generale per l’energia da fusione“, rivendica Giorgio Graditi, direttore generale ENEA. Una tappa fondamentale “non solo per la nostra macchina sperimentale ma per l’intera filiera della fusione in Italia“, spiega Francesco Romanelli, presidente DTT, che parla di una “dimostrazione concreta che ricerca pubblica e industria privata, quando lavorano in sinergia, possono affrontare con successo sfide scientifiche e tecnologiche di portata globale“. Il DTT è nato per “accelerare la transizione energetica, formare nuove generazioni di ricercatori e tecnologi e contribuire in modo determinante alla costruzione dei reattori del futuro, in grado di produrre energia non solo pulita ma di fatto inesauribile. Oggi questo ulteriore risultato concreto – scandisce -, ci consente di guardare avanti con ancora più fiducia e determinazione”.

Eolico

Energia, nel 2024 in Italia 74.303 MW di rinnovabili: +267% rispetto al 2004

In Italia negli ultimi 20 anni le rinnovabili, così come le buone pratiche energetiche, registrano una lenta ma importante crescita e diffusione. La conferma arriva dai dati del nuovo report di Legambiente ‘Comuni Rinnovabili’– realizzato in collaborazione con il Gse e arrivato alla sua XX edizione – ricavati dalle oltre 350 esperienze virtuose censite in questi anni e dalle cinque realtà vincitrici del Premio Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali (C.E.R.S), premiate oggi dall’associazione ambientalista e da Generali Italia a Roma.

I numeri parlano chiaro: nella Penisola dal 2004 al 2024 le rinnovabili sono passate da 20.222 MW a 74.303 MW di potenza efficiente netta installata, con una media pari a 2.704 MW l’anno, e facendo registrare un incremento di 54.081 MW, + 267%. In 20 anni è cresciuto anche il numero degli impianti: se nel 2004 erano appena 2.452, nel 2024 si arriva a oltre 1.893.195 milioni di installazioni. Solare fotovoltaico, eolico ed idroelettrico sono le tre fonti rinnovabili cresciute maggiormente in questi venti anni. Il solare fotovoltaico dal 2004 ad oggi ha registrato una crescita di 37.085 MW distribuiti in 1,8 milioni di impianti, di cui 276mila solo nel 2024 e i Comuni dove sono state installate queste fonti pulite sono passati nell’arco di vent’anni da 74 a 7.873. L’eolico nello stesso periodo è cresciuto di 11.890 MW e gli impianti sono passati dai 120 del 2004 ai 6.130. Inoltre, ben 685 MW di eolico sono stati realizzati nel 2024 grazie alla realizzazione di 84 nuovi impianti che, nonostante le tante opposizioni, hanno coinvolto ben 66 Comuni.

L’idroelettrico è passato da 17.055 MW del 2004, distribuiti su 2.021 impianti, a 18.992 MW su 4.907 installazioni nel 2024. Più stabile ma comunque in crescita, anche la geotermia ad alta entalpia che dal 2004 al 2024 è cresciuta di 136 MW, mentre le bioenergie sono passate da 1.346 MW a 3.802 MW distribuiti in almeno 3.054 Comuni. “Dati sicuramente importanti”, spiega Legambiente, ma su cui “è fondamentale accelerare il passo visti i ritardi accumulati rispetto all’obiettivo 2030 e gli importanti benefici, tra cui quelli occupazionali e sulle bollette che genera questo settore”. L’Italia con 212mila persone è in Europa al secondo posto, dopo la Germania, per persone occupate nel settore delle rinnovabili. Oltre la metà, 135 mila, sono impiegate nel settore delle pompe di calore nel quale la Penisola detiene il primato assoluto per impiego tra i paesi dell’Ue. Eolico e fotovoltaico in Italia valgono invece, rispettivamente, 9mila e 26,5mila posti di lavoro.

