Alleanza di grandi città chiede all’Ue politiche abitative più sostenibili: ci sono anche Roma, Bologna e Milano

Nove grandi città europee hanno scritto alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, chiedendo di svolgere un ruolo di primo piano nella definizione delle politiche abitative dell’Ue e di avere la capacità di gestire direttamente i fondi europei in questo settore. I leader comunali che hanno firmato la lettera sono Jaume Collboni (Barcellona), Roberto Gualtieri (Roma), Femke Halsema (Amsterdam), Matteo Lepore (Bologna), Gergely Karácsony (Budapest), Giuseppe Sala (Milano), Carlos Moedas (Lisbona), Burkhard Jung (Lipsia) e Bruno Bernard (presidente della Metropoli di Lione).

In particolare, citano la crisi abitativa che colpisce le città e le aree metropolitane come una delle sfide “più urgenti” che richiedono una risposta “rapida ed efficiente”. “La scarsità di alloggi sociali a prezzi accessibili – spiegano – la crescita degli affitti e l’aumento dei prezzi degli immobili stanno portando a un problema complesso, che colpisce in particolare i giovani e le classi lavoratrici”.

Nella lettera, i sindaci rilevano “il contesto favorevole per affrontare questa situazione globale”, sottolineando “la decisione di creare la nuova figura di Commissario europeo per l’energia e l’edilizia abitativa, la proposta di creare un Piano europeo per gli alloggi a prezzi accessibili e i piani per istituire un gruppo di lavoro dell’Ue su questo tema”.

In questo scenario, in quanto livello di governo più vicino ai cittadini, le città vogliono iniziare a sviluppare un’agenda di lavoro comune che le metta al centro delle politiche abitative strutturali della Commissione europea. A tal fine, le città stanno collaborando e fissando obiettivi specifici per i leader europei. In primo luogo chiedono “un ruolo permanente per le città nei processi decisionali, dove possono offrire la loro vasta esperienza in materia di esigenze e sfide abitative”. Questo ruolo riconoscerebbe le città come motori dell’innovazione e della crescita e garantirebbe risultati tangibili nel breve termine. Poi, invitano Bruxelles a sviluppare “una corsia preferenziale” per l’accesso delle città ai finanziamenti dell’Ue per le misure volte a mitigare la mancanza di alloggi a prezzi accessibili. Si chiede, anche, un’accesso diretto a parte dei Fondi di coesione dell’Ue per le amministrazioni locali. “Questa disponibilità diretta di fondi – spiegano i firmatari della lettera – permetterebbe di avere un impatto più immediato sulla vita dei cittadini”.

Questa nuova iniziativa per mettere in rete le principali città europee si basa sul lavoro a livello comunale svolto in reti di organizzazioni come Eurocities e C40, dove le città lavorano insieme per chiedere politiche dell’Unione europea per affrontare collettivamente questo problema.

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Ue, Meloni: Avanti su non paper auto, stop ideologia. Musk? Non prendo ordini da nessuno

Giorgia Meloni va in Europa per ribadire il suo no al Green deal “dettato dall’ideologia”. La presidente del Consiglio, nella replica in aula, al Senato, al termine della discussione sulle comunicazioni in vista del Consiglio Ue di domani, tocca diversi argomenti, in un clima tutt’altro che natalizio, vista la tensione con le forze di opposizione.

La premier non cambia una virgola della sua linea: “Nessuno nega che ci sia un tema legato all’emergenza climatica, né si mettono in dubbio gli obiettivi che si è prefissata l’Unione europea“, semmai “quello che continuiamo a contestare è la strategia con la quale l’Ue ha ritenuto di dover conseguire questi obiettivi”. Il concetto è chiaro: “Va bene la sostenibilità, ma non a prezzo della deindustrializzazione” per un settore produttivo, come quello europeo, che la premier definisce “tra i più verdi al mondo”. Dunque, “se lo massacriamo non solo creiamo un ulteriore problema alla competitività, ma anche all’ambiente, perché altri attori sulla scena globale non seguono i nostri stessi standard”, avverte.

