Deforestazione

Trovato l’accordo Ue: stretta sui prodotti importati derivanti da deforestazione

Legno, soia, carni bovine, caffè, cacao e olio di palma e altri prodotti derivati come mobili, cioccolata e cuoio. La stretta dell’Unione europea su alcuni prodotti importati sul mercato interno per frenare la deforestazione e il degrado forestale diventerà presto legge europea. I negoziatori di Europarlamento e Consiglio hanno raggiunto nella notte tra lunedì e martedì un accordo politico sulla proposta di regolamento sui prodotti senza deforestazione, avanzata dalla Commissione europea a novembre 2021. Un’intesa ambientale importante che arriva alla vigilia dell’inizio della Conferenza sulla Biodiversità, la Cop15 in programma dal 7 al 19 dicembre a Montreal, in Canada.

La stretta interessa tra gli altri l’olio di palma, il legno, la carne bovina e la gomma, oltre a diversi materiali associati (pelle, cioccolato, mobili, carta stampata, carbone…) e la loro importazione sarà vietata se questi prodotti provengono da terreni deforestati dopo il 31 dicembre 2020. Per la prima volta, le aziende importatrici saranno responsabili della loro catena di approvvigionamento e dovranno raccogliere informazioni geografiche precise sui terreni agricoli in cui sono state coltivate le merci di cui si riforniscono, in modo che si possa tracciarne la conformità anche attraverso immagini satellitari. Saranno gli Stati membri a dover garantire che le aziende che non rispettano le regole vadano incontro a sanzioni.

L’elenco dei prodotti coperti dal regolamento sarà regolarmente rivisto e aggiornato dall’Ue, tenendo conto di nuovi dati come il cambiamento dei modelli di deforestazione. Dopo la Cina, Bruxelles è il secondo maggiore importatore al mondo di queste materie prime legate alla deforestazione e tra le cause principali della tendenza alla pressione sulle foreste è l’espansione agricola legata alle materie prime come la soia, carne bovina, olio di palma, legno, cacao e caffè e ad alcuni loro derivati.

Secondo un rapporto del Wwf, nel 2017 i Paesi europei rappresentavano il 16% di queste importazioni nel mondo associate al commercio internazionale per un totale di 203mila ettari e 116 milioni di tonnellate di CO₂, meno della Cina (24%) e più dell’India (9%), degli Stati Uniti (7%) e del Giappone (5%). L’Italia, in base ai dati del 2017, è al secondo posto in Europa: con 35.800 ettari importati, la Penisola è seconda seconda solo alla Germania, e seguita da Spagna, Regno Unito, Paesi Bassi, Francia, Belgio e Polonia tra gli otto Paesi europei responsabili dell’80% della deforestazione incorporata ai prodotti, di provenienza tropicale, che vengono poi lavorati e consumati nell’Ue.

Tra le materie prime più importate, si menzionano i semi di soia, l’olio di palma, a sua volta molto più avanti di manzo, legname e cacao. Tra il 2005 e il 2017, sottolinea il rapporto, soia, olio di palma e carne bovina sono state le materie prime con la più grande deforestazione tropicale incorporata importata nell’Ue, seguita da prodotti in legno, cacao e caffè. L’espansione dell’agricoltura nelle regioni tropicali rimane la più grande minaccia per le foreste e altri ecosistemi naturali, mettono in guardia gli autori del rapporto, “portando alla conversione di circa 5 milioni di ettari di foreste in terreno agricolo all’anno tra il 2005 e il 2017”.

E’ la prima volta al mondo! È il caffè che beviamo a colazione, il cioccolato che mangiamo, il carbone dei nostri barbecue, la carta dei nostri libri. E’ una decisione radicale“, ha commentato l’europarlamentare e presidente della commissione Ambiente, Pascal Canfin (Renew, Liberali). Per il vicepresidente Frans Timmermans l’accordo politico “segna un’importante svolta nella lotta globale contro la deforestazione. Mentre effettuiamo la transizione verde nell’Unione europea, vogliamo anche garantire che anche le nostre catene del valore diventino più sostenibili. La lotta alla deforestazione è un compito urgente per questa generazione e una grande eredità da lasciare per la prossima“. Ora che si è trovato un accordo politico, Parlamento e Consiglio dovranno ora formalmente adottare il nuovo regolamento prima che possa entrare in vigore. Una volta entrato in vigore il regolamento, operatori e commercianti avranno 18 mesi di tempo per recepire le nuove regole.

