Dazi, Meloni: “Al lavoro per scongiurare guerra commerciale”. Urso: “Intesa con Usa vicina”

Scongiurare una guerra commerciale con gli Stati Uniti. E’ il mantra della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e, a cascata, di tutti i ministri coinvolti nell’infinita trattativa con gli Stati Uniti dopo la minaccia di tariffe al 30% verso l’Europa e la successiva missione a Washington del capo negoziatore europeo Maros Sefcovic. La premier lo ribadisce sul palco del congresso della Cisl all’Eur, sottolineando il lavoro assiduo e costante dell’esecutivo: “Tutti i nostri sforzi sono rivolti a questo, chiaramente in collaborazione con gli altri leader, con la Commissione Europea”. La guerra commerciale “non avrebbe alcun senso”, “impatterebbe soprattutto sui lavoratori”, precisa. A maggior ragione perché il caos scoppia “in un periodo complesso, segnato da tensioni geopolitiche che rendono il contesto internazionale molto incerto e instabile, con conseguenze inevitabili su economia reale, tenuta dei livelli occupazionali e produzione”.

L’intesa “è in procinto” di essere raggiunta, azzarda poco dopo sullo stesso palco Adolfo Urso. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy fornisce informazioni in suo possesso che arrivano dagli Stati Uniti: “Da quel che apprendiamo ci siamo, l’intesa sta per essere raggiunta. Ci auguriamo che sia equa, costruttiva, positiva e sostenibile”. Il presidente Usa, Donald Trump, infatti, in un’intervista a Real America’s Voice, ha spiegato che un accordo con l’Ue è vicino, anche se “sono molto indifferente al riguardo”. Il governo italiano, secondo Urso, ha fatto tutto il necessario operando “in modo costruttivo e collaborativo, affinché ci fosse un negoziato sia in termini bilaterali che con le istituzioni europee, in modo specifico con la Commissione Europea”.

Le opposizioni non ci stanno e incalzano l’esecutivo. Per il leader dei Verdi, Angelo Bonelli, la premier deve “svegliarsi dal torpore. La guerra commerciale con gli Stati Uniti non è un rischio ipotetico: è già iniziata, ed è stata innescata da Donald Trump, non certo dall’Europa”. I dazi al 30% dal primo agosto, secondo Bonelli, “sono un’estorsione, un atto di violenza economica che rischia di causare una crisi gravissima”, solo l’Italia “potrebbe perdere 35 miliardi di export e oltre 180.000 posti di lavoro”. Piero De Luca, deputato Pd e capogruppo in commissione Affari europei, giusto negoziare “ma a schiena dritta. Serve un’intesa, non una resa”, portando al tavolo delle trattative “una posizione unitaria Ue, evitando azioni bilaterali che rischiano di indebolire Italia ed Europa stessa”. Preoccupazioni anche sulla tutela dell’agroalimentare. Coi dazi al 30%, denuncia Antonella Forattini, capogruppo Pd in commissione Agricoltura alla Camera, verrebbero colpiti “prodotti simbolo del Made in Italy, dai formaggi alla pasta, fino al vino, in un contesto già segnato dalla svalutazione del dollaro”. Per Simona Bonafè, vicepresidente vicaria del Gruppo Pd alla Camera, i dazi avrebbero un impatto gravissimo su alcuni dei settori più competitivi del nostro export, come “moda e farmaceutica, colonne portanti del Made in Italy”.

Agricoltura, protesta Coldiretti a Roma e Bruxelles: “Tecnocrazia Ue è peggio dei dazi”

Coldiretti scende in piazza per denunciare “il tentativo dei tecnocrati europei, guidati da Ursula Von der Leyen, di distruggere l’agricoltura, la produzione di cibo e la sicurezza alimentare in Europa, mettendo a rischio le fondamenta stesse della democrazia”. Una protesta che arriva a pochi giorni dall’annuncio della stangata sui dazi “che vede ancora una volta la Von der Leyen indiziata numero uno di un immobilismo che sta affossando l’economia europea con rischi ora per l’agricoltura dieci volte più gravi dei danni che potrebbero causare i dazi di Trump. Questi potrebbero essere gli effetti delle nuove proposte di bilancio che la Commissione presenterà domani, a partire da un fondo unico tra politiche di coesione e politica agricola. Per la prima volta dal 1962 l’Europa non avrebbe più un budget destinato con chiarezza al sostegno della produzione di cibo e alla sicurezza degli approvvigionamenti alimentari”. Così, con un messaggio chiaro “Abbiamo bisogno dell’Europa come il pane, ma questa non è l’Europa che vogliamo”, Coldiretti ha dato vita ad un’azione coordinata da Bruxelles a Roma, per dare il benvenuto a “Vonderland, una landa autocratica che vede un’Europa sempre più distante dalla realtà, dai cittadini e dalla terra”.

L’iniziativa ha coinvolto centinaia di giovani agricoltori di Coldiretti, che hanno esposto striscioni raffiguranti Ursula Von der Leyen nella sua “Vonderland” appunto, accompagnati da messaggi come: “non spegnere la democrazia!”, “non spegnere la salute” “non spegnere l’agricoltura”.

Gli striscioni, oltre ad essere stati esposti dal palazzo di Farm Europe a Bruxelles a pochi passi da quello di Berlaymont sede della Commissione Europea, sono stati alzati in cielo anche in alcuni luoghi iconici di Roma come il Colosseo, Fontana di Trevi e Piazza Navona, e con valore anche politico come il Senato.

“Siamo scesi in piazza perché è in gioco molto più del nostro futuro: è in gioco la democrazia e la stessa idea di Europa – dichiara da Bruxelles il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini –. Di fronte all’arroganza di una burocrazia europea che, sotto la guida della presidente Von der Leyen, calpesta ogni giorno il lavoro degli agricoltori e ignora sistematicamente la volontà dei cittadini”. “Noi auspichiamo che von der Leyen esca dal palazzo di cristallo nel quale le piace stare e inizi a dialogare da un lato con i settori produttivi per capire le esigenze che questi hanno, ma anche iniziando a fare una politica vera di diplomazia nei confronti di quei Paesi che sono strategici per dare continuità alla crescita economica dell’intero sistema e comunità europea”, ha aggiunto Prandini durante un punto stampa.

