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Gli italiani dicono ‘no’ a gas fossile e nucleare ‘verdi’

Gas fossile e energia nucleare sono ‘verdi’? Per la maggioranza dei cittadini italiani no. Un nuovo sondaggio del Wwf mostra che solo il 29% della popolazione pensa che l’Unione Europea dovrebbe classificare l’energia nucleare come sostenibile dal punto di vista ambientale. Per quanto riguarda il gas fossile, solo il 35% ritiene che l’Ue dovrebbe assegnare a questa fonte energetica un’etichetta verde. Plebiscitario invece il sì all’energia solare (92%) e a quella eolica (88%). In particolare, in Italia, solo il 26% degli intervistati ritiene che l’energia nucleare dovrebbe essere classificata come energia ambientalmente sostenibile, mentre il 96% dei cittadini è d’accordo che l’etichetta verde sia assegnata all’energia solare e il 91% pensa altrettanto per l’eolico. Solo il 38% degli intervistati pensa che l’Unione Europea dovrebbe ritenere il gas fossile una fonte sostenibile.

Non c’è assolutamente alcun consenso pubblico per il piano della Commissione di considerare come ’sostenibili’ il gas fossile e gli impianti nucleari. Ciò che i cittadini considerano ‘verdi’ sono l’energia solare ed eolica, non i combustibili sporchi e obsoleti”, ha dichiarato Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia, lanciando un appello agli eurodeputati, ovvero quello di ascoltare il loro elettorato e di bloccare questa proposta. L’Ue sta per approvare, infatti, l’elenco di fonti di energia ‘verdi’ come parte della sua nuova guida agli investimenti, la Tassonomia Ue. Di conseguenza, c’è il forte rischio che miliardi di euro siano dirottati dall’eolico, dal solare e da altre tecnologie verdi verso il gas fossile e l’energia nucleare, di fatto rallentando ancora la transizione e con essa la sicurezza e l’indipendenza energetica. Se gli eurodeputati non respingeranno l’Atto sulla tassonomia verde, questa diventerà legge dell’Ue.

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Il pannello solare che si apre come un origami: è l’idea di Levante

Come nasce l’idea per un innovativo pannello fotovoltaico? A volte bastano l’esperienza personale e qualche suggestione da mondi che a prima vista sembrerebbero lontanissimi da quello delle energie rinnovabili, come gli origami e i mattoncini Lego. È il caso della start-up Levante, che si trova nel pieno della fase di sviluppo di un pannello fotovoltaico smart, modulare, estendibile e trasportabile, il cui lancio sul mercato è previsto per il prossimo anno.

Io e Kim Myklebust, co-founder con me della start-up, siamo velisti e camperisti e nei nostri viaggi ci siamo trovati spesso ad avere il problema di portare con noi sistemi in formato compatto per produrre energia – spiega Sara Plaga –. Purtroppo le soluzioni al momento a disposizione sono ingombranti, non utilizzabili in spazi ristretti e poco efficienti per raggiungere il fabbisogno di energia necessario in viaggio. Prendendo ispirazione dalla tecnica degli origami e dai mattoncini delle costruzioni abbiamo così progettato un pannello ripiegabile, che ha una configurazione chiusa e una aperta. Quando è chiuso è facilmente trasportabile, mentre una volta aperto raggiunge il massimo della potenza. Il valore aggiunto? Il pannello funziona sia da chiuso che da aperto e, perciò, anche in spazi molto limitati, come ad esempio su una barca. Inoltre è modulare: la struttura è composta da celle triangolari indipendenti tra loro anche dal punto di vista energetico e, all’occorrenza, è possibile staccare uno o più moduli”.

pannello solare

Oltre ad essere smart – grazie alla tecnologia IoT integrata l’utente può controllarlo da remoto attraverso lo smartphone – il pannello studiato da Levante spinge al massimo l’efficienza. Dotato di un sistema integrato di orientamento verso il sole e di un’interfaccia fotovoltaica bifacciale che sfrutta al meglio anche i riflessi, il prodotto garantisce un aumento del rendimento energetico fino al 70% e usa il 40% di spazio in meno per produrre la stessa quantità di energia di un pannello tradizionale. Inoltre, già si pensa a una versione con un sistema di apertura e chiusura automatizzato.