“Nel 2024, a livello mondiale, il mercato delle fonti pulite ha fatto registrare maggiori investimenti di quelli delle fossili. Un dato importante che, insieme a quello di Comuni Rinnovabili, indica chiaramente quale sia la strada da seguire. Per contrastare la crisi climatica e ridurre il costo delle bollette, è fondamentale che l’Italia acceleri la realizzazione di impianti a fonti pulite, ma anche di reti, accumuli, efficienza energetica, elettrificazione dei consumi termici e di quelli legati alla mobilità”, commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. Servono, inoltre, “politiche nazionali, regionali e comunali – dice Ciafani – in grado di accogliere la trasformazione in corso, lavorando anche sull’accettabilità sociale e su una maggiore partecipazione dei territori, snellendo gli iter autorizzativi e rimuovendo quegli ostacoli burocratici e i decreti sbagliati che ad oggi ne frenano lo sviluppo, come quello sulle Aree idonee che la recente sentenza del TAR del Lazio ha sostanzialmente smontato. Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica non faccia ricorso al Consiglio di Stato e corregga speditamente il decreto per recuperare il tempo perso nell’ultimo anno”. 

Energia, Ue verso indipendenza da Mosca: stop totale all’import gas russo dal 2027

L’Unione europea fissa le tappe del percorso per la sua indipendenza energetica dalla Russia. E lo fa con la tabella di marcia RepowerEu che, presentata oggi dalla Commissione, punta – con azioni che vanno dal monitoraggio del gas usato nell’Ue all’interruzione dei contratti passando per piani nazionali di eliminazione dell’import fino a misure sull’uranio – a completare il lavoro iniziato tre anni fa dall’Ue alla luce dell’invasione russa dell’Ucraina. “Oggi l’Unione europea invia un messaggio molto chiaro alla Russia: Mai più. Mai più permetteremo alla Russia di usare l’energia come arma contro di noi. Mai più permetteremo che i nostri Stati membri siano ricattati. Mai più contribuiremo indirettamente a riempire le casse del Cremlino”, ha affermato in conferenza stampa il commissario europeo all’Energia, Dan Jorgensen. Contraria alla roadmap l’Ungheria: “Dopo il totale fallimento delle sanzioni contro la Russia, la Commissione europea sta commettendo oggi un altro grave errore escludendo in modo forzato, artificiale e ideologico le fonti energetiche russe”, ha dichiarato il ministro ungherese degli Esteri Peter Szijjarto in un video pubblicato su Facebook.

Prima dell’invasione russa dell’Ucraina, metà del carbone utilizzato nell’Ue proveniva da Mosca. “Abbiamo smesso completamente di farlo”, ha ricordato Jorgensen. “Per quanto riguarda il petrolio russo, siamo passati dal 26% al 3%” mentre “sul gas dal 45% nel 2022 al 13% di oggi” anche se, nel 2024, l’Ue ha registrato una ripresa degli acquisti. “L’anno scorso, nell’Ue, abbiamo pagato alla Russia 23 miliardi di euro per le nostre importazioni di energia. Si tratta di 1,8 miliardi di euro al mese. Ciò deve cessare. Per questo motivo, oggi, la Commissione ha adottato una tabella di marcia che porterà a termine l’opera”, ha spiegato il commissario.

Il documento presentato oggi è una comunicazione e sarà seguito, il mese prossimo, da un pacchetto di proposte legislative. Tra queste, una sarà sulle norme per una maggiore trasparenza, monitoraggio e tracciabilità del gas russo utilizzato nell’Ue, mentre un’altra imporrà agli Stati membri di stilare, entro fine anno, dei piani nazionali per l’eliminazione graduale del gas russo. In particolare, i piani dovranno indicare il volume delle importazioni di gas russo nell’ambito dei contratti in essere, compresi i contratti con clausole ‘take or pay’; un calendario con le tappe fondamentali per il raggiungimento dell’obiettivo di eliminare gradualmente il gas russo; le opzioni di diversificazione e sostituzione. Altre misure della roadmap sono il divieto di importazioni nell’ambito dei nuovi contratti e dei contratti spot esistenti sul gas russo entro il 2025 e il divieto di importazione di gas russo nell’ambito di contratti esistenti a lungo termine al 2027. In altre parole, saranno impediti nuovi contratti con i fornitori di gas russo (gasdotti e Gnl) e i contratti spot esistenti saranno sospesi entro la fine del 2025. “I contratti a breve termine dovranno essere interrotti quest’anno, si tratta di circa un terzo dell’importazione”, ha illustrato Jorgensen. “I due terzi, i contratti a lungo termine, dovranno terminare entro la fine del 2027. Ciò avverrà sotto forma di divieto, una proibizione. Dal punto di vista legale, per le aziende che potrebbero avere questi contratti, significa il principio di ‘forza maggiore’ e pertanto non possono essere ritenute responsabili”, ha chiarito.

