Il 97% delle telefonate che riceviamo per le bollette energetiche è una truffa

Secondo un’indagine condotta da A.r.t.e. – Associazione Reseller e Trader dell’Energia – il 97% delle telefonate che i cittadini ricevono da presunti operatori del settore energetico è in realtà una truffa. Il dato è stato presentato durante una conferenza stampa alla Camera dei Deputati e proviene da oltre 10.000 segnalazioni raccolte attraverso il Portale Antitruffa promosso dall’associazione. Lo strumento, realizzato in collaborazione con le principali associazioni dei consumatori e dei call center – tra cui Consumerismo, Assium, Assocontact, O.I.C. e AssoCall – consente agli utenti di denunciare chiamate sospette o ingannevoli legate al mondo dell’energia.

L’analisi delle segnalazioni evidenzia un quadro allarmante. Quasi la metà delle chiamate, il 47,9%, arriva da operatori che si spacciano per il fornitore attuale del cliente, mentre il 15,7% si presenta come appartenente ad altre aziende del mercato libero. Altri ancora fingono di rappresentare i distributori locali, l’Autorità dell’energia o enti inesistenti, millantando ruoli ufficiali a tutela del consumatore. Solo una minima parte delle chiamate – il 3,5% – risulta probabilmente autentica, legata a reali promozioni o tentativi legittimi di recupero clienti.

Secondo A.r.t.e., questi numeri sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno ben più esteso. Molti cittadini, vittime di raggiri, scelgono di non denunciare per sfiducia, rassegnazione o mancanza di consapevolezza. Si delineerebbe quindi un sistema fraudolento strutturato, che andrebbe ben oltre la scorrettezza commerciale, arrivando a configurare vere e proprie ipotesi di reato penale. Le violazioni più comuni includono il trattamento illecito di dati personali, truffe contrattuali con offerte volutamente ingannevoli, e in alcuni casi, la sostituzione di persona, con il truffatore che si presenta come un fornitore ufficiale o addirittura come l’Autorità.

“Serve un Protocollo Antitruffa a livello nazionale. Un impegno condiviso tra operatori, istituzioni e associazioni dei consumatori”, ha dichiarato Marco Poggi, presidente di A.r.t.e.. “Il nostro Portale è già operativo e pronto a sostenere questa battaglia: più aziende aderiranno, più sarà efficace la nostra azione. Bisogna smettere di trattare questi episodi come casi isolati: sono parte di un sistema che va smantellato con trasparenza, responsabilità e collaborazione”. Dello stesso avviso Diego Pellegrino, portavoce di A.r.t.e., che lancia un appello: “Denunciamo l’esistenza di un mercato parallelo dell’inganno che mina la fiducia degli utenti verso il settore energetico. Le aziende fornitrici devono reagire, aderendo al Portale Antitruffa e rafforzando i controlli interni. Solo così potranno inviare un chiaro segnale di trasparenza a tutti i consumatori”.

“Oltre agli aspetti legati alla privacy, tali forme di telemarketing scorretto realizzano dei veri e propri reati penali, dalla frode alla truffa, passando per la sostituzione di persona – spiega infine il presidente di Consumerismo, Luigi Gabriele – L’unica possibilità per arginare il fenomeno e limitare i danni per i consumatori è quella di dichiarare illegittimo il telemarketing in Italia nel settore energetico, togliendo validità legale ai contratti di luce e gas siglati telefonicamente”.

atomo

Studio Bankitalia mette in dubbio effetti positivi da ritorno nucleare in Italia

Nucleare sì, nucleare no? Un nuovo paper dal titolo ‘L’atomo fuggente: analisi di un possibile ritorno al nucleare in Italia‘, curato da Luciano Lavecchia e Alessandra Pasquini, pubblicato sul sito della Banca d’Italia esamina in dettaglio i potenziali vantaggi e le criticità di una possibile reintroduzione dell’energia atomica nel mix energetico nazionale, aggiornando le analisi condotte nel 2012. Il lavoro prende in considerazione anche le linee guida emerse di recente dal Governo, che ha inserito il nucleare tra le opzioni strategiche per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione fissati per i prossimi decenni. Dall’analisi emerge che il nucleare potrebbe contribuire a stabilizzare il prezzo dell’elettricità, soprattutto grazie alla possibilità di stipulare contratti a lungo termine.

Tuttavia, il suo impatto sul contenimento dei prezzi finali pagati dagli utenti appare limitato. Questo è dovuto principalmente alla struttura del mercato elettrico italiano, che comprende componenti tariffarie e oneri fissi poco influenzati dalla fonte di generazione. Sul piano della sicurezza energetica, i possibili effetti sono ambivalenti. Se da un lato la produzione interna di energia nucleare ridurrebbe la dipendenza dalle importazioni di gas e di elettricità — quest’ultima proveniente in gran parte dalla Francia e prodotta con tecnologia nucleare — dall’altro il Paese sarebbe costretto a importare il combustibile e le tecnologie necessarie.