Fare bene all’ambiente per noi non significa però solo produrre energia pulita – sottolinea Plaga –. Ecco perché ogni dettaglio è stato pensato in ottica green. La struttura che fa da cornice ai pannelli è realizzata in fibra di carbonio, leggera e resistente, riciclata dall’industria automobilistica. Ogni cella del fotovoltaico può poi essere smontata mantenendo la struttura in carbonio, lasciando la possibilità di aggiornare nel tempo il sistema con nuovi pannelli più performanti. Di fatto, ogni singolo componente può essere disinstallato, recuperato e rigenerato a fine vita, riducendo in maniera sensibile l’impatto sull’ambiente e sulle persone”.

Nonostante il co-founder Myklebust sia finlandese e l’idea potesse essere sviluppata anche al di fuori dei confini italiani, Levante ha deciso di puntare in maniera decisa sul made in Italy. “Una garanzia di qualità – spiega Plaga –: cerchiamo infatti fornitori italiani e ci interessa avere un controllo sulla filiera produttiva per assicurare gli standard green che ci siamo imposti”.

In attesa del lancio del prodotto, Levante continua la fase di test forte dei dati che arrivano dalle ricerche di mercato. Stando ai dati, il 75% dei velisti e dei camperisti vorrebbe adottare energie rinnovabili per alimentare i dispositivi elettronici o lo stesso veicolo elettrico, ma a bloccarli è la mancanza di soluzioni efficienti. Per sopperire a queste problematiche chi viaggia è obbligato ad allacciarsi alla rete, accendere il motore o utilizzare un generatore: scelte che sono limitanti, pericolose, rumorose e necessitano di costi aggiuntivi legati al combustibile. Opzioni che presto potrebbero rivelarsi obsolete e non più convenienti grazie all’intuizione di Levante.

Cinque semplici scelte per una vacanza sostenibile (anche per le tasche)

Le vacanze sono alle porte per molti italiani e questa può essere l’occasione per sperimentare e anche godersi una serie di scelte sostenibili per l’ambiente e le nostre tasche. Scopriremo così che la nostra vita può pesare meno sul Pianeta senza grandi sforzi. Certo, possiamo fare decine di queste scelte ogni giorno e molti di noi già le fanno da tempo. Ma questo può essere il momento buono anche per chi è più diffidente, per chi ritiene che si tratti di passi troppo ‘complicati’ o per provare quella soluzione che avevamo in mente da tempo ma che nel marasma quotidiano abbiamo sempre rimandato. Le giornate di vacanza possono essere il momento migliore – mentre siamo rilassati e poco presi da altri pensieri – per scoprire che si tratta di scelte semplicissime e che migliorano la qualità della nostra vita.

Ecco cinque semplici esempi. Seguiamoli con l’impegno a mantenere questi comportamenti una volta tornati alla ‘vita normale’. Fatto il primo passo, sarà naturale passare alle scelte più complesse.

  1. Spostamenti. Scegliamo sempre la soluzione meno impattante: andiamo a piedi o in bicicletta per gli spostamenti più brevi, ci aiuterà anche a mantenerci in salute e a curare la migliore forma fisica; utilizziamo i mezzi pubblici dove disponibili e preferiamo il treno all’aereo; se usiamo l’auto, cerchiamo di muoverci a pieno carico di passeggeri e non una persona per automobile pur dovendosi recare nella stessa destinazione (ad esempio in spiaggia o al ristorante o per la gita in montagna).
  2. Risparmiamo energia. Non lasciamo in stand by play station, televisori e pc. Accendiamo la luce solo quando è davvero buio e spegniamola quando usciamo dalla stanza. Non teniamo l’aria condizionata accesa notte e giorno ma cerchiamo di utilizzarla solo nei momenti in cui è strettamente necessario (temperature elevatissime senza possibilità di stare in mare o all’aria aperta all’ombra, ad esempio) e impostando temperature non inferiori ai 25 gradi. Appena possibile, dal tramonto, teniamo le finestre aperte e (al mare e in montagna) approfittiamo dell’aria più fresca serale per provare sollievo.
  3. Risparmiamo l’acqua. La siccità è il tema di cronaca in queste settimane e sono molte le cose che possiamo fare per dare il nostro contributo. Facciamo docce brevissime e lasciamo l’acqua aperta soltanto quando entriamo, per inumidire il corpo, e quando ci sciacquiamo. Chiudiamo l’acqua mentre ci insaponiamo. Evitiamo il bagno in vasca. Riutilizziamo l’acqua con cui laviamo frutta e verdura (se abbiamo usato bicarbonato, utilizziamola per gli scarichi sanitari e non per bagnare le piante) e quella raccolta con il condizionatore.
  4. Riduciamo i rifiuti ed evitiamo il monouso. Portiamo sempre con noi una borraccia: ogni bottiglia di plastica risparmiata significa minori emissioni e minori rifiuti da gestire. Acquistiamo sfuso: la frutta senza confezioni in plastica, i panini senza strati di pellicola e alluminio (basta un tovagliolo di carta), il caffè senza bicchierini monouso, i biscotti in confezioni uniche e non impacchettati due a due o quattro a quattro e così via per ogni altro dettaglio che la nostra fantasia ci aiuterà a individuare durante la giornata.
  5. Cibo. La stagione è perfetta: acquistiamo solo cibo di stagione e possibilmente prodotto (o pescato) localmente. Questo aiuterà le nostre tasche e il bilancio nelle emissioni. Ad esempio: sì al pesce azzurro ma evitiamo il salmone; rimpinziamoci di albicocche e pesche, evitiamo kiwi e ananas.
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Fotovoltaico, l’Italia cresce ma con un ritmo insufficiente

