Gas, rinnovabili e approccio “non predatorio”: le parole chiave del ‘Piano Mattei’

Un documento vero e proprio ancora non c’è, ma il ‘Piano Mattei’ ha delle linee guida ben delineate. Almeno nelle parole della premier, Giorgia Meloni, e dei ministri impegnati in prima linea per la sua realizzazione. L’obiettivo è fare dell’Italia il nuovo hub europeo dell’energia, sia per quel che concerne le forniture di gas, sia per lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Ecco, di seguito, i punti salienti e le parole chiave del progetto portato avanti dalla presidente del Consiglio.

AFRICA. Si parte dagli accordi per le forniture di metano che l’Italia ha già stipulato, sia con nuovi che con storici partner del continente africano. Algeria, Mozambico, Congo, Angola ed Egitto sono i principali fornitori di gas, che stanno permettendo al nostro Paese di liberarsi dalla dipendenza russa, potranno avere una porta di ingresso per il mercato europeo. Ovviamente, solo questi fornitori non bastano a raggiungere il target, ragion per cui ci dovrebbe essere un ampliamento dei rapporti anche con l’Azerbaijan, la Libia e Israele.

APPROCCIO NON PREDATORIO. E’ una delle frasi più ripetute dalla premier, Meloni. Il suo piano prevede un “modello non predatorio di cooperazione per creare catene di valore e aiutare la nazioni africane a vivere meglio delle risorse che hanno a loro disposizione”.

RINNOVABILI. Idrogeno ed energia da fonti alternative, sfruttando le potenzialità sia del Nordafrica che del Mezzogiorno d’Italia. Le rinnovabili dovranno essere un capitolo determinante del progetto per fare del nostro Paese l’hub energetico dell’Europa.

OTTOBRE, SAVE THE DATE. Il nuovo ‘Piano Mattei’ sarà presentato a ottobre, in occasione del summit intergovernativo Italia-Africa. L’annuncio l’ha fatto direttamente la presidente del Consiglio, dall’Etiopia, durante la visita diplomatica ad Addis Abeba dello scorso mese di aprile. Prima, però, ci saranno tappe di avvicinamento importanti, come lo Stocktaking moment, l’evento della Fao che si svolgerà a Roma dal 24 al 26 luglio e, successivamente, dopo l’estate i Med Dialogues, sempre nella Capitale.

Un anno di REPowerEu: il punto sul piano di indipendenza energetica

Diversificare i fornitori di gas, abbattere i consumi nelle case e nelle industrie ad alta intensità energetica e aumentare la capacità di energia rinnovabile nel mix dell’Unione. Nel pieno della guerra di Russia in Ucraina e nella crisi energetica che ne è scaturita, la Commissione europea presentava un anno fa, il 18 maggio 2022, il piano ‘REPowerEU’ per azzerare la dipendenza dai combustibili fossili russi, in particolare il gas, entro il 2027.

Nel piano, Bruxelles ha previsto obiettivi rafforzati per le rinnovabili e l’efficienza energetica, un nuovo target a 20 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile entro il 2030 (tra importazione e produzione interna) e un aumento del volume di biometano prodotto in Europa. Dopo neanche sette mesi dalla proposta della Commissione, i negoziatori del Consiglio e del Parlamento europeo hanno raggiunto a metà dicembre un accordo sul piano per dare modo agli Stati membri di aggiungere ai loro Piani nazionali di ripresa e resilienza (Pnrr) – varati durante la ripresa economica dalla pandemia – un nuovo capitolo dedicato a centrare gli obiettivi di indipendenza energetica, aumentando ad esempio l’efficienza energetica negli edifici, investendo nelle infrastrutture energetiche critiche o aumentando la produzione di biometano sostenibile.

L’Unione europea importa gran parte del gas che utilizzano gli Stati membri, le importazioni superavano l’80% nel 2021, di cui praticamente oltre la metà in arrivo dalla Russia. Con l’invasione dell’Ucraina e l’impegno ad affrancarsi dai fossili russi (anche perché il Cremlino stesso ha tagliato le esportazioni all’Europa) le importazioni di gas dalla Russia sono state considerevolmente ridotte lo scorso anno, riduzione compensata principalmente grazie all’aumento delle importazioni di gas naturale liquefatto (Gnl), soprattutto dagli Stati Uniti. Tra il taglio alle forniture dal Cremlino e l’impegno politico di REPower, le importazioni da Mosca si stanno comprimendo. Tra gennaio e novembre 2022 la Russia ha rappresentato poco meno di un quarto delle importazioni di gas nell’Ue (24,65% tra gas liquefatto e via gasdotto). Un altro quarto è giunto dalla Norvegia, l’11,6 % dall’Algeria.