Ogni riferimento all’automotive è puramente voluto. Il tema è ancora caldissimo nel day after il tavolo Stellantis al Mimit. Meloni ricorda a Palazzo Madama che è tutto il comparto europeo a soffrire, non solo l’Italia, ragion per cui “bisogna creare un equilibrio tra la sostenibilità ambientale, economica e sociale” attraverso la neutralità tecnologica, cioè non escludere a priori soluzioni. Come la scelta Ue di puntare sull’elettrico, “una corsa non molto sensata – afferma in aula – visto che non ne deteniamo né la tecnologia, né le materie prime”. Il governo punta molte delle sue fiches politiche sul non paper presentato assieme alla Repubblica Cecaper chiedere di rivedere alcune decisioni, come la fine della produzione dei motori endotermici o le multe alle industrie da miliardi di euro, che stanno causando le chiusure di diverse aziende“. La presidente del Consiglio è “ottimista, perché tanti Paesi ci stanno seguendo su questa strategia”.

Su un foglietto Meloni appunta quello che, in fase di discussione, le ha fatto storcere il naso. Poi risponde. Ad esempio, non digerisce i passaggi degli interventi di Mario Monti e Matteo Renzi sul rapporto con Elon Musk. Al senatore a vita, che parla di “protettorato morale” offerto al patron di Tesla e X, replica con durezza: “Non so che film abbiate visto, ma bisogna capirci su una differenza fondamentale tra me e quello che abbiamo visto in questi anni con tanti leader: posso essere amica di Musk e allo stesso tempo essere premier di un governo che per primo in Europa regola l’attività dei privati nello Spazio”, perché “io non prendo ordini da nessuno”. Non è tenera nemmeno col fondatore di Iv: “Renzi è amico di Obama e si metteva il suo stesso cappotto, io sono amica di Milei ma non mi faccio mica crescere le basette”.

Altro argomento delicato è l’accordo tra Ue e Mercosur. Il governo si è messo in stand by, attirando le accuse dell’opposizione. Anche in questo caso i toni si accendono: “E’ giusto rafforzare i rapporti con l’America Latina, ma questi accordi di libero scambio, in quadro europeo già complesso, possono aiutare alcuni ambiti industriali e allo stesso tempo danneggiare alcune filiere agricole”. Perché l’Europa “ha imposto ai nostri agricoltori regole stringenti, ma se poi gli diciamo di importare da Paesi che non hanno le stesse regole, creiamo uno squilibrio che pagheremo”. Dunque, “chiediamo di sapere cosa la Commissione ha intenzione di fare per compensare gli squilibri che si potrebbero creare e la nostra risposta è sottomessa a questa scelta”, sottolinea la premier.

C’è spazio anche per la legge di Bilancio, che domani sarà in aula alla Camera e entro venerdì sarà votata con la fiducia. A chi le contestava di stroncare il dibattito parlamentare, la presidente lancia un’offerta di ‘pace’: “Ho chiesto che ci fosse il massimo tempo possibile, ma abbiamo dei vincoli comunque che sono europei. Se ci fosse un accordo sui tempi senza voto di fiducia sarei più che disponibile”. A proposito di contrapposizioni, Meloni replica anche sulle posizioni europee della Lega. “Ha votato per Raffaele Fitto e non per la Commissione Ue, mentre il Partito socialista europeo, di cui il Partito democratico fa parte, ha chiesto fino all’ultimo minuto, in una lettera a Ursula von der Leyen, di non dare la vicepresidenza al commissario indicato dall’Italia”. Sul punto si sofferma diversi minuti, puntando il dito verso i banchi dem: “Il Pd ha accettato che il commissario italiano fosse preso ostaggio per difendere il commissario spagnolo. E’ gravissimo”. Gli animi si scaldano, il tempo si dilata e così oltre non si va: Meloni fa gli auguri ai senatori, il presidente La Russa ricambia.

