Russia, Meloni: “Calpesta statuto Onu”. Crosetto: “A provocazioni risposta ferma e razionale”

(Photo credit: Palazzo Chigi)

La pazienza nei confronti di Mosca si sta esaurendo anche per l’Italia, che continua a sostenere la linea del dialogo, ma lancia un messaggio chiaro: la risposta alle “provocazioni” sarà compatta e logica.

A tre anni e mezzo dall’inizio del conflitto, dal palco dell’assemblea generale dell’Onu, Giorgia Meloni chiede alle nazioni unite di “riflettere” sulle conseguenze dell’aggressione. La Federazione Russa, membro permanente del Consiglio di Sicurezza, ha “deliberatamente calpestato l’articolo 2 dello Statuto dell’Onu violando l’integrità e l’indipendenza politica di un altro stato sovrano con la volontà di annetterne il territorio e ancora oggi non si mostra disponibile ad accogliere seriamente alcun invito a sedersi al tavolo della pace“, denuncia. La premier italiana parla di una “ferita profonda inferta” dalla Russia al diritto internazionale che “ha scatenato effetti destabilizzanti molto oltre i confini nei quali si consuma quella guerra“. Il conflitto in Ucraina, insomma, osserva la presidente del Consiglio, “ha riacceso e fatto detonare diversi altri focolai di crisi, mentre le Nazioni Unite si sono ulteriormente disunite“.

Le ultime violazioni dello spazio aereo della Nato da parte di aerei e droni russi sono per Guido Crosetto un campanello d’allarme che “non si può ignorare. Il ministro della Difesa comunica al Parlamento sugli attacchi a danno della Global Sumud Flotilla, ma non può non toccare il tema Russia. Gli eventi in Polonia e in Estonia sono una “specie di test, una sorta di provocazione” che richiede, scandisce, una “risposta ferma, razionale e coordinata“.

L’Italia, ricorda il ministro della Difesa, sin dalle prime avvisaglie, ha messo schierato quattro F-35, la batteria di difesa aerea Samp-T (che sarà mantenuta più a lungo del previsto) e un aereo radar fondamentale per la sorveglianza e la difesa aerea. E’ presente nel Baltico dal 2017 con la missione in Lettonia per “rispondere con determinazione al mutamento della postura russa”, precisa Crosetto. Oggi Roma è tra i principali contributori sul fianco Est con oltre 2000 militari, mezzi terrestri impegnati nell’attività di Forward Land Forces, caccia, Eurofighter, veicoli di comando e controllo, sistemi radar e difesa una presenza che, rivendica il ministro, “testimonia la serietà del nostro impegno nell’alleanza atlantica”.

La postura è “ferma, ma non provocatoria“, spiega, proprio perché l’obiettivo è di far sì che la situazione “non degeneri”, evitando di “cadere nella provocazione”, perché un’escalation avrebbe “conseguenze negative per tutti“. La strada da seguire per il governo quindi non è quella della paura, ma della responsabilità: “Difendere la pace significa essere pronti a proteggerla e oggi più che mai dobbiamo dimostrare che l’Europa e la Nato sono uniti, vigili e determinati“.

Intanto, sul fronte interno, l’esecutivo lavora a un piano nazionale per la protezione delle infrastrutture strategiche con sistemi anti-droni, già attivi nell’aeroporto di Roma: “È una risposta necessaria a una minaccia che oggi può non più essere solo convenzionale, ma anche ibrida e tecnologica“, riferisce Crosetto. Che ribadisce: “L’Italia e l’Europa non sono pronte ad affrontare un conflitto su larga scala, ma sono pronte a fare qualunque cosa per evitare un conflitto”.

La competitività dell’Ue passa anche dal settore farmaceutico. Foti: “Ridurre burocrazia”

Un’industria che investe 37 miliardi all’anno in ricerca e sviluppo, che dà lavoro a 800 mila persone altamente qualificate e che rappresenta un valore aggiunto di oltre 100 miliardi sui mercati internazionali. Ma un settore ancora altamente frammentato e in cui le carenze rischiano di divenire strutturali. È il complesso stato dell’arte dell’industria farmaceutica europea fotografato oggi all’evento Connact Pharma dal titolo ‘Il rilancio della competitività europea attraverso il settore farmaceutico’. Il rilancio passa inevitabilmente dalle riforme in cantiere a Bruxelles, il pacchetto farmaceutico e la legge sui medicinali critici.

In apertura alla tavola rotonda, il direttore dell’ufficio del Parlamento europeo in Italia, Carlo Corazza, ha fissato l’obiettivo: “Dobbiamo rafforzare un settore che è assolutamente essenziale per la nostra autonomia strategica”. Per farlo, la Commissione europea ha messo sul tavolo già nell’aprile del 2023 un pacchetto di riforma della legislazione farmaceutica, pronto ora per approdare ai negoziati interistituzionali tra Consiglio dell’Ue ed Eurocamera. A corredo della riforma, questa primavera, il commissario per la Salute, Olivér Varhelyi, ha presentato una legge per assicurare ai Paesi membri l’approvvigionamento di farmaci essenziali.