Le riserve mondiali di uranio sono considerate adeguate anche in scenari di espansione della capacità produttiva, ma le fasi più sensibili della filiera — come l’arricchimento e la produzione delle barre di combustibile — restano concentrate in pochi Paesi, tra cui la Russia, che presenta un elevato rischio geopolitico. Questo implica la necessità, già riconosciuta a livello internazionale, di rafforzare una filiera occidentale del combustibile nucleare. Un’altra criticità riguarda la dipendenza tecnologica. Negli ultimi venticinque anni, il primato nella costruzione di impianti nucleari si è progressivamente spostato dall’Occidente verso Russia e Cina. Per ridurre tale dipendenza, l’Italia dovrebbe investire nel proprio capitale umano e rafforzare il collegamento tra industria, università e sistema formativo, avviando collaborazioni con le poche aziende occidentali ancora attive nel settore. Dal punto di vista ambientale, il nucleare offre vantaggi rilevanti rispetto ad altre fonti low carbon. Non solo garantisce basse emissioni di gas serra lungo tutto il ciclo di vita, ma permette anche una produzione continua (carico di base) e un impatto relativamente contenuto in termini di occupazione del suolo. Tuttavia, resta aperta la questione dello smaltimento delle scorie radioattive.

A oggi, l’Italia non ha ancora avviato il processo per la costruzione di un deposito nazionale, necessario sia per le scorie accumulate in passato sia per quelle future, incluse quelle derivanti da usi medici e industriali. In questo contesto, la strategia delineata dal Governo guarda con interesse alle nuove tecnologie modulari basate sulla fissione, note come Smr (Small Modular Reactors), e alle prospettive a più lungo termine della fusione nucleare. Le prime, in particolare, potrebbero rappresentare un punto di svolta grazie alla maggiore flessibilità, ai tempi di costruzione più rapidi e alla possibilità di produzione in serie. Tuttavia, tali benefici restano per ora potenziali: i prototipi attivi o in costruzione sono pochi e localizzati in paesi come Russia e Cina, e il passaggio a una produzione industriale su scala non è ancora avviato. Inoltre, sarà necessario adattare queste tecnologie agli standard di sicurezza italiani, il che potrebbe comportare ulteriori ritardi. Lo scenario delineato nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (il Pniec) prevede un’installazione di 8 gigawatt di capacità nucleare tra il 2030 e il 2050, con un possibile raddoppio a 16 gigawatt, per coprire circa l’11% del fabbisogno elettrico nazionale. Si tratta di un obiettivo ambizioso, che richiederà non solo scelte industriali e tecnologiche mirate, ma anche un significativo coinvolgimento pubblico. In un settore che comporta investimenti elevati e tempi lunghi, lo Stato potrebbe essere chiamato a giocare un ruolo attivo, sia come finanziatore diretto sia tramite partecipazioni in società operanti nel comparto.

Pannelli solari in plastica riciclata: a Pisa nasce fotovoltaico urbano e colorato

Pannelli solari realizzati non con silicio o vetro, ma con plastica riciclata: è questa l’idea alla base del nuovo progetto dell’Università di Pisa, che ha sviluppato e testato una tecnologia innovativa per produrre elettricità dal sole in modo più sostenibile. Si tratta di concentratori solari luminescenti: lastre trasparenti e colorate in materiale acrilico (PMMA) ottenuto da rifiuti plastici rigenerati, capaci di catturare la luce solare e convogliarla verso piccoli moduli fotovoltaici installati sui bordi.

Questa tecnologia, pensata per essere integrata in vetrate, pensiline, serre e facciate trasparenti, unisce prestazioni elevate e ridotto impatto ambientale. “Abbiamo dimostrato che è possibile ottenere concentratori solari per pannelli fotovoltaici efficienti utilizzando plastica rigenerata invece di materie prime fossili – spiega il professor Andrea Pucci, coordinatore della ricerca – il nostro obiettivo è portare il solare dentro le città, in modo colorato e sostenibile”.