Il fotovoltaico prosegue la propria crescita in Italia, anche se a ritmi non sufficienti per centrare gli obiettivi fissati per il 2030 dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) e dal Piano per la Transizione Ecologica (PTE). Gli ultimi numeri, elaborati da Italia Solare in base ai dati resi disponibili da Terna, sono riferiti al 31 dicembre 2021 e mostrano come nel corso dello scorso anno sia stata superata la quota di un milione di impianti nel nostro Paese (per la precisione 1.015.239), con circa 80mila nuove installazioni. La potenza installata è stata di 936,38 MW. E’ evidente il balzo in avanti rispetto al 2020 quando ci si era fermati a 55.550 nuovi impianti per una potenza di 749,2 MW. L’aumento è di circa il 30% ma non deve trarre in inganno, in quanto il dato del 2020 risulta fortemente influenzato dagli effetti della pandemia di coronavirus, che aveva causato una leggera flessione sia in termini di nuovi impianti (55.550 nel 2020 contro i 58.190 del 2019) sia per potenza installata (749,2 MW contro 751,4).

Più che un’accelerazione, quella del 2021 è di fatto un riallinearsi ai ritmi di crescita osservati prima del Covid. C’è poi da considerare come il fotovoltaico in Italia abbia vissuto un autentico boom nel periodo 2008-2013, favorito dai meccanismi di incentivazione del Conto Energia. In un quinquennio si è passati da 34.805 a 596.355 impianti, per una potenza complessiva salita da 483 a 18.185 MW. Dopo quella fase, la crescita ha perso slancio soprattutto in termini di potenza installata, cresciuta in otto anni di circa 4.400 MW per arrivare agli attuali 22.565,52 MW. Per dare un’idea, si può stimare che il 75% delle potenza fotovoltaica oggi a disposizione in Italia è stata installata tra il 2010 e il 2013. Andamento simile anche per la produzione di energia: nel 2008 era di appena 193 GWh, per poi esplodere a 21.589 GWh nel 2013 e attestarsi nel 2021 a 25.068 GWh, che rappresentano il 7,8% dell’intero fabbisogno energetico nazionale.

Caratteristica del fotovoltaico in Italia è poi la netta prevalenza di impianti di piccola taglia (sotto i 20 kW), destinati soprattutto all’uso domestico. Rappresentano il 92% del totale degli impianti in funzione, generando però appena il 23% della potenza complessiva. Questa situazione ha in realtà sfaccettature differenti a livello geografico. In termini assoluti, per numerosità degli impianti è netto il dominio delle regioni settentrionali: Lombardia (160.586), Veneto (147.494), Emilia-Romagna (105.861) e Piemonte (70.372) occupano le prime quattro posizioni della graduatoria. In generale, circa il 55% dei sistemi fotovoltaici è presente al Nord, contro il 17% del Centro e il 28% del Sud. La situazione però muta se si considera la potenza installata: qui in cima alla classifica c’è la Puglia, con 2.943 MW, cioè il 13,1% del totale nazionale e circa il 15% della produzione di energia solare (pur possedendo appena il 5,8% degli impianti). Il maggior sviluppo delle grandi installazioni nel Meridione emerge anche dal dato della potenza media degli impianti, che vede primeggiare le regioni del Sud (dati Gse al 31 dicembre 2020): Puglia (53,4 kW), Basilicata (42,5) e Molise (39,9) occupano il podio. Dunque, un fotovoltaico più “domestico” al Nord e più “industriale” al Sud, con un intenso sviluppo dei pannelli collocati a terra che rappresentano il 74% del totale in Puglia e il 69% in Basilicata contro un media italiana del 41%.