Dazi, Trump: “Usa derubati per decenni”. Ue individua contro-tariffe per 72 mld

L’Unione europea – con in mano la lettera ricevuta nel weekend dal presidente Usa Donald Trump che annuncia Dazi al 30% sui beni europei a partire dal primo agosto – sceglie di portare fino alla fine la sua scelta iniziale, quella della ricerca di una soluzione concordata. Ma allo stesso tempo accende i toni, tanto da prendere in prestito dal lessico militare le parole utilizzate. “Al mio arrivo alla riunione” straordinaria del Consiglio Commercio dell’Ue “ho detto ai ministri: ‘Se volete la pace, preparatevi alla guerra’”, ha raccontato in conferenza stampa Lars Lokke Rasmussen, ministro degli Esteri della Danimarca, Paese che ricopre il semestre di presidenza del Consiglio dell’Ue. “Noi non cerchiamo la guerra, ma dobbiamo prepararci per dare al nostro commissario la posizione negoziale più forte possibile. E credo che oggi siamo riusciti a raggiungere questo obiettivo”, ha aggiunto.

La lettera di Trump insomma ha gelato le ipotesi europee di un accordo accettabile, seppur sbilanciato. E l’inquilino della Casa Bianca è tornato a enumerare i torti subiti, a suo dire, dagli Usa. “Gli Stati Uniti d’America sono stati derubati su commercio (e difesa), da amici e nemici, allo stesso modo, per decenni. Questo è costato migliaia di miliardi di dollari, e la situazione non è più sostenibile – e non lo è mai stata“, ha scritto oggi sulla sua piattaforma Truth. “I Paesi dovrebbero fermarsi e dire: ‘Grazie per i tanti anni di libertà, ma sappiamo che ora dovete fare ciò che è giusto per l’America’. Dovremmo rispondere dicendo: ‘Grazie per aver compreso la situazione in cui ci troviamo. Molto apprezzato!’“, ha continuato. E ha messo in chiaro che l’accordo sui Dazi “è quello delle lettere” e che se le Capitali “vogliono negoziare ne possiamo parlare”.

Di certo, per il Tycoon, “il fatto che stiano chiamando significa vogliono negoziare“. E il negoziato è ancora la strada preferita dall’Unione europea.

Oggi, i ministri del Commercio dei Ventisette si sono riuniti in un Consiglio Commercio straordinario e, pur dicendosi concordi nel considerare l’annuncio di Dazi al 30% “assolutamente inaccettabile e ingiustificata”, sostengono l’idea della Commissione di continuare la trattativa fino al primo agosto, ma hanno anche posto l’accento sull’elemento delle contromisure. Nella riunione “abbiamo discusso lo stato di avanzamento e le prospettive per le relazioni commerciali dell’Ue con gli Usa, comprese le possibili contromisure dell’Ue”. Punto su cui, oggi, i ministri europei hanno insistito molto più che in passato. “Siamo impegnati a continuare a lavorare con gli Stati Uniti per un risultato negoziato che deve essere un accordo vantaggioso e accettabile per entrambi. Allo stesso tempo ci prepariamo a ogni possibile scenario. Se una soluzione soddisfacente non sarà trovata, l’Ue è pronta a reagire e questo include contromisure robuste e proporzionate se richiesto. E nella stanza si è respirato un forte senso di unità. Questa dichiarazione è quindi una dichiarazione che ci unisce tutti”, ha sottolineato Rasmussen. Anche per il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, l’Ue deve “essere preparata a tutti gli esiti”, compreso quello del ricorso a “misure proporzionate e ponderate per ristabilire l’equilibrio nelle nostre relazioni transatlantiche”. Intanto, alla luce della nuova scadenza, Bruxelles ha allungato fino ai primi di agosto la pausa – che sarebbe scaduta questa notte – alle sue contromisure che, decise come risposta ai Dazi statunitensi del 25% su acciaio e alluminio, colpiscono circa 21 miliardi di euro di beni Usa importati. E lavora al secondo elenco di contromisure.

Le nostre misure di riequilibrio su acciaio e alluminio sono sospese fino agli inizi di agosto e oggi la Commissione sta condividendo con gli Stati membri la proposta per il secondo elenco di beni che conta circa 72 miliardi di euro di importazioni statunitensi“, ha illustrato Sefcovic in conferenza stampa precisando che “ciò non esaurisce le nostre possibilità e ogni strumento rimane sul tavolo”. Per il commissario Sefcovic, da qui al primo agosto 4 sono le aree di intervento. Innanzitutto i negoziati. “Restiamo convinti che le nostre relazioni transatlantiche meritino una soluzione negoziata, che porti a una rinnovata stabilità e cooperazione. Più tardi, nel corso della giornata di oggi, proseguirò il mio dialogo con le mie controparti statunitensi”, ha annunciato. Per il commissario va considerato “il duro lavoro profuso” fin qui e il fatto che “siamo vicini a raggiungere un accordo” con “gli evidenti benefici di una soluzione negoziata”. E’ chiaro però che “per applaudire ci vogliono due mani”. Di qui, il secondo pilastro: le contromisure, con il secondo elenco di beni, pari a 72 miliardi di euro di import a stelle e strisce, da definire. Terzo, “canali di comunicazione aperti e ancora più stretti con altri partner che condividono gli stessi ideali” e, in quarto luogo, sforzi raddoppiati dell’Ue “per aprire nuovi mercati“.

In generale, Sefcovic non ha rimproveri sul lavoro svolto fin qui. “La mia impressione era che valesse la pena lavorarci” su un accordo, “altrimenti non avremmo speso tre mesi a redigere questo accordo di principio, analizzando mille e settecento linee tariffarie, discutendo tutti i dettagli, dall’agricoltura ai pezzi di ricambio per le auto, se tutto si fosse risolto con una lettera, per quanto importante”. E guarda avanti: “Credo ci sia ancora potenziale per continuare il negoziato anche se questa lettera ha scatenato forti reazioni in Europa e sarò molto aperto su questo”, ha affermato. Al suo arrivo al Consiglio, questa mattina, Sefcovic aveva chiarito che “il 30% proibisce il commercio” e che renderà “impossibile continuare a commerciare come siamo abituati a fare in una relazione transatlantica”. Così come le catene di approvvigionametno transatlantiche “ne risentirebbero pesantemente su entrambe le sponde dell’Atlantico”. Ma in virtù del fatto che quella tra Ue e Usa è “la più grande relazione commerciale su questo pianeta, con 1.700 miliardi di dollari, 400 miliardi di dollari che attraversano l’oceano ogni singolo giorno sotto forma di beni e servizi”, Bruxelles sta “dimostrando un’enorme pazienza” e “un’enorme creatività per trovare le soluzioni” negoziate. “Ma se la percentuale rimane superiore al 30%, semplicemente il commercio, il commercio come lo conosciamo, non continuerà, con un enorme effetto negativo su entrambe le sponde dell’Atlantico”. Per questo, “penso che dobbiamo fare, e farò sicuramente, tutto il possibile per evitare questo scenario super negativo”, ha concluso.

