Rinnovabili, decreto sulle Aree idonee in arrivo: l’obiettivo è 80 Gigawatt al 2030

Questione di giorni, non più di mesi. Il decreto legge che individua le Aree idonee ad accogliere gli impianti per aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili è pronto, ora mancano il passaggio in Conferenza unificata e in Cdm. La bozza, che GEA ha potuto visionare, conferma quanto ha sempre sostenuto il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, in questi mesi: l’obiettivo è raggiungere una potenza aggiuntiva di 80 Gigawatt entro il 2030. La tabella di ripartizione tra Regioni e Province autonome vede sul gradino più alto del podio la Sicilia, con un target progressivo che dovrà portare l’isola a 10.380 Megawatt entro i prossimi 7 anni. Alle sue spalle c’è la Lombardia con 8.687 MW e in terza posizione la Puglia con 7.284 MW.

A seguire ci sono i 6.255 MW al 2030 per l’Emilia-Romagna, 6.203 per la Sardegna, 5.763 MW per il Veneto, 4.921 MW per il Piemonte, 4.708 MW per il Lazio, 4.212 per la Toscana, 3.943 MW per la Campania, 3.128 MW per la Calabria, 2.313 MW per le Marche, 2.076 MW per la Basilicata, 2.067 MW per l’Abruzzo, 1.940 MW per il Friuli Venezia Giulia, 1.735 MW per l’Umbria, 1.191 MW per la Liguria, 995 MW per il Molise, 848 MW per la provincia di Trento, 804 MW per Bolzano e 549 per la Valle d’Aosta.

Dal momento in cui il decreto sarà operativo, Regioni e Province avranno 180 giorni di tempo per emanare leggi locali utili a individuare le superfici dove potranno sorgere gli impianti. Per chi non rispetterà le scadenze, sarà il Cdm a prendere le redini in mano, con il Mase che potrà proporre al presidente del Consiglio gli schemi di atti normativi di natura sostitutiva. Gli enti locali potranno anche concludere fra di loro accordi per il trasferimento statistico di determinate quantità di potenza, ma in caso di inadempienze, rispetto agli obiettivi minimi assegnati al 2030, ci saranno compensazioni economiche “finalizzate a realizzare interventi a favore dell’ambiente, del patrimonio culturale e del paesaggio, di valore equivalente al costo di realizzazione degli impianti“. Ci sarà l’Osservatorio nazionale, un “organismo permanente di consultazione e confronto tecnico sulle modalità di raggiungimento degli obiettivi regionali, nonché di supporto e di scambio di buone pratiche in particolare finalizzate all’individuazione delle superfici e delle Aree idonee e non idonee“.

Quanto ai criteri, le aree agricole classificate come Dop e Igp sono considerate idonee solo ai fini dell’installazione di impianti agrivoltaici. Inoltre, nel processo di individuazione delle superfici devono essere rispettati “i princìpi della minimizzazione degli impatti sull’ambiente, sul territorio, sul patrimonio culturale, sul paesaggio e sul potenziale produttivo agroalimentare, fermo restando il vincolo del raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e tenendo conto della sostenibilità dei costi correlati al raggiungimento di tale obiettivo.

Tra le aree idonee rientrano i “siti dove sono già installati impianti della stessa fonte in cui vengono realizzati interventi di modifica, anche sostanziale” che “non comportino una variazione dell’area occupata superiore al 20%“, anche se questo limite “non si applica per gli impianti fotovoltaici“. Restando sempre sul punto, per “impianti fotovoltaici standard realizzati su suoli agricoli, una percentuale massima di utilizzo del suolo agricolo nella disponibilità del soggetto che realizza l’intervento, comunque non inferiore al 5% e non superiore al 10%“, Mentre “per impianti classificati come ‘agrivoltaici’ che rispettino le prescrizioni di esercizio previstela percentuale raddoppia al 20.