La crescita del solare procede in Italia, che tuttavia ha perso il ruolo di leader europeo detenuto nel 2015. Secondo il rapporto del think tank sull’energia di Ember, nel 2021 la Germania è stata il maggiore produttore di energia solare dell’Ue (51 TWh), seguita da Spagna (26 TWh) e Italia (25 TWh). Il nostro paese resta sul podio per valori assoluti, ma non per quanto riguarda l’incidenza del solare sul totale del fabbisogno di energia. L’Italia, col 7,8%, è scavalcata da Cipro (9,7%), Spagna e Paesi Bassi (9,5%), Grecia e Germania (9,1%).

I numeri mostrano una stagnazione della crescita che rende complicati (se non proibitivi) da raggiungere gli obiettivi fissati per i prossimi anni. Soprattutto quelli più ambiziosi definiti nel Piano per la transizione ecologica, che mira a coprire il 72% del fabbisogno di energia tramite fonti rinnovabili entro il 2030 (rispetto al 55% previsto nel PNIEC). Tradotto in numeri assoluti si tratta di 70-75 GW di nuove energie rinnovabili a fronte dei 57,7 GW installati al 31 dicembre 2021. Nel piano, il fotovoltaico dovrebbe ricoprire un ruolo fondamentale, arrivando a toccare (assieme all’eolico) un nuovo parco installato di circa 50 GW, a fronte dei circa 33 attuali. Il Renewable Energy Report 2022, pubblicato poche settimane fa dal Politecnico di Milano evidenzia però come per centrare gli obiettivi servano 5,6 GW/anno di installazioni per il fotovoltaico, cioè un tasso di crescita ben sette volte superiore a quello attuale. E ogni settimana che passa pesa enormemente e rende sempre più utopici i target fissati: un anno fa, lo stesso calcolo parlava di 5,1 GW/anno. Serve quindi un deciso cambio di passo. Tre gli aspetti su cui agire individuati dal Renewable Energy Report 2022: normativo-regolatori (prima tra tutti la difficoltà e i tempi necessari a precorrere con successo l’iter autorizzativo); sostenibilità economica (come l’incertezza sull’andamento futuro dei prezzi); sistema elettrico nel suo complesso (come la necessità di adeguare la rete all’incremento delle rinnovabili). Una mano potrà senz’altro arrivare dai fondi del Pnrr e dall’atteso sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili, ma anche direttamente dalle normative Ue, visto che Bruxelles ha già proposto l’obbligo di installare pannelli solari per soddisfare il fabbisogno di elettricità di tutti i nuovi edifici pubblici e commerciali superiori ai 250 mq costruiti dal 2025 (con quelli già esistenti che dovranno adeguarsi dall’anno successivo).

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Solare a casa? Investimento da 5mila euro, si ripaga in 8 anni

I costi per l’installazione degli impianti fotovoltaici domestici fino a qualche anno fa costituivano un deterrente non da poco per le famiglie che volevano investire in energia rinnovabile. La situazione però è cambiata nel corso dell’ultimo decennio per due diversi fattori: la diminuzione dei prezzi e l’ampio pacchetto di incentivi e sgravi fiscali messi in campo dai vari governi, a partire dai vari programmi del Conto Energia avviati in Italia nel 2005.

Ma in quanto tempo si ripaga l’investimento iniziale per l’installazione di un impianto fotovoltaico a uso domestico, senza sistema di accumulo? Si può prendere in considerazione un sistema da 3kW di potenza, la taglia più diffusa per le utenze domestiche in grado di soddisfare il fabbisogno di un nucleo di 3-4 persone. Il costo dei pannelli oggi varia dai 2.500 ai 3.500 euro per kW, a seconda della tipologia e dell’efficienza energetica del prodotto scelto. A questo esborso va aggiunto quello legato alle operazioni di installazione dell’impianto: si arriva in tutto a una cifra che varia tra i 10.000 e i 14.000 euro. La somma però si dimezza subito grazie alla possibilità di usufruire della detrazione fiscale del 50% prevista del bonus ristrutturazioni, nel quale rientrano anche i nuovi impianti fotovoltaici. Si può dunque pagare immediatamente la metà optando per lo sconto in fattura oppure ripartire il beneficio fiscale in cinque rate annuali di pari importo. Resta valida anche la possibilità di accedere al Superbonus 110% dedicato all’efficientamento energetico delle abitazioni: in questo caso però l’installazione dell’impianto solare deve essere accompagnato da altri interventi (cosiddetti trainanti) capaci di generare un miglioramento di almeno due classi energetiche dell’abitazione rispetto all’APE di inizio lavori, o il raggiungimento della classe energetica massima. In questo caso, l’installazione dell’impianto avverrebbe in modo sostanzialmente gratuito.

