Ue, Comitato delle Regioni dà l’ok al suo ‘pacchetto energia’

Stop a gas e petrolio russi, ma “gradualmente. La guerra in Ucraina con le sue ripercussioni finisce nell’agenda dei lavori del Comitato europeo delle regioni, che richiama l’Europa degli Stati a fare attenzione alle realtà dei territori e alle loro necessità. Perché se esistono diversi sistemi Paese, al loro interno esistono città, provincie e regioni che non possono permettersi un arresto netto, immediato, di tutto ciò che serve per produrre e svilupparsi. Il ‘pacchetto energia’ votato dai membri riuniti in sessione plenaria dunque pone l’accento sulla diversità centro-periferia, differenza tra governi centrali e locali, e a questi ultimi chiede maggiore voce in capitolo per tutto ciò che riguarda la strategia di sostenibilità dell’Unione europea, a cominciare dall’ultimo tassello dettato dall’instabilità geopolitica, quella dell’indipendenza energetica.

Chiediamo la nuova strategia europea RepowerEu per sostenere la pianificazione locale per sicurezza energetica e investimenti nelle fonti di energia rinnovabile”, spiega il primo vicepresidente del Comitato, Vasco Alves Cordeiro (Pes), al termine del voto. Fermo restando che per il bene delle realtà locali è necessario immaginare “una riduzione progressiva delle importazioni di gas e petrolio” russi, per arrivare ad uno stop completo nel 2030. L’esatto contrario di quello che vorrebbe una parte dei governi nazionali e pure e soprattutto il Parlamento europeo, che su questo pacchetto sarà chiamato ad esprimersi nelle prossime settimane. A maggio sono attesi i voti delle commissioni, a giugno quello dell’Aula. Sulla base del voto, la Commissione europea dovrà stabilire come legiferare in materia.

Il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, ancora oggetto di lavori, sembra andare nella direzione indicata dal Comitato delle regioni. Sempre in tema di sicurezza delle forniture, l’istituzione Ue rappresentativa di comuni, province e regioni, propone il disaccoppiamento di gas ed elettricità come possibile misura per evitare che i prezzi elevati del gas incidano sui prezzi dell’energia elettrica. Si invita poi ad accelerare sincronizzazione, completamento e miglioramento delle reti e delle interconnessioni di gas, idrogeno ed elettricità in tutta l’Ue. Chiesto inoltre modifiche alle regole sugli aiuti di Stato per “stimolare gli investimenti strategici chiave” nell’idrogeno rinnovabile e nelle infrastrutture pubbliche per la ricarica dei veicoli elettrici. Sul fronte del meccanismo di compravendita dei certificati di emissione (Ets) i leader locali chiedono che almeno il 20% dei ricavi generati dalla vendita all’asta delle quote di Co2 sia gestito “direttamente dagli enti locali e regionali”. Inoltre, i membri del Comitato ribadiscono la loro richiesta di estendere la tariffazione del carbonio a tutti i settori, compresi i trasporti e l’edilizia. Maggiore centralità degli enti locali, poi, per la gestione della transizione. Si chiede maggior coinvolgimento nella stesura dei piani nazionali per il clima, e gestione diretta di almeno il 35% della dotazione finanziaria del Fondo sociale per il clima, da 72,2 miliardi di euro. Sul fronte dell’efficienza energetica si sostengono gli obiettivi del 3% di ristrutturazioni annuali degli edifici del settore pubblico e di almeno l’1,7% di riduzione della domanda di energia del settore pubblico, ma si chiedono “fondi diretti alle città e alle regioni” per realizzare i progetti del Green Deal. Nodo centrale anche lo sviluppo di energia da fonti rinnovabili, dossier slegato dalla strategia RepowerEu per l’indipendenza energetica ma comunque centrale per la transizione green a dodici stelle. Qui si chiede di facilitare le autorizzazioni e di “sviluppare più progetti transfrontalieri di energia rinnovabile al fine di diversificare l’approvvigionamento energetico” dell’Ue e realizzare un sistema energetico integrato e decarbonizzato. Infine si invita la Commissione a mantenere congelato il patto di stabilità e crescita, con i suoi vincoli, per tutto il 2023, così da evitare strozzature della crescita in tempi di incertezze e nuove crisi.

Gas, Ue avvisa imprese: “Pagare in rubli viola sanzioni alla Russia”

La Russia apre la guerra al gas contro l’Europa tagliando le forniture alla Polonia e Bulgaria, e trova un’Unione Europea impreparata su come affrontarne le conseguenze. La Commissione europea ha avvertito le imprese europee del fatto che accettare il “ricatto” di Mosca e pagare il gas in rubli è di fatto una chiara violazione del regime di sanzioni varato dall’Ue contro Mosca per l’aggressione dell’Ucraina, così come anche una violazione della maggior parte dei contratti di fornitura in essere con la Russia. Il 97% di questi prevede esplicitamente che le forniture siano pagate in euro o in dollari, non in valuta locale, e quindi pagarli in rubli sarebbe di fatto una violazione dei contratti stessi.