Gozzi, appello a Schlein: Pse lotti per sopravvivenza industria contro estremismi green

C’è in questi giorni un fatto nuovo e emblematico. È in gestazione un documento di politica economica comune tra i premier tedesco Merz, francese Macron e italiano Meloni sulla competitività europea e sul futuro della nostra industria.

I leader dei tre paesi più industrializzati d’Europa, consapevoli che il tempo stringe, ritengono necessario richiamare la Commissione all’azione per cercare di salvare l’industria del continente con misure rapide ed incisive che, nonostante i proclami, ancora non si vedono.

Sono loro quindi che dettano l’agenda alla Commissione, e questo mi appare più che logico visto che l’Europa non è uno stato federale, e probabilmente non lo sarà mai. Alla luce di ciò è normale e ragionevole che, per superare l’immobilismo attuale delle istituzioni europee in cui la tecnocrazia comunitaria regna sovrana, i grandi stati nazionali e industriali prendano l’iniziativa, dettino la linea e cerchino di fare politica.

Al centro del documento c’è una riflessione sul perché l’Europa ha perso così tanto terreno nei confronti della altre grandi aree economiche del mondo, e c’è una riflessione coraggiosa sul green deal. Non si vuole negare la necessità di decarbonizzare le nostre economie ma vi si afferma la necessità di farlo con logiche, metodi e tempi diversi di quelli imposti finora da un’ideologia ambientalista estremista.

Il fatto che anche Macron, leader indiscusso di Renew Europe, la forza liberal democratica che insieme a popolari e socialisti costituisce la maggioranza politica di Ursula Von der Leyen, sottoscriva l’appello alla revisione di scelte sbagliate, mi sembra estremamente significativo e meritevole di attenzione anche da parte dei riformisti nostrani che stanno guardando a sinistra.

E da qui parte la mia riflessione e il mio appello a Elly Schlein, che conosco e che è leader del più importante partito aderente al gruppo dei socialisti al Parlamento europeo.

L’appello è che anche i socialisti si impegnino a salvare le fabbriche, e non lascino solo ai popolari e ai conservatori, o peggio alle destre estreme, il merito della necessaria revisione del green deal, revisione che salverà milioni di posti di lavoro.

Tony Blair qualche settimana fa dalle pagine del ‘Corriere della Sera’ ha lanciato un messaggio chiaro e pragmatico che ha scandalizzato i sostenitori del mainstream e del pensiero unico in tema di decarbonizzazione. L’ex premier laburista britannico ha affermato: “Tutti sanno che l’obiettivo della neutralità carbonica al 2050 è irraggiungibile, ma nessun politico ha il coraggio di dirlo perché teme di passare per negazionista. Bisogna trovare il modo di dare coraggio ai politici europei affinché, senza negare l’obiettivo di dare un contributo alla decarbonizzazione che è un obiettivo mondiale, riescano a farlo senza far diventare l’Europa la principale nemica di famiglie e imprese”.

Il nodo è tutto qui. La velocità dei cambiamenti globali e la progressiva marginalizzazione dell’Europa e della sua economia impongono scelte rapide e radicali, come ha scritto Draghi nel suo rapporto. Occorre un cambiamento di paradigma e di visione.

Ma per attuare i cambiamenti invocati da più parti, quali più innovazione tecnologica, più investimenti in IA e spazio, riduzione del costo dell’energia, potenziamento del mercato del lavoro ecc. occorrono enormi risorse economiche e finanziarie, che oggi in Europa non esistono; modificare le regole attuali che stanno ammazzando l’industria a partire da quella dell’auto, come la tassa carbonica, gli adempimenti burocratici assurdi, la non protezione dal commercio sleale di molti paesi extra-europei, sarebbero invece riforme  a costo zero.

Non c’è settore industriale di base: acciaio, chimica, farmaceutica, carta, cemento, vetro, fonderie ecc., tutti indispensabili per l’autonomia strategica europea e per la sopravvivenza delle filiere manifatturiere a valle, che non sia a rischio di delocalizzazione o di chiusura per le norme europee sull’ambiente, che non hanno eguali in nessuna altra parte del mondo.

La Von der Leyen ha promesso revisioni e semplificazioni che per ora non si vedono, anche perché i socialisti europei, avendo fatto del green deal il sacro graal della loro azione politica, vi si oppongono con gran forza.

Ci sono decine di milioni di posti di lavoro a rischio. Tra i casi emblematici c’è quello dell’acciaio e dei suoi legami con l’industria dell’automobile e con quella della difesa. Una norma europea detta CBAM, nata per cercare di bilanciare gli effetti perversi della tassa carbonica sulla competitività, elimina le quote gratuite di CO2 accordate fino ad oggi alle industrie di base hard to abate, cioè quelle per le quali la natura intrinseca dei processi industriali rende molto difficile o impossibile l’abbattimento delle CO2.

Ora, il 60% dell’acciaio europeo è ancora fatto con gli altiforni, che se perdono le quote gratuite di CO2 dovranno chiudere, con gravi conseguenze sociali dirette e con un approfondimento ulteriore della crisi dell’industria dell’automobile del nostro continente; infatti l’acciaio per le carrozzerie, il cosiddetto profondo stampaggio, si fa solo con gli altiforni, e se questi si spengono l’automotive europeo dovrà andare a comprare lamiere per le carrozzerie in CinaCorea del Sud e Giappone, e cioè proprio dai suoi principali competitori sul mercato automobilistico.

La scommessa sull’auto elettrica, che l’Europa in maniera demenziale ha fatto un po’ di anni fa, è persa; perché la Cina ha un vantaggio tecnologico e di prezzo che appare ormai irrecuperabile. Si è intanto distrutta un’industria, quella delle automobili con motore endotermico, su cui c’era un primato europeo assoluto, e che con le innovazioni tecnologiche introdotte e i biocarburanti produceva ormai emissioni dirette prossime a quelle delle auto elettriche.