Il caso più comune però resta quello di uno “sconto” del 50%, con una spesa iniziale che dunque si aggira tra i 5.000 e i 7.000 euro per un impianto fotovoltaico da 3 Kw “chiavi in mano”. Di recente, Altroconsumo ha provato a calcolare quali possano essere i tempi di recupero di questo investimento. Anche in questo caso, il risultato varia a seconda di parecchi parametri come ad esempio l’efficienza e la corretta manutenzione dell’impianto o la quantità di irraggiamento solare, che può risultare differente tra il Nord e il Sud dell’Italia. Importante è anche massimizzare l’autoconsumo istantaneo dell’energia prodotta dai pannelli nelle ore di sole: immettere l’energia prodotta in eccesso nella rete ha infatti una resa economica minore rispetto ai vantaggi ottenuti in bolletta con l’autoconsumo. La premessa, secondo l’associazione, è che installare un impianto fotovoltaico ha una reale convenienza economica solo con consumi annuali sopra ai 2500/3000 kWh. Detto ciò, Altroconsumo posiziona il punto di break even (cioè di ritorno dell’investimento) in un lasso di tempo fra 8 e 10 anni per una famiglia che consuma 3500 kWh annui e tra 10 e 12 per un consumo di 2.700 kWh. Tempi che però potrebbero accorciarsi se dovesse continuare il galoppo dei prezzi dei beni energetici iniziato nell’ultimo periodo.

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L’esempio virtuoso di Magliano Alpi: prima CER d’Italia

Un impianto fotovoltaico da 20 kWp che può condividere con la Comunità energetica rinnovabile l’energia prodotta e non autoconsumata dal Municipio. È partito da qui il progetto della CER, la prima in Italia, di Magliano Alpi, poco più di 2.200 abitanti nel Cuneese. L’impianto è stato installato sul tetto del Palazzo comunale e alimenta anche una colonnina di ricarica EV, utilizzabile gratuitamente con la tessera sanitaria. Una seconda colonnina è collegata all’impianto sportivo comunale. Oltre al Palazzo comunale, membri del CER sono le utenze della biblioteca, della palestra e delle scuole, insieme ai nuclei familiari che per primi hanno dato la loro adesione. L’obiettivo della CER consiste nella riduzione dei consumi energetici degli edifici pubblici e la produzione di elettricità da pannelli solari installati sui tetti di questi edifici.

Magliano Alpi ha aderito al Manifesto delle comunità energetiche promosso dall’Energy Center del Politecnico di Torino e da lì in poi il suo percorso è stato in crescita, fino ad arrivare alla nascita della CER a dicembre 2020. L’ingegner Sergio Olivero, presidente del Comitato scientifico, spiega a GEA che nel comune piemontese si sono verificate le quattro condizioni necessarie al successo: “Un’amministrazione pubblica con idee chiare e volontà di andare avanti, una macchina amministrativa che ha accompagnato amministrazione nella decisione, risorse economiche e il supporto tecnico dell’Energy Center”.

Un successo tale da portare Magliano Alpi ad accompagnare altri Comuni nell’intraprendere lo stesso percorso. Intanto, il Comune sta anche raggruppando un ‘GOC’ (Gruppo Operativo di Comunità) finalizzato a creare una filiera corta di tecnici, progettisti, installatori e manutentori con l’obiettivo di aggregare competenze sul territorio per creare sviluppo e posti di lavoro a partire dalla Comunità Energetica. “La cosa più interessante – sorride Olivero – è che all’inizio il sindaco di Magliano Alpi ha dovuto fare una sorta di ‘porta a porta’ per spiegare il progetto ai cittadini e raccogliere le adesioni. Ora, invece, sono gli stessi residenti che chiedono di poter aderire. E siccome ancora non è possibile l’adesione per tutti, c’è chi si indispettisce. Questa è la cosa che fa più piacere”.

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Tutto è cominciato col silicio ma il futuro del solare è la perovskite

Sebbene si siano diffusi in maniera massiccia solo nel nuovo millennio, i pannelli solari hanno una storia molto più lunga. Il primo prototipo di impianto fotovoltaico risale al 1884, installato a New York da Charles Fitts: era basato sul selenio, e non sul silicio come gran parte dei pannelli attuali. I primi moduli fotovoltaici commerciali però furono lanciati sul mercato solo nel 1963 dalla giapponese Sharp, mentre risale al 1979 la prima installazione in Italia: un impianto da appena 1kW al Passo della Mandriola, sull’Appennino tosco-romagnolo.