In un videomessaggio, Varhelyi ha sottolineato alla platea che di fronte ci sono “enormi opportunità di porre l’Ue all’avanguardia nel mondo”. I segnali positivi non mancano: il surplus commerciale di prodotti medicinali e farmaceutici – ha sottolineato l’ungherese – “è passato da 157 miliardi nel 2023 a 194 miliardi nel 2024”. Secondo il commissario, il primo passo è la creazione di uno spazio europeo dei dati sanitari, “un sistema federato senza precedenti per l’uso di big data nella ricerca medica”.

Dopodiché, c’è bisogno di norme “moderne, flessibili e snelle”. La legislazione farmaceutica vigente, d’altronde, risale a più di vent’anni fa. Ora, le priorità sono “ridurre la burocrazia, accorciare i tempi di valutazione per l’autorizzazione di nuovi medicinali nel mercato, semplificare la struttura dell’agenzia Ue per i medicinali”. Ma soprattutto, rispondere alle preoccupanti carenze periodiche di medicinali che si verificano in alcuni Stati membri. Come certificato proprio ieri dalla Corte dei conti europea, secondo cui su farmaci e medicinali esistono ancora “troppe barriere alla libera circolazione”.

L’innovazione “deve raggiungere chi ne ha bisogno, indipendentemente da dove viva nell’Ue”, ha affermato Varhelyi, convinto che la riforma in cantiere “creerà le condizioni per un migliore accesso dei pazienti senza compromettere gli interessi delle aziende”. In particolare, il Critical Medicines Act prevede un nuovo regime per gli aiuti di Stato, un maggior supporto a progetti strategici e l’istituzione di appalti collaborativi transfrontalieri e partenariati internazionali.

Gli Stati membri hanno adottato la propria posizione sul pacchetto farmaceutico prima della pausa estiva, ed hanno iniziato le discussioni sulla legge sui medicinali critici. Sul primo, “l’Italia in stretto coordinamento con la Francia ha ribadito l’importanza di un giusto equilibrio tra accesso ai farmaci e sostegno all’innovazione”, ha spiegato Tommaso Foti, ministro per gli Affari europei. Sul secondo, Roma ha evidenziato “l’impianto molto burocratico e non adeguato alla natura strategica del tema”.

Il ministro ha avvertito sul rischio di “indebolimento della proprietà intellettuale” insito alla riforma della legislazione europea, sottolineando che per l’Italia “la priorità è valorizzare i distretti produttivi nazionali e garantire il ruolo decisionale degli Stati membri nelle valutazioni della vulnerabilità della filiera”. Per rafforzare la capacità produttiva europea e scongiurare dipendenze da Paesi terzi, Foti suggerisce di puntare su “incentivi semplici, criteri di aggiudicazione degli appalti che non siano basati esclusivamente sul prezzo” e soprattutto sull’eliminazione di “duplicazioni di obblighi per i produttori”, una “follia che produce burocrazia su burocrazia del tutto inutile”.

“Senza soluzioni concrete per ricerca, produzione e accesso, l’autonomia strategica dell’Europa in materia di salute rischia di diventare una chimera. Servono urgentemente soluzioni per allineare le aspettative sul settore e riconoscere pienamente il valore dell’innovazione e della produzione a 360°” ha commentato Paolo Saccò, global public affairs del Gruppo Chiesi per le politiche interne. “Il settore farmaceutico europeo – ha detto Piero Rijli, corporate director regulatory affairs&market access del Gruppo Menariniè da sempre fondamentale per la salute dei cittadini, ma oggi rischia di vacillare. Senza interventi mirati, l’Europa rischia di diventare meno competitiva e sempre più dipendente dall’estero, anche per quei farmaci essenziali che dovrebbero essere la base della nostra autonomia strategica”.

India, Ue vuole relazioni più forti. Kallas: “Commercio, transizione e sicurezza al centro”

Prosperità e sostenibilità; tecnologia e innovazione; sicurezza e difesa; connettività e questioni globali; fattori abilitanti. Cinque aree di interesse comune nei rapporti tra Unione europea e India che Bruxelles intende approfondire lanciando, oggi, la proposta di una Nuova Agenda Strategica delle sue relazioni bilaterali con Nuova Delhi.

L’Ue e l’India insieme rappresentano il 25% della popolazione e del Pil mondiali. L’India è anche la più grande democrazia del mondo e la sua economia in più rapida crescita. Un rafforzamento delle relazioni tra Unione europea e India è fondamentale per rafforzare la sicurezza economica e diversificare le catene di approvvigionamento“, ha sottolineato in conferenza stampa l’Alta rappresentante per la Politica estera dell’UE, Kaja Kallas. E soddisfazione è stata espressa dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, che ha sottolineato che “è giunto il momento di concentrarsi su partner affidabili e di raddoppiare i partenariati radicati in interessi condivisi e guidati da valori comuni“. Con la proposta odierna, l’Ue intende portare le relazioni “a un livello superiore”. Inoltre, “ci impegniamo a finalizzare il nostro accordo di libero scambio entro la fine dell’anno”, ha ribadito.