Il grande nodo del piano REPower sono i finanziamenti. Presentandolo a maggio scorso, la Commissione europea ha parlato di un piano di indipendenza energetica in cui le uniche risorse fresche in senso proprio saranno 20 miliardi di euro da finanziare per il 60% con risorse dal Fondo per l’innovazione (12 miliardi di euro) e per il 40% dall’anticipo delle quote del mercato del carbonio, il sistema Ets (8 miliardi), che oggi sono ferme nella riserva di stabilità del mercato. Altre risorse in sovvenzioni potrebbero arrivare dalla possibilità concessa ai governi (facoltativa) di dirottare fino a 17,9 miliardi di euro dai fondi di coesione e fino a 5,4 miliardi di trasferimenti dalla Riserva di aggiustamento Brexit. Secondo le stime preliminari di Bruxelles, l’Italia potrebbe usufruire con certezza di 2,7 miliardi dalla quota dei 20 miliardi di euro di fondi aggiuntivi e per ora è l’unica cifra definita.

La Commissione Ue ha proposto infine di mettere a disposizione 225 miliardi di euro di prestiti non spesi dai governi dal Recovery Fund e redistribuirli tra tutti i Paesi che esprimono interesse a usarli, compresi quelli come anche l’Italia che hanno già speso tutta la loro quota di prestiti. La Commissione ha ricevuto richieste di usare questi prestiti non utilizzati per quasi 148 miliardi da 10 Stati membri. Questo significa in sostanza che dei 225 miliardi iniziali resterebbero a disposizione circa 77 miliardi di prestiti inutilizzati per i Paesi come l’Italia che hanno esaurito la loro quota, anche se la Commissione precisa in un documento di sintesi visto da GEA che la cifra esatta sarà conosciuta solo alla fine di agosto. Il governo Meloni ha comunicato a Bruxelles l’interesse a riscuotere nuovi prestiti aggiuntivi per finanziare REPower, ma finora non ha fatto sapere di quante risorse vuole usufruire e non ha presentato il capitolo aggiuntivo.

Quanto ai Pnrr rivisti, i governi dovevano presentare la richiesta di capitolo aggiuntivo preferibilmente entro il 30 aprile 2023 (ma con una scadenza legale entro il 31 agosto 2023). Ad oggi, Finlandia, Lussemburgo, Estonia, Francia, Germania, Slovacchia e Malta hanno ripresentato alla Commissione i loro Pnrr rivisti, ma solo Estonia, Francia, Slovacchia e Malta hanno incluso i capitoli REPowerEU. La Commissione ha adottato una valutazione positiva dei piani di Estonia, Lussemburgo, Finlandia e Germania. Il Consiglio ha approvato la valutazione dei piani lussemburghese, finlandese e tedesco.

Mattarella in Norvegia spinge sulla sicurezza energetica: “Non affidarsi solo a fonti tradizionali”

Photo credits: Quirinale

La transizione ecologica è un “auspicio”, ma soprattutto una “sfida ineludibile”. Usa queste parole il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo intervento alla sessione conclusiva del seminario ‘Greening the future’, organizzato alla Norwegian university of Science and Technology di Trondheim, seconda e ultima tappa della visita diplomatica in Norvegia. Mattarella tocca diversi temi legati alla tutela dell’ambiente che si coniuga alla necessità di garantire forniture di energia, sempre più pulita e sicura.

Il ragionamento parte dal fatto che sia la società norvegese sia quella italiana “hanno preso pienamente coscienza dei drammatici effetti provocati dai cambiamenti climatici, che impongono a tutti noi un radicale ripensamento dei fondamenti dei nostri sistemi di vita, di quelli economici e produttivi”. Soprattutto ora che “l’insensata aggressione della Federazione Russa all’Ucraina che ci ha anche reso pienamente consapevoli del valore strategico delle risorse energetiche”. Sul punto, Mattarella resta con un altro pensiero, molto duro ma importante: “Le gestioni delle risorse energetiche, così di come di quelle alimentari, non possono essere una forma impropria di pressione e minaccia contro l’autonomia e l’indipendenza di altri popoli”.

Raggiungere sicurezza e indipendenza, però, “non significa affidarsi esclusivamente alle fonti energetiche tradizionali, venendo meno all’impegno nella lotta ai cambiamenti climatici”, sottolinea il capo dello Stato. Che, infatti, avvisa: “Il cambio di passo deve riguardare l’innovazione, non soltanto il cambio di rotte di approvvigionamento e fornitori”. Per Mattarella “serve un nuovo paradigma, avere l’ambizione di essere nel gruppo di testa che guida il cambiamento, piuttosto che nel gruppo di coda rivolto ad amministrare un passato in esaurimento”. Dunque, “occorre accelerare nella transizione verde”.

Magari guardando a collaborazioni con Paesi già in fase avanzata sulla sperimentazione, proprio come la Norvegia. In questo senso, ad esempio, cita la crescita dell’eolico offshore (in entrambe le nazioni), che “offre rilevanti possibilità”. Mattarella coglie “la lungimiranza dell’impegno delle autorità norvegesi per promuovere lo sviluppo dell’energia eolica, l’utilizzo dell’idrogeno quale combustibile pulito e lo stoccaggio dell’anidride carbonica nel sottosuolo”, invitando a “guardare con interesse e apprezzamento” a queste pratiche.