La ricerca ha confrontato per la prima volta, in modo sistematico, le prestazioni di pannelli realizzati con plastica acrilica vergine e con quella ottenuta da processi di riciclo chimico. I risultati hanno mostrato che, a parità di prestazioni ottiche ed elettriche, i pannelli in plastica riciclata permettono una riduzione delle emissioni di CO₂ fino al 75%. I test di laboratorio e in condizioni reali (su tetti e facciate esposte al sole) hanno confermato la validità dei materiali e la loro durata nel tempo. Una prima applicazione di questa tecnologia intanto è già visibile nella pensilina fotovoltaica installata a Livorno nel 2023, nata da un progetto dell’Università di Pisa finanziato dalla Regione Toscana, in cui però erano state utilizzate un lastre di acrilico da sintesi, non riciclate. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista RSC Applied Polymers ed è stato selezionato dalla Royal Society of Chemistry per una collezione dedicata agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite. Il lavoro si è svolto nell’ambito Luce, un progetto Prin finanziato dall’Unione Europea- Next Generation Eu. Per l’Università di Pisa, insieme al Pucci, lavorano a Luce Marco Carlott, e i giovani ricercatori Alberto Picchi e Hanna Pryshchepa, in collaborazione con il Cnr-Iccom di Firenze e l’Università di Napoli Federico II.

bollette

Energia cara per Italia: 15% in più dell’Area Euro. Pesano oneri e tasse

Luce e gas costano caro agli italiani. Purtroppo, non è una novità ma adesso ci sono i dati della Relazione annuale di Arera a certificarlo: nel 2024 i consumatori domestici del nostro Paese hanno pagato il gas il 15,1% in più del resto dell’Area euro (13,1 centesimi al kWh), con tariffe superiori del 5,3 percento rispetto alla media. Non va meglio per quel riguarda l’energia elettrica. Nonostante una diminuzione generalizzata in Europa, sebbene con intensità diverse (la media dell’Area euro è 14%, ma si va dal -2,7% della Germania al -20,2% della Francia), l’Italia ha infatti perso nuovamente competitività rispetto alla maggior parte degli altri Paesi europei.

In entrambi i casi il peso maggiore è quello di oneri, imposte e tasse che, per la luce, sale del 28%annullando le riduzioni registrate dalla componente energia e dai costi di rete”; mentre per il gas è di 3,2 centesimi/kWh, a cui si sommano i costi di rete lievitati a 3 centesimi/kWh. Fattori che giustificano, dunque, l’erogazione di bonus sociali (su base Isee) a 4,5 milioni di famiglie anche nel 2024 (-40,5% rispetto all’anno precedente), cui 2,8 milioni per l’energia elettrica e 1,7 milioni per il gas.

I dati di Arera, comunque, vanno letti in controluce, perché lo scorso anno, nonostante il perdurare delle guerre tra Russia e Ucraina alle porte del Vecchio continente, e tra Israele e Palestina in Medio Oriente, i prezzi sono diminuiti in 17 Paesi, tra cui appunto l’Italia (-8%) e il Lussemburgo (-33%), mentre in 10 sono schizzati in alto, come in Francia (+19%) e Portogallo (+15). Risultati che ci hanno permesso di ridurre di quasi dieci punti percentuali il differenziale dalla media Ue, che oggi passa al 15%. Gli effetti positivi si sono riverberati anche sulle imprese, che lo scorso anno hanno pagato un prezzo lordo “più conveniente rispetto a quasi tutti i principali competitor europei”. Ad esempio, -9,8% nel confronto con la Francia e -7,7% rispetto alla Germania. Solo la Spagna fa meglio (+38%). Buone notizie, per carità, ma la situazione resta comunque complicata per il sistema produttivo di casa nostra.

Spostando i riflettori su altri aspetti dello stesso tema, nel 2024 Arera registra un incremento della produzione mondiale di gas dell’1,4%, che non trova alimento però in Italia, dove il calo è del 4,1% (poco sotto i 2.600 milioni di metri cubi). Di contro, i consumi nel nostro Paese sono risaliti 0,3 miliardi di metri cubi, “riportando la domanda a 61,8 miliardi di metri cubi dai 61,5 del 2023”. Tutt’altra musica, invece, per l’energia elettrica, dove la produzione schizza del 3,2 percento a 273,3 TWh, con un boom delle rinnovabili (+14,9%) sotto la forte spinta dei 52,8 TWh di idroelettrico, che dunque sale del 30,2%. Numeri che permettono di soddisfare l’83,7% della domanda italiana. L’energia, dunque, resta una priorità, per le aziende ma soprattutto per le istituzioni, cui è demandato il compito di trovare le soluzioni per dare ossigeno a chi produce ma anche alle famiglie.