Per quanto concerne gli impianti eolici, i criteri assegnati a Regioni e Province autonome c’è quello di valutare le aree “con adeguata ventosità” tale da “garantire una producibilità maggiore di 2.250 ore equivalenti a 100 metri di altezza“. Ma vanno escluse le superfici “ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela, come i siti che rientrano “nel patrimonio Unesco, nella lista Fao Gihas e in quelli iscritti nel registro nazionale dei paesaggi rurali storici“, sui quali, è possibile “introdurre fasce di rispetto di norma fino a 7 chilometri, purché le aree idonee complessivamente individuate sul territorio regionale o provinciale abbiano una superficie pari almeno all’80% di quella individuabile applicando i limiti di 3 chilometri e comunque pari almeno all’80% di quella individuabile considerando i criteri specifici di ventosità“. Una scelta che non piace all’Anev, l’Associazione nazionale energia del vento: “Ancora una volta sembra penalizzare il settore eolico, il provvedimento risulta poco soddisfacente“.

Il decreto, poi, stabilisce che le nuove leggi regionali o quelle varate dalle Province autonome per rispettare le nuove disposizioni sulle Aree idonee “prevalgono su ogni altro regolamento, programma, piano o normativa precedentemente approvato a livello regionale, provinciale o comunale, inclusi quelli in materia ambientale e paesaggistica“. Infine, i procedimenti avviati prima dell’entrata in vigore del dl Aree idonee vengono comunque portati a termine con le regole in vigore dal 2021.

palo luce

Crisi energetica meno intensa, ma mercati tesi. Aumenta platea bonus, parola d’ordine: risparmio

La tempesta è passata, ma le turbolenze restano. Dalla relazione annuale di Arera arrivano indicazioni importanti sul mercato dell’energia. “La crisi dei prezzi morde con meno intensità, ma i mercati energetici sono ancora tesi, esposti a forti oscillazioni e pronti a reagire negativamente al mancato sviluppo di quelle iniziative di riallineamento strutturale del bilancio domanda-offerta”, è il primo messaggio lanciato dal presidente dell’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, Stefano Besseghini. L’unico strumento che conserva sempre “il suo valore per agibilità e immediatezza dell’efficacia nel contenimento della domanda”, avvisa, è “il risparmio energetico”. I dati, in questo senso, sono confortanti. Perché nel 2022 i consumi di energia elettrica si sono ridotti dell’1,1% (nel dettaglio: industria -3,9%, residenziale -2,8 e agricoltura -1,7), così come anche il consumo netto di gas naturale è diminuito di 7,5 miliardi di metri cubi, attestandosi a 67,3 miliardi di metri cubi, il 10% in meno rispetto al 2021.

Un buon rimedio per fronteggiare l’aumento dei prezzi medi, che per l’energia elettrica per uso domestico (senza considerare gli effetti dei bonus per il nostro Paese), lo scorso anno, hanno fanno registrare un balzo in avanti del 40% nel nostro Paese, un dato nettamente più alto del 13 percento della media dell’Area euro. Stesso discorso vale anche per i prezzi del gas naturale per i consumatori domestici italiani, comprensivi di oneri e imposte, al netto dell’effetto dei bonus. Che, peraltro, sono in aumento, secondo i dati di Arera: quelli erogati nel 2022, infatti, si attestano complessivamente oltre i 6,2 milioni, con un allargamento della platea dei beneficiari nel periodo tra il 1 aprile e il 31 dicembre 2022, in virtù delle modifiche alle soglie Isee per richiedere l’accesso.

Nell’analisi dell’Authority c’è anche il beneficio comportato dalla modifica al metodo di calcolo per la fissazione del prezzo del servizio di tutela gas. Un cambiamento che “nel semestre invernale 2022-2023 ha comportato un vantaggio, per il consumatore in tutela, che possiamo stimare in circa 3 miliardi di euro”, ma “considerando l’elevata quota di contratti nel mercato libero, indicizzati al prezzo di tutela, il vantaggio complessivo è ben più elevato”. Sul mercato dell’energia elettrica, invece, i dati indicano i punti domestici serviti nel mercato libero dell’energia elettrica sono saliti al 64,8% nel 2022, con un incremento al 69,3 percento nell’aggiornamento di marzo scorso. Altro dato rilevante è quello sulle fonti rinnovabili, in calo del 13,9%, sebbene il fotovoltaico risulti in crescita del 12,3%. A pesare è soprattutto il crollo dell’idroelettrico (-37,8%) a causa dell’emergenza siccità che ha messo a dura prova il Paese dalla scorsa estate. Più contenuti i cali di bioenergie (-8,5%), eolico (-1,8) e geotermico (-1,7%). Nel complesso, le rinnovabili hanno contribuito per circa il 35% al mix della produzione elettrica nazionale, il 5 percento in meno rispetto al 2021.