L’iniziativa di rafforzamento delle relazioni Ue-India era già stata annunciata da von der Leyen nelle sue linee guida per il mandato 2024-2029 e la comunicazione congiunta Commissione-Alta rappresentante di oggi “delinea le possibilità per una più stretta cooperazione in materia di commercio, tecnologia, sicurezza, difesa e clima, un accordo di libero scambio, un accordo sulla protezione degli investimenti e un accordo globale sul trasporto aereo possono essere i pilastri di questa partnership. Sicurezza e difesa sono un altro pilastro di questa partnership”, ha descritto Kallas. “Stiamo lavorando per un partenariato Ue-India in materia di sicurezza e difesa. Rafforzaremo la cooperazione, inclusa la sicurezza marittima, l’antiterrorismo e la difesa informatica. Stiamo anche negoziando un accordo per lo scambio di informazioni classificate e per approfondire i legami tra l’industria della difesa“, ha aggiunto. Per quanto riguarda i capitoli ‘prosperità e sostenibilità’ e ‘tecnologia e innovazione’, la comunicazione congiunta individua “un significativo potenziale inutilizzato” nel commercio e negli investimenti, delineando strategie per rafforzare i legami commerciali, in particolare finalizzando i negoziati in corso su un accordo di libero scambio (ALS).

Il documento propone anche di rafforzare le catene di approvvigionamento, promuovendo le tecnologie emergenti critiche e l’impegno sulle questioni digitali, con specifica attenzione al rafforzamento della sicurezza economica all’interno del Consiglio per il commercio e la tecnologia (Ttc). Un forte accento viene dato dalla strategia anche all’approfondimento della cooperazione tecnologica, incluso un potenziale partenariato Ue-India per le startup – tanto che Bruxelles invita l’India ad associarsi al programma Horizon Europe – e vengono suggerite iniziative per la decarbonizzazione e la transizione pulita, come l’intensificazione della cooperazione sulle energie rinnovabili, lo sviluppo di capacità nell’idrogeno verde e l’espansione della finanza verde. Capitolo sicurezza e difesa. Qui la comunicazione congiunta porta avanti il ​​proposto partenariato Ue-India per la sicurezza e la difesa, puntando a migliorare le iniziative congiunte anche in materia di gestione delle crisi, sicurezza marittima, difesa informatica e antiterrorismo, e a promuovere la cooperazione industriale nel settore della difesa, concentrandosi sul potenziamento delle capacità produttive e tecnologiche, sulla sicurezza delle catene di approvvigionamento e sulla promozione dell’innovazione. Mentre altri ambiti di attenzione sono una più stretta cooperazione nell’Indo-Pacifico, la gestione delle minacce ibride, la sicurezza spaziale e l’intensificazione dell’impegno nella guerra della Russia contro l’Ucraina, le flotte ombra e le sanzioni.

Rispetto alla connettività, Bruxelles mira a rafforzare la cooperazione con l’India nei forum multilaterali e a incoraggiare il Paese asiatico a promuovere il diritto internazionale, i valori multilaterali e la governance globale. Mentre sui facilitatori, la comunicazione Ue dà priorità alla massimizzazione dell’interazione e al rafforzamento del coordinamento Ue-India a tutti i livelli. In questo senso, propone di sviluppare un quadro completo di cooperazione per la mobilità che comprenda studio, lavoro e ricerca. Così come di sviluppare “un più profondo coinvolgimento della società civile, dei giovani e dei think tank” e di creare “un Forum imprenditoriale Ue-India” per il coinvolgimento del mondo imprenditoriale. Ma oltre ai punti di forza e di condivisione, ci sono elementi di differenza tra le due parti. Che saranno affrontate nel dialogo che l’Ue, dopo la proposta odierna, è pronta a far partire con l’India per sviluppare un’agenda strategica globale condivisa. “Il collegio ha espresso esitazioni su quali siano le aree su cui siamo in disaccordo“, ha ammesso Kallas. Ad esempio, i suoi legami con Mosca. “La partecipazione dell’India alle esercitazioni militari russe e l’acquisto di petrolio russo ostacolano legami più stretti, perché in definitiva la nostra partnership non riguarda solo il commercio, ma anche la difesa di un ordine internazionale basato su regole”, ha scandito.

Un altro elemento di preoccupazione riguarda l’apertura di Bruxelles a concludere un accordo sulle indicazioni geografiche, andando a toccare la questione del riconoscimento del riso basmati come Igp indiana come Indicazione geografica protetta (Igp)indiana quando tale attribuzione è un altro terreno di scontro e di contesa tra India e Pakistan. Il commissario al Commercio, Maros Sefcovic, ha chiarito che il tema rappresenta “uno dei problemi nell’elenco” del confronto con New Delhi. “E’ stato discusso e sarà discusso” e “sono stato molto contento che il mio caro collega, il commissario per l’agricoltura Hansen, fosse con me” nel viaggio in India, la scorsa settimana per poter “avere uno scambio molto franco e aperto su tutte le categorie di prodotti agricoli”, ha ricordato. “Ma preferirei informare sui risultati una volta chiuso questo capitolo e non è ancora successo. C’è ancora del lavoro da fare”, ha affermato. Tutte questioni scivolose che saranno affrontate nelle trattative con Nuova Delhi. “I nostri negoziati affronteranno queste sfide con l’obiettivo di adottare una tabella di marcia congiunta al vertice Ue-India all’inizio del 2026”, ha concluso Kallas

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Allarme delle imprese Ue: “Difficile accedere alle terre rare cinesi”

Le aziende europee continuano ad avere difficoltà ad accedere alle terre rare prodotte in Cina, nonostante un accordo recentemente annunciato per facilitarne le esportazioni. A lanciare l’allarme è la Camera di commercio dell’Unione europea in Cina.