Ragioni che spingono il presidente di Arera, Stefano Besseghini, a plaudire l’iniziativa del governo sul nucleare: “Non perché sia possibile nel breve una rilevante e significativa penetrazione nel mix, ma perché anche lì soffia il vento dell’innovazione e un Paese industrializzato, rilevante, con la competenza tecnico scientifica dell’Italia – sottolinea nella sua Relazione -, non può non avere un contesto normativo in grado di agevolare lo sviluppo delle soluzioni innovative in ogni settore”. Così come il “disaccoppiamento della remunerazione di mercato elettrico fra le fonti di produzione con o senza costi marginali di produzione” diventa un “punto centrale”.

Il numero uno dell’Authority, inoltre, ricorda che “a partire dal prossimo 1 luglio, la bolletta di energia elettrica e gas naturale in Italia cambierà volto” e “ogni operatore sarà tenuto a pubblicare in modo visibile e accessibile le condizioni tecnico-economiche delle proprie offerte”. Un cambiamento che Besseghini definisce “un investimento in trasparenza”. Che fa il paio con il suo monito sul ruolo del regolatore, che a suo modo di vedere “assume anche una funzione comunicativa e culturale: deve informare, spiegare, motivare, educare, accorciando le distanze, alleggerendo il tono e semplificando il linguaggio senza essere fuorvianti e con spirito di servizio”. Non a caso, infatti, il Servizio conciliazione ha permesso di ottenere, sulle oltre 34mila domande presentate, più di 21 milioni di euro “con un tasso di soddisfazione degli utilizzatori del Servizio Conciliazione pari al 95%”. Fattori che in una fase storica di incertezza “che rischia di minare le fondamenta stesse della nostra società”, diventano cruciali per vincere la sfida della transizione energetica.

IA, una sola richiesta a ChatGpt da ogni italiano consuma quanto 37 case in un anno

Una query di ChatGPT consuma energia equivalente a quella di una lampadina a Led da 10 W, accesa per circa 12 minuti, ovvero la stessa quantità di energia di una ricarica del telefono con un caricabatterie da 5 W per 24 minuti. Ma equivale anche a circa 7 secondi di utilizzo del microonde: ipotizzando un tempo di 3 minuti, significa che si potrebbe riscaldare il pranzo con l’energia impiegata da circa 26 query. 50 minuti di tv (da 100 W) consumano all’incirca la stessa quantità di energia di 42 query di ChatGPT. Se ogni italiano facesse una sola richiesta a ChatGPT, si potrebbe fornire energia elettrica a 37 abitazioni per un anno. Sono i dati emblematici di uno studio condotto da Surfshark che mette a confronto il consumo energetico di ChatGPT e attività quotidiane. La popolarità di ChatGPT continua a crescere, come dimostrano notizie come quella sugli Emirati Arabi Uniti, che hanno offerto gratuitamente l’accesso a ChatGPT Plus a tutti i residenti. Tuttavia, cresce anche la preoccupazione per l’impatto ambientale legato all’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale. Surfshark ha confrontato il consumo energetico di ChatGPT con alcune attività quotidiane.

Ogni query (richiesta) produce circa 4,32 grammi di CO2: questo perché alimentare i data center che gestiscono le query richiede elettricità, gran parte della quale è ancora generata da combustibili fossili che emettono anidride carbonica. Moltiplicato per milioni di query giornaliere, questo si traduce in significative emissioni di carbonio. Altro termine di paragone: una singola richiesta consuma circa 10 volte più energia rispetto a una normale ricerca su Google, ovvero circa 0,0029 kWh rispetto ai 0,0003 kWh di Google.

“Queste cifre non sorprendono se consideriamo che le richieste all’AI vengono elaborate da enormi data center, molti dei quali dipendono ancora dall’elettricità prodotta da combustibili fossili, che causano notevoli emissioni di CO2 – spiega Luís Costa, responsabile della ricerca di Surfshark -. Ad esempio, se ogni persona negli Stati Uniti facesse una sola richiesta a ChatGPT in un giorno, si produrrebbero circa 1.479 tonnellate di CO2: l’equivalente delle emissioni annuali di 322 automobili a benzina o dell’impronta di carbonio di 1.500 persone che volano andata e ritorno da Londra a New York”. Chi non guida o non ha in programma di volare oltreoceano può anche vederla in questo modo: anche quest’anno sarà necessario scaldare casa. Se ogni persona che vive negli Stati Uniti inviasse una sola richiesta a ChatGPT, il consumo totale ammonterebbe a circa 119 MWh, Una quantità di energia che basterebbe ad alimentare 63 abitazioni italiane per un intero anno, considerando un consumo domestico medio annuo di 3,25 Mwh.

Inoltre, la situazione non sembra destinata a migliorare, poiché il numero di utenti dell’IA nel mondo dovrebbe aumentare del 20% nel 2025 rispetto all’anno precedente, battendo tutti i record di incremento annuale. Questo aumento significa che solo nel 2025 circa 65 milioni di persone inizieranno a usare l’IA, arrivando a un totale di 378 milioni.