Ursula von der Leyen

Al via il vertice Ue-Balcani a Tirana: focus su energia, gas e ambiente

Tutto pronto per il nuovo appuntamento-chiave nelle relazioni tra l’Unione europea e i suoi partner più vicini, reso ancora più cruciale dalle conseguenze della guerra russa in Ucraina sul piano economico ed energetico. A Tirana, capitale dell’Albania, si tiene oggi il vertice Ue-Balcani occidentali, a cui parteciperanno i 27 leader dei Paesi membri dell’Unione, i 6 balcanici e i leader delle istituzioni comunitarie (i presidenti del Consiglio Ue, Charles Michel, e della Commissione, Ursula von der Leyen).

Secondo quanto emerge dalla bozza delle conclusioni del vertice, l’Unione europea ribadisce il suo sostegno ai partner balcanici “nell’affrontare gli effetti negativi sulle loro economie e società” della guerra russa in Ucraina, per cui Mosca è “l‘unica responsabile” della crisi energetica ed economica. Bruxelles ha risposto a queste crisi con un piano di sostegno da un miliardo di euro complessivo per l’intera regione, come anticipato dalla presidente von der Leyen nel corso del suo viaggio nelle sei capitali (fatta eccezione per quella del Montenegro, rinviata a data da destinarsi) di fine ottobre.

Un piano che dovrebbe mobilitare 2,5 ulteriori miliardi di euro in investimenti, aiutando i sei Paesi partner a “mitigare l’impatto della crisi energetica e ad accelerare la transizione energetica“. Il pacchetto sarà finanziato attraverso lo strumento di assistenza pre-adesione (Ipa III) e sarà diviso in due parti, ciascuna da mezzo miliardo di euro. Da una parte un sostegno diretto al bilancio per affrontare l’impatto degli alti prezzi dell’energia in ciascuno dei sei Paesi dei Balcani Occidentali: 80 milioni per la Macedonia del Nord, altrettanti per l’Albania, 75 per il Kosovo, 70 per la Bosnia ed Erzegovina, 165 per la Serbia (per il Montenegro sarà comunicato al momento della nuova visita di von der Leyen). Dall’altra parte, i restanti 500 milioni saranno dedicati al “miglioramento delle infrastrutture per il gas e l’elettricità e gli interconnettori, compreso il Gnl“, ma anche “nuovi progetti di energia rinnovabile, aggiornamenti dei sistemi di trasmissione dell’energia, teleriscaldamento e schemi per migliorare l’efficienza energetica dei vecchi condomini“.

A questo proposito i leader Ue ricordano la decisione di aprire gli acquisti comuni di gas, Gnl e idrogeno per i Balcani occidentali, chiedendo allo stesso tempo “rapida operatività di questa piattaforma” e incoraggiando i partner a “sfruttare questa opportunità“. Nella bozza si ribadisce anche che il piano RePowerEu è finalizzato a ridurre la dipendenza non solo dell’Ue, ma dell’intera regione balcanica dal gas russo e, attraverso la Comunità dell’energia, l’Unione sta aprendo il proprio mercato dell’elettricità – “anche per quanto riguarda le energie rinnovabili” – ai sei partner dei Balcani occidentali, “a condizione che vengano attuate riforme normative“.

Rivestirà un ruolo centrale nelle discussioni di Tirana l’attuazione del Piano economico e di investimenti delle Agende verde e digitale per i Balcani occidentali, “anche attraverso un ulteriore sostegno alla connettività, alla transizione energetica e alla diversificazione delle forniture energetiche“. Nel pacchetto approvato nell’ottobre 2020, che mobilita quasi 30 miliardi di euro tra sovvenzioni e investimenti, è già stato dato il via libera finanziamento di 27 progetti-faro per un valore totale di 3,8 miliardi di euro. Parallelamente, grazie all’Agenda verde per la regione i leader balcanici rinnoveranno gli impegni climatici presi nell’ambito dell’Accordo di Parigi, anche per combattere l’inquinamento, migliorare la gestione dei rifiuti e accelerare la transizione energetica verde. L’Ue li sosterrà invece nello sviluppo di una politica di tariffazione del carbonio nel contesto del meccanismo di aggiustamento delle frontiere del carbonio (Cbam).

agricoltura

Via libera dell’Europa al piano strategico italiano per la Politica agricola comune (Pac)

È arrivato il via libera al piano strategico italiano per la nuova Politica agricola comune (Pac) 2023-2027, con la Commissione europea che ha messo il timbro sulla strategia da 35,1 miliardi di euro complessivi. Dando l’ok al piano di Roma – forte di un sostegno dal bilancio comunitario pari a 26,6 miliardi e altri 8,5 da quello nazionale – l’esecutivo comunitario ha voluto evidenziare che “l’Italia è uno dei maggiori produttori agricoli e trasformatori di alimenti dell’Ue, con un settore agricolo molto diversificato”.