Cina leader mondiale pure nella produzione di mele e pere. La Ue perde colpi

Non solo nell’industria o nell’auto. La Cina è leader anche nella produzione di mele e pere. Secondo le previsioni diffuse dall’Usda, il Dipartimento Agricoltura americano, la produzione mondiale di mele per il 2024/25 è prevista in calo di quasi 350.000 tonnellate, raggiungendo i 84 milioni, a causa delle perdite nell’Unione Europea, negli Stati Uniti, in Turchia e in Russia, che compensano ampiamente l’aumento della produzione in Cina. Le esportazioni sono previste in calo di meno di 100.000 tonnellate, a 6,1 milioni, con una riduzione delle spedizioni dagli Stati Uniti e dall’Iran che annulla l’aumento delle esportazioni dalla Cina. La produzione cinese è prevista in aumento di 1,5 milioni di tonnellate, raggiungendo i 48 milioni, mentre quella della Ue è stimata in calo di 1,1 milioni di tonnellate, a quota 11 milioni, per la scarsa impollinazione e delle gelate primaverili dannose in Polonia, il principale produttore. Le esportazioni sono previste stabili a 950.000 tonnellate, nonostante il calo della produzione, grazie alla ripresa delle spedizioni verso l’Egitto, dopo il minimo di sei anni dello scorso anno. Le importazioni sono previste in aumento di quasi il 40%, a 350.000 tonnellate, per compensare il calo della produzione.

La produzione mondiale di pere per 2024/25 è invece prevista in aumento di quasi 400.000 tonnellate, raggiungendo i 25,9 milioni. E pure in questo caso la crescita della Cina compenserà ampiamente le perdite legate alle condizioni meteorologiche negli Stati Uniti. La produzione cinese è prevista in aumento di 350.000 tonnellate, per un totale di 20,2 milioni, grazie a un raccolto abbondante nella principale regione produttrice di Hebei: sesto anno consecutivo di crescita, nonostante la diminuzione delle superfici coltivate a causa di ritorni negativi, l’invecchiamento degli agricoltori e le politiche governative che mirano a convertire i frutteti in coltivazioni di cereali. Anche in Europa la produzione salirà di circa 60.000 tonnellate, per un totale di 1,9 milioni, poiché la ripresa in Italia compensa ampiamente i cali legati al clima e alle malattie in Belgio, Paesi Bassi e Spagna. Tuttavia, la produzione rimane al di sotto della media degli ultimi cinque anni.

L’Usda americano ha infine analizzato le prospettive per la prossima stagione dell’uva da tavola. La produzione mondiale è prevista in aumento di quasi 1 milione di tonnellate, arrivando a 28,9 milioni, poiché i maggiori volumi in Cina, India e Stati Uniti compensano ampiamente le perdite nell’Unione Europea. La produzione nell’ex celeste impero è stimata in crescita di 700.000 tonnellate, arrivando a 14,2 milioni, grazie alle nuove varietà e alle condizioni climatiche favorevoli che portano a rendimenti più elevati. Calerà invece di 200mila tonnellate, arrivando a quota 1,1 milioni, la produzione nell’Unione Europea, il livello più basso da almeno 20 anni, poiché in Italia la raccolta è stata danneggiata da escursioni termiche e piogge abbondanti, mentre la Grecia ha vissuto una siccità durante la raccolta estiva.

Difesa, Paganini (ICE-Agenzia Bruxelles): Industria italiana è eccellenza

“L’Italia Defence Industry Day è una due giorni che l’Agenzia Ice ha organizzato in stretta collaborazione con il Ministero della Difesa, nell’ambito della quale abbiamo portato le principali aziende italiane del settore della Difesa – 28 imprese – che in due giorni hanno avuto l’opportunità di confrontarsi con le principali realtà presenti qui a Bruxelles, quindi le istituzione comunitarie, il mondo diplomatico, i funzionari della NATO e i vari stakeholders”. Lo ha detto Tindaro Paganini, direttore ICE-Agenzia Bruxelles, a margine dell’Italian Defence Industry Day (IDID) – Building the Defence of the Future: Institutional, Industrial and Technological Cooperation in Europe – l’evento promozionale dedicato all’industria italiana della difesa che, organizzato da ICE-Agenzia, Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, in collaborazione con il Ministero italiano della Difesa, si è tenuto a Bruxelles il 10 e 11 dicembre.