Eolico

Energia, Aie: 3.300 mld di investimenti nel 2025, Cina ed energie green in testa

Gli investimenti nel settore energetico dovrebbero raggiungere i 3.300 miliardi di dollari nel 2025 nonostante le incertezze economiche, con la Cina che consolida la sua posizione di primo investitore mondiale, mentre le energie “pulite” dovrebbero attrarre il doppio dei capitali rispetto a quelle fossili, secondo un rapporto dell’AIE pubblicato giovedì.

“In un contesto di incertezze geopolitiche ed economiche che offuscano le prospettive del mondo energetico, vediamo emergere la sicurezza energetica come un motore chiave della crescita degli investimenti globali quest’anno”, ha dichiarato il direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia (AIE). “Oggi la Cina è di gran lunga il maggiore investitore mondiale nel settore energetico, con una spesa doppia rispetto all’Unione europea e quasi pari a quella dell’UE e degli Stati Uniti messi insieme”, aggiunge, ricordando che nel 2015 superava di poco gli Stati Uniti in questo settore.

Gli investimenti nelle energie rinnovabili e nucleare, nello stoccaggio e nei combustibili a basse emissioni, ma anche nell’efficienza energetica e nell’elettrificazione dovrebbero raggiungere il record di 2.200 miliardi di dollari, secondo l’AIE. “Le attuali tendenze di investimento mostrano chiaramente che si sta avvicinando una nuova era dell’elettricità”, sottolinea l’AIE: gli investimenti in questo settore dovrebbero essere circa il 50% superiori al totale degli investimenti in petrolio, gas naturale e carbone. Dieci anni fa, gli investimenti nei combustibili fossili erano superiori del 30% rispetto a quelli nella produzione e nelle reti elettriche, ricorda l’agenzia.

Petrolio, gas naturale e carbone dovrebbero quindi rappresentare 1.100 miliardi di dollari, con una concentrazione della spesa nell’esplorazione di petrolio e gas in Medio Oriente. L’AIE stima che il calo dei prezzi del petrolio e della domanda dovrebbe portare alla prima contrazione degli investimenti nel settore dal Covid nel 2020, principalmente a causa di una forte riduzione della spesa per lo shale oil negli Stati Uniti. Al contrario, gli investimenti in nuovi impianti di gas naturale liquefatto (GNL) cresceranno fortemente. “Tra il 2026 e il 2028, il mercato mondiale del GNL dovrebbe registrare la più grande crescita di capacità di sempre”, stima l’AIE. Secondo l’Agenzia, gli investimenti nel solare dovrebbero raggiungere i 450 miliardi di dollari nel 2025 a livello mondiale, posizionandosi al primo posto, mentre quelli destinati all’energia nucleare dovrebbero ammontare a circa 75 miliardi di dollari, con un aumento del 50% negli ultimi cinque anni. L’AIE è tuttavia preoccupata dal fatto che gli investimenti nelle reti elettriche (cavi, tralicci…), attualmente pari a 400 miliardi di dollari all’anno, “non riescano a tenere il passo con la spesa per la produzione e l’elettrificazione”, il che costituisce un “segnale preoccupante per la sicurezza elettrica”.

Gli investimenti nelle reti dovrebbero aumentare per raggiungere la parità con la spesa per la produzione entro l’inizio degli anni ’30, ma “ciò è frenato da lunghe procedure di autorizzazione e da catene di approvvigionamento tese per i trasformatori e i cavi”. Infine, la forte crescita della domanda di elettricità avvantaggia anche il carbone, soprattutto in Cina e in India. Nel 2024, la Cina ha avviato la costruzione di quasi 100 gigawatt (GW) di nuove centrali elettriche a carbone, portando le approvazioni globali di centrali a carbone al livello più alto dal 2015, sottolinea l’AIE.

Nasce Pioneer, il maxi-sistema stoccaggio Enel-Adr che riutilizza batterie auto elettriche

Un sistema innovativo che immagazzina energia rinnovabile per usarla anche quando il sole non c’è, valorizzando batterie usate di veicoli elettrici e donando loro una seconda vita. Il più grande sistema di stoccaggio energetico italiano che utilizza batterie di auto elettriche è stato presentato questa mattina all’aeroporto internazionale di Roma Fiumicino. Si tratta del progetto Pioneer, realizzato da Enel e Adr con l’obiettivo di applicare concretamente i principi di economia circolare e sostenibilità ambientale nel rispetto della decarbonizzazione dell’hub.