Secondo quanto si legge nel documento, la strategia punta a migliorare la competitività e la sostenibilità di un’agricoltura diversificata, a garantire un reddito adeguato agli agricoltori e a lottare contro la sfruttamento della manodopera, ma anche a proteggere le attività dagli effetti del cambiamento climatico e a ridurre l’impatto sull’ambiente. Per tutti questi motivi saranno destinati 17,61 miliardi di euro alla stabilizzazione del reddito degli agricoltori, garantendo una più equa distribuzione degli aiuti: dal 2023 sarà fissato un tetto massimo di 2 mila euro al valore che un agricoltore può ricevere per ettaro come sostegno di base al reddito. Il piano prevede anche interventi settoriali dedicati ai settori vitivinicolo, dell’ortofrutta, dell’olio d’oliva e dell’apicoltura.

Oltre 10 miliardi di euro sono destinati a interventi sul fronte ambientale (inquinamento delle acque, perdita di biodiversità ed emissioni), con 35 schemi volontari che compenseranno gli agricoltori per i costi aggiuntivi e le perdite di reddito derivanti dall’applicazione di pratiche più ecosostenibili. Circa 37 milioni di euro saranno destinati a migliorare i metodi di distribuzione dei fertilizzanti e del concime nel suolo ed è previsto uno stanziamento pari a 518 milioni di euro per promuovere sistemi di agricoltura integrata su 2,14 milioni di ettari, per ridurre l’inquinamento di acqua, suolo e aria e sviluppare l’economia circolare nelle aziende agricole. Saranno anche stanziati circa 2 miliardi per l’agricoltura biologica (che dalla Commissione è considerata una tecnica di produzione in linea con gli obiettivi del Green Deal europeo), con l’obiettivo di aumentare la superficie coltivata a biologico fino al 25% di quella agricola complessiva entro il 2027.

Sul piano sociale sarà centrale l’intervento per contrastare lo spopolamento e l’abbandono delle attività agricole nelle aree rurali. Di qui il rafforzamento delle politiche a favore dei giovani agricoltori, attraverso la mobilitazione di 1,07 miliardi di euro. Circa 741 milioni saranno destinati alla creazione di 16 mila nuove opportunità imprenditoriali rivolte a giovani, ai disoccupati e alle imprenditrici e saranno sostenuti progetti innovativi e start-up con una forte attenzione alla digitalizzazione (con un ulteriore stanziamento a questo proposito di 2,22 miliardi). Le azioni si concentreranno soprattutto sugli strumenti digitali, la meccanizzazione, il benessere degli animali (con un budget specifico dedicato da 2 miliardi) e la formazione professionale. Il piano italiano stima che saranno coinvolte circa 358 mila persone in consulenze, gruppi operativi e circa 70 mila corsi di formazione, che aumenteranno il sistema della conoscenza e dell’innovazione in agricoltura.

La prima proposta di piano strategico della Pac era stata presentata il 31 dicembre dello scorso anno, ma ad aprile era stata bocciata dal gabinetto von der Leyen a causa di “numerosi elementi mancanti, incompleti o incoerenti”. Il 15 novembre è stata così presentata la proposta rivista, con la risposta alle osservazioni della Commissione e l’aggiornamento rispetto alle conseguenze della guerra russa in Ucraina – fino alla luce verde arrivata oggi da Bruxelles

commissione ue

Sicurezza alimentare, come l’Ue affronta i rischi della guerra

Garantire alimenti sicuri dal ‘produttore al consumatore’, dal ‘campo alla tavola’. La Commissione europea si pone questo tra gli obiettivi della sua politica di sicurezza alimentare, messa duramente alla prova dall’inizio della guerra di Russia in Ucraina. Con l’invasione si è aperta a Bruxelles una riflessione sulla necessità di aumentare la produzione alimentare in Europa, anche perché Russia e Ucraina sono tra i maggiori esportatori di materie prime agricole al mondo. La guerra, che va avanti da febbraio, ha avuto tra le conseguenze anche un rallentamento della produzione e un sostanziale blocco delle esportazioni da Kiev, che ha fatto temere per la sicurezza alimentare globale. L’Ucraina, infatti, produce il 12% del grano mondiale, il 15% del mais e il 50% dell’olio di girasole, ed è il principale esportatore di prodotti agricoli per i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.