“Non dimentichiamo che a Bruxelles – ha aggiunto – sono presenti tantissime aziende del settore della Difesa, le principali direi, almeno a livello europeo. Abbiamo organizzato anche una giornata specifica all’interno della NATO una giornata, durante la quale si stanno portando avanti una serie di incontri che mi auguro porteranno anche un business fruttuoso per le aziende italiane”.

In merito all’impatto dell’industria italiana della difesa “i numeri parlano da soli, siamo i sesti al mondo. L’industria spazia un po’ in tutti gli ambiti, dal navale alla terra all’innovation. Abbiamo tantissimi settori nei quali siamo veramente all’avanguardia. E’ importante in questi giorni fare delle fare networking, farsi conoscere, entrare sempre meglio e di più in contatto con chi decide e con chi è responsabile degli acquisti”.

Pnrr, Italia risale. Corte conti: Nel 2024 centrati tutti gli obiettivi, migliora spesa

La Corte dei conti certifica l’accelerazione dell’Italia sul Pnrr nel 2024. La magistratura contabile, infatti, approva la relazione semestrale al Parlamento sullo stato dell’arte e mette in fila alcuni dei dati principali sul Piano di ripresa e resilienza. Primo tra tutti quello sui target. Secondo i magistrati contabili “risultano tutti conseguiti i 39 obiettivi europei in scadenza al primo semestre 2024, raggiungendo così un tasso di avanzamento del 43% nel percorso complessivo” che fanno registrare un incremento di 6 punti rispetto al semestre precedente. Così come arriva all’88% la percentuale sugli step procedurali nazionali con finalità di monitoraggio interno.

Migliora anche la spesa, che allo scorso 30 settembre supera i 57,7 miliardi, dunque il 30% delle risorse del Pnrr e circa il 66% di quelle programmate entro l’anno. “L’incremento registrato nel corso dei primi 9 mesi del 2024 è di 12,6 miliardi, il 30% di quanto previsto per l’anno nel cronoprogramma finanziario e circa il 60% delle stime più contenute del DPB di ottobre”, sottolinea la Corte dei conti. Mentre “la procedura di rendicontazione della spesa si trova ancora in uno stadio iniziale” con tempi medi richiesti per l’approvazione dei primi rendiconti da parte delle Amministrazioni centrali titolari delle relative misure, che finora si attestano a circa tre mesi, “in prevalenza dovuti alle verifiche di tipo formale (circa 73 giorni) e per la quota restante ai controlli sostanziali esercitati su base campionaria (oltre 19 giorni)”, spiegano ancora i magistrati contabili. Aggiungendo comunque che le tempistiche allo stato sono “coerenti con le esigenze, da un lato di assicurare il rispetto dei principi di legalità e regolarità della spesa, dall’altro di consentire una celere erogazione di liquidità ai soggetti attuatori per l’ulteriore avanzamento delle iniziative”.

Anche sulle riforme il bilancio è positivo, visto che al 30 giugno 2024 risulta completato il percorso degli obiettivi europei “per il 63% delle 72 misure di riforma (a fronte del dato del 6% degli investimenti)”. Ma la quota “salirà al 66% con il conseguimento degli ulteriori 17 obiettivi europei associati a riforme del II semestre 2024”. L’analisi della Corte spiega che questo progresso “riguarda il complesso delle missioni: tutte presentano una quota di riforme completate superiore al 45%”. Resta, invece, “più contenuto l’avanzamento finanziario delle 7 riforme con dotazione di fondi”: al 30 settembre 2024 “rispetto al totale delle risorse associate, la spesa sostenuta si attesta al 4% (circa 278 milioni su 6,9 miliardi). In 3 casi su 7 la spesa sostenuta è stata pari a zero, mentre nei restanti casi il dato si è attestato a valori inferiori al 31%”.