Sul green deal occorre davvero cambiare paradigma, e riconoscere onestamente gli errori fatti, perché non c’è più tempo e senza modifiche i processi di deindustrializzazione continueranno in maniera vorticosa e accelerata. Ma per cambiare rotta rapidamente ci vuole l’unità delle grandi famiglie politiche europee: popolari, socialisti, liberal-democratici e conservatori, capaci insieme di fare politica alta imponendosi sulla tecnocrazia.

Il tema del futuro e della sopravvivenza dell’industria europea, della sua competitività e della sua autonomia strategica è un tema esistenziale per l’Europa, perché è l’industria con la sua produzione di valore che consente il mantenimento del nostro modello sociale e di welfare di cui tutti, giustamente, meniamo vanto. È quindi un tema di tutti e non può diventare occasione di scontro politico e/o di campagna elettorale.

Alla revisione del green deal e delle sue storture si arriverà comunque, in un modo o nell’altro, e il documento dei tre premier è un primo importante segnale in questa direzione.

Si sta facendo strada, tra l’altro, la consapevolezza che l’Europa rischia di annientare la sua industria per nulla, perché le CO2 nel mondo continuano a crescere a causa delle paurose emissioni di Cina, USA, India e degli altri paesi emergenti, i quali si guardano bene dal seguire il modello europeo e rappresentano la stragrande maggioranza delle economie e delle popolazioni del mondo.

In questo contesto, perché i socialisti insistono ad attardarsi su posizioni astratte ed estremiste, anziché partecipare a pieno titolo alla salvezza di decine di milioni di posti di lavoro messi in pericolo dalle politiche europee degli ultimi anni, così come alla salvezza del modello sociale europeo con le sue tutele per i più deboli e il suo welfare di cui proprio loro sono stati costruttori protagonisti?

Quale è la ragione per la quale la socialdemocrazia, tradizionalmente votata alla difesa del lavoro, delle fabbriche e degli operai, dovrebbe anteporre a questi interessi sociali un estremismo ambientalista, una specie di religione neopagana a forte sfondo anticapitalista, dietro la quale spesso si nascondono grandi vecchi cultori di un’ideologia marxista-leninista sconfitta dalla storia?

Perché i socialisti europei accettano che gli operai della VW, o della Renault, o di Stellantis, o quelli della fabbriche siderurgiche si sentano abbandonati dai loro tradizionali rappresentanti e votino sempre di più partiti estremisti di destra e di sinistra come continua a succedere in Germania, Francia, Belgio, Olanda, Austria, ecc.?

Il ruolo dei socialisti dovrebbe essere quello di richiamare continuamente l’Europa a non trascurare i temi sociali e del lavoro, a perseguire oltre che la sostenibilità ambientale anche quella sociale ed economica, a non privilegiare sempre obiettivi e strumenti finanziari. Dovrebbe suggerire qualcosa il fatto che la settimana scorsa la maggior parte delle grandi banche di affari e dei fondi di investimento, che hanno trasformato anche il green deal in un gigantesco affare finanziario, sfruttando l’ondata di calore che ha colpito tutto il mondo, abbiano diffidato i governi a modificare le regole dell’ETS , mercato su cui speculano alla grande.

I socialisti dovrebbero vedere che la drammatica crisi europea è anche frutto dell’ideologia dominante nella tecnocrazia “guardiana” di Bruxelles che, totalmente priva di legittimazione democratica, ha determinato in questi anni il mostro dell’iper-regolamentazione.

Un’ideologia totalitaria contro la libertà dei cittadini e delle imprese, fatta dall’intreccio inestricabile di un fascio di forze eversive come l’estremismo ambientalista, l’estremismo mercatista e l’estremismo finanziario, che si sono impadronite a poco a poco delle politiche europee.

Salvare l’industria europea, ridarle competitività e vigore, riportarla ad essere strategicamente autonoma, proteggere i suoi lavoratori, deve essere un obiettivo comune e il PSE non può non partecipare a questa battaglia che oggi rappresenta la battaglia esistenziale dell’Europa. Se il PSE non la fa significa che ha perso l’anima e l’insegnamento dei padri riformisti del socialismo europeo, che del realismo e del pragmatismo hanno sempre fatto la loro stella polare.

Clima, Pe boccia procedura d’urgenza sul target -90% Co2 al 2040

Il dibattito sull’emendamento alla Legge sul Clima che introduce il target al 2040 di riduzione delle emissioni del 90% sui livelli del 1990 fa serrare i ranghi delle forze politiche di destra e di quelle sinistra, delineando una frattura precisa tra i due blocchi al Parlamento europeo e mandando di nuovo in frantumi la vecchia maggioranza Ursula. Oggi, l‘aula ha bocciato la richiesta di usare la procedura d’urgenza su tale modifica. Una richiesta che era stata avanzata da Verdi, Socialisti (S&d) e liberali di Renew Europe per cercare di portare a casa il risultato il prima possibile, entro la prossima Conferenza delle Parti Onu sui cambiamenti climatici (Cop30) a Belém, in Brasile, a novembre.

A votare contro una procedura che avrebbe velocizzato il processo – attraverso un voto in commissione Ambiente direttamente sugli emendamenti alla proposta della Commissione, senza la presentazione della relazione da parte del relatore dei Patrioti per l’Europa e i seguenti negoziati con i relatori ombra – sono state tutte le forze della destra insieme al Partito popolare europeo. Su scala italiana, in questo caso non ci sono state divisioni tra i due blocchi di maggioranza e opposizioni: contrari Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia; favorevoli, Partito democratico, Movimento 5 stelle e Alleanza Verdi Sinistra. A livello complessivo, sono stati 370 i no, 8 gli astenuti e 300 i sì. Il Ppe ha definito non giustificata la richiesta di una procedura più rapida e ha chiesto più tempo per “esaminare attentamente” la legge. Secondo il primo gruppo dell’Aula, devono essere gli Stati membri a decidere sulla questione, presumibilmente in una riunione dei ministri dell’Ambiente il 18 settembre prossimo. Una data che metterebbe inevitabilmente a rischio il risultato entro la Cop30. Il Ppe ha “unito le forze con l’estrema destra per mettere a repentaglio” la legge sul clima, hanno immediatamente denunciato i deputati verdi. E il liberale Pascal Canfin (Renew Europe) ha evidenziato che “il rifiuto della procedura d’urgenza sulla legge sul clima non garantisce che il Parlamento possa votare a ottobre prima” della Conferenza Onu in Brasile. Intanto, ieri la conferenza dei coordinatori della commissione Ambiente (Envi) ha scelto di affidare il dossier ad un relatore dei Patrioti per l’Europa. Con sgomento di sinistra e verdi.