Le rinnovabili sono un capitolo importante del discorso del capo dello Stato, perché “l’eolico nel Mare del Nord e il fotovoltaico nel bacino del Mediterraneo possono diventare, in un futuro non lontano, fonti di energia pulita del continente europeo e alimentare così una nuova rivoluzione nei processi produttivi e nei modelli di vita”. Inoltre, “grazie a una rete elettrica sempre più interconnessa” l’energia eolica e quella solare “potranno contribuire alla sicurezza di approvvigionamento e ridurre i rischi legati alla natura variabile delle fonti rinnovabili”.

Senza contare l’opportunità di “coltivare l’ambizione di diventare perni di una rete che, dalle piattaforme eoliche nel Mare del Nord si colleghi fino alle centrali solari della Sicilia e, più in là, del deserto del Sahara, che nei prossimi anni sarà collegato all’Europa grazie al progetto Elmed, il cavo elettrico che unirà la Tunisia all’Italia”. Perché “la cooperazione tra Europa e Africa è essenziale per il successo delle strategie di de-carbonizzazione, inclusa la prospettiva di produzione di idrogeno verde”. La cooperazione sarà importante anche in altri settori, come il ‘green shipping’, il trasporto marittimo verde, o anche l’interscambio culturale tra le Università e i centri di ricerca italiani e norvegesi.

Mattarella lascia Trondheim consapevole che il suo viaggio ha fatto breccia. Domani a Roma, però, lo attende un altro appuntamento importante, con il presidente ucraino, Volodimir Zelensky, che vedrà anche la premier, Giorgia Meloni, e Papa Francesco per una visita che ormai è diventata ufficiale. Zelensky poi sarà ospite di uno speciale ‘Porta a Porta’ su Rai1, in diretta dalle 18.30.

Le trivelle non si sbloccano: cala del 5,5% all’anno la produzione nazionale gas

Un quarto di secolo fa il nostro Paese estraeva una trentina di miliardi di metri cubi di gas all’anno, una quantità che più o meno copriva il 30% del fabbisogno italiano. Ora la produzione continua a calare a poco più di 3 miliardi di metri cubi annui. Da inizio 2023 l’attività di estrazione è scesa di oltre il 5% nei confronti dello stesso periodo del 2022, nonostante provvedimenti e incentivi governativi e nonostante l’Italia abbia sudato 7 camicie, spendendo svariati miliardi, per recuperare gas in giro per il mondo ed evitare un lockdown energetico lo scorso inverno.

I giacimenti attivi sarebbero circa 1.300, anche se quelli che vengono realmente utilizzati con continuità si aggirano sui 500. In prossimità dello scoppio della guerra in Ucraina, il governo Draghi nel decreto Bollette aveva deciso di incentivare la produzione interna, per sopperire alle eventuali mancanze di forniture dalla Russia. L’obiettivo era appunto di aumentare l’estrazione di 2,2 miliardi di metri cubi di gas grazie una semplificazione burocratica in alcune aree, dal Canale di Sicilia alle Marche. Inoltre era stata affidata al Gse, il Gestore del sistema elettrico, la conduzione del piano-rilancio.

A gennaio, il governo Meloni ha rilanciato con il provvedimento sblocca-trivelle. Con il decreto Aiuti quater si è infatti aperto al ritorno delle estrazioni nelle acque dei golfi di Napoli, di Salerno e delle isole Egadi, e si è creato uno spiraglio per tirar fuori gas nell’Alto Adriatico, attività ferma da 30 anni, permettendo agli operatori di muoversi in una piccolissima porzione – che corrisponde all’estremità più a sud (tra il 45° parallelo e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po) -, oltre le 9 miglia dalla costa e per giacimenti con un potenziale sopra i 500 milioni di metri cubi.

Ovviamente i titolari di concessione, per estrarre, dovranno presentare analisi e monitoraggi che escludano il rischio subsidenza, cioè lo sprofondamento del suolo. A tal proposito a dicembre si era riunito presso il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica un tavolo di confronto tra i ministri Gilberto Pichetto Fratin, Adolfo Urso e il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, non del tutto propenso al ritorno delle trivelle. I rappresentanti istituzionali avevano concordato di coinvolgere, in via preliminare, alcune eccellenze italiane nel campo della ricerca, da Leonardo a Ispra, insieme alle Università del territorio, da affiancare ai tecnici e agli studiosi nel percorso di analisi e approfondimento del tema.

Da quel 7 dicembre 2022 non si è più saputo nulla. Si sa però, osservando i dati forniti dallo stesso ministero dell’Ambiente, che a marzo la produzione nazionale è ulteriormente calata del 6,9% annuale. Nel primo trimestre 2023, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, sono stati estratti 778 milioni di metri cubi, cioè il 5,5% in meno. In Croazia, che insiste con la sua attività di estrazione sempre nel mare Adriatico, secondo i dati forniti dal Ceic a febbraio la produzione è stata di 56 milioni di metri cubi, in calo dai 61 milioni di gennaio. Dal 2008 la media è di 144 milioni mensili con un massimo storico toccato a 245 milioni nel dicembre 2009 e un minimo raggiunto a settembre 2020 con appena 49 milioni. Il governo di Zagabria aveva annunciato a settembre scorso di voler incrementare la produzione del 10% entro il 2024. Tuttavia l’incremento dell’afflusso di Gnl in Europa e il potenziamento dei rigassificatori, nelle due sponde dell’Adriatico, riduce l’interesse verso nuovi investimenti e quindi verso un aumento dell’estrazione.