Cofinanziato dalla Commissione Europea nell’ambito dell’Innovation Fund, il progetto sfrutta le potenzialità delle fonti rinnovabili e dell’economia circolare riutilizzando 762 batterie esauste, provenienti da tre grandi brand automobilistici (Nissan, Mercedes e Stellantis) grazie all’allacciamento con l’impianto fotovoltaico realizzato in parallelo alla pista 3 dell’aeroporto di Fiumicino.

Pioneer consentirà dunque di alimentare l’infrastruttura con energia pulita prodotta localmente, riducendo la dipendenza dalla rete. I moduli sono stati riconvertiti in un grande sistema di accumulo da 10 megawattora, capace di immagazzinare energia e restituirla quando necessario. Grazie a Pioneer, che sta per ‘airPort sustaInability secONd lifE battEry stoRage’, verranno abbattute 16mila tonnellate di anidride carbonica nell’arco di dieci anni.

Innovazione, sostenibilità ed eccellenza europea sono i tratti distintivi del progetto Pioneer. Gli storage sono infatti ritenuti ormai imprescindibili per la transizione energetica e il sistema realizzato da Enel e ADR accelera il percorso di decarbonizzazione del “Leonardo da Vinci”, recentemente incluso nella Top10 dei migliori scali al mondo da parte di Skytrax, dando nuova vita a batterie ormai inutilizzabili in campo automotive ma ancora molto preziose per applicazioni stazionarie. Il risultato è un progetto di dimensioni industriali che accumula l’energia verde prodotta, per poi rilasciarla quando se ne abbia necessità. “Progetti come questo dimostrano come l’Italia sia in grado di coniugare sostenibilità ambientale e competitività produttiva: una sfida cruciale per il futuro dell’Italia e dell’Europa”, ha dichiarato il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Il progetto appartiene ad un modello virtuoso e innovativo di economia circolare riconosciuto anche a livello europeo, che ha visto il progetto Pioneer selezionato tra i vincitori del bando Innovation Fund SSC-2020 promosso dall’Agenzia Europea per il Clima, l’Ambiente e le Infrastrutture (Cinea). Pioneer “mostra che l’innovazione è la prima alleata della transizione energetica, accelera l’elettrificazione su larga scala grazie a un modello di economia circolare che dà nuova vita alle batterie esauste”, ha aggiunto Francesca Gostinelli, Head of Enel X Global Retail di Enel. Si tratta “di un simbolo concreto della nostra strategia – ha dichiarato Marco Troncone, amministratore delegato di Aeroporti di Roma – perché in esso convergono il nostro forte impegno nella sostenibilità ambientale, la capacità di valorizzare l’innovazione tecnologica e la determinazione di fare efficacemente sistema con le eccellenze del Paese, come Enel”.

Giorgetti punta sul nucleare per frenare il caro energia: “In passato scelte scellerate”

L’energia resta un tema cruciale per la crescita economica. Dopo l’appello lanciato da Confindustria all’ultima assemblea nazionale, anche in Senato i rincari trovano spazio nella discussione sulle nuove regole di bilancio. Giancarlo Giorgetti prende appunti, poi risponde: “Sul costo dell’energia dobbiamo guardarci tutti allo specchio” e pensare “alle scelte scellerate che hanno privato questo Paese dell’unica fonte di energia che lo avrebbe reso sovrano e indipendente: il nucleare”.

Proprio per questo motivo, il ministro dell’Economia spera che “davanti a scelte che potranno produrre effetti, ahimè, tra 10 anni, tutto il Parlamento in qualche modo seguirà il nuovo indirizzo che finalmente il governo ha coraggiosamente deciso di dare”. Ogni riferimento alla legge delega è più che voluto.

Il responsabile del Mef, come tutto l’esecutivo, sa che i tempi sono cambiati rispetto agli anni Ottanta. Le bollette che ogni bimestre arrivano nelle cassette postali degli italiani e sulle caselle mail delle aziende sempre più alte, erodendo la capacità di acquisto delle famiglie e quella di fare investimenti delle imprese. Anche i numeri indicano che la strada del nucleare ha molti meno ostacoli rispetto al passato. Secondo quanto emerge dall’ultimo sondaggio condotto da Swg per Fondazione Lottomatica, infatti, il 57% degli italiani guarda con favore al ritorno dell’energia nucleare, mentre il 64% è favorevole a investimenti nella nuova generazione di impianti.

Anche la ricerca ‘Italia: energia sicura?‘, realizzata dall’istituto Gpf Inspiring Research, conferma questa tendenza: “Il 58,4% degli intervistati accetta (con diverse sfumature di opinione) di reinvestire nel nucleare per il fabbisogno energetico nazionale”. Sono soprattutto i giovani ad avere la maggiore apertura verso il nucleare, visto che tra gli under 35 la percentuale arriva al 62,3.