Ciò a cui stiamo assistendo è un vero e proprio tradimento della fiducia dei cittadini europei, che chiedono un maggiore impegno per il clima. Ieri il Ppe ha consegnato la più importante legislazione climatica nelle mani di negazionisti del cambiamento climatico, e oggi ha votato contro la procedura d’urgenza chiesta dalle forze progressiste per contenere i danni“, hanno commentato oggi le eurodeputate e gli eurodeputati della delegazione italiana dei Verdi, Cristina Guarda, Ignazio Marino, Leoluca Orlando e Benedetta Scuderi. “Con questa decisione, l’Ue rischia di presentarsi alla Cop30 sostanzialmente a mani vuote. In un momento in cui gli Stati Uniti si sono ritirati dagli Accordi di Parigi, stiamo di fatto consegnando la leadership delle negoziazioni sul clima alla Cina”, hanno aggiunto. La proposta di inserire il target del -90% di emissioni al 2040 è nelle linee politiche di questa Commissione europea, la seconda guidata da Ursula von der Leyen. Dopo vari ritardi, l’esecutivo Ue ha presentato la proposta a inizio luglio. Ma per venire incontro ai malumori e alle critiche emerse nei mesi scorsi da alcuni Paesi membri e gruppi politici, ha inserito delle flessibilità nel metodo di calcolo nel tentativo di vincere le resistente degli Stati più restii. L’obiettivo della Commissione è di adottare l’emendamento entro l’appuntamento in Brasile, ma i tempi sembrano estremamente stretti. Certamente, il relatore dei Patrioti – gruppo presieduto dal francese Jordan Bardella (Raggruppamento Nazionale, RN) – non potrà impedire alle altre forze politiche di raggiungere un accordo sul contenuto finale della Legge sul clima. Ma l’estrema destra potrà tentare di ritardare i negoziati e avrà una concreta opportunità di combattere “l’ecologia punitiva”.

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Prosegue negoziato Ue-Usa su dazi. Trump: “Tra due giorni la lettera ai 27. No altri rinvii”

L’Unione europea prende atto del rinvio al primo agosto della scadenza della pausa sui dazi più severi imposti dagli Stati Uniti d’America, ma continua a lavorare per arrivare a un accordo il prima possibile perché il punto centrale ora è superare l’instabilità e dare certezze al mondo economico.

“Quello che vogliamo raggiungere è una soluzione negoziata con gli Usa ed evitare una ulteriore escalation delle tensioni commerciali“, afferma in conferenza stampa dopo l’Ecofin il commissario europeo all’Economia, Valdis Dombrovskis, che ricorda che l’Unione ha lavorato “avendo in mente la scadenza del 9 luglio”. “A quanto pare però gli Usa hanno posticipato al primo agosto la scadenza. Ciononostante, i negoziati tra Ue e Usa proseguono a livello politico e tecnico per raggiungere un accordo di principio prima di tale data”, sottolinea. E se da un lato la nuova scadenza “ci dà più tempo”, dall’altro “rimaniamo concentrati”.

La scorsa settimana, con la missione a Washington di una squadra tecnica Ue e del commissario al Commercio, Maros Sefcovic, “ci sono stati intensi colloqui per un accordo di principio e sono stati compiuti progressi in tal senso”. E “stiamo portando avanti i negoziati sia politici che tecnici nel merito. Quindi, in un certo senso, prima riusciremo a raggiungere l’accordo, meglio sarà perché ciò eliminerebbe l’incertezza sulla questione dei dazi e vediamo che è atteso dall’economia e dalle aziende nelle loro decisioni di investimenti”, osserva.

E mentre oltre oceano il presidente Donald Trump esclude ulteriori rinvii“Le tariffe inizieranno ad essere pagate a partire dal 1 agosto 2025. Non vi è stata alcuna modifica a tale data e non vi saranno modifiche. In altre parole, tutte le somme saranno esigibili e pagabili a partire dal 1 agosto 2025. Non saranno concesse proroghe”, scrive su Truth -, nella plenaria del Parlamento europeo, a Strasburgo, Sefcovic si mostra ancora una volta aperto a tutte le possibilità: “Continuiamo a collaborare strettamente con le nostre controparti statunitensi sui dazi imposti sui prodotti europei. Voglio assicurarvi che stiamo lavorando a pieno ritmo per assicurare soluzioni negoziate eque e reciprocamente vantaggiose. Ma dobbiamo essere preparati a ogni esito e pronti a riequilibrare, se necessario”, dettaglia. Non bisognerà aspettare molto:  “Mancano circa due giorni all’invio della lettera”, al blocco dei 27 Paesi dell’Unione europea, fa sapere il presidente degli Stati Uniti, durante una riunione di gabinetto. Trump sottolinea che sta ancora discutendo con i negoziatori del blocco, ma che è scontento delle politiche europee nei confronti delle aziende tecnologiche statunitensi.

Se il lavoro tecnico di Bruxelles continua, la politica alza la voce. In particolare dai primi due gruppi politici al Parlamento europeo, popolari e socialisti. “Parliamo di milioni di posti di lavoro, un enorme impatto sull’Europa, del futuro della nostra economia europea”, commenta in conferenza stampa a Strasburgo il presidente del Partito popolare europeo (Ppe), Manfred Weber. “Von der Leyen e Sefcovic stanno facendo un lavoro eccellente e il mio primo messaggio è che l’Unione europea e gli Stati Uniti, dal punto di vista del mercato, sono sullo stesso piano: loro rappresentano il 25% del Pil mondiale, noi il 22% del Pil mondiale. Nessuno può metterci sotto pressione come sta facendo Donald Trump con altre economie, probabilmente più piccole, a livello globale“, afferma. Per il capo della famiglia politica più numerosa dell’aula, e che esprime la presidente della Commissione, “la precondizione è stare uniti”. In più, “se si arriverà a un accordo generale, la questione della reciprocità sarà sul tavolo” anche perché “i dazi orizzontali del 10% sono una sfida” per gli europei. “Dal mio punto di vista, tenendo presente la forza del mercato unico europeo, siamo potenti. Siamo forti. Credo che dobbiamo parlare di reciprocità, quando si parla del 10%”, illustra.