Sul fronte interno, l’Europa ha iniziato a lavorare a una sospensione di alcune politiche per far fronte ai timori di insicurezza alimentare. A luglio ha formalizzato una deroga temporanea alle norme sulla rotazione delle colture e sul mantenimento di elementi non produttivi sui terreni coltivabili, per aumentare la capacità di produzione dentro l’Unione europea, così da compensare il blocco delle importazioni. Si tratta di norme varate dall’Ue nell’ambito della Pac, la politica agricola comune, per rendere più sostenibile a livello ambientale il sistema agroalimentare europeo, ma che adesso Bruxelles ritiene di dover derogare temporaneamente per far fronte all’insicurezza alimentare dettata dalla guerra.

Mettendo in pausa la rotazione delle colture – una tecnica agronomica che fa ‘girare’ le colture coltivate nello stesso appezzamento, per mantenere i terreni fertili – Bruxelles ha stimato di poter rimettere in produzione attiva circa 1,5 milioni di ettari rispetto a quelli utilizzati attualmente per la produzione di cereali. Riconoscendo l’importanza di queste norme chiamate ‘BCAA’ (Buone condizioni agronomiche e ambientali) per gli obiettivi di sostenibilità dei terreni e delle aziende agricole, Bruxelles precisa che la deroga sarà solo temporanea: sarà limitata al 2023 e a quanto strettamente necessario per affrontare le preoccupazioni di sicurezza alimentare globale. Le colture necessarie all’alimentazione animale (mais e soia) non saranno interessate.

Da quando la guerra di Russia è iniziata, l’Ue ha inoltre varato un piano per aggirare il blocco dei porti sul Mar Nero, causati dall’occupazione russa, e facilitare le esportazioni di grano e cereali dall’Ucraina in tutto il mondo (attraverso le cosiddette corsie di solidarietà), ma ha anche pianificato una serie di misure per la sicurezza alimentare dell’Europa, tra cui un pacchetto di sostegno da quasi 500 milioni di euro ricorrendo alla riserva di crisi della Pac e liberando dai vincoli di produzione quasi quattro milioni di ettari per aumentare la produzione in Europa. Il piano – presentato a fine marzo – ha incluso infatti una deroga temporanea per il 2022 ai vincoli della Pac per consentire la produzione di colture per scopi alimentari e mangimi su terreni incolti (i cosiddetti ‘terreni a riposo’) e un nuovo quadro straordinario di aiuti di Stato per agricoltori e aziende agricole, per far fronte al caro dei prezzi di energia, fertilizzanti e produzione.

In Europa è stallo sul price cap. Verso Consiglio Energia il 13/12

Permessi alle rinnovabili, price cap e solidarietà sul gas. Per i ministri europei riuniti a Bruxelles al Consiglio energia straordinario l’adozione formale dei due regolamenti di emergenza sull’accelerazione dei permessi alle rinnovabili (presentato dalla Commissione europea lo scorso 9 novembre) e il regolamento sulla solidarietà del gas (proposto lo scorso 18 ottobre) deve andare di pari passo con un accordo politico sul ‘meccanismo di correzione del mercato’, proposto dalla Commissione in forma di tetto temporaneo al prezzo del gas. Solo che un accordo politico sul controverso ‘price cap’ proposto dalla Commissione europea questa settimana non c’è ancora e dunque i ministri europei hanno deciso di rimandare la decisione formale anche sui due regolamenti di emergenza.