Meloni vola a Praga: fronte comune Italia-Repubblica Ceca su energia e auto

Energia, auto, transizione green e politiche europee. Il viaggio della premier Giorgia Meloni a Praga punta a rafforzare la cooperazione tra i due Paesi che, soltanto in termini commerciali, nel 2022 ha segnato un volume d’affari di 18 miliardi. Una partnership che, come ha ricordato la presidente del Consiglio, viaggia spedita su più fronti. A cominciare proprio da quello dell’energia. “L’Europa – ha detto – ha un problema di dipendenza che deve risolvere” e per questo l’Italia sta facendo “un lavoro importante” sull’autonomia “che noi chiamiamo il Piano Mattei per l’Africa”, destinato a cioè “diversificare la produzione, garantire un mix energetico, coinvolgere le nazioni che sono più vicine a noi e quelle mediterranee”. E smarcarsi dalla dipendenza dalla Russia.

Una porta d’ingresso in Europa – come ha ricordato più volte – che conquista anche il plauso di Praga. “L’Italia ha un mercato grandissimo di gas naturale, vuole diventare e, anzi, sta diventando un hub del Mediterraneo per le forniture, e questo per la Repubblica Ceca è importante”, ha detto il premier ceco, Petr Fiala, dopo il colloquio con Meloni, la quale “ci ha presentato la propria visione su come sviluppare questa politica energetica e devo dire che offre molte per tutta l’Europa”. Ecco perché con l’Italia è importante la collaborazione nel settore energetico”.

Il fronte comune Roma-Praga guarda anche a Bruxelles e al tema dello stop ai motori a combustione dal 2035. “La transizione verde – ha detto la premier – deve essere economicamente e socialmente sostenibile e non mossa da intenti utopici o ideologici ma pragmatica”. Italia e Repubblica Ceca, ha ribadito, sono Paesi “che difendono la neutralità tecnologica: crediamo negli obiettivi della transizione verde, ci impegniamo a raggiungerli, ma vogliamo essere liberi di lavorare su tutte le tecnologie”, compresi quindi i biocarburanti. In Europa, “abbiamo fatto insieme questo lavoro per l’industria automobilistica, ma è una battaglia che continueremo a portare avanti”. Così come quella sull’Euro 7: “Temiamo – ha detto Fiala – che questa norma possa compromettere la competenza della nostra industria e l’accessibilità di queste auto per i nostri cittadini”.

Nel 2022 volano le rinnovabili. Pichetto: “Impegno economico senza precedenti”

Vola il settore delle rinnovabili in Italia, segnando – di fatto – un cambio di passo soprattutto sulla scia del Pnrr e dei nuovi obiettivi al 2030.  Nonostante il quadro macroeconomico ed energetico complicato, gli investimenti previsti si collocano sui 41 miliardi, con un’impennata della potenza che ha toccato la quota record di 38,9 GW, quasi triplicata rispetto ai 15 GW del 2021. Le operazioni sono 958, più del doppio di quelle rilevate nell’anno precedente. A fotografare la situazione l’Irex Annual Report 2023, lo studio di Althesys che dal 2008 monitora il settore delle rinnovabili, analizza le strategie e delinea le tendenze future.

Ma se i dati sono favorevoli, “il lavoro che abbiamo davanti” verso la transizione energetica “è enorme ed è di concerto: nessuno di noi ha la soluzione certa, si va avanti anche un po’ per approssimazione”. Per questo “bisogna costruire un puzzle tra tutti i grandi attori per dare un servizio al Paese, è la sfida enorme che abbiamo davanti”, ha ricordato il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, a cui sono state affidate le conclusioni dell’incontro organizzato nella sede del Gse per presentare i dati.

Nel 2022 la protagonista assoluta tra le tecnologie è stata l’agrivoltaico che con 390 iniziative, 15,8 GW e 12 miliardi arriva a una quota del 41%. Il solare che preserva l’uso agricolo dei terreni toglie il primato al fotovoltaico, che si ferma al 35% con 11,6 GW per 8,3 miliardi. L’eolico onshore vale 184 iniziative, 10,6 GW e 14,2 miliardi di euro. Emergono inoltre anche eolico offshore, 63 progetti rilevati nel 2022 e oltre 50 GW di progetti totali (ma solo uno entrato in funzione), ma soprattutto sistemi di accumulo. Questi ultimi sono la vera new entry del 2022 la cui capacità censita è stata di circa 898 MW, +91% rispetto al 2021. Complessivamente in Italia si contano circa 227 impianti di storage per 1,5 GW e 2,7 GWh, quasi tutti di taglia residenziale. La componente storica dello stoccaggio italiano è composta dai 22 impianti di pompaggio con una potenza massima di circa 7,6 GW in produzione (6,5 GW in pompaggio) e una capacità di 53 GWh, di cui l’84% dai sei impianti maggiori (quattro al Nord e due al Sud).