Nel frattempo, a margine della plenaria a Strasburgo, il secondo gruppo al Parlamento europeo, quello dei Socialisti e democratici, ha avuto un incontro con Sefcovic. Al temine, la presidente del gruppo, la spagnola Iratxe Garcia Perez ha espresso rammarico per “questa guerra commerciale, che aumenta i costi, danneggia posti di lavoro e aggrava la disuguaglianza globale” e ha ricordato che “l’Ue ha bisogno di una strategia ferma e unita, con chiare linee guida, conseguenze concrete e prontezza ad agire”. E ha avvertito: “Non ci piegheremo al bullismo” ed “è ora di guidare un commercio globale equo e basato su regole”. Anche l’eurodeputato del Pd (S&d), Brando Benifei, ha sottolineato l’importanza di una risposta ferma da parte di Bruxelles. “Le tariffe statunitensi attualmente in vigore, così come l’incertezza giuridica che avvolge il futuro delle relazioni commerciali transatlantiche, danneggiano le imprese e i cittadini europei. Abbiamo negoziato in buona fede, come si fa tra alleati. Non possiamo continuare ad essere trattati come un Paese terzo ostile”, ha affermato nel briefing organizzato dal gruppo S&d con la partecipazione di Bernd Lange, presidente della commissione Inta, e Kathleen Van Brempt, vice presidente del gruppo S&d. “Se non vi sarà una chiara volontà da parte statunitense di sospendere immediatamente queste misure, mentre i negoziati procedono su un accordo quadro i cui dettagli saranno da definire nelle successive settimane, l’Unione europea dovrà adottare subito contromisure serie”, ha scandito.

Ue, vertice a 11 per rilancio chimica e siderurgia. Urso: “Stop export rottame ferroso”

Alla vigilia del piano d’azione europeo per l’industria chimica, 11 Paesi dell’Ue si riuniscono in videoconferenza per rilanciare la chimica e la siderurgia dell’Unione.

Con Adolfo Urso e il ministro francese per l’Industria e l’Energia, Marc Ferracci, partecipano i rappresentanti di Germania, Spagna, Polonia, Paesi Bassi, Belgio, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca e Svezia.

Sul tavolo, la tutela della chimica di base e della biochimica che è sempre più urgente, osserva Urso, domandando “investimenti lungo tutta la catena del valore e per lo sviluppo di tecnologie capaci di ridurre le dipendenze strategiche”. L’Italia ha già avviato processi di riconversione delle produzioni per la produzione di bioplastiche, biofuel e materiali bio-based. Per l’inquilino di Palazzo Piacentini è necessario proseguire nella semplificazione anche nel settore della chimica (con l’Omnibus dedicato) e l’importanza di attivare in sede europea strumenti finanziari adeguati a sostenere la transizione verde del comparto: l’appello a Bruxelles è che si garantisca “coerenza” tra le linee di azione del Piano della chimica e il prossimo Quadro Finanziario Pluriennale, la cui proposta è attesa il 16 luglio prossimo, attraverso incentivi a ricerca, innovazione, trasferimento tecnologico, incentivazione alla produzione di biocarburanti e di idrogeno pulito, alla gestione della Co2.

Ma al centro c’è anche la siderurgia, comparto strategico da “sostenere con decisione nel processo di decarbonizzazione”, viene sottolineato dal Mimit, per affrontare le sfide della competizione globale con tecnologie più pulite. Urso richiama l’esigenza di tutelare anche il settore siderurgico lungo il percorso della transizione verde.

Oltre alle azioni proposte da Bruxelles nel Piano acciaio del 19 marzo scorso, bisogna, per Urso “stimolare la domanda interna per rafforzare l’intera filiera”. Il ministro avverte della necessità di intervenire sull’export del rottame ferroso, risorsa sempre più strategica nella transizione verso una siderurgia sostenibile. “È prioritario riconoscere il rottame come materia prima strategica a livello europeo — spiega — e avviare politiche che ne limitino l’export e ne tutelino l’approvvigionamento a beneficio dell’industria nazionale”.

In quest’ottica, il ministro delle Imprese e del Made in Italy annuncia “investimenti significativi per la realizzazione di impianti Dri in Italia”, fondamentali per la produzione di preridotto a basse emissioni, per la decarbonizzazione del settore e per rafforzare l’autonomia strategica dell’industria siderurgica nazionale ed europea. Al pari della chimica e degli altri settori energivori, ricorda, anche per la siderurgia è necessario agire sul fronte del costo dell’energia, per tutelare la competitività dell’industria europea.

Dazi, è stallo nell’accordo Ue-Usa. Trump: “Potrei anticipare scadenza del 9 luglio”

Con la scadenza del 9 luglio sui dazi, “possiamo fare quello che vogliamo”. Parola di Donald Trump. Che nel bel mezzo dei negoziati, in conferenza stampa lascia spazio a tutte le strade: “Possiamo estenderla, possiamo accorciarla…”. E confessa: “A me piacerebbe accorciarla, mi piacerebbe mandare lettere a tutti dicendo ‘Congratulazioni, pagate il 25%'”. La prossima settimana, o forse prima, fa sapere, invierà una lettera a molti dei Paesi con cui ha parlato, per dire “semplicemente quello che devono pagare per fare affari con gli Usa”, taglia corto.

Intanto, il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, e il rappresentante statunitense, Jamieson Greer, hanno avuto un nuovo colloquio per provare trovare la quadra. “Continuiamo a lavorare intensamente per una soluzione negoziata tra l’Ue e gli Usa. Apprezziamo l’impegno costruttivo di oggi con l’ambasciatore Greer“, riferisce Sefcovic su X nel pomeriggio di venerdì.