La riunione straordinaria dell’energia (il quarto sotto la presidenza dell’Ue in mano alla Repubblica ceca) si è chiusa dopo circa quattro ore di discussione con una intesa informale sul “contenuto dei due regolamenti“, ma senza un accordo di fatto. L’idea è quella di arrivare ad adottarli formalmente al prossimo Consiglio straordinario dell’Energia che si terrà probabilmente il 13 dicembre (deve ancora essere ufficializzata la data), quando la presidenza di Praga spera di raggiungere un accordo politico sulla proposta di meccanismo di correzione del mercato, che sbloccherà il via libera anche sugli altri due pacchetti. Nessuno si sarebbe aspettato un accordo politico oggi sulla proposta di price cap, appena due giorni dopo la presentazione dei dettagli sul tetto da parte della Commissione europea. La presidenza ceca aveva “messo le mani avanti” su questo, spiegando che un accordo era improbabile ma che ci sarebbe stato un primo scambio di opinioni sulla questione. Ma in pochi si sarebbero aspettati che gli Stati avrebbero deciso di rimandare anche la decisione sulle altre due misure di emergenza, su cui un accordo politico già c’è e “su cui non serviranno ulteriori negoziati”, ha assicurato il ministro ceco per l’industria e il commercio, Jozef Sikela, in conferenza stampa.

Nei fatti, c’è una maggioranza di Paesi Ue – tra cui l’Italia, la Spagna, la Polonia – a cui i termini della proposta della Commissione europea non piacciono. Bruxelles propone di fissare un prezzo massimo “di sicurezza” da applicare in automatico sulle transazioni di gas sul mercato olandese di fronte a picchi di prezzo. Il meccanismo, nell’idea di Bruxelles, scatterebbe in automatico quando sono soddisfatte due condizioni contemporaneamente: quando il prezzo del gas sul TTF supera i 275 euro per megawattora (MWh) per un periodo di due settimane e quando i prezzi del gas sul TTF sono superiori di 58 euro rispetto al prezzo di riferimento del GNL per 10 giorni consecutivi nelle due settimane di scambi. Le condizioni per attuarlo in automatico sono talmente difficili da realizzare, che il meccanismo potrebbe non entrare in funzione mai e lo ha ammesso la stessa Commissione europea.

Gli Stati – come ha ricordato la commissaria europea per l’energia, Kadri Simson, in conferenza stampa – hanno il potere di cambiare le cifre contenute nella proposta, possono emendare il regolamento del Consiglio. Ma gli Stati stessi rimangono divisi su come impostare il tetto al prezzo del gas contro speculazione e volatilità dei prezzi. Per il momento la discussione dei ministri è stata molto superficiale, tanto che non si è pensato ancora a una vera e propria contro-proposta ma il lavoro tecnico dovrebbe iniziare nei prossimi giorni.

A Bruxelles resta l’ottimismo sul fatto di riuscire a trovare un accordo al prossimo Consiglio energia su tutte e tre le misure. Sul price cap “la discussione è stata accesa, ci sono posizioni diverse ma è stata una discussione aperta che funzionerà da punto di partenza per trovare un accordo” a dicembre, ha assicurato il ministro ceco. I tempi sono stretti, ma dalla presidenza di Praga c’è ottimismo che si possa arrivare all’accordo il 13, senza dover rimettere la questione sul tavolo dei capi di stato e governo che si riuniranno al Vertice Ue a Bruxelles il 15 e 16 dicembre.

Ne è convinto anche il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, secondo cui dal clima registrato oggi al Consiglio un’intesa il 13 è verosimile, “perché c’è tutta la volontà da parte di tutti i paesi di raggiungere l’obiettivo di un accordo”. Rispondendo a una domanda su quale potrebbe essere una soglia di tetto accettabile per l’Italia il ministro ha chiarito che la convergenza tra i ministri deve essere trovata non solo sulle cifre del tetto, quanto sui criteri per attivarlo. “Si tratta di trovare un punto di convergenza, possiamo anche fare a meno di fissare un prezzo ma se i criteri sono chiari per raggiungere il nostro obiettivo, ovvero quello di intervenire evitando una speculazione“. Per la ministra spagnola per la transizione, Teresa Ribera, l’impressione è che “all’interno del Consiglio ci sia stata un’ampia maggioranza sul fatto che, per quanto riguarda la fissazione di un tetto al prezzo del gas, dovrebbe essere un riferimento dinamico e non statico“. Le parole di Ribera confermano che più che su un tetto fisso gli Stati membri potrebbero orientarsi su un corridoio dinamico ai prezzi del gas, come nei fatti chiede il mandato politico alla Commissione Ue dell’ultimo Consiglio europeo del 20-21 ottobre. Una banda di oscillazione dei prezzi, non un tetto fisso, potrebbe mettere d’accordo anche i Paesi che mostrano di avere ancora diverse riserve, come Germania e Olanda.