Pechino domina l’estrazione e la raffinazione delle terre rare, onnipresenti nelle industrie digitali, energetiche e degli armamenti, ponendosi, quindi, in una posizione di vantaggio in un contesto di tensioni commerciali e braccio di ferro con gli Stati Uniti. Da aprile la Cina richiede una licenza per l’esportazione di terre rare, decisione percepita come una misura di ritorsione nei confronti dei dazi doganali americani.

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva riferito a luglio di un accordo con la Cina su un meccanismo di esportazione “migliorato” per fornire, secondo lei, una soluzione rapida a un problema di approvvigionamento. Tuttavia, la Camera di commercio dell’Unione europea in Cina riferisce in una documento pubblicato oggi che “molte aziende, in particolare le piccole e medie imprese, continuano a subire gravi perturbazioni nelle loro catene di approvvigionamento”. “Non è stata proposta alcuna soluzione sostenibile a lungo termine”, si legge nel testo. “Alcuni dei nostri membri stanno attualmente subendo perdite significative a causa di queste strozzature”, ha dichiarato ai giornalisti il presidente dell’istituzione, Jens Eskelund. “I nostri membri e noi abbiamo formulato più di 140 richieste, solo una parte delle quali ha trovato una soluzione” in questa fase, ha affermato.

La Camera di commercio dell’Ue in Cina rappresenta oltre 1.600 aziende. Nel suo rapporto formula 1.141 raccomandazioni all’attenzione dei decisori politici cinesi per ridurre gli ostacoli incontrati dagli imprenditori europei. Queste difficoltà si inseriscono in un contesto di persistenti difficoltà della seconda economia mondiale, ha affermato Eskelund. Secondo i dati pubblicati lunedì, ad agosto la produzione industriale ha registrato il tasso di crescita più basso da un anno, mentre le vendite al dettaglio, principale indicatore dei consumi, sono cresciute al ritmo più basso degli ultimi nove mesi. Il presidente della Camera di commercio ha affermato di osservare “una maggiore convergenza tra le sfide che devono affrontare le imprese cinesi e quelle straniere”. “Il nemico principale qui è lo stato dell’economia nazionale e l’equilibrio tra domanda e offerta”, ha aggiunto.

Epitaffio di Draghi per l’Europa di Ursula che ora deve cambiare

“Grazie Mario”, ha ripetuto con enfasi Ursula von der Leyen. Grazie per tutto quello che hai detto e costruito per l’Europa. Insomma, grazie di esistere. Poi, però, Mario, nella fattispecie Draghi, ex presidente della Bce, ex premier, una luce nel buio di questi tempi, ha smontato pezzo dopo pezzo tutto quello che l’Unione europea ha fatto, anzi non ha fatto, (proprio) durante la gestione passata e presente della presidente tedesca. Perché il discorso di Draghi sullo stato di salute malandatissimo del vecchio Continente è stato molto crudo e diretto, partendo dal presupposto che “a distanza di un anno, l’Europa si trova quindi in una situazione più difficile” e che “l’inazione non minaccia solo la nostra competitività ma anche la nostra sovranità”. Liofilizzando il concetto: vi avevo avvertito ma le mie parole sono cadute nel vuoto. E adesso sono grane.

In un (per niente tranquillo) martedì di metà settembre, Draghi ha messo a nudo i difetti della Ue targata Ursula: lenta, avvitata su se stessa, incapace di decidere, imbolsita dalla burocrazia e dalla smania regolamentare, non ancora del tutto convinta che il green deal come era stato pensato da Frans Timmermans debba essere profondamente rivisitato. Giusto un anno fa l’ex premier aveva presentato il suo rapporto, un’istantanea che riscosse consensi ma che in concreto non ha spostato di un millimetro il baricentro della Ue, ormai bersaglio di critiche diffuse proprio da parte dei più europeisti tra gli europeisti. Antonio Tajani, ad esempio, ministro degli Esteri ed ex presidente del Parlamento, pochi minuti prima che Draghi si prendesse la scena aveva assestato un paio di ceffoni a Bruxelles, parlando della necessità urgente di cambiare registro, del bisogno di dire basta all’unanimità del voto, dell’imperativo di arrivare a una Difesa europea. Non proprio peanuts.

Il paragone di Draghi è quello con gli Stati Uniti e la Cina. Che sono giganti ma che agiscono velocemente, mentre l’Europa sta deludendo i cittadini per “la lentezza e la sua incapacità di muoversi con la stessa rapidità”. Il punto, ancora più grave, è che i governi che compongono l’Europa non sono consapevoli – stigmatizza l’ex commissario – della gravità della situazione. Intanto che si discute e ci si accapiglia, il “modello di crescita sta svanendo”, “la vulnerabilità sta aumentando” e “non esiste un percorso chiaro per finanziare gli investimenti di cui abbiamo bisogno”.