Il crescente successo commerciale ha portato con sé anche una notevole evoluzione tecnologica dei pannelli fotovoltaici in termini di prestazioni, durata (oggi si può arrivare fino a 30 anni di vita) e adattabilità ai contesti architettonici. Non è cambiato solo il principio base di funzionamento: la luce del sole colpisce le celle dove è presente il silicio, semiconduttore i cui elettroni vengono “eccitati” e iniziano a fluire nel circuito, producendo corrente elettrica continua, che viene trasformata in alternata (utilizzabile dalle utenze domestiche o industriali) per mezzo di un inverter.

Elemento chiave è dunque il silicio, materiale estremamente abbondante in natura tanto da essere l’elemento chimico più diffuso sulla Terra, dopo l’ossigeno. Attualmente i pannelli più diffusi in Italia sono quelli in silicio policristallino, realizzati attraverso una gettata di silicio fuso: a un costo più basso rispetto a altre tipologie si accompagna però una minore efficienza (rapporto tra la potenza elettrica in uscita e la potenza della radiazione solare), attorno al 14-16%. Oggi, secondo i dati Gse al 31 dicembre 2020, coprono il 71,5% della potenza fotovoltaica installata in Italia. Il 22,8% invece è legato ai pannelli in silicio monocristallino, nei quali ogni cella viene ricavata da un unico cristallo: più performanti (si arriva a un rendimento oltre il 20%) soprattutto con temperature non troppo elevate, ma anche più costosi. Molto limitata è invece l’incidenza dei cosiddetti pannelli solari di seconda generazione, come quelli a film sottile (realizzati in silicio amorfo, tellururo di cadmio o seleniuro di indio e gallio di rame): in questi dispositivi l’efficienza arriva al massimo al 10%, ma i vantaggi sono legati al minor costo e alla versatilità di impiego garantita da flessibilità e leggerezza.

L’evoluzione però non si arresta mai, sulla ricerca di materiali e soluzioni più efficienti ed economiche anche in vista della grande richiesta di pannelli attesa nei prossimi anni in tutto il mondo. Uno scenario che porta a pensare che presto il quasi totale monopolio del silicio potrebbe terminare. Tra i materiali più promettenti c’è la perovskite, cioè biossido di titanio di calcio che solo negli ultimi anni è stato testato in maniera sistematica per la creazione di celle solari. Si tratta di un ottimo conduttore, ampiamente disponibile e più semplice da lavorare del silicio e che reagisce a diverse lunghezze d’onda della luce, oltre a essere flessibile e semitrasparente. Negli ultimi anni gli studi si sono focalizzati soprattutto sui risultati ottenibili rivestendo il silicio cristallino con un sottile film di perovskite.

“Uno dei principali vantaggi di questi materiali è la possibilità di essere depositati partendo da speciali vernici liquide, che possono essere stampati con tecniche ampiamente diffuse su superfici di vario tipo, ad esempio flessibili e trasparenti”, spiega la ricercatrice Silvia Colella di Cnr-Nanotec, membro di un team di ricercatori autori dello studio “Chemical insights into perovskite inks stability”, pubblicato sulla rivista Chem. Recentemente, i ricercatori del Politecnico federale di Losanna hanno toccato un nuovo record in questo campo realizzando celle da un centimetro quadrato con una resa del 29,2%. “Sono ancora necessari diversi anni di ricerca e sviluppo per portare sul mercato tale tecnologia e processi di produzione”, dice Christophe Ballif, capo del laboratorio. “Ma la maggiore efficienza che abbiamo dimostrato senza modificare la struttura frontale sarà molto interessante per l’industria del fotovoltaico”. Il problema da risolvere per la perovskite è legato all’instabilità del materiale che rischia di portare a un rapido degrado del pannello in condizioni di uso reali, ben più veloce dei 25-30 anni di durata assicurati dal silicio. “Le perovskiti di alogenuro metallico sono tra i materiali più promettenti e in pochi anni hanno rivoluzionato questo settore”, assicura però Colella.

Gas, Ue rinvia il price cap a ottobre. Prorogato taglio accise

Di price cap se ne parlerà a ottobre, ma Mario Draghi non è deluso. Il bilancio di questa due giorni europea si riassume con le parole del premier al termine di Consiglio Ue ed Eurosummit: “Immaginavo che alla fine saremmo finiti nel solito rinvio, con un linguaggio un po’ vago”, invece “le cose si stanno muovendo” e a settembre la Commissione europea dovrà produrre un report con le soluzioni per il tetto massimo al prezzo del gas, ma anche – e questa potenzialmente potrebbe essere la vera svolta – una roadmap per riformare il mercato dell’energia elettrica. Che, per inciso, ha senso solo disaccoppiando il costo di quella prodotta dal gas da quella estratta da fonti rinnovabili, come ripetono da mesi sia il capo del governo sia il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Ma questa è un’altra storia.