E se per Pichetto “il ricorso alle rinnovabili costituisce non solo una risposta alle esigenze di lotta al cambiamento climatico ma anche alle problematiche di sicurezza e indipendenza energetica nonché a quelle di tensioni sui prezzi”, resta il nodo della burocrazia e del quadro normativo fumoso.  Nonostante i decreti di semplificazione, infatti, tre pratiche su quattro sono ancora in standby: su 894 totali, ben 673 risultano ancora in corso. Per Pichetto c’è la necessità di “togliere una serie di impedimenti” burocratici “e il primo impegno del ministero è stato di intervenire sul fronte della semplificazione”.

Anche perché le risorse ci sono e non sono poche. “Abbiamo un impegno economico sul fronte delle rinnovabili – ha ricordato il ministro – che è senza precedenti e che può rappresentare la chiave di volta per dare slancio alla transizione energetica”. Oltre alle misure incentivanti già previste per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, il Pnrr stanzia ingenti risorse per la missione 2 ‘Rivoluzione verde e transizione ecologica’, cioè quasi 60 miliardi di euro”. Tra questi 5 miliardi per agricoltura sostenibile ed economia circolare, di cui 1 miliardo stanziato per sistemi agrivoltaici e a 24 miliardi per energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile, di cui oltre 2 miliardi per le comunità energetiche rinnovabili. E, ancora “oltre 3,6 miliardi destinati a sostenere lo sviluppo dell’idrogeno nel sistema energetico nazionale, con quasi mezzo miliardo di destinato alla filiera industriale nazionale”. Idrogeno che, ha ricordato Pichetto, “non è solo nell’ottica di rifornire camion e treni, ma che può avere funzioni molto più vaste”. L’obiettivo è comunque tracciato: la neutralità carbonica entro il 2050.

 

mattarella

Mattarella in Norvegia da mercoledì: energia e rinnovabili tra i temi principali sul tavolo

Energia, ma non solo. Giovedì e venerdì prossimi il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sarà in Norvegia, primo fornitore di gas dell’Unione europea, ma anche modello economico, con il fondo sovrano più grande al mondo, che è stato capace di resistere sia alle intemperie causate dall’instabilità geopolitica dovuta alla guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, sia alla spinta dell’inflazione. Il capo dello Stato atterrerà nel pomeriggio del 10 maggio a Oslo, prima tappa di un viaggio molto intenso di appuntamenti, che proseguirà e terminerà il 12 a Trondheim. Sono diversi gli spunti di questa visita, che sarà utile a rafforzare ulteriormente i rapporti bilaterali con l’Italia. Del resto, la presenza del nostro Paese è molto forte in terra norvegese, non solo per numero di cittadini che vivono nelle varie fylke, ma anche le aziende: Eni e Saipem, per fare qualche esempio. Il Cane a sei zampe addirittura ha costituito la joint venture Vår Energi con il fondo HitecVision, attraverso la quale partecipa in 137 licenze esplorative, di cui 35 operate. E nel 2023 si è aggiudicata 12 nuove licenze esplorative, di cui 5 in qualità di operatori.

La Norvegia è un punto di riferimento per l’intero continente, dal punto di vista energetico. Quasi tutti i giacimenti lavorano a pieno ritmo e nel picco di crisi, ha permesso all’Europa di accelerare il processo di smarcamento dalla dipendenza russa. Ma non c’è solo il gas nel portafoglio scandinavo, che sta imprimendo una spinta notevole anche allo sviluppo delle rinnovabili. In questo senso, la possibilità di rafforzare la partnership può offrire nuovi occasioni di sviluppo all’Italia, soprattutto nella fase storica di transizione ecologica che dovrà portare a una drastica riduzione al 55% delle emissioni di Co2 entro il 2030, per poi puntare dritti al net zero entro il 2050. La presenza di Mattarella servirà ad alimentare un rapporto già solido di partenariato, ma che potrebbe diventare ancora più proficuo nel prossimo futuro.

Il presidente della Repubblica, che sarà accompagnato dal vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, al suo arrivo nella capitale vedrà una qualificata rappresentanza della collettività italiana. Il giorno, dopo, invece sono in programma l’incontro i reali di Norvegia, anche se resta l’incognita sulla presenza di Re Harald V, nuovamente ricoverato in ospedale nelle ultime ore a causa di un’infezione. Ci saranno, invece, la Regina Sonja e la principessa ereditaria, Mette-Marit. A seguire, Mattarella, assieme al principe ereditario, visiterà la Fortezza Akershus e subito dopo lo Storting, il Parlamento norvegese, ricevuto dal presidente, Masud Gharahkhani. Il programma, inoltre, prevede il trasferimento al Palazzo di Rappresentanza del governo e nel pomeriggio il passaggio al Museo Nazionale. La prima giornata si concluderà con il pranzo di Stato offerto dal Re e la Regina.