Tutte le misure della tabella saranno accompagnate “da continui sforzi per accelerare la transizione energetica e diversificare gli approvvigionamenti energetici, anche attraverso l’aggregazione della domanda di gas e un migliore utilizzo delle infrastrutture”. E la comunicazione di oggi tocca anche il nucleare, visto che, nel 2024, circa il 23% dell’intera domanda dell’Ue di servizi di conversione dell’uranio è stata soddisfatta dalla Russia e nei servizi di arricchimento dell’uranio la Russia ha coperto quasi il 24% del fabbisogno dell’Ue. Qui, saranno introdotte restrizioni per eliminare gradualmente le importazioni russe di uranio, uranio arricchito e altri materiali nucleari, rendendole “economicamente meno redditizie” e, il mese prossimo, la Commissione intende limitare i nuovi contratti di fornitura cofirmati dall’Agenzia di approvvigionamento dell’Euratom per l’uranio, l’uranio arricchito e altri materiali nucleari con i fornitori russi a partire da una certa data. Infine, nell’ambito della tabella di marcia, la Commissione presenterà anche nuove azioni per affrontare il problema della flotta ombra russa che trasporta petrolio ed è inoltre prevista un’iniziativa europea per la ‘Valle dei radioisotopi’ per garantire l’approvvigionamento di radioisotopi medicali da parte dell’Ue attraverso un aumento della produzione propria.

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Ue avvia il primo progetto comune sul nucleare. Pichetto-Urso: “Italia al centro”

Parte a Bruxelles il primo progetto comune sulle energie nucleari, candidato per l’Ipcei (Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo). Il gruppo di lavoro è guidato dalla Francia, sostenuto dall’Italia e dalla Romania, ma sarà aperto alla sottoscrizione di altri Stati. L’obiettivo è portare avanti un piano integrato, con “forti collaborazioni di ricerca e sviluppo”, spiega la Commissione europea, per creare un “ecosistema nucleare europeo competitivo”.

Si punta quindi a decarbonizzare l’industria, rafforzando la competitività e cercando di raggiungere gli obiettivi climatici. “Questo Ipcei può rendere l’Europa leader mondiale nell’innovazione nucleare”, si spinge a sostenere il vice presidente della Commissione, Stéphane Séjourné, nella riunione in cui ha preso avvio la fase di progettazione del lavoro.

Gilberto Pichetto e Adolfo Urso si dicono “molto soddisfatti”: “Rappresenta un riconoscimento del valore strategico del nucleare a livello europeo”, spiegano in una nota congiunta.

L’Italia ha fornito il sostegno all’iniziativa con una endorsement letter, a conferma della “vitalità di una filiera industriale nazionale che, insieme alla ricerca e all’accademia, è rimasta attiva e competitiva negli ultimi quarant’anni, nonostante l’assenza di produzione di energia da fonte nucleare sul territorio nazionale”, ricordano i due ministri. Il risultato è frutto di un “intenso lavoro di collaborazione” tra il Mase e il Mimit, con il supporto dalla Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile (Pnns), istituita presso il Mase, che ha pubblicato lo scorso 4 aprile i risultati di un anno di lavoro collaborativo tra i più importanti stakeholder nazionale sul nucleare.

I due ministeri evidenziano che, per la prima volta dall’istituzione degli Ipcei, all’Italia “è stato riconosciuto il ruolo di penholder (coordinatore) a livello europeo, in particolare per le tecnologie di fusione nucleare”. Il nostro Paese ha però dato un contributo, viene precisato, “ugualmente determinante” nell’ambito delle tecnologie di fissione nucleare e delle applicazioni mediche delle tecnologie nucleari.