La cronaca dell’attualità rivela che in questa battaglia continentale Draghi non è stato ascoltato quando ha chiesto di programmare un vertice straordinario a luglio – però “se la situazione dovesse aggravarsi è chiaro che ci sarà, questo sottolinea è stato detto esplicitamente: non è che stiamo lì a far passare due mesi e mezzo senza far nulla” – ma almeno ha recuperato l’appoggio della Germania, passata “progressivamente da un’obiezione di principio” a una “apertura“. Così come l’Olanda, altro grande ostacolo sul cammino italiano, e altri Stati membri “molto rigidi all’inizio di questa di questa discussione” ma che adesso stanno cambiando idea. La resistenza, comunque, resta “di quei Paesi cosiddetti frugali“. Contrari anche a un Recovery fund sulla scia di quello varato per contrastare gli effetti del Covid, anche se lo stesso Draghi non sembra convintissimo: “Non è una situazione in cui è necessario avere dei grants, degli aiuti, ma avere una capacità fiscale comune, che faccia capire ai mercati che siamo tutti insieme“.

La frase che ripete più spesso alla fine dei lavori è che “le cose non vengono da sole, ci vuole tempo“: per preparare le contromosse ai tagli delle forniture decisi unilateralmente da Vladimir Putin, ma soprattutto per mitigare il rincaro dei prezzi di gas e materie prime, che stanno mettendo in seria difficoltà le economie europee, colpite dall’inflazione; sebbene i rialzi dei costi non sono più colpa esclusiva dei prodotti energetici, avverte il presidente del Consiglio. Che riunirà nel giro di 15 giorni il tavolo con le parti sociali per affrontare il tema della protezione e sostegno al potere d’acquisto degli italianiimportante ed essenziale per tanti aspetti, uno dei quali è la pace sociale, la pace nelle relazioni industriali“.

Un altro punto che Draghi può iscrivere nella casella dei ‘pro’, tornando dalla trasferta di Bruxelles, è la “consapevolezza” diffusa in Europa “rispetto alla serietà della situazione“, e dunque il conseguente “impegno chiaro a coordinarci di più nella ricerca di nuovi fornitori, negli stoccaggi, nelle piattaforme comuni“. A proposito, l’opera per riempire le scorte di gas del nostro Paese sta andando “molto bene, così dice il responsabile di Palazzo Chigi quando gli viene chiesto lo stato dell’arte in vista dell’inverno. E anche l’opera di diversificazione delle fonti procede a pieno ritmo: “La dipendenza dalla Russia l’anno scorso era del 40%, oggi è del 25%, le misure che il governo ha messo in campo già proprio dall’inizio della guerra cominciano a dare risultati“.

Il lavoro non è ancora finito, però. Perché ci sono ancora le difficoltà per i cittadini e le imprese, non solo sulle bollette ma anche sui carburanti. Per questo motivo i ministri dell’Economia, Daniele Franco, e della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, hanno firmato il decreto interministeriale che proroga al 2 agosto prossimo il taglio delle accise di 30 centesimi al litro per benzina, diesel, gpl e metano per autotrazione. Che con il terzo decreto Energia varato dal Cdm in settimana dovrebbero riportare la situazione sotto la soglia di allarme. Gli scudi restano tutti attivati, aspettando che l’Europa faccia passare in fretta questo extra time di riflessione sul price cap.

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Draghi: “Dipendenza da gas russo scesa al 25%, stoccaggi procedono bene”

Stanno arrivando i primi risultati provenienti dagli sforzi fatti per diversificare le forniture di gas, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dall’energia russa. Durante la conferenza stampa che si è tenuta al termine del Consiglio europeo, il premier Mario Draghi ha analizzato con una certa soddisfazione gli sviluppi di una situazione da monitorare costantemente per colpa della guerra russo-ucraina: “Voglio ricordare che l’anno scorso dipendevamo per il 40% dal gas russo, oggi siamo arrivati al 25%, quindi le misure che il governo ha messo in campo già dall’inizio della guerra si stanno rivelando utili“, l’annuncio. In altre parole gli altri fornitori di gas cominciano a sostituire il flusso in arrivo dalla Russia. E non solo: “Per gli stoccaggi ci stiamo preparando per l’inverno e, al momento, stanno andando molto bene“.