Una pietra tombale, un epitaffio su ‘questa’ Europa, quella di von der Leyen. Che ha incassato la scarica di cazzotti senza (quasi) fare una piega e promesso un cambio di passo su energia (nucleare), Difesa e intelligenza artificiale. Ecco: conviene che, rispetto alla prima volta, ‘questa’ volta Ursula faccia sul serio, ritrovi l’Unione (U rigorosamente maiuscola) e metta a terra promesse e sogni. A Strasburgo, una settimana fa, il suo discorso è stato coniugato sempre e solo al tempo futuro, conviene che viri sul presente oppure tra un anno saranno inutili anche le scosse di Mario.

Draghi bacchetta l’Europa: “La crescita perde slancio. L’inazione minaccia competitività e sovranità”

“A distanza di un anno, l’Europa si trova quindi in una situazione più difficile. Il nostro modello di crescita sta perdendo slancio. Le vulnerabilità aumentano. E non esiste un percorso chiaro per finanziare gli investimenti di cui abbiamo bisogno. Ci è stato dolorosamente ricordato che l’inazione minaccia non solo la nostra competitività, ma anche la nostra stessa sovranità”. A dodici mesi dalla presentazione del rapporto che metteva in guardia dal “ritardo” economico del Vecchio Continente rispetto agli Stati Uniti e alla Cina, Mario Draghi, ex presidente della Banca centrale europea ed ex presidente del Consiglio, ha esortato martedì l’Europa a uscire dalla sua “lentezza” e a condurre riforme per ripristinare la sua competitività. Invitato dalla Commissione europea a tracciare un primo bilancio – alla presenza di Ursula von der Leyen – dodici mesi dopo la presentazione delle sue raccomandazioni, l’economista è stato, come sempre, molto schietto.

Pur lodando la determinazione ad agire della Commissione, che aveva fatto propria la sua diagnosi e da allora ha lanciato molteplici iniziative ispirate alle sue raccomandazioni, Draghi ha ritenuto che “le imprese e i cittadini” sono delusi “dalla lentezza dell’Europa e dalla sua incapacità di muoversi con la stessa rapidità” degli Stati Uniti o della Cina. “L’inazione minaccia non solo la nostra competitività, ma anche la nostra sovranità”, ha avvertito, rammaricandosi che “i governi non siano consapevoli della gravità della situazione”.

Secondo i calcoli del centro di riflessione EPIC di Bruxelles, solo l’11% delle 383 raccomandazioni formulate da Draghi nella sua relazione sul “futuro della competitività europea” sono state attuate completamente e circa il 20% in modo parziale. Anche gli economisti della Deutsche Bank Marion Muehlberger e Ursula Walther ritengono in una nota che “i progressi nel complesso siano contrastanti”, con “riforme sostanziali” attuate o avviate, ma senza che vi sia nulla che possa cambiare radicalmente la situazione in questa fase.

Tra i principali progressi, c’è la ripresa dell’industria della difesa. L’urgenza di riarmare l’Europa di fronte alla minaccia russa ha spinto i 27 Stati membri a lanciarsi in uno sforzo collettivo di reindustrializzazione, con notevole agilità. La settimana scorsa, la Commissione ha annunciato di aver stanziato 150 miliardi di euro di prestiti a 19 paesi, nell’ambito di una serie di misure volte a mobilitare fino a 800 miliardi di euro. L’Europa si è anche dotata di una piattaforma comune per garantire l’approvvigionamento di materie prime “critiche” e ha moltiplicato le iniziative nel campo dell’intelligenza artificiale. Tutti risultati sottolineati von der Leyen, che, ricevendo Mario Draghi, ha riconosciuto la necessità di accelerare i tempi per raddrizzare la barra.

La Commissione, ha detto, “manterrà senza sosta la rotta fino a quando tutto sarà completato” e ha esortato le altre istituzioni europee a unirsi al movimento, in particolare il Parlamento, che non ha ancora adottato una serie di leggi di semplificazione normativa denominate Omnibus. “Abbiamo bisogno di un’azione urgente per far fronte a esigenze urgenti, perché le nostre imprese e i nostri lavoratori non possono più aspettare”, ha detto von der Leyen.

Secondo la Deutsche Bank, queste misure di semplificazione potrebbero far risparmiare alle imprese europee circa 9 miliardi di euro all’anno. La presidente dell’esecutivo europeo ha invitato inoltre ad attuare “con senso di urgenza”  il completamento del mercato unico, un vasto progetto che consiste nell’eliminare entro il 2028 molteplici barriere interne che continuano a frenare l’attività economica in numerosi settori. Secondo il Fondo monetario internazionale, tali ostacoli rappresentano l’equivalente del 45% dei dazi doganali sui beni e del 110% sui servizi. Per Simone Tagliapietra, esperto dell’istituto Bruegel, “il messaggio di Draghi è molto chiaro: o l’Europa cambia modello economico, o è destinata a scomparire”. E questo messaggio è rivolto in primo luogo agli Stati membri, dove secondo lui risiede il principale ostacolo alle riforme.