La fase di design dei progetti apre un percorso che richiederà un ulteriore e significativo impegno da parte dei ministeri coinvolti, in sinergia con l’intero sistema industriale, accademico e della ricerca italiano. Nel momento in cui il Parlamento si prepara a confrontarsi sulla legge delega in materia di energia nucleare sostenibile, questo Ipcei rappresenta uno strumento per sostenere una filiera nazionale che “opera da decenni ai più alti livelli europei e internazionali, sia nel campo della fissione nucleare che della fusione”, sostengono i ministri.

Si tratta di “un segnale forte che riconosce il valore strategico dell’innovazione tecnologica in ambito energetico e conferma il ruolo centrale che l’Italia può e deve avere in questa sfida, l’unica in grado di garantire la sicurezza del Paese e ridurre il costo dell’energia per famiglie e imprese”, fa eco la viceministra dell’Ambiente, Vannia Gava, in quota Lega. Proprio il Carroccio, lunedì a Milano presenterà la sua proposta per un nucleare possibile già dal 2032: “È l’unico modo – secondo il segretario Matteo Salvini – per avere bollette più basse per famiglie e imprese”.

Ia, sfida per sicurezza energetica: entro 2030 raddoppia domanda elettricità. Aumentano emissioni

Photo credit: AFP

 

‘Dopato’ dall’intelligenza artificiale, il consumo di elettricità dei data center “più che raddoppierà” entro il 2030, rappresentando una sfida per la sicurezza energetica e un fattore di aumento delle emissioni di CO2.

Secondo un rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) dal titolo ‘Energia e Ia’, pur essendo già ad alto consumo energetico, i data center hanno raddoppiato la loro capacità di elaborazione con il recente sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa, che richiede capacità di calcolo colossali per elaborare le informazioni accumulate in database giganteschi. Nel 2024, queste infrastrutture rappresentavano solo circa l’1,5% del consumo globale di elettricità (415 TWh), ma negli ultimi cinque anni questa percentuale è già aumentata del 12% all’anno. E non è ancora finita.

Secondo l’Aie, “si prevede che la domanda globale di elettricità dei data center raddoppierà entro il 2030, raggiungendo circa 945 terawattora (TWh), ovvero una cifra leggermente superiore all’attuale consumo totale di elettricità del Giappone”. Entro questa data, i data center consumeranno poco meno del 3% dell’elettricità mondiale. A livello locale, “un centro elaborazione dati da 100 megawatt può consumare la stessa quantità di elettricità di 100.000 famiglie” all’anno, ma domani “i centri più grandi in costruzione oggi consumeranno 20 volte di più“, l’equivalente del consumo di 2 milioni di famiglie.

In un rapporto di 302 pagine, il primo dedicato all’intelligenza artificiale, l’agenzia per l’energia esamina “uno dei problemi energetici più urgenti e meno compresi oggi”. “L’intelligenza artificiale potrebbe trasformare il settore energetico nel prossimo decennio, incrementando la domanda di elettricità dai data center di tutto il mondo e offrendo al contempo significative opportunità di ridurre i costi, migliorare la competitività e tagliare le emissioni”, ha affermato l’Aie. I data center sono distribuiti in modo non uniforme nel mondo e concentrati in poche regioni all’interno di un Paese, spesso in prossimità delle città, il che solleva sfide in termini di fornitura e dimensionamento della rete elettrica. Questo aumento sarà “particolarmente” marcato in alcuni Paesi, come gli Stati Uniti, dove “i data center sono sulla buona strada per rappresentare quasi la metà” della domanda aggiuntiva di elettricità, sottolinea il direttore esecutivo dell’Agenzia Fatih Birol.

Insieme, Stati Uniti, Europa e Cina rappresentano oggi circa l’85% del consumo dei data center. La prima sfida è quindi quella di trovare elettricità a prezzi accessibili e in abbondanza. Nel tentativo di prendere le distanze dalla Cina nel campo dell’intelligenza artificiale (IA), il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha lanciato la creazione di un “Consiglio nazionale per il dominio energetico” con il compito di incrementare la produzione di energia elettrica. Secondo l’AIE, “per soddisfare le crescenti esigenze verrà utilizzata un’ampia gamma di fonti energetiche“, tra cui il carbone, che attualmente soddisfa il 30% del fabbisogno dei data center. “Tuttavia, si prevede che le energie rinnovabili e il gas naturale assumeranno un ruolo guida, grazie alla loro competitività in termini di costi e alla loro disponibilità nei mercati chiave“, si legge nel rapporto.