La Cop27 si allunga fino a oggi: negoziati ancora indietro

Fumata nera, per il momento, alla Cop27. Il documento finale, previsto per venerdì sera, ancora non è pronto. Ecco perché il vertice si protrarrà anche nella giornata di oggi. Sperando che sia sufficiente e che non si debba continuare a lavorare al testo anche domenica. I negoziati dovranno superare lo stallo sul finanziamento da parte dei Paesi ricchi dei danni climatici già subiti dai Paesi poveri e sulla riaffermazione delle ambizioni climatiche. “Sono ancora preoccupato per il numero di questioni irrisolte, tra cui i finanziamenti, la mitigazione, le perdite e i danni“, ha dichiarato venerdì ai delegati in plenaria il presidente egiziano della Conferenza sul clima, Sameh Choukri. Il ministro degli Esteri egiziano ha quindi annunciato la proroga della Cop, invitando le parti a “cambiare marcia” e a “lavorare insieme per risolvere le questioni ancora aperte il più rapidamente possibile“.

I lavori della conferenza, che si è aperta il 6 novembre a Sharm el-Sheikh, si sono arenati per diversi giorni sulle stesse questioni e i delegati hanno criticato la conduzione dei negoziati da parte della presidenza. Ma almeno su una delle questioni, quella del ‘Loss and damage’, ossia ‘perdite e danni’, sembra emergere una via d’uscita.

Il 2022 ha visto un numero crescente di disastri legati al cambiamento climatico: inondazioni, siccità dei raccolti o mega-incendi. Per anni i Paesi ricchi sono stati molto riluttanti ad accettare finanziamenti specifici, ma giovedì l’Unione Europea ha fatto un’offerta, accettando in linea di principio un “fondo di risposta alle perdite e ai danni“, con alcune condizioni, tra cui quella di riservarlo alle “persone più vulnerabili” e di avere una “base più ampia di contributori“. In altre parole, i Paesi emergenti dotati di ingenti risorse, come la Cina. Allo stesso tempo, gli europei, sostenuti da altri gruppi, chiedono la riaffermazione di forti obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra per limitare il riscaldamento globale. Un’opzione simile è contenuta in una bozza di risoluzione diffusa nella tarda serata di giovedì ed è stata ritenuta accettabile venerdì “con alcune modifiche” dal ministro pakistano per i cambiamenti climatici, Sherry Rehman, attuale presidente del potente gruppo negoziale G77+Cina. Resta da vedere quale sarà la posizione degli Stati Uniti e Cina, le due potenze economiche mondiali e i due più grandi inquinatori, che finora si sono opposti all’idea di un fondo specifico.

Ultimo giorno per la Cop27, ma manca ancora il ‘Loss and damage’

La Cop27 si avvia verso la sua conclusione, ma nell’ultima bozza del documento finale diffusa nella notte manca ancora il punto che, in avvio del vertice, era considerato fra i più importanti in agenda. O meglio, rispetto a giovedì qualcosa si è mosso, ma pare ancora insufficiente. Nel documento è stato inserito un paragrafo aggiuntivo che riguarda i cosiddetti ‘Loss and damage’, cioè ‘Perdite e danni’ causati dal cambiamento climatico nei Paesi più vulnerabili. Nella bozza si “esprime profonda preoccupazione per i notevoli costi finanziari associati a perdite e danni per i Paesi in via di sviluppo, che comportano un aumento dell’onere del debito e pregiudicano la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile del 2030“. Il testo, però, lascia in bianco il punto relativo alla creazione di un di un fondo ‘loss and damage’ per sostenere i Paesi più fragili. Rientrano, invece, nel documento, la necessità di esercitare tutti gli sforzi per raggiungere l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di mantenere l’aumento della temperatura media globale ben sotto i 2°C, investire in rinnovabili, velocizzare gli impegni di decarbonizzazione. Ma soprattutto c’è “l’urgenza di affrontare le perdite e di danni del riscaldamento globale“.

A sostenere la creazione del fondo ‘loss and damage’, a poche ore dalla fine del vertice Onu sul clima a Sharm el-Sheikh, è in prima linea l’Unione europea, che ha presentato una proposta per istituirlo. Il fondo dovrebbe essere rivolto ai Paesi più vulnerabili e dovrebbe riflettere le realtà finanziarie del 2022. Ad annunciarlo il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans parlando con la stampa. Il fondo, secondo Timmermans, dovrebbe essere finanziato da “un’ampia base di donatori” e dovrebbe “andare di pari passo con una più alta ambizione sulla riduzione delle emissioni“.