Al di là del nucleare, Giorgetti allarga il ragionamento anche alle energie alternative, anche se solo da un punto di vista economico. Perché il ministro invita a riflettere sulle “dubbie politiche anche in materia di rinnovabili, non per la bontà delle medesime” ma per “come si sono costruiti gli oneri di sistema e quanto pesano nel tempo per capire che si è sbagliato qualcosa su tutta la politica energetica nazionale”. Parole che potrebbero anche preludere a un prossimo intervento del governo in materia. Del resto, le soluzioni per le politiche industriali sono sempre oggetto di studio al Mef. Anche se Giorgetti non cambia idea sui piani quinquennali: “Sono stati un fallimento storico, economico e anche politico. Continuare a concepire la politica industriale in questi termini non potrà che replicare gli stessi esiti”.

L’unica ammenda che il responsabile del Mef concede è sulla difesa: “Siccome la domanda è pubblica, e saremo chiamati a valutare ingenti risorse da destinare alla difesa, l’offerta inevitabilmente deve essere guidata e consigliata”. Il governo assicura che non si farà trovare impreparato nemmeno sui cosiddetti ‘campioni’: “Faremo la nostra parte“.

Dal fagiolo di Meloni al tappo delle bottiglie di Metsola

Il fagiolo di Giorgia Meloni e il tappo delle bottiglie di plastica di Roberta Metsola sono stati i momenti più ‘alti’ dell’assemblea di Confindustria, là dove il presidente Orsini è stato molto diretto nel lanciare l’allarme energia, nel chiedere all’Europa un brusco cambio di passo e nell’invocare un nuovo piano industriale, anzi un piano industriale straordinario per l’Italia, quantificabile in 8 miliardi all’anno per i prossimi tre, meglio sarebbe per cinque.

Il fagiolo (se è più piccolo di un centimetro non è europeo) è il paradosso che ha usato la premier per fare capire come questa Europa sia fuori dal tempo e distante dalla realtà, vittima di regole che si autoimpone e di dazi interni che sono molto peggio di quelli ballerini millantati da Donald Trump. Il tappo attaccato al collo delle bottiglie di plastica è invece l’immagine usata dalla presidente del Parlamento Ue per dire che la Ue medesima non è quella di questo provvedimento ecologico ma può e deve essere qualcosa di diverso. Delicata ma netta, insomma. Quasi critica. Poi l’una ha aperto le porte di Chigi agli industriali sul tema dell’energia (come dire: se avete un problema venite da me e non lamentatevi pubblicamente), l’altra ha voluto chiarire subito, ad inizio intervento, che il parlamento di Strasburgo e gli uffici ovattati di Bruxelles stanno dalla parte degli imprenditori e sono al fianco degli industriali. Non sia mai.

Riavvolgendo il nastro dell’appuntamento bolognese, emerge che Orsini, Meloni e Metsola la pensano allo stesso modo sull’Europa. Che va cambiata. Che va riformata. Che va adeguata alle necessità dei 400 milioni e passa di cittadini. E in fretta. Ma la nota dolente è che troppe volte si è sentito questo refrain senza che nulla di concreto sia stato fatto per imprimere una svolta radicale. Al massimo ci sono state delle correzioni in corsa con evidenti malumori interni. Ma tra Trump che incombe e la Cina che minaccia, tra guerre sparse e terre (rare) da conquistare il conto alla rovescia si è esaurito da un pezzo. Il pachiderma di Bruxelles non ha più ragione di esistere, bisogna essere grilli, saltare di qua e di là.

Dopo aver detto che l’Italia è più credibile e quindi spendibile verso l’esterno, la chiosa della presidente del Consiglio agli industriali è stato un inno alla gioia: “pensate in grande perché io lo farò”. Un ‘claim‘ a presa rapida accolto con molti assensi del capo da una platea gremita di eccellenze, anche se prima si è andati a sbattere contro il muro dei costi energetici. Disaccoppiamento di gas ed elettricità, oltre al nucleare di ultima generazione sono le strade da battere per uscire da una situazione delicatissima, che sta piegando la nostra industria riducendone la competitività. Per Meloni le speculazioni energetiche sono inaccettabili, per Orsini a Roma non devono frenare sulle rinnovabili, che da sole non risolvono il problema ma nell’ambito di un indispensabile mix energetico sicuramente aiutano.

Dopo le richieste e le risposte si attendono a strettissimo giro atti concreti. Dimenticandosi di fagioli e tappi di bottiglia.