Fitta di appuntamenti anche l’agenda del 12 maggio, a Trondheim, dove il capo dello Stato visiterà il Politecnico e il Laboratorio energetico. Il tema energia sarà al centro di un seminario nell’Aula magna dell’istituto, che vedrà le conclusioni affidate proprio al Principe ereditario di Norvegia e al presidente della Repubblica, nella quale potrebbero essere toccati diversi punti: dal gas all’idrogeno, allo sviluppo delle rinnovabili e dell’eolico. Mettendo in primo piano le opportunità di collaborazione tra i due Paesi, non solo a livello economico, ma anche nel campo della ricerca e in quello accademico.

Nella visita di Mattarella ci sarà spazio per discutere anche della situazione internazionale e del ruolo dell’Europa nello scacchiere geopolitico. Sulla guerra in Ucraina, infatti, la Norvegia si è sempre schierata a favore di Kiev, facendo la propria parte per aiutare sia le popolazioni sia la difesa militare del Paese. Inoltre, Oslo ha una importante tradizione diplomatica, come dimostra l’impegno nei processi di pace in Africa. Una combinazione di fattori che, uniti all’ingresso della Finlandia, e quello prossimo della Svezia, nella Nato rendono il blocco scandivano una tessera molto importante del mosaico internazionale per affrontare i grandi temi globali. Anche per questo la visita di Mattarella sarà molto importante per far proseguire il cammino di Italia e Norvegia nella stessa direzione.

Riaprire il tribunale del Levante, ecco cosa fare veramente e rapidamente

Il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, interviene nel suo editoriale su ‘Piazza Levante‘ sul tema della riapertura del Tribunale di Levante.

“Questo giornale ha sempre sostenuto che la perdita del Tribunale è stato un durissimo colpo per la città di Chiavari e per il suo ruolo di capoluogo del Tigullio.

È sempre utile ricordare il clima in cui maturò a livello governativo quella scelta scellerata.

Fu una scelta demagogica del governo Monti.

Non riuscendo a procedere con altri tagli di spesa pubblica che l’Europa chiedeva all’Italia dopo la tempesta speculativa che aveva costretto il Governo Berlusconi alle dimissioni, il premier professore pensò bene di procedere alla chiusura dei piccoli tribunali non collocati in capoluoghi di provincia, per dare prova della capacità del suo governo di praticare veramente politiche di austerità.

Si trattò appunto di una scelta demagogica perché in realtà i risparmi di spesa furono minimi o nulli e i disagi per i cittadini utenti del servizio di giustizia enormi.

L’esempio del Tribunale di Chiavari è sotto gli occhi di tutti.

Si trattava di un Tribunale ben organizzato e molto efficiente nella qualità e nei tempi del servizio di giustizia, che serviva un vasto bacino di popolazione compresa una parte dell’entroterra ligure e cioè la Val Fontanabuona, la Valle Sturla e la Val Graveglia tradizionalmente gravitanti su Chiavari.

Si trattava di un Tribunale di presenza antica, abolito sotto il fascismo che detestava ogni forma di decentramento, e riaperto con la Liberazione e la Repubblica.

Si trattava di un’attività direzionale di rango superiore con un importantissimo indotto anche sulle altre attività di servizio e commerciali della città e punto di riferimento di un ceto professionale fatto di avvocati, commercialisti, notai, ingegneri, geometri, periti che caratterizza da sempre la città.

Si trattava di un Tribunale che aveva condotto lo Stato a un ingente investimento per la realizzazione di una nuova sede più moderna ed efficiente, realizzata in aderenza al carcere mandamentale e al commissariato di Pubblica Sicurezza secondo criteri di efficienza anche logistica del servizio di giustizia.

Tutti questi elementi non furono minimamente tenuti in conto, anche per la debolezza politica e di rappresentanza del Tigullio, che non avendo ‘santi in Paradiso’ ancora una volta pagò pegno a favore di Genova matrigna.

Non ci fu un solo politico genovese che prese le parti delle esigenze di Chiavari e del Tigullio e anzi con il tipico egoismo del capoluogo la chiusura del Tribunale di Chiavari e l’accentramento dei suoi servizi nel Tribunale di Genova fu vissuta come un atto quasi dovuto alla Superba.

L’onda ‘razionalizzatrice’ e ‘accentratrice’ fu anche cavalcata da vasti settori e correnti della Magistratura e della burocrazia ministeriale da sempre fautori dei grandi tribunali e della loro specializzazione, in spregio ai presidi territoriali e al decentramento delle attività sul territorio.

Fino ad oggi nessuno ha avuto il coraggio di fare il bilancio, numeri alla mano, di quella chiusura spiegando ai cittadini quali sono stati i risparmi, se mai ve ne sono stati, analizzando i costi aggiuntivi che sicuramente l’accentramento ha comportato (spazi mancanti presso il Tribunale di Genova ad esempio), cercando di calcolare il peso e i sacrifici per la popolazione comportati dall’accentramento su Genova.

Una brutta pagina di demagogia e cattiva amministrazione confermata dal fatto che alcuni tribunali non in capoluoghi di provincia (e cioè nella stessa situazione di Chiavari) vennero salvati non si sa in base a quali criteri e valutazioni se non il peso politico di qualche ‘santo protettore’ che Chiavari non aveva avuto.

Con Nordio Ministro di Grazia e Giustizia sembra aprirsi una prospettiva nuova. Noi stimiamo molto l’ex magistrato per la sua visione della giustizia e per il suo garantismo tanto più rilevante perché proviene da un ex pm.