La corsa ai data center porterà inevitabilmente a un aumento delle emissioni legate al consumo di energia elettrica, dagli attuali 180 milioni di tonnellate di CO2 a 300 milioni di tonnellate entro il 2035, una quota minima però rispetto alla portata delle emissioni globali stimate nel 2024 (41,6 miliardi di tonnellate di CO2), avverte l’IEA. “Sebbene queste emissioni restino al di sotto dell’1,5% delle emissioni totali del settore energetico in questo periodo, i data center sono tra le fonti di emissioni in più rapida crescita“, aggiunge. Tuttavia, secondo l’Aie, queste emissioni aggiuntive potrebbero essere compensate o addirittura superate da potenziali risparmi di emissioni nel settore energetico e in altri settori, grazie ai guadagni di efficienza e alle innovazioni guidate dall’intelligenza artificiale. “I timori che l’intelligenza artificiale acceleri il cambiamento climatico sembrano esagerati, così come le aspettative che l’intelligenza artificiale da sola possa risolvere il problema“, conclude Aie. Con cautela, l’agenzia ritiene che “l’adozione dell’intelligenza artificiale non sia garantita e potrebbe essere compensata da effetti di rimbalzo e da un aumento del consumo di combustibili fossili“. In altre parole, l’intelligenza artificiale non è “una soluzione miracolosa” nella transizione energetica e resta necessaria una “politica proattiva”.

Trump rilancia il ‘meraviglioso’ carbone: stop a barriere normative

Il presidente Usa, Donald Trump, ha firmato alcuni decreti volti a “dare impulso” all’estrazione di carbone negli Stati Uniti, con l’obiettivo di “più che raddoppiare” la produzione interna di elettricità, in particolare per rispondere all’espansione dell’intelligenza artificiale. I testi che ha ratificato, circondato da minatori con in testa gli elmetti da cantiere, mirano ad eliminare le barriere normative all’estrazione del carbone e a sospendere le previste chiusure di numerose centrali che utilizzano questo combustibile fossile in tutto il paese.

“Porremo fine all’orientamento anti-carbone della precedente amministrazione”, ha detto il presidente americano, che ha dato istruzioni al Dipartimento di Giustizia di “identificare e combattere” le normative locali che ostacolerebbero il suo obiettivo. Donald Trump ha inoltre assicurato che “sarà possibile estrarre enormi quantità di minerali strategici e terre rare, di cui abbiamo bisogno per il settore tecnologico e dell’alta tecnologia, attraverso il processo di estrazione del carbone”.

L’obiettivo dei decreti, si legge nei documenti firmati da Trump, è “garantire la prosperità economica e la sicurezza nazionale dell’America, abbassare il costo della vita e far fronte all’aumento della domanda di energia elettrica da parte delle tecnologie emergenti”. Ecco perché “dobbiamo aumentare la produzione energetica nazionale, incluso il carbone”, che è “abbondante e conveniente e può essere utilizzato in qualsiasi condizione meteorologica”. Le “meravigliose” risorse Usa di questo combustibile fossile sono vaste e, spiega il presidente, hanno “un valore stimato attuale di trilioni di dollari”.

Entro 60 giorni i segretari degli Interni, dell’Agricoltura e dell’Energia dovranno presentare a Trump una relazione che identifichi le risorse e le riserve di carbone sui terreni federali e, nel caso di impedimenti all’estrazione, presentare politiche in grado di rimuoverli. I decreti firmati chiedono anche alle agenzie autorizzate a concedere prestiti, sovvenzioni o investimenti azionari di “adottare misure per revocare qualsiasi politica o regolamento che miri a scoraggiare o che scoraggi effettivamente gli investimenti nella produzione di carbone e nella generazione di energia elettrica da carbone”, come la Us Treasury Fossil Fuel Energy Guidance for Multilateral Development Banks del 2021, revocata dal Dipartimento del Tesoro.