I contatti tra le due sponde dell’Atlantico sono sempre stati frequenti – “quasi quotidiani” li aveva definiti Sefcovic qualche settimana fa -, ma con l’avvicinarsi della scadenza dei 90 giorni di pausa, il 9 luglio, il lavoro deve arrivare a una conclusione. Anche in virtù dell’intesa, a margine del G7 in Canada, tra i presidenti della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e statunitense, Donald Trump, di accelerare il lavoro per arrivare a un accordo entro la scadenza del 9 luglio. E nella notte tra giovedì e venerdì, nella conferenza stampa al termine del Consiglio europeo, è stata la stessa von der Leyen a dare la notizia del nuovo documento inviato da Washington a Bruxelles. “Oggi abbiamo ricevuto l’ultimo documento statunitense per ulteriori negoziati. Lo stiamo valutando proprio ora. Quindi il nostro messaggio è chiaro: siamo pronti per un accordo. Allo stesso tempo, ci stiamo preparando all’eventualità che non si raggiunga un accordo soddisfacente, per questo abbiamo lanciato una consultazione su una lista di riequilibrio e difenderemo gli interessi europei secondo necessità. In breve, tutte le opzioni restano sul tavolo“, ha scandito von der Leyen.

Un messaggio che non fa cantare vittoria. E a quanto si apprende a Bruxelles il testo Usa contiene una soglia minima del 10% di dazi sui prodotti europei e chiede agli europei maggiori acquisti di Gnl e di materie critiche, tra cui il combustibile per il nucleare. Intanto, i leader Ue – a partire dal presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, e il presidente di turno dell’Ue, il premier polacco, Donald Tusk – esprimono “piena fiducia” nel lavoro di negoziati, nella Commissione e in von der Leyen.

La presidente ha riscosso fiducia anche dal cancelliere tedesco Friedrich Merz così come dal presidente francese Emmanuel Macron e dal premier spagnolo Pedro Sanchez, per citarne alcuni.

Ci sono comunque delle differenze di vedute sul risultato finale. Il presidente Costa, ad esempio, ritiene che sia preferibile accettare un accordo il prima possibile, anche se asimmetrico, piuttosto che rimanere nell’incertezza. “Un accordo è sempre meglio di un conflitto, zero dazi è sempre meglio di un dazio, e l’incertezza è la cosa peggiore per la nostra economia”, ha affermato. Anche la Germania si allinea su questa posizione. “Ho incoraggiato e sollecitato la presidente della Commissione a raggiungere un rapido accordo con gli americani, dato che rimangono meno di due settimane di tempo utile per farlo”, ha affermato il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, al termine del Consiglio europeo. “Ma se non ci sarà un’intesa, l’Unione europea è pronta e in grado di adottare anche le proprie contromisure. Abbiamo sostenuto la presidente della Commissione anche in questa direzione, affinché agisca di conseguenza“, ha precisato. Secondo Macron, invece, “il risultato migliore sarebbe quello di dazi zero”. E “se, alla fine, la scelta degli americani fosse quella di mantenere il 10% di dazi sulla nostra economia, ci sarà inevitabilmente una compensazione sui beni e sui prodotti venduti dagli americani sul mercato europeo”. Macron ha ribadito il suo sostegno a Bruxelles nell’opera di trattativa con gli Usa. “Sosteniamo gli sforzi della Commissione per una soluzione equilibrata e negoziata. Non vogliamo che questa situazione si protragga all’infinito e abbiamo interesse ad agire rapidamente”, ha osservato. Inoltre, “sono favorevole a un accordo pragmatico, che metta in luce gli elementi positivi di entrambe le parti e che sia equilibrato”, ha aggiunto.

E mentre gli Stati Uniti trovano l’accordo commerciale con la Cina e aprono alla possibilità di una proroga dei 90 giorni di pausa – decisione che spetta al presidente Usa Donald Trump -, Bruxelles lavora anche sul piano commerciale multilaterale. Nel pomeriggio Sefcovic ha avuto “un’ottima conversazione telefonica con la direttrice generale dell’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto), Ngozi Okonjo-Iweala”, riporta la Commissione europea. Una telefonata in cui è stata ribadita a “l’ambizione comune di preservare un sistema commerciale basato su regole e di collaborare per trovare soluzioni volte a rivitalizzarlo e rafforzarlo”, cosa che “include l’urgente necessità di una riforma significativa del Wto per affrontare le realtà e le sfide commerciali odierne, come le politiche non di mercato”. Per Bruxelles, i risultati saranno “migliori” se il lavoro sarà collettivo. “Pertanto, l’Ue si è impegnata con altri partner che condividono gli stessi ideali per valutare il modo migliore per rinvigorire i Wto e il sistema commerciale basato su regole in quanto tale”, si legge in una nota della Commissione Ue.

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Scattano dazi Usa 50% su acciaio e alluminio Ue. Attesa per incontro Sefcovic-Greer

Sono scattati oggi i dazi del 50% su acciaio e alluminio made in Europe che il presidente Usa Donald Trump ha annunciato, ma Bruxelles mantiene la calma, continua a invocare spazio e tempo per i negoziati in corso – che sono accelerati e costruttivi – e, soprattutto, attende l’incontro di domani a Parigi tra il commissario europeo al Commercio, Maros Sefcovic, e il rappresentante Usa per il Commercio, Jamieson Greer.

A seguito della telefonata tra la presidente” della Commissione europea Ursula “von der Leyen e il presidente Usa Donald Trump, entrambe le parti hanno concordato di accelerare il ritmo dei negoziati e ciò sta avvenendo“, ha spiegato il portavoce della Commissione europea per il Commercio, Olof Gill, nel briefing quotidiano con la stampa. “I negoziati tecnici sono in corso in questo momento a Washington e posso dire che il primo giorno di negoziato mi è stato descritto come molto costruttivo. E domani a Parigi il commissario Sefcovic incontrerà il rappresentante Usa per il Commercio, Jamieson Greer“, ha puntualizzato il portavoce. Per tale ragione, “non daremo commenti in corso d’opera su cosa sta avvenendo nelle trattative perché i negoziati sono in corso: dobbiamo lasciare loro lo spazio di svolgersi, ed è ciò che faremo”, ha sottolineato.