Clima, in Ue non c’è l’accordo dei 27 sugli obiettivi al 2040. Decisione attesa per fine anno

L’Europa sta perdendo la sua leadership in materia di clima? Il blocco tra i 27 paesi membri sull’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra nel 2040 persiste e rischia di non essere risolto prima della conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà a novembre in Brasile.
Venerdì a Bruxelles, un incontro tra diplomatici ha messo nuovamente in luce le divisioni tra gli europei. A questo punto, non esiste una chiara maggioranza all’interno dell’Unione europea a sostegno dell’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni di gas serra nel 2040 rispetto al 1990 proposto dalla Commissione.

Diversi paesi, tra cui Francia, Germania, Italia e Polonia, hanno chiesto di rinviare la discussione a un vertice tra capi di Stato e di governo nel mese di ottobre. La Danimarca, che detiene la presidenza di turno dell’Unione europea, sperava di raggiungere un compromesso già il 18 settembre durante una riunione dei ministri dell’ambiente. Ma i diplomatici danesi hanno dovuto fare marcia indietro, contro la loro volontà, e ora puntano a un accordo “entro la fine dell’anno”. La grande conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP30) è prevista dal 10 al 21 novembre a Belem, in Brasile. E martedì la Commissione europea si diceva ancora convinta che l’Unione avrebbe avuto entro quella data un “obiettivo ambizioso” da “portare sulla scena internazionale”. Questo calendario è ora a rischio.

Nei corridoi di Bruxelles, alcuni diplomatici evocano la possibilità che l’Unione europea si presenti a Belém con una forbice di riduzione delle emissioni di gas serra, ma senza una cifra definitiva. In nome della difesa della loro industria, Stati come l’Ungheria, la Polonia e la Repubblica Ceca hanno ripetutamente ribadito la loro opposizione alla riduzione del 90% raccomandata dalla Commissione. All’inizio di luglio Bruxelles ha introdotto delle “flessibilità” nel metodo di calcolo: la possibilità di acquisire crediti di carbonio internazionali, pari al 3% del totale, che finanzierebbero progetti al di fuori dell’Europa. Ma questa concessione non è stata sufficiente a convincerli.

Da parte sua, la Francia ha mantenuto una posizione ambigua, criticando il metodo della Commissione e chiedendo garanzie sulla difesa del nucleare o sul finanziamento delle “industrie pulite”. Dal punto di vista dei suoi obblighi internazionali, Parigi sottolinea che l’Ue deve solo presentare un percorso per il 2035 – e non per il 2040 – alla COP30 e chiede di separare le due discussioni.

Se l’obiettivo climatico 2040 fosse sottoposto a votazione a livello di capi di Stato e di governo, sarebbe necessaria l’unanimità, molto difficile da raggiungere. Una votazione a livello di ministri dell’ambiente richiede invece solo una maggioranza qualificata. Alle Nazioni Unite si teme che l’Ue perda l’effetto trainante che ha avuto finora sulle questioni ambientali. “Tutti sanno perfettamente che rimaniamo tra i più ambiziosi in materia di azione per il clima”, ha risposto all’AFP il commissario europeo Wopke Hoekstra.

Cina impone dazi provvisori su import carne suina da Ue. Bruxelles: “Non ci risulta dumping”

La Cina ha annunciato l’imposizione di dazi antidumping provvisori sulle importazioni di carne suina dall’Unione Europea come ultimo atto delle tensioni commerciali e politiche tra le due potenze economiche. In risposta, la Commissione Europea adotterà “tutte le misure necessarie per difendere i suoi produttori e fabbricanti”, ha fatto sapere un portavoce. Le relazioni diplomatiche tra Pechino e Bruxelles sono difficili da anni, aggravate dall’invasione russa dell’Ucraina nel 2022, dato che il gigante asiatico è un partner economico e diplomatico chiave di Mosca.

Con grande irritazione degli europei, infatti, Pechino non ha mai condannato la guerra in Ucraina, nonostante la Cina si presenta ufficialmente come parte neutrale e potenziale mediatore nel conflitto. Ma gli alleati di Kiev accusano Pechino di aiutare Mosca ad aggirare le sanzioni occidentali, in particolare consentendole di acquisire i componenti tecnologici necessari per la sua produzione di armi. La controversia commerciale tra Pechino e Bruxelles è scoppiata la scorsa estate, quando l’Ue ha imposto pesanti dazi sui veicoli elettrici di fabbricazione cinese, accusando i sussidi statali cinesi di distorcere la concorrenza. La Cina ha respinto queste accuse e, in risposta, nel giugno 2024 ha avviato indagini, ampiamente considerate misure di ritorsione, contro carne di maiale, cognac e prodotti lattiero-caseari importati dall’Ue. “L’autorità inquirente ha stabilito in via preliminare che le importazioni di carne suina e derivati ​​dall’Unione Europea sono oggetto di dumping”, ha annunciato oggi il Ministero del Commercio cinese. L’industria cinese “ha subito un danno significativo”, ha aggiunto. Le autorità di Pechino hanno quindi deciso di attuare “misure antidumping provvisorie sotto forma di cauzioni” da depositare presso la dogana.