Per quanto concerne, poi, le forniture di gas, l’Italia “rallenta ma non arresta la discesa della produzione nazionale” che nel 2022 registra un -2,7%. Il grado di dipendenza dalle forniture estere, però, “è salito alla quasi totalità 99%”: restano stabili le importazioni lorde a 72,6 miliardi di metri cubi, ma aumenta si dimezza a poco meno del 20% (era il 40 solo un anno fa) la dipendenza da Mosca. Oggi è l’Algeria il primo fornitore (36%), seguono Russia e Azerbaigian (15), Qatar (10), Norvegia (che balza all’8,6) e Libia (4,3). In attesa delle “nuove rotte di Gnl dall’Africa, in fase di negoziazione a livello governativo”.

Nella relazione di Arera ci sono anche altri capitoli di vitale importanza, come acqua e rifiuti. Per capire la portata, basta leggere un passaggio della relazione di Besseghini: “Si suole dire che le future guerre si combatteranno per l’acqua e non per il petrolio”. Il presidente dell’Authority ribadisce che “avere acqua non vuol dire avere ingenti risorse idriche, ma vuol dire avere acqua nella quantità e qualità che serve, nel momento in cui serve”. I numeri del report dicono che la spesa per investimenti ammonta complessivamente a 13,5 miliardi di euro per il quadriennio 2020-2023, ma la spesa media sostenuta da una famiglia di tre persone, con consumo annuo pari a 150 metri cubi, a livello nazionale è di 326 euro l’anno. Restano, però, le criticità infrastrutturali, perché le perdite idriche si attestano in media al 41,8%, pari a 17,9 metri cubi per chilometro al giorno, con un miglioramento solo del 12% rispetto al 2021. I problemi principali sono al Sud e nelle isole, soprattutto per le interruzioni del servizio. Anche il sistema fognario, nonostante alcuni miglioramenti, presenta ancora segnali di inadeguatezza degli scaricatori di piena: a livello nazionale il 20% è da adeguare alle normative, mentre gli allagamenti e sversamenti sono 4,6 ogni 100 km di rete fognaria.

Sull’economia circolare, infine, si conferma la significativa parcellizzazione del servizio, perché i gestori iscritti sono 8.101, ma nel 66,6% dei casi si tratta di soggetti accreditati per una singola attività e solo raramente (1,9 percento) per tutte le attività del ciclo. Di contro, però, il metodo tariffario copre il 90% degli abitanti. Infine, continua il trend di crescita di teleriscaldamento e teleraffrescamento, che tra il 2000 e il 2021 conserva una volumetria allacciata in aumento a un tasso medio annuo del 5,9%, anche se Lombardia, Piemonte, Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna e Veneto rappresentano, da sole, oltre il 95% dell’energia termica erogata.

Pichetto: “Centrali a carbone al minimo, ho firmato l’atto di indirizzo”

Ho firmato l’atto di indirizzo a Terna, coinvolgendo Arera, che prevede una riduzione al minimo delle centrali a carbone e anche la cessazione dell’utilizzo di olio combustibile“. Lo annuncia il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, a margine dell’assemblea di Cida. “Questo determina un passaggio verso il nuovo, verso una prospettiva, speriamo, totale del carbone, con gradualità – continua -. Al momento vengono tenute al minimo per ragioni di sicurezza, perché il quadro internazionale è ancora tale che non sappiamo quale potrà essere il futuro sul fronte energetico“, spiega. “Il nostro stoccaggio ha raggiunto un livello ottimo, siamo ben oltre l’80%, quindi ci sono tutte le condizioni per passare gradualmente all’abbandono del carbone. Poi il passaggio successivo sarà il petrolio“, conclude.

L’Italia mette al minimo le centrali a carbone, primo passo verso lo spegnimento totale

L’Italia si avvia verso il phase out dal carbone. Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha infatti firmato l’atto di indirizzo a Terna, all’Autorità di Regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) e al Gestore servizi energetici (Gse) per la rimodulazione della produzione di energia elettrica da carbone, olio combustibile, bioliquidi sostenibili e biomasse solide, invertendo quindi l’atto dello scorso 31 marzo, che aveva l’obiettivo di ottimizzare l’utilizzo dei combustibili diversi dal gas al fine di generare un risparmio di questa materia prima strategica si è ravvisata l’opportunità di rimodulare il piano di massimizzazione del carbone.