Sos industriali: “Costi energia insostenibili”. Meloni: “Porte governo sempre aperte”

La prima, tra le preoccupazioni delle imprese, resta il costo dell’energia. Una situazione “insostenibile” tuona dal palco di Bologna, per l’assemblea annuale, il presidente di Confindustria Emanuele Orsini. In platea, c’è quasi tutto il governo, premier inclusa.

L’industriale supplica l’esecutivo di “agire con urgenza“, perché si tratta di un “vero dramma che si compie ogni giorno: per le famiglie, per le imprese e per l’Italia intera“. D’altra parte, i consumi industriali italiani rappresentano il 42% del fabbisogno elettrico nazionale (125 TWh) e per le imprese il prezzo dell’energia viene calcolato in base al costo dell’elettricità prodotta con il gas. La produzione di energia da fonti rinnovabili rappresenta il 45% dell’elettricità messa in rete, ma “non concorre alla formazione di un prezzo più competitivo per l’industria”, ricorda Orsini.

L’Autorità dell’Energia ha calcolato che gli incentivi alle rinnovabili ammontano, fino ad oggi, a 170 miliardi di euro. Incentivi “pagati da famiglie e imprese attraverso le loro bollette”. Dopo tutti gli incentivi per le rinnovabili, noi “non possiamo più accettare di continuare a pagare l’energia al prezzo vincolato a quello del gas. Per questo dobbiamo entrare subito nella logica del disaccoppiamento”, sollecita.

La porta del governo è e rimane sempre aperta“, assicura Giorgia Meloni, che sull’energia si dice disponibile ad accogliere “proposte, idee nuove e progetti seri“. E torna sul “cammino del nucleare“, sui mini reattori, una “scelta coraggiosa per centrare gli obiettivi di decarbonizzazione rafforzando la competitività delle nostre imprese“, spiega. Per Orsini è “possibile e necessario” ridurre nella bolletta gli oneri generali di sistema, che da soli gravano per circa 40 euro per MWh. Questo dovrebbe riguardare tutte le PMI industriali, non solo gli artigiani e i commercianti con utenze in bassa tensione.

“Bisogna battersi in Europa per sospendere l’ETS, visto che consumo ed emissione di CO2 pesano a loro volta in bolletta elettrica tra i 25 e i 35 euro a MWh”. E poi, “bisogna snellire e accelerare le procedure dell’Energy Release e della Gas Release che sulla carta riservano all’industria quote di energia a prezzi minori”. Confindustria domanda a politica e sindacati cooperazione per un piano industriale straordinario per l’Italia, un sostegno agli investimenti di 8 miliardi di euro l’anno per i prossimi 3 anni, “ancora meglio se avessimo un orizzonte temporale di 5 anni”. Con un obiettivo di crescita ambizioso: raggiungere almeno il 2% di crescita del Pil nel prossimo triennio.

Il governo è “perfettamente consapevole” dell’impatto che i costi energetici hanno sulle famiglie e sulle imprese soprattutto su quelle di piccole e medie dimensioni e “lo sappiamo anche perché dall’inizio di questo governo noi abbiamo stanziato circa 60 miliardi di Euro, l’equivalente di due leggi finanziarie per cercare di alleviare i costi”, ribatte la premier. Ma mette in chiaro che “continuare a cercare di tamponare spendendo soldi pubblici non può essere la soluzione”. Per questo, lo stanziamento delle risorse è stato accompagnato da diversi interventi. Uno, già disponibile, è il disaccoppiamento del prezzo dell’energia prodotta da fonti rinnovabili da quello del gas. Poi c’è lo strumento dei contratti pluriennali a prezzo fisso di acquisto di energia prodotta da fonti rinnovabili, dove il corrispettivo viene è stabilito tra le parti e riflette i reali costi di produzione per ciascuna tecnologia.

Accoglie l’sos anche il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica: “Il primo obiettivo che ci unisce è ridurre strutturalmente il peso che oggi grava su famiglie e imprese”, spiega Gilberto Pichetto Fratin. Il piano è accelerare nella trasformazione del modello energetico: “Lavoriamo su strumenti innovativi e più mirati, anche in chiave di disaccoppiamento del prezzo delle rinnovabili da quello del gas, puntando – conferma – su contratti pluriennali a prezzo fisso che offrano maggiore stabilità e prevedibilità a cittadini e imprese”.

Alla fine del suo lungo intervento, il messaggio di Meloni per gli industriali è “pensate in grande, perché l’Italia è grande“. Fuori dai confini, per la presidente del Consiglio, c’è una voglia d’Italia che “troppo spesso noi siamo gli unici a non vedere”, per questo, insiste “la prima cosa che noi dobbiamo fare è crederci. Pensate in grande, perché io farò lo stesso”.