Nordio ha avuto l’onestà di dire alla Camera che le chiusure dei piccoli tribunali molto spesso sono stati atti non giustificati da elementi concreti e ha affermato che il Governo Meloni ha intenzione di riesaminare la questione facendo una corretta e non demagogica analisi costi-benefici riesaminando il dossier caso per caso.

Emergono sia nelle dichiarazioni del Ministro che soprattutto in quelle del sottosegretario onorevole Delmastro due questioni fondamentali al fine di avere qualche chances:

L’eventuale riapertura dei tribunali soppressi potrà avvenire solo se il servizio riguarderà un’area territoriale più vasta di quella servita in precedenza;
La disponibilità di locali idonei e immediatamente fruibili sarà particolarmente importante.
Entrambi gli elementi costituiscono una chiarissima indicazione di un lavoro politico e amministrativo che va svolto con celerità ed intelligenza.

Il Tribunale del Levante (così dovrà chiamarsi e non più Tribunale di Chiavari) quali territori nuovi dovrà servire in più rispetto alla vecchia circoscrizione? Una parte di genovesato? Una parte di provincia di La Spezia? Bisogna convincere le Amministrazioni di quelle località a lavorare per la nuova struttura e a condividere il progetto.

Bisogna al più presto liberare l’edificio del nuovo Tribunale in corso De Michiel dai servizi che vi sono stati collocati dalla Civica Amministrazione negli ultimi anni. Bisogna farlo subito trovando soluzioni di ricollocazione per Inps, GdF, Agenzia delle Entrate, Giudice di Pace e Centro per l’impiego.

La disponibilità immediata dei locali è considerata come si diceva un elemento fondamentale. Bassano del Grappa, nella stessa identica situazione di Chiavari, ha tenuto duro per più di dieci anni tenendo vuoto l’edificio e oggi lo ha pronto e a disposizione.

Noi siamo sempre stati molto critici con l’Amministrazione Di Capua prima e Messuti poi perché il tema di volumi direzionali, fondamentali per presidiare il ruolo di capoluogo di Chiavari, non è mai stato al centro dell’attenzione e anzi si sono perse e si stanno perdendo occasioni per dare volumi direzionali alla città.

Basta fare l’elenco delle occasioni perdute: palazzo Ferden, intervento nell’area Cantero Ginocchio, area Italgas ed altre ancora che se oggi fossero disponibili consentirebbero di rilocalizzare immediatamente i servizi collocati nel nuovo Palazzo di Giustizia liberandolo per la riapertura del Tribunale.

Vediamo cosa farà nelle prossime settimane la Civica Amministrazione e capiremo rapidamente se davvero ci tiene e se crede alla riapertura del Tribunale operando coerentemente in tal senso.

I discorsi stanno a zero: fatti, non parole“.

Stellantis, inizio 2023 da primato: 47,2 miliardi di ricavi e 9 nuove auto elettriche

Un primo trimestre 2023 iniziato da Stellantis “con vigore. Le parole del Chief Financial Officer, Richard Palmer, fotografano la situazione della società, che ha presentato i dati relativi a ‘Consegne e ricavi, facendo registrare numeri molto interessanti. Con ricavi netti per 47,2 miliardi di euro, che segnano dunque un aumento del 14% rispetto al primo trimestre dello scorso anno, grazie soprattutto alle maggiori consegne e ai prezzi netti favorevoli. Stiamo “mantenendo lo slancio di un eccellente 2022 e registrando valori consistenti di consegne e ricavi netti in tutti i segmenti”, spiega ancora Palmer.

Le consegne consolidate sono di 1.476 mila unità, in crescita del 7%grazie principalmente alla migliore disponibilità di semiconduttori rispetto al primo trimestre 2022“, sottolinea ancora Stellantis. Che al 31 marzo ha uno “stock complessivo di veicoli nuovi di 1.302 mila unità, valore che riflette un ritorno ai normali livelli di operatività e che include uno stock di proprietà di 384mila unità”. Inoltre, l’Assemblea degli azionisti ha approvato un dividendo ordinario di 1,34 euro per azione, con data di pagamento domani, 4 maggio.

Stellantis, inoltre, conferma il suo impegno nello sviluppo di soluzioni di mobilità pulite, sicure ed economicamente accessibili in tutto il mondo per realizzare gli ambiziosi impegni del piano strategico Dare Forward 2030. L’Azienda ha infatti registrato un incremento del 14% nei ricavi netti del primo trimestre 2023. Le vendite globali di veicoli elettrici a batteria (Bev) sono aumentate del 22% anno-su-anno. E per quest’anno è previsto il lancio di nove Bev aggiuntivi, per arrivare a un’offerta totale di 47 modelli elettrificati a batteria entro la fine del 2024. Dunque, “la spinta all’elettrificazione in Nord America sta procedendo rapidamente, sottolineata dalla presentazione del nuovissimo Ram 1500 Rev full-electric al Salone Internazionale dell’Auto di New York. Jeep Avenger, il primo Bev in assoluto del marchio, è stato eletto ‘Auto Europea dell’Anno 2023’ ed è stato riconosciuto come ‘World’s Best Family Suv in 2023’ dal Women’s World Car of the Year Awards“.