Ho firmato l’atto di indirizzo a Terna, coinvolgendo Arera, che prevede una riduzione al minimo delle centrali a carbone e anche la cessazione dell’utilizzo di olio combustibile“, annuncia il ministro, a margine dell’assemblea di Cida. Spiegando che “questo determina un passaggio verso il nuovo, verso una prospettiva, speriamo, di abbandono poi totale del carbone, naturalmente con gradualità“, continua Pichetto, specificando che “al momento vengono tenute al minimo per ragioni di sicurezza, perché il quadro internazionale è ancora tale che non sappiamo quale potrà essere il futuro sul fronte energetico.

Nel frattempo, però, “le politiche di diversificazione messe in atto dal Governo – aggiunge il ministro – ci hanno consentito di raggiungere in anticipo l’obiettivo di risparmiare 700 milioni di metri cubi di gas entro il 30 settembre del 2023. Gli stoccaggi riempiti all’82% già a fine giugno e la maggiore produzione di energia da fonti rinnovabili – conclude Pichetto – ci hanno consentito di attivare queste nuove disposizioni che riescono a tenere insieme due dei grandi obiettivi: velocizzare la decarbonizzazione garantendo la sicurezza energetica del nostro Paese”.

La Danimarca è sempre più green: ora punta alle isole energetiche

Che tutti vogliano la transizione green è ormai ovvio. Ma c’è chi, fra i Paesi europei, ha trasformato la volontà in fatti, già a partire dagli anni ‘70. E’ la Danimarca, che proprio in quel periodo iniziò ad accorgersi, con largo anticipo, che per proteggersi dai rigidi inverni del Nord l’energia proveniente dal Medioriente non era abbastanza. E, soprattutto, non era sicura. Così è iniziata la ricerca, con la convinzione che “sicurezza energetica equivale a sicurezza nazionale”, secondo Magnus Hojber Mernil, capo della comunicazione di State of Green, partnership pubblico-privata senza scopo di lucro tra il governo danese e le tre principali associazioni imprenditoriali del Paese (Confederazione dell’industria danese, Green Power Denmark e Consiglio danese per l’agricoltura e l’alimentazione).

La forza della Danimarca nel perseguire la transizione è stata la sua stabilità interna. Dagli anni ‘70 a oggi si sono susseguiti molti governi, l’uno in contrasto con l’altro, di destra e di sinistra. Ma una cosa non è mai cambiata: la politica energetica. E così, nel 2019 il clima è diventato addirittura il tema più importante della campagna elettorale: ognuno voleva essere considerato il partito più green, e la gara continua ancora oggi. Il tutto con l’obiettivo di abbandonare gas e carbone, puntando sull’eolico, per essere completamente indipendenti a livello energetico. Cosa che è sostanzialmente accaduta, mantenendo esclusivamente come backup le importazioni da Norvegia, Svezia e Paesi Bassi. Senza aperture al nucleare, come deciso negli anni ‘80. Anche se, pure qui, con la possibilità di quello di quarta generazione qualche discussione politica inizia a nascere. Ma, al momento, spiega Mernil, “produciamo l’energia che ci serve, non abbiamo blackout. Siamo un Paese piccolo”, ammette.

Nel 2020 il Paese ha deciso di ridurre del 70% le emissioni di CO2 entro il 2030. Incredibilmente a oggi sono già calate del 40%. E per quell’ultimo 30% rimanente come si può fare? Secondo la Danimarca la chiave di volta sta proprio nelle partnership pubblico-privato. E dopo lo sviluppo dell’eolico offshore, ora l’orizzonte è quasi visionario: costruire delle vere e proprie isole dell’energia. Con queste, le turbine eoliche per la produzione dell’energia potrebbero essere posizionate più distanti dalla costa, rispetto a quanto lo sono oggi, e ciò permetterebbe non solo di incrementare lo sfruttamento dei venti presenti, ma anche di distribuire l’energia generata dai parchi eolici in maniera più efficiente tra diversi Paesi, in quanto le isole avrebbero anche la funzione di hub per la raccolta dell’energia prodotta dai diversi parchi eolici offshore. Senza considerare che più lontane le turbine sono dalla costa, meno danno fastidio ai cittadini. Anche se, chiosa Mernil, “bisogna avere il coraggio di dire che la transizione green è più importante di un puntino in lontananza che ‘rovina’ il paesaggio”.