Per quanto riguarda invece il discorso relativo al price cap, l’obiezione è solo una: “La paura di nuovi tagli da Mosca”, avverte Draghi. “Ci deve essere solidarietà, ma anche una risposta alle richieste di controllare il tetto sul prezzo del gas”. Nonostante la proposta avanzata dal premier di convocare un vertice straordinario a luglio per affrontare l’argomento, i piani per la Ue restano quelli di discuterne solo all’Eurosummit, che avrà luogo a ottobre. Ma c’è comunque soddisfazione: “Immaginavo – spiega l’ex presidente Bce – che alla fine saremmo finiti nel solito rinvio, con un linguaggio un po’ vago“. Al contrario, “le cose si stanno muovendo, ma le cose non vengono da sole e spesso non subito o non così rapidamente”. In ogni caso, Draghi è sicuro che al G7 se ne parlerà: “Gli Usa sono consapevoli delle difficoltà che stiamo incontrando per le sanzioni, che sono molto pesanti per noi. Gli Stati Uniti hanno già deciso qualche misura di aiuto nel portare gas liquido in Europa, ma sono cifre molto contenute ancora. Sono preoccupati soprattutto del prezzo del petrolio, in quel senso è stata avanzata l’ipotesi di un price cap” anche per il greggio.

(Photo credits: JOHN THYS / AFP)

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Come i prezzi energia influenzano quelli dei beni alimentari

L’aumento dei prezzi dei beni alimentari è sotto gli occhi di tutti e ha raggiunto un nuovo massimo storico nel 2022, dopo l’invasione russa in Ucraina. Eppure l’inflazione su ciò che mettiamo in tavola era già in aumento prima della guerra in tutta l’area euro. La causa? Sicuramente la pandemia che nel 2020 ha vincolato l’offerta ma, successivamente, dal quarto trimestre del 2021, è cresciuta ancora, raggiungendo il 3,5% a gennaio 2022 e il 7,5% a maggio, il livello più elevato dall’avvio dell’unione monetaria.

L’aumento dei prezzi dell’energia – e in modo particolare del gas – ha influito pesantemente sulla componente alimentare del paniere dei consumi. Ma come sono collegati questi due elementi? Prova a chiarirlo la Bce, che nel bollettino economico, ricorda che l’equazione aumento prezzi energia = aumento beni alimentari è determinata da tre elementi.

Innanzitutto, la produzione agricola e la lavorazione dei prodotti alimentari sono settori ad alta intensità di energia. La coltivazione dei campi, ad esempio, dipende in larga misura dal carburante per i macchinari agricoli, per cui i rincari dell’energia tendono a trasmettersi rapidamente ai costi di produzione, che di conseguenza aumentano.

Inoltre, poiché il gas naturale costituisce uno degli input nella produzione di fertilizzanti, l’aumento dei suoi prezzi fa crescere quelli dei fertilizzanti stessi, incrementando i costi degli input agricoli. Infine, i maggiori costi di trasporto si ripercuotono sui prezzi dei beni alimentari, rendendo così più costosa la sostituzione delle materie prime con quelle provenienti da fonti di approvvigionamento più lontane.

Anche i prezzi delle materie prime alimentari a livello internazionale – ricorda la Bce – hanno registrato un incremento per via delle condizioni meteorologiche avverse in alcune aree“. In aggiunta, i più elevati costi del trasporto marittimo dovuti alle strozzature nelle catene di approvvigionamento mondiali hanno acuito le pressioni sui prezzi.

In questo circolo vizioso si aggiungono, poi, altri elementi fondamentali. In primo luogo, l’Ucraina ha introdotto un divieto di esportazione per alcuni prodotti alimentari, tra cui segale, orzo, grano saraceno, miglio, zucchero, sale e carne. In secondo luogo, il trasporto delle materie prime alimentari dalla Russia è divenuto più dispendioso a causa dei maggiori costi assicurativi e, inoltre, la Russia ha vietato la vendita all’estero di fertilizzanti, di cui è il maggiore esportatore mondiale, fino ad agosto 202210. Infine, l’Unione europea ha adottato ulteriori sanzioni contro la Bielorussia, imponendo un divieto totale alle importazioni di idrossido di potassio e carburanti, fra gli altri altri prodotti. Queste restrizioni al commercio internazionale di concimi, riferisce la Bce, “determineranno ulteriori aumenti dei prezzi sia a livello mondiale sia nell’area dell’euro, mentre la riduzione dell’offerta potrebbe anche incidere sui rendimenti mondiali dei raccolti nel periodo a venire“.