Grazie alla nostra forte presenza sul mercato globale e a un portafoglio prodotti diversificato – prosegue -, siamo ben posizionati per continuare a generare nell’intero anno una robusta performance finanziaria. Quest’anno aggiungeremo nove nuovi veicoli elettrici a batteria alla nostra offerta di prodotti, confermando il nostro impegno di offrire soluzioni di mobilità pulite, sicure ed accessibili a tutti“, conclude Palmer.

 

Ad aprile l’energia spinge in alto l’inflazione, ma restano stabili i prezzi di luce e gas

Calano i prezzi alla produzione industriale, aumentano i prezzi al dettaglio. Ad aprile, secondo le stime preliminari di Istat, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività registra un aumento dello 0,5% su base mensile e dell’8,3% su base annua, da +7,6% del mese precedente. Superate le stime degli analisti che ipotizzavano un +0,3% mensile e un +8,2% annuale.

L’accelerazione del carovita – sottolinea l’istituto di statistica – si deve, in prima battuta, all’aumento su base tendenziale dei prezzi dei Beni energetici non regolamentati (da +18,9% a +26,7%) e, in misura minore, a quelli dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +6,3% a +6,7%) e dei Servizi vari (da +2,5% a +2,9%). Effetti solo in parte compensati dalla flessione più marcata dei prezzi degli Energetici regolamentati (da -20,3% a -26,4%) e dal rallentamento di quelli degli Alimentari lavorati (da +15,3% a +14,7%), degli Alimentari non lavorati (da +9,1% a +8,4%), dei Servizi relativi all’abitazione (da +3,5% a +3,2%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +6,3% a +6,0%). A livello mensile anche l’aumento congiunturale si deve principalmente all’aumento dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti e degli Energetici non regolamentati (entrambi a +2,4%), degli Alimentari lavorati (+1,1%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,9%) e dei Beni non durevoli (+0,6%). Rialzi compensati ancora una volta dal calo dei prezzi degli Energetici regolamentati (-19,3%).

La media dei prezzi industriali del gas ad aprile è però pressoché simile a quella di marzo, quando l’Authority per l’energia decide un ribasso della bolletta del 13,4%, dopo i cali registrati per i consumi dei mesi di gennaio (-34,2%) e febbraio (-13%) e in seguito al -55% deciso per le bollette luce del secondo trimestre. Tutti ribassi riferiti al mercato tutelato. In quello libero invece, da quanto emerge dall’Istat, sono saliti i costi nonostante le quotazioni di energia elettrica e gas siano appunto ai minimi da oltre un anno. E il mercato libero dell’energia comprende la stragrande maggioranza delle famiglie.

Inoltre i prezzi alla produzione industriali, come spiega sempre l’istituto di statistica basandosi sulle rilevazioni di marzo, “continuano a diminuire (-1,5%) su base mensile – grazie soprattutto agli ulteriori ribassi sul mercato interno dei prezzi dei prodotti energetici – e segnano una decisa decelerazione della crescita tendenziale (+3,8% da +9,6% di febbraio). Quest’ultima, con riguardo al mercato interno, si riporta esattamente sul valore di due anni prima, consolidando la fase di rientro del fenomeno inflattivo a monte. La crescita su base annua dei prezzi rallenta ancora per quasi tutti i settori manifatturieri e, per la prima volta dopo oltre due anni, si rileva una flessione tendenziale dei prezzi per coke e prodotti petroliferi raffinati e metalli e prodotti in metallo”.

“Temiamo che sull’andamento dei listini al dettaglio si stiano registrando speculazioni e anomalie, con alcuni beni che su base annua vedono incrementi a due cifre anche in assenza di rialzi delle materie prime, e senza alcuna ripercussione causata dalla guerra in Ucraina o dall’andamento delle bollette”, spiega Furio Truzzi, presidente di Assoutenti.

Secondo l’Ufficio economico Confesercenti “non si deve abbassare la guardia: l’inflazione per ora acquisita è pari al 5,4% mentre quella di fondo, al netto dei soli energetici, resta ferma al 6,4%. Livelli ancora preoccupanti, che prefigurano una nuova rilevante erosione del potere d’acquisto delle famiglie, che già hanno registrato 12 miliardi in meno lo scorso anno ed hanno portato a livelli mai visti (5%) la propensione al risparmio”.

“Siamo preoccupati dell’effetto dell’inflazione sull’andamento delle vendite, soprattutto di beni di largo consumo e ortofrutta. Le nostre imprese – commenta Carlo Alberto Buttarelli, presidente di Federdistribuzionerimangono sotto pressione perché compresse tra l’aumento dei costi all’acquisto e le difficoltà derivanti dall’attuale livello dei prezzi al consumo. L’attuale debolezza dei volumi di consumo, che stagnano intorno al -5%, è un fattore di rischio per l’intero sistema agroalimentare italiano, rappresentato da numerose filiere di eccellenza, così come per le nostre imprese”.