Inoltre, gli architetti danesi hanno aiutato gli esperti di costruzioni idriche a sviluppare un progetto per la costruzione di isole energetiche con il minor impatto negativo possibile sull’ambiente marino circostante, utilizzando materie prime, come la sabbia, già disponibili sul sito. E pare che questo addirittura possa contribuire a migliorare la biodiversità dell’area, non solo a preservarla. Il progetto di sviluppo si basa su un approccio unico che percepisce le forze marine, come le onde e le maree, come opportunità esterne che possono essere utilizzate per mantenere le spiagge artificiali – in contrasto con l’approccio tradizionale, in cui l’ambiente marino è considerato un generatore di problemi. Questo approccio, noto anche come ‘ingegneria dolce’, “riduce l’impatto negativo sull’ambiente e crea soluzioni più sostenibili rispetto ai progetti di ingegneria dura, come la costruzione di dighe, pennelli e altre strutture“, spiega il dottor Nicholas Grunnet, responsabile della Dinamica costiera ed estuarina dell’Istituto idraulico danese.

Teleriscaldamento urbano green? In Danimarca è possibile

Un teleriscaldamento verde è possibile? La risposta è sì, e l’esempio è visivile in Danimarca. Din Forsyning è un’azienda multiutility che opera nei comuni di Varde ed Esbjerg. Nell’ambito delle attività di Din Forsyning nel comune di Esbjerg, l’azienda si occupa della produzione e della distribuzione di teleriscaldamento in alcune zone del comune. Din Forsyning contribuisce attivamente, attraverso il dialogo e la cooperazione, a una gestione efficiente e sostenibile delle risorse della società, tra cui acqua potabile, acque reflue, calore e riciclo dei rifiuti.

Din Forsyning ha lanciato un importante piano verde per sostituire la produzione di calore della sua centrale a carbone con una produzione di calore sostenibile. La soluzione complessiva è costituita da una serie di soluzioni individuali più piccole collegate a una rete di distribuzione centrale, con l’obiettivo di avere molti piccoli impianti, invece di quelli più grandi.

Una di queste soluzioni, ad esempio, è l’utilizzo del calore in eccesso proveniente da aziende di produzione locali, dal trattamento delle acque reflue o da futuri centri dati. Se un’unità non può produrre a causa di un guasto o di problemi di servizio, sarà possibile, attraverso la rete, collegare i clienti con altre unità.

L’eolico si produce in casa: l’esempio della Danimarca

Se il vento è una fonte energetica, per sua stessa natura, ‘prodotta in casa’ e non implica alcuna dipendenza da Paesi esteri, diverso può essere il caso delle turbine necessarie a immagazzinarlo. Lo sa bene la Danimarca, che nell’eolico, soprattutto offshore, è leader mondiale. Per questo nel Paese si è deciso di produrre internamente le tecnologie e i materiali necessari per sostenere l’uso di elettricità interno con l’energia eolica.

Ecco perché SEMCO, produttore di piattaforme eoliche offshore, ha deciso di aprire i suoi stabilimenti e Esbjerg. Qui facilita la progettazione, la fabbricazione, l’installazione, l’assistenza e la manutenzione di impianti offshore, fornendo una gestione completa di tutte le fasi dei progetti energetici. In collaborazione con i suoi partner, SEMCO Maritime ha completato con successo la progettazione e la costruzione di oltre 20 sottostazioni offshore, diventando così leader nelle soluzioni e nei servizi EPCI (Engineering, Procurement, Construction, Inspection) per l’industria eolica offshore. I loro specialisti interni coprono tutti gli elementi coinvolti nella connessione dell’impianto eolico offshore alla rete terrestre.

Sempre a Esbjerg ha poi deciso di aprire il suo magazzino Vattenfall, un’azienda energetica internazionale che ha l’obiettivo di rendere possibile una vita senza fossili entro una generazione, trasformando le proprie attività e aiutando altre aziende a farlo. Nata in Svezia, Vattenfall collabora con l’industria e i governi di Svezia, Paesi Bassi, Germania, Regno Unito, Francia, Danimarca e Finlandia.