Un incontro di persona che lo stesso Sefcovic, la settimana scorsa, aveva dichiarato di auspicare in tempi brevi. Parlando da Dubai nella conferenza a margine dell’avvio dei negoziati tra Ue ed Emirati Arabi Uniti per un accordo bilaterale di libero scambio, l’incaricato dell’Unione europea a condurre il dialogo con Washington ha spiegato di avere telefonate “quasi quotidiane” con le sue controparti Usa – Greer e il segretario al Commercio, Howard Lutnick – e che i team tecnici delle due sponde dell’Atlantico sono “in costante contatto”. Ha sottolineato la “grande intensità” nel lavoro e il fatto che “ogni dettaglio è importante. Ora – ha specificato – ci stiamo concentrando su questi dettagli”, in vista di “un accordo equo ed equilibrato” e di “incontri di persona che speriamo si svolgano a breve”. E un incontro di persona si terrà domani, dunque, ma nel frattempo, sul social Truth, il presidente Usa è tornato a esaltare la sua misura commerciale. “Grazie ai dazi, la nostra economia è in forte espansione”, ha scritto.

“Se ad altri Paesi è consentito usare tariffe contro di noi, e a noi non è consentito di contrastarli, rapidamente e agilmente, con tariffe contro di loro, il nostro Paese non ha nemmeno una piccola possibilità di sopravvivenza economica”, ha aggiunto. Allo stesso tempo, secondo i media americani, la Casa Bianca ha inviato una lettera ai suoi partner commerciali per chiedergli di presentare entro oggi la loro ‘migliore offerta’, cioè delle proposte in una serie di settori chiave, tra cui offerte tariffarie e di quote per l’acquisto di prodotti industriali e agricoli statunitensi e piani per porre rimedio a eventuali barriere non tariffarie. La lettera è però un capitolo su cui Bruxelles non si esprime. “Non facciamo commenti in corso d’opera sui diversi tipi di documenti, offerte e altro, che sono oggetto di scambio tra noi e gli Stati Uniti”, ha affermato Gill rispondendo a chi gli ha chiesto se la Commissione abbia ricevuto o meno la lettera degli Usa. Palazzo Berlaymont, insomma, non entra nei dettagli di quella che è una trattativa “complessa e che richiede tempo”, come ha spiegato la settimana scorsa la portavoce della Commissione, Paula Pinho, rispondendo a delle domande sulla telefonata von der Leyen-Trump di domenica 25 maggio. In queste settimane Bruxelles ha ricordato che la proposta zero per zero dazi è ancora sul tavolo e che l’analisi si sta concentrando su tutte le linee tariffarie e anche sulla cooperazione Ue-Usa nel campo dell’aviazione, dei semiconduttori, dell’acciaio, delle diverse dipendenze, specialmente nelle materie prime. “Stiamo parlando della relazione commerciale più ampia e più stretta al mondo, dunque i negoziati sono complessi e richiedono tempo”, ha evidenziato Pinho. Ma la telefonata tra i due leader ha dato “un nuovo impeto per i negoziati e da lì partiremo”, ha aggiunto.

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Dazi, Ue: Dialogo con Usa per accelerare negoziati, proposta ‘0 per 0’ su tavolo

Proroga fino al 9 luglio e avanti con i negoziati. I presidenti della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, hanno trovato un punto di convergenza nel voler mettere velocità alle trattative in corso per risolvere la questione dei dazi commerciali e nel rimanere in contatto. La telefonata intercorsa tra i due leader, ieri, “è stata positiva”, ha commentato oggi la portavoce della Commissione europea, Paula Pinho, nel briefing quotidiano con la stampa. E anche se Bruxelles “non entra nei dettagli” della discussione, comunica che von der Leyen e Trump “hanno concordato di far avanzare velocemente i negoziati commerciali e di restare in stretto contatto”. Palazzo Berlaymont prende tempo: “Stiamo parlando della relazione commerciale più ampia e più stretta al mondo – ha precisato Pinho -, quindi questi negoziati sono complessi e richiederanno tempo”. Ma sottolinea pure che “con questa chiamata c’è un nuovo impeto per i negoziati e da lì partiremo” e che “è positivo vedere che c’è impegno anche a livello di presidenti”. Se “questo era il momento di contatti a livello di presidenti”, dall’altro lato non c’è tempo da perdere e “le discussioni andranno avanti già da questo pomeriggio quando il commissario Sefcovic avrà una telefonata con il segretario per il commercio Lutnick”, ha annunciato la portavoce. Intanto, dalla Commissione chiariscono che, nell’ambito del suo colloquio con Trump, ieri von der Leyen, ha avuto anche delle telefonate di aggiornamento con diversi leader Ue, tra cui la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. E mettono in chiaro che la proposta ‘zero per zero’ dazi è “ancora ampiamente” sul tavolo. “Riteniamo che sia un punto di partenza molto interessante per un buon negoziato che potrebbe portare benefici su entrambe le sponde dell’Atlantico, e certamente lo sosterremo con forza”, ha aggiunto il portavoce della Commissione Ue per il Commercio, Olof Gill. Intanto, a dirsi “fiducioso” rispetto ai colloqui tra Ue e Usa è stato il presidente francese Emmanuel Macron. “Le discussioni stanno procedendo bene. C’è stato un proficuo scambio tra il presidente Trump e la presidente von der Leyen, e spero che possiamo proseguire su questa strada, che dovrebbe portarci a tornare ai dazi più bassi possibili”, ha aggiunto. Mentre dal Consiglio Agricoltura e Pesca dell’Unione europea, il commissario Ue, Christophe Hansen, esprime il desiderio che si usi “saggiamente la nuova scadenza, fino al 9 luglio, per negoziare con gli Stati Uniti” e si possa “evitare qualsiasi dazio che sarebbe dannoso per gli agricoltori e i produttori alimentari su entrambe le sponde dell’Atlantico”.

E il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, osserva che “l’Europa deve parlare a una voce unica” e che “la prima affermazione che si deve fare è evitare ad ogni costo un qualcosa che possa somigliare a una guerra commerciale”. Infine, da un evento ospitato dalla Hertie School a Berlino, la presidente della Banca centrale europea (BCE), Christine Lagarde, ricorda che “l’economia globale ha prosperato grazie all’apertura e al multilateralismo, sostenuti dalla leadership americana” e che “qualsiasi cambiamento nell’ordine internazionale che porti a un declino del commercio mondiale o alla frammentazione in blocchi economici sarebbe dannoso”. Ma, allo stesso tempo, rileva come questi sviluppi potrebbero “aprire la strada a un ruolo internazionale più importante per l’euro”. E migliorare il ruolo internazionale dell’euro potrebbe “stimolare la domanda europea”, “proteggere l’Europa da flussi di capitali più volatili” e consentire all’Europa di “controllare meglio il proprio destino”.