Frans Timmermans

L’Ue raggiunge l’accordo: Nuovi obiettivi assorbimento CO2 da suoli e foreste

Mentre a Sharm el-Sheikh l’Ue tratta per alzare le ambizioni globali sul clima, a Bruxelles si fanno passi avanti sulle ambizioni del continente. E’ arrivato nella notte il terzo accordo in Ue nel giro di poche settimane su una delle proposte legislative del pacchetto sul clima ‘Fit for 55’: i negoziatori del Consiglio e del Parlamento europeo hanno raggiunto nella notte l’intesa politica sull’aumento della quota di CO2 assorbita dai suoli e dalle foreste, per contribuire all’obiettivo di riduzione complessivo di emissioni.

Nel pacchetto sul clima presentato a luglio 2021, la Commissione Ue ha proposto una revisione del regolamento sull’uso del suolo, il cambiamento di uso del suolo e la silvicoltura (il regolamento LULUCF, adottato nel 2018) per incoraggiare gli Stati membri ad aumentare i loro “serbatoi naturali” di carbonio in linea con la legge europea sul clima. Secondo le stime, l’Ue assorbe circa 225-265 milioni tonnellate di CO₂ dall’atmosfera, senza un vero e proprio target vincolante a livello europeo. I negoziatori di Consiglio e Parlamento hanno mantenuto l’obiettivo proposto dall’esecutivo europeo di 310 milioni di tonnellate (Mt) di CO₂ equivalenti di assorbimenti netti entro il 2030 nel settore LULUCF, che copre l’uso di suoli, alberi, piante, biomassa e legname.

Le attuali regole secondo cui le emissioni non devono superare gli assorbimenti continueranno ad applicarsi fino al 2025, ma a partire dal 2026 fino al 2030, quando gli assorbimenti dovrebbero superare le emissioni, ciascuno Stato membro avrà un obiettivo nazionale vincolante. L’accordo provvisorio dovrà essere finalizzato rispettivamente da entrambe le istituzioni separatamente. “Abbiamo un nuovo obiettivo per la rimozione del carbonio attraverso la natura. Una volta finalizzato, l’accordo di stasera aiuta ad aprire le porte a un obiettivo climatico più alto“, ha esultato il vicepresidente adatto per il Green Deal, Frans Timmermans.

Secondo i calcoli dell’Eurocamera, realizzare l’obiettivo consentirà di aumentare anche il target generale di riduzione delle emissioni al 2030, portandolo dal 55% fino al 57%. “Dopo l’accordo di ieri sera su un nuovo testo del pacchetto europeo Fit for 55 sull’uso del suolo e sulle foreste si va oltre il 55% fino a sfiorare il 57% di riduzione del carbonio nel 2030”, ha spiegato il presidente della commissione Ambiente del Parlamento europeo, Pascal Canfin, dopo l’accordo raggiunto.

URSULA VON DER LEYEN

Von der Leyen in Moldova promette 250 mln contro la crisi energetica

Cento milioni in sovvenzioni e altri cento in prestiti. L’Unione europea ha assicurato il 10 novembre che mobiliterà a partire da gennaio un pacchetto di altri 200 milioni di euro alla Moldova per far fronte alla “grave crisi energetica” che il Paese vive dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, legata sia “alla fornitura di gas ed elettricità, sia all’accessibilità economica di gas ed elettricità”. E’ la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ad annunciarlo al fianco della presidente moldava, Maia Sandu, in un punto stampa organizzato a sugellare l’incontro a Chișinău, dove si è recata insieme alla commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson.

La presidente ha spiegato che il pacchetto sarà disponibile a partire da gennaio: i 200 milioni tra prestiti e sovvenzioni andranno al Paese per garantire che abbia abbastanza gas durante l’inverno che si avvicina. La vicinanza geografica della Moldova all’Ucraina e il sostegno dimostrato a Kiev dall’inizio dell’invasione, hanno reso anche la Moldova un bersaglio delle ritorsioni energetiche di Mosca. A partire dalla fine di marzo, l’Unione europea ha consentito l’allaccio della rete elettrica di Moldova e Ucraina con la rete dell’Europa continentale per aiutare i due Paesi a mantenere stabile il proprio sistema elettrico, le case calde e le luci accese anche durante la guerra della Russia in Ucraina. Ma l’inverno è alle porte e i tagli alle forniture di gas da parte della Russia rischiano di mettere in crisi il sistema energetico moldavo.