Dopo la chiusura delle centrali a carbone di Amsterdam e Amburgo, e oltre alla costruzione di Hollandse Kust Zuid, il primo parco eolico offshore al mondo esente da sovvenzioni, Vattenfall smetterà di utilizzare il carbone in tutte le sue attività, investirà in più energia eolica e solare e aiuterà a elettrificare i processi industriali.

Il magazzino di Vattenfall al porto di Esbjerg è il più grande del Nord Europa con i componenti principali e i pezzi di ricambio critici per le turbine eoliche. Lo scopo del magazzino centrale di Esbjerg è quello di rifornire i parchi eolici di Vattenfall in Nord Europa di componenti critici per le turbine eoliche, come riduttori, generatori, trasformatori, alberi e pale, nonché dei componenti principali necessari per portare l’elettricità a terra, come i cavi degli array e i quadri elettrici. Vattenfall gestisce più di 1.300 turbine eoliche onshore e offshore nell’Europa settentrionale, distribuite in parchi che vanno dalla Svezia settentrionale alla Danimarca, alla Germania e ai Paesi Bassi. I parchi sono monitorati dalla sala di controllo locale di Vattenfall a Esbjerg.

Le tre vite di Esbjerg: da porto peschereccio a hub mondiale eolico

Esbjerg, città portuale nell’Ovest della Danimarca, ha già vissuto tre vite. Nata come principale porto peschereccio del Paese, è stata in grado negli anni Settanta-Ottanta di adattarsi al declino del settore della pesca cogliendo le opportunità legate all’esplorazione alla ricerca di gas e petrolio nel Mare del Nord. Negli ultimi anni, invece, seguendo le ambizioni di una transizione green, ha deciso di rinnovarsi ancora una volta, emergendo come uno dei principali hub mondiali per l’eolico offshore. Non solo installando al largo il proprio parco eolico in mare aperto, ma costruendo intorno una vera e propria industria, un indotto, che porta la città a produrre ed esportare componenti per turbine in tutto il mondo.

Non a caso Esbjerg, nel 2022, ha ospitato il primo vertice sul Mare del Nord, che ha riunito i leader dei Paesi della regione e ha portato ad una dichiarazione congiunta che prevede di “sviluppare il Mare del Nord come centrale elettrica verde d’Europa, un sistema di energia rinnovabile offshore che collega Belgio, Danimarca, Germania e Paesi Bassi, ed eventualmente altri partner del Mare del Nord”.

E Esbjerg, oggi, è veramente il luogo dove si può toccare con mano la transizione energetica. Oltre a quella che ha vissuto e sta vivendo la città stessa. E’ riuscita a sfruttare le dimensioni del suo porto per diventare leader nel mercato delle turbine: pochissimi altri posti al mondo possono maneggiare strutture di tali dimensioni. Basta pensare che, a oggi, la turbina più grande, da 15 gigawatt è alta all’incirca 250 metri, ossia come la Torre Eiffel. Difficile immaginare altri luoghi dove poter mobilitare simili grandezze, a meno di costruirli da zero con enormi costi economici e ambientali. Il ricollocamento del porto come hub energetico, inoltre, ha creato circa 10mila posti di lavoro. La stima è che a ogni gigawatt di energia prodotta corrispondano 9,45 posti di lavoro della durata di circa 30 anni. Un’ottima opportunità per una piccola città che avrebbe altrimenti rischiato di scomparire.

Danimarca verso le isole energetiche del vento: e pensa già all’export

Per essere sempre più indipendente a livello energetico, oltre che 100% green, nel 2020 il Parlamento della Danimarca ha raggiunto l’accordo per uno dei più ambiziosi progetti di energia rinnovabile esistenti. Si tratta della nascita delle prime due isole energetiche basate sull’eolico al mondo, una naturale e una artificiale, che sorgeranno a circa 100 chilometri dalle coste del Paese: la costruzione della prima isola energetica artificiale, che sorgerà sull’isola esistente di Bornholm, nel Mar Baltico, sarà attiva dal 2030 e avrà una capacità di 3 GW, assicurando il fabbisogno energetico di 3 milioni di famiglie; la seconda, costruita artificialmente nel Mare del Nord, e quindi di fattura un po’ più complessa, avrà una capacità di 3 GW nel 2033 e di 10 GW nel lungo periodo. Mentre il primo progetto avanza spedito, però, il secondo negli ultimi giorni ha subito una battuta d’arresto. La Danimarca ha infatti deciso di rivalutarlo a causa degli alti costi e dei rischi. “Alla luce delle sfide finanziarie, dovrebbero essere esplorate alternative in grado di rendere il progetto redditizio“, ha affermato il ministero dell’Energia.