Il colosso energetico russo Gazprom ha tagliato mercoledì le forniture a Polonia e Bulgaria dopo che si sono rifiutate di pagare il gas in rubli, dando il via alla prima grande ritorsione di Mosca alle sanzioni europee da quando la guerra in Ucraina è cominciata lo scorso 24 febbraio. Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato lo scorso 31 marzo un decreto per cambiare le regole sui pagamenti delle forniture di gas ai “Paesi ostili” alla Russia (ovvero tutti i Paesi occidentali) obbligando di fatto le imprese e gli acquirenti del gas russo ad aprire due conti in Gazprombank, la banca di Stato, uno in rubli e uno in euro: dopo aver depositato euro o dollari nel primo conto, Gazprombank deve poi convertirli in rubli in un secondo. Nel passaggio tra il primo e il secondo conto bancario c’è la ragione per cui l’Ue denuncia una violazione dell’attuale regime di sanzioni, dal momento che si considera il pagamento completato solo dopo il passaggio effettivo in rubli. Una operazione, ha spiegato un funzionario dell’Ue, che coinvolge la Banca centrale russa, una delle banche colpite dalle sanzioni varate dall’UE con cui i Paesi non possono effettuare transazioni di alcun tipo.

In quel passaggio le aziende perderanno totalmente il controllo del denaro, che rimarrà tutto “nelle mani della Russia, che può utilizzarlo per qualunque cosa prima di trasformarlo in rubli”, ha spiegato. Il pagamento, ha chiarito ancora, sarà considerato completato solo quando convertito in rubli. La stessa fonte ha precisato che a livello europeo c’è ampio consenso da parte dei governi a rifiutare questo ricatto da parte di Mosca e continuare a pagare in euro per le proprie forniture. Rassicurazioni che sono state poco dopo smentite dall’annuncio dell’Ungheria di soddisfare le richieste del Cremlino pagando in euro ma tramite Gazprombank. La precisazione dell’Esecutivo europeo arrivata giovedì si è resa necessaria dopo che varie delegazioni europee hanno sollevato preoccupazioni e denunciato scarsa chiarezza su in che modo accettare il decreto di Putin possa portare a violare il regime di sanzioni dell’Ue.

Più di una indiscrezione parla di vari acquirenti di gas russo che avrebbero già aperto il secondo conto in rubli presso Gazprombank, di cui la Commissione europea sostiene di non essere a conoscenza ufficialmente. Lunedì è stato convocato un Consiglio energia straordinario in cui il tema centrale sarà probabilmente la richiesta di maggiore chiarezza su cosa possono o non possono fare le aziende europee di fronte alle richieste di Putin per evitare di vedersi tagliate le forniture come nel caso di Sofia e Varsavia. E per non trovarsi, ancora, impreparati e divisi.

Carbon Tax alle frontiere, c’è l’accordo in Consiglio Ue

Stop a beni realizzati con procedimenti industriali ad elevate emissioni di gas a effetto serra, in particolare la CO2. Il Consiglio dell’UE ha trovato un accordo politico di massima per introdurre il Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (noto con l’acronimo CBAM), uno degli elementi chiave del ‘Fit for 55’, l’insieme delle politiche per la sostenibilità. Lo speciale meccanismo intende imporre su cemento, alluminio, fertilizzanti, produzione di energia elettrica, ferro e acciaio, tasse sulle emissioni di carbonio. I produttori dovranno dimostrare che la realizzazione dei prodotti è avvenuta attraverso processi industriali rispettosi dell’ambiente, o saranno soggetti a balzelli europei.
La strategia mira a tradurre in pratica l’impegno per il contrasto ai cambiamenti climatici da una parte, e garantire competitività dell’industria europea dall’altra. L’Ue si è posta degli obiettivi verdi che altri Paesi membri al momento non hanno, e le importazioni di prodotti clima-impattanti rischia di vanificare gli sforzi a dodici stelle per un nuovo modello green.
Italia, Francia, Germania, Spagna, Belgio, Danimarca, Finlandia, Lituania, Slovenia, Slovacchia, Svezia, Romania, Malta (ma condizionato al rispetto della natura socio-geografica dei Paesi) le delegazioni che si sono espresse pubblicamente a favore dell’introduzione di una nuova ‘carbon tax’. Ma nel complesso, si è registrata “una larga maggioranza”, afferma al termine dei lavori del consiglio Ecofin Bruno Le Maire, ministro delle Finanze della Francia, governo con la presidenza di turno del Consiglio Ue.
Rispetto alla proposta originale della Commissione del luglio 2021, il Consiglio ha optato per una maggiore centralizzazione della governance di questo meccanismo, così da garantire una maggiore efficienza. Ad esempio, il nuovo registro dei dichiaranti CBAM (importatori) deve essere centralizzato a livello dell’UE e non lasciato ai singoli governi. Il Consiglio prevede inoltre una soglia minima che esenta dagli obblighi CBAM le spedizioni di valore inferiore a 150 euro.
Ora si dovrà lavorare a livello tecnico per risolvere le questioni ancora oggetto di accordo. L’intesa, da cercare nei formati ministeriali competenti, riguarda le risorse proprie. Si tratta dei proventi derivanti dalla tassa (i ricavi della vendita di certificati CBAM), il regime transitorio di quote di emissioni gratuite, e la dimensione internazionale. Si vuole maggiore cooperazione internazionale con i paesi terzi, anche attraverso l’istituzione, parallelamente al CBAM, di un club climatico in cui le politiche di determinazione dei prezzi del carbonio possono essere discusse e incoraggiate. La Germania, con la presidenza di turno del G7, si impegna a sollevare la questione tra i Grandi 7.

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