Altri 50 milioni di euro, ha annunciato von der Leyen, andranno per il sostegno di bilancio alla Moldova, con cui il Paese potrà fornire sostegno diretto alle persone più vulnerabili colpito dalla crisi dei prezzi energetici. Bruxelles sta collaborando con il segretariato della Comunità dell’energia per mettere in atto un programma di salvataggio energetico per la Moldova per consentire ai donatori di sostenere gli acquisti di energia. “Spero che queste misure combinate forniscano alla Moldova il tanto necessario sostegno durante l’inverno”, ha aggiunto von der Leyen. Dallo scorso giugno, Bruxelles ha assicurato un prestito del valore di 300 milioni di euro attraverso la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, con cui la Moldova potrà acquistare dall’Ue il gas per scopi di emergenza e stoccaggio prima dell’inverno. Come misura di prevenzione in caso di tagli alle forniture da parte della Russia. Da quando i leader europei all’ultimo Vertice Ue di giugno hanno sostenuto per Moldova e Ucraina lo status di paese candidato all’adesione all’Ue, le nostre relazioni con i due Paesi hanno assunto una nuova dimensione.

Oggi in Cdm bollette e Nadef: si parte da un ‘tesoretto’ di 10 miliardi

Pochi soldi a disposizione, ma l’imperativo è farli fruttare. Oggi il Consiglio dei ministri sarà chiamato ad approvare la Nota di aggiornamento al Def, che contiene la pianificazione finanziaria annuale degli obiettivi che il governo si pone. Sarà il primo, importante banco di prova per Giorgia Meloni e la sua squadra, che al momento possono disporre di un ‘tesoretto’ da circa 10 miliardi di euro lasciato in eredità da Mario Draghi, al quale proveranno ad aggiungere altre risorse per varare una nuova serie di aiuti a famiglie e imprese per contrastare i rincari di gas, energia elettrica e carburanti. Il giro di ricognizione dei vari ministeri, fisiologicamente, visto che l’esecutivo è in carica da circa due settimane, non ha ancora prodotto risultati entusiasmanti, ma il margine per arrivare ad altri 5 miliardi aggiuntivi non è impossibile da raggiungere. Con molta probabilità si tratterà di prorogare gli strumenti messi in campo finora, ma comunque è un segnale in vista della prossima legge di Bilancio.

Della manovra la premier ha parlato anche ieri negli incontri avuti a Bruxelles con le massime cariche istituzionali del Vecchio continente. La costante è sempre lo scarso spazio di azione, visto che il varo dovrà avvenire entro e non oltre il 31 dicembre o l’Italia andrà in esercizio provvisorio. “Stiamo correndo contro il tempo“, sottolinea infatti Meloni nel colloquio con la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. Certo, se nel frattempo dall’Ue arrivasse un sostegno forte, magari con il via libera al price cap o al fondo comune per gli acquisti di gas, la strada sarebbe meno in salita. Ecco perché la premier assicura che “la voce dell’Italia in Europa sarà forte” aggiungendo che il governo è pronto “ad affrontare le grandi questioni, a partire dalla crisi energetica, collaborando per una soluzione tempestiva ed efficace al fine di sostenere famiglie e imprese e mettere un freno alla speculazione“.

In attesa che l’Europa faccia le proprie mosse, in Italia sono i sindacati a chiedere di dare priorità alle emergenze, come l’energia. “Abbiamo chiesto, con Cisl e Uil, un incontro con la presidente del Consiglio per discutere tutto questo e delineare un nuovo modello di sviluppo nella cui costruzione il sindacato e il mondo di lavoro siano pienamente coinvolti e non solo informati a cose fatte“, dice il segretario della Cgil, Maurizio Landini, a ‘La Stampa‘. In particolare le confederazioni si attendono un intervento sugli extra-profitti: “Non basta riscrivere la legge, bisogna alzare la soglia e ampliare la platea oltre il settore energetico. Tutto il gettito extra deve essere utilizzato per aiutare i lavoratori e le imprese che rischiano di chiudere. Subito. Anche con un contributo di solidarietà finalizzato a sostenere politiche di sviluppo e occupazione come fatto in questo in giorni in Germania“.

Le intenzioni del governo saranno più chiare dopo l’approvazione della Nadef, in cui Meloni dovrà tracciare la strada che vorrà seguire dal prossimo anno. Che inizia con una “corsa contro il tempo“.