Intanto, prosegue velocemente il progetto dell’isola energetica nel Mar Baltico. A svilupparlo è Energinet, impresa pubblica indipendente di proprietà del ministero danese per il Clima, l’energia e i servizi pubblici. Energinet possiede, gestisce e sviluppa i sistemi di trasmissione dell’elettricità e del gas in Danimarca. La missione sociale di Energinet è quella di convertire il sistema energetico con l’obiettivo di garantire che i cittadini e le imprese utilizzino energia rinnovabile per ogni necessità, con un alto livello di sicurezza di approvvigionamento e a un prezzo accessibile.

Il vantaggio delle isole energetiche sta nel fatto che possono mettere in comune l’energia proveniente da più parchi eolici offshore e indirizzarla direttamente a diversi Paesi. Facilmente comprensibile, in un Paese di poco più di 5 milioni di abitanti: se l’energia prodotta con l’eolico offshore potrà effettivamente coprire il fabbisogno di oltre 10 milioni di persone, l’export diventerà quasi una tappa obbligata. Questo rappresenta un cambiamento rispetto alla filosofia precedente, che prevedeva la costruzione di parchi eolici offshore isolati con una connessione elettrica a una sola area. Per questo sono già stati stipulati accordi politici con Germania, Belgio e Paesi Bassi per avviare l’analisi dei collegamenti con le isole energetiche. Un accordo vantaggioso per i Paesi che vi parteciperanno, ma anche per la Danimarca stessa che con le sue isole-hub potrà anche ricevere energia dagli altri Stati per assicurarsi un sistema stabile e la sicurezza delle forniture. L’ambizione è, quindi, diventare un hub dell’energia per il Nord Europa. Il vantaggio geografico c’è, appuntamento al 2030 per verificare l’effettiva nascita dell’infrastruttura.

L’eolico offshore: pilastro della transizione energetica

L’inesorabile marcia verso la neutralità climatica è ormai iniziata nell’Unione Europea. L’Ue ha fissato l’ambizione a lungo termine di diventare neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Si è inoltre impegnata a ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 (in particolare attraverso una serie di proposte pubblicate nel 2021, con il pacchetto Fit for 55). Al centro di questo impegno c’è il concetto di riduzione del consumo energetico (attraverso misure di efficientamento) e l’aumento della produzione e dell’utilizzo di energia rinnovabile al posto dei combustibili fossili.

I ministri dell’Energia e i membri del Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo politico su un nuovo obiettivo per le energie rinnovabili per il 2030, che impegna l’Ue a raggiungere almeno il 42,5% di energie rinnovabili nel mix energetico, e idealmente il 45%, entro la fine di questo decennio. Si tratta di una cifra all’incirca doppia rispetto a quella del 2021. Ma spetta a ciascun Paese dell’Ue decidere come intende raggiungere questo obiettivo.

Molti Paesi stanno già investendo nell’eolico onshore. Tuttavia, la capacità di generazione dell’eolico offshore tende a essere significativamente più alta, in buona parte grazie a un vento più costante in assenza di ostacoli come colline, edifici o alberi. WindEurope, l’associazione che rappresenta le tecnologie eoliche in Europa, stima che i fattori di capacità per i nuovi parchi eolici onshore siano tra il 30-35%. Per i nuovi parchi eolici offshore, questa cifra oscilla tra il 42 e il 55%.

Nel 2020, la Commissione ha delineato le numerose opportunità di generazione di energie rinnovabili offshore nella Strategia dell’Ue per le energie rinnovabili offshore. La strategia evidenzia l’enorme potenziale dell’Ue sia per l’energia eolica offshore che per l’energia oceanica, con i suoi 5 bacini marini. La strategia conclude che “l’energia rinnovabile proveniente dai mari può essere sfruttata da una grande varietà di tecnologie, rendendola una pietra miliare della transizione energetica pulita“.

La capacità eolica offshore installata nell’Ue era di 14,6 GW nel 2021. La sfida è ora quella di accelerare l’aumento della capacità fino a raggiungere una cifra che, secondo le stime dell’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena), potrebbe essere 25 volte superiore entro la fine del decennio.