Questi dazi, che vanno dal 15,6% al 62,4%, entreranno in vigore il 10 settembre. Tuttavia, le misure annunciate rimangono “provvisorie” perché si prevede che l’indagine del Ministero del Commercio continui fino a dicembre. Per quella data si attendono i risultati definitivi. “Prendiamo atto di questa decisione della Cina. Come sempre, dovremo esaminare i dettagli in modo analitico prima di decidere i prossimi passi”, ha dichiarato Olof Gill, portavoce della Commissione europea. La Commissione, ha spiegato, ha seguito questi procedimenti “in modo completo e molto attento in tutte le fasi, in piena collaborazione con i nostri produttori esportatori dell’Ue e le autorità dei nostri Stati membri. Secondo la nostra valutazione, questa indagine si basava su accuse discutibili e prove insufficienti e quindi non era in linea con le norme dell’Organizzazione mondiale del commercio per l’avvio di un’indagine”. Quindi, ora, “studieremo i dettagli, decideremo i prossimi passi, ma posso assicurarvi categoricamente che adotteremo tutte le misure necessarie per difendere i nostri produttori e la nostra industria“. La Cina è il maggiore consumatore mondiale di carne di maiale, una carne ampiamente utilizzata nella cucina locale. Ad esempio, lo scorso anno ha importato prodotti a base di carne di maiale dalla Spagna, uno dei principali produttori europei, secondo dati diffusi dalla dogana cinese. “Questa è una pessima notizia per l’industria suina nel suo complesso, e non solo per le esportazioni, perché avrà sicuramente un impatto al ribasso sui prezzi alla produzione in Europa”, ha dichiarato Thierry Meyer, vicepresidente di Inaporc, l’associazione francese dell’industria suinicola. “Non si sono mai verificate pratiche di dumping europee in Cina, perché se vengono vendute lì è perché i prezzi sono buoni. Questa indagine è nata in seguito alla questione delle tasse sulle auto elettriche“, ha aggiunto.

Ucraina, Macron: “Sostegno militare da 26 Paesi, anche Italia”. Meloni: “Non invieremo truppe”

Ventisei Paesi si impegnano a sostenere militarmente l’Ucraina, “via terra, mare o aria“, dopo un cessate il fuoco con la Russia. Ma ognuno con modalità proprie: “Il loro contributo andrà dalla rigenerazione dell’esercito ucraino, al dispiegamento di truppe o la messa a disposizione di basi”, spiega Emmanuel Macron dopo il vertice dei volenterosi di Parigi.

L’inquilino dell’Eliseo non entra nei dettagli per non dare vantaggi a Mosca, ma precisa che Italia, Polonia e Germania sono tra i 26. “L’Italia è indisponibile a inviare soldati in Ucraina“, si affretta a precisare Giorgia Meloni in una nota, confermando però l’apertura a supportare un eventuale cessate il fuoco con “iniziative di monitoraggio e formazione al di fuori dei confini ucraini”. La premier, collegata con Parigi in videoconferenza, rilancia la proposta di un meccanismo difensivo di sicurezza collettiva ispirato all’articolo 5 del Trattato di Washington, come “elemento qualificante” della componente politica delle garanzie di sicurezza. Per Meloni una pace giusta e duratura può essere solo raggiunta con un approccio che unisca il continuo sostegno all’Ucraina, il perseguimento di una cessazione e il “mantenimento della pressione collettiva sulla Russia“. Anche attraverso le sanzioni, e “solide e credibili garanzie di sicurezza”, da definire in “uno spirito di condivisione tra le due sponde dell’Atlantico“, mette in chiaro.

Il nodo resta infatti il contributo degli Stati Uniti alle garanzie. Che ci sarà, assicura Macron, ma verrà definito nei prossimi giorni. Del sostegno o “backstop” americano si è parlato nella videoconferenza con Trump dopo il vertice, alla quale ha partecipato in parte anche il suo inviato speciale Steve Witkoff, presente all’Eliseo. La speranza degli europei è che Washington contribuisca in “modo sostanziale”, riferisce il portavoce del cancelliere tedesco Friedrich Merz. Di certo, Trump spinge l’Europa a interrompere l’acquisto di petrolio russo, che a suo dire aiuterebbe Mosca a proseguire la guerra. E’ “molto scontento che l’Europa acquisti petrolio russo”, ribadisce in conferenza stampa il presidente ucraino Volodomyr Zelensky, dopo il collegamento del Tycoon con il vertice, citando in particolare Slovacchia e Ungheria

. In base ai piani dei volenterosi, di cui Macron rifiuta di specificare i contributi paese per paese, il giorno in cui il conflitto cesserà “saranno messe in atto le garanzie di sicurezza”, fa sapere il presidente, sia attraverso un “cessate il fuoco”, un “armistizio” o un “trattato di pace”. Intanto, se Mosca non accetterà la pace, l’Europa adotterà nuove sanzioni “in collaborazione con gli Stati Uniti” e misure punitive contro i paesi che “sostengono” l’economia russa o aiutano la Russia ad “aggirare le sanzioni”. La Cina è nel mirino.