La produzione di carbone, la fonte di energia fossile più inquinante, è diminuita drasticamente negli Stati Uniti negli ultimi quindici anni, passando da poco più di un miliardo di tonnellate nel 2008 a poco più di 520 milioni nel 2023, secondo i dati del governo. Due anni fa il carbone rappresentava solo poco più del 16% della produzione totale di elettricità, superato in particolare dalle energie rinnovabili (poco più del 21%). Conosciuto per le sue posizioni scettiche sul clima, Donald Trump, non appena tornato al potere il 20 gennaio, ha denunciato l’Accordo di Parigi sul clima e da allora ha iniziato a sostenere le energie fossili con la deregolamentazione. Più di un terzo dell’elettricità mondiale è prodotta con il carbone, un importante fattore di riscaldamento globale a causa delle emissioni di CO2 dovute alla sua combustione.

Produzione elettricità da carbone al minimo da 20 anni ma non per Cina e India

Secondo un rapporto pubblicato oggi, l’aumento delle nuove capacità di produzione di energia elettrica a base di carbone ha raggiunto il minimo degli ultimi vent’anni, ma rimane trainato da Cina e India. La potenza di queste nuove capacità è stata di 44 gigawatt (GW) nel 2024, dopo 72 GW nel 2023, il più basso aumento dal 2004, quando era stato di 37 GW, secondo questo rapporto realizzato da un collettivo di ricercatori e Ong. Il picco nel periodo era stato raggiunto nel 2015, con 107 GW di nuova capacità collegata alla rete.

Più di un terzo dell’elettricità mondiale è prodotta con il carbone, un importante fattore di riscaldamento globale a causa delle emissioni di CO2 dovute alla sua combustione. Se diversi paesi hanno rinunciato a questa fonte di energia per produrre elettricità, come il Regno Unito che ha chiuso il suo ultimo impianto l’anno scorso, l’aumento continua ad essere guidato soprattutto da Cina e India. In totale, solo otto Paesi hanno avviato la costruzione di nuove centrali a carbone nel 2024, rileva questo gruppo che comprende in particolare le organizzazioni Global Energy Monitor ed E3G. Tra questi, Cina e India hanno avviato più cantieri che mai. Ma il rallentamento dell’aumento osservato a livello globale può essere visto come un segno che “la transizione energetica sta procedendo a tutta velocità”, secondo Christine Shearer, project manager di Global Energy Monitor.

Tuttavia, “c’è ancora del lavoro da fare per abbandonare l’uso del carbone come fonte di energia elettrica, in conformità con gli accordi di Parigi”, osserva Shearer. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie), la domanda di carbone dovrebbe raggiungere il picco entro il 2027, con il calo nei paesi sviluppati compensato dall’aumento nei paesi emergenti. Nonostante un record di sviluppo delle energie rinnovabili, la Cina assorbe ancora un terzo del carbone consumato nel mondo. Segno di speranza: nonostante il numero senza precedenti di cantieri aperti in Cina lo scorso anno, il numero di nuove licenze edilizie concesse è sceso al minimo degli ultimi tre anni. Allo stesso tempo, il numero di nuovi progetti è diminuito in Indonesia e Malesia, mentre le Filippine hanno adottato una moratoria e il Vietnam si è impegnato a uscire dal carbone, osserva il rapporto. Il rapporto critica il Giappone e la Corea del Sud per la promozione di una “serie di discutibili tecnologie di decarbonizzazione del carbone”. Queste tecnologie, come l’uso dell’ammoniaca durante la combustione del carbone, sono “costose e poco adatte a consentire le importanti riduzioni delle emissioni necessarie per la stabilità del clima”, stima questo documento.

Per quanto riguarda il via libera dato dal nuovo presidente americano Donald Trump alla ripresa dell’elettricità da carbone, gli autori osservano che “il primo mandato di Trump ha dimostrato che è difficile contrastare il declino della redditività dell’energia da carbone negli Stati Uniti”, soprattutto a causa “dell’età avanzata delle centrali a carbone del paese”.