Gli europei chiedono sanzioni americane da mesi, finora senza successo. Trump, dicendosi “molto deluso” da Putin, aveva avvertito nei giorni scorsi che “succederà qualcosa” se Mosca non risponderà alle sue aspettative di pace. La Russia ribadisce che non accetterà alcun “intervento straniero di qualsiasi tipo”, con la portavoce della diplomazia russa Maria Zakharova che definisce le protezioni richieste da Kiev “garanzie di pericolo per il continente europeo”. “Non spetta a loro decidere”, replica Mark Rutte a nome della Nato. Quella di oggi è stata una “riunione cruciale“, rimarca la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che sull’importanza del dossier non ha dubbi: “Sappiamo tutti che la posta in gioco è il futuro e la sicurezza dell’intero continente”.

Via libera dell’Ue all’accordo con il Mercosur: rafforzate clausole di salvaguardia

Via libera da parte della Commissione europea all’accordo di partenariato Ue-Mercosur e all’accordo globale modernizzato Ue-Messico. Ora, dopo l’adozione da parte del collegio dei commissari, il trattato di libero scambio dovrà essere sottoposto agli Stati membri e ai deputati europei. L’obiettivo, come spiega il commissario al Commercio, Maros Sefcovic, è quello di arrivare a un accordo tra i 27 entro la fine dell’anno, cioè finché il presidente brasiliano Lula ricoprirà la presidenza di turno del Mercosur.

L’intesa (“La più grande zona di libero scambio al mondo, che coprirà un mercato di oltre 700 milioni di consumatori”, per l’esecutivo Ue) rappresenta per Bruxelles un’opportunità per l’export e per l’occupazione. Il commercio bilaterale Ue-Mercosur oggi vale 112 miliardi di euro e oltre 30mila piccole e medie imprese europee esportano verso Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay. Con l’entrata in vigore dell’accordo, dice Sefcovic, “prevediamo che le esportazioni cresceranno del 39% arrivando a 50 miliardi di euro e un guadagno in termini di Pil di 77,6 miliardi di euro entro il 2040 per l’Ue”. Oltre 440mila i posti di lavoro che dovrebbero essere garantiti.

Notevoli i risparmi anche sul fronte delle imposte doganali. Per la Commissione, l’accordo ridurrà i dazi “spesso proibitivi” del Mercosur sulle esportazioni dell’Ue, compresi quelli sui prodotti industriali chiave, come le automobili (attualmente al 35%), i macchinari (14-20%) e i prodotti farmaceutici (fino al 14%). E con il Mercosur si punta anche ad aumentare del 50% le esportazioni agroalimentari europee, dal momento che si riducono “le elevate tariffe sui principali prodotti”, in particolare vino e alcolici (fino al 35%), cioccolato (20%) e olio d’oliva (10%)”. Le imprese europee e il settore agroalimentare dell’Unione “trarranno immediatamente vantaggio dalla riduzione delle tariffe doganali e dei costi, contribuendo alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro”, precisa la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Anche l’accordo modernizzato tra l’Ue e il Messico punta a “cancellare i dazi proibitivi” ancora in vigore sull’export europeo. Complessivamente, spiega Sefcovic, saranno eliminate imposte doganali per un valore di 100 milioni di euro all’anno.

Uno dei punti più contestati nei mesi scorsi e sul quale ancora oggi persistono delle riserve – a cominciare dalla Polonia – è quello relativo alle clausole di salvaguardia, sulle quali la Francia ha guidato una ‘rivolta’ all’interno dei Ventisette. Il timore era che facilitare l’ingresso in Ue di prodotti come carne bovina, pollame, zucchero, etanolo, riso o miele potesse indebolire alcuni settori agricoli europei. Ecco perché Parigi – e molti altri Stati membri – hanno chiesto alla Commissione di rafforzare le tutele e, dopo mesi di negoziati, Bruxelles ha annunciato misure di protezione aggiuntive su “prodotti agricoli sensibili”.

In primo luogo, spiega l’esecutivo europeo, l’intesa limita le importazioni preferenziali di prodotti agroalimentari dal Mercosur a una frazione della produzione dell’Ue (ad esempio, l’1,5% per le carni bovine e l’1,3% per il pollame). In secondo luogo, “istituisce solide misure di salvaguardia che proteggono i prodotti europei sensibili da qualsiasi aumento dannoso delle importazioni dal Mercosur”. In questo senso, la Commissione propone di integrare l’accordo con un atto giuridico che renda operativo il capitolo sulle misure di salvaguardia bilaterali del partenariato. Questo atto, che dovrà essere adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio, “mira in particolare a proteggere i settori agricoli cruciali e più sensibili dell’Ue, riconoscendo le preoccupazioni degli agricoltori europei”.

“So che sussistono delle preoccupazioni, soprattutto dal mondo degli agricoltori, ma abbiamo prestato ascolto a tutti”, assicura Sefcovic. L’accordo, dice il vicepresidente esecutivo della Commissione, Raffaele Fitto “sarà accompagnato da misure concrete: controlli e verifiche rafforzati nei Paesi partner, standard di sicurezza alimentare più rigorosi e ulteriori strumenti a tutela dei nostri standard ambientali e sociali”. Ma non solo. “Se ci fossero delle turbolenze nel mercato, proponiamo 6,3 miliardi di euro provenienti dalla rete di sicurezza nell’ambito del prossimo quadro finanziario pluriennale che sosterrà il settore agricolo”, precisa Sefcovic.