E’ “sostanzialmente in linea con il cronoprogramma aggiornato” pure l’avanzamento dei 13 investimenti ferroviari, “con il conseguimento dei due target previsti nel semestre in corso lo stato di avanzamento si collocherà al 39%”, sottolinea la magistratura contabile. Mettendo in luce che “un tasso di attuazione simile emerge anche sul piano della spesa” che al 30 settembre 2024 “era pari a poco meno di 8,9 miliardi, circa il 39% della dotazione complessiva”. Il documento è approfondito: circa il 77% dei progetti avviati sono in fase di esecuzione lavori, l’11% è in attesa delle autorizzazioni o della progettazione, l’8% è in fase di aggiudicazione e stipula del contratto e solo il 4% è arrivato al collaudo. “Guardando alla data prevista di chiusura delle diverse fasi, circa il 20% dei progetti appare mostrare ritardi – proseguono i magistrati contabili -. L’esigenza di contrastare il divario infrastrutturale si riflette nell’articolazione territoriale dei progetti che, per il 48,2%, riguardano le Regioni del Sud e le isole. Tuttavia, se si rivolge l’attenzione alla distribuzione per importi, cresce fortemente il peso dei progetti dislocati al Nord (circa la metà delle dimensioni finanziarie complessive)”.

Corposo il capitolo sull’efficientamento energetico degli edifici. La Corte dei conti cita i dati ancora parziali dell’Enea, secondo i quali “è possibile stimare che gli obiettivi della misura, in termini di risparmio energetico e di emissioni di Co2, siano stati ampiamente superati”. Il problema sta nell’analisi costi-benefici, perché “restituisce un tempo di ritorno dell’investimento del Superbonus abbastanza elevato (circa 35 anni), non coerente con l’orizzonte di vita utile degli interventi incentivati”. Stessa lettura considerando “un costo per lo Stato al netto delle maggiori entrate fiscali generate dalla misura (circa 24 anni). Dati – viene sottolineato – che fanno guardare con favore alla scelta del Governo di rivedere, in netta riduzione, la portata agevolativa della misura”. Resta, sullo sfondo dei numeri in miglioramento, un unico nodo ancora irrisolto: l‘ammodernamento delle infrastrutture energetiche, che ha risorse per 5,5 miliardi. “Risulta attivata la ripartizione per 53 progetti, che segnano un grado di avvicinamento ai target assegnati pari al 5,7%”, segnalano i magistrati contabili. Spiegando, però, che questo valore ancora basso è frutto “del cronoprogramma del Piano che prevede la chiusura della fase di selezione dei progetti entro il 2024, per poi concentrarne la fase esecutiva nel biennio 2025-26”.

Firmato accordo Ue-Mercosur. von der Leyen: “Giornata storica, vittoria per Europa”

Photo credit: sito Commissione Ue

 

Dopo un quarto di secolo l’accordo di libero scambio Ue-Mercosur è arrivato. “Oggi si celebra una pietra miliare davvero storica“, ha esordito la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nella conferenza stampa a Montevideo, dopo il vertice con i leader di Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay. A dare l’annuncio, insieme a lei, c’erano il presidente brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva, l’argentino Javier Milei, il paraguaiano Santiago Peña e l’uruguayano, Lacalle Pou. “In un mondo sempre più conflittuale, dimostriamo che le democrazie possono contare l’una sull’altra. Questo accordo non è solo un’opportunità economica, è una necessità politica”, ha affermato la presidente.

L’accordo apre le porte ad un mercato da oltre 700 milioni di consumatori, “una delle più grandi partnership commerciali e di investimento che il mondo abbia mai visto“, ha aggiunto la presidente. L’Ue entra così in un mercato ancora molto protetto, con lo smantellamento progressivo dei dazi sulle esportazioni nel Mercosur di formaggi e prodotti caseari, vino, liquori, cioccolato, ma anche automobili e macchinari, abbigliamento e calzature. E mette le mani sull’enorme bacino di minerali strategici fondamentali per la transizione verde presenti sul continente andino. In particolare, “oggi 60mila aziende esportano nel Mercosur, di cui 30 mila sono piccole e medie imprese. Beneficiano di tariffe ridotte, procedure doganali più semplici e accesso preferenziale ad alcune materie prime essenziali“, ha puntualizzato.

Ma nel Vecchio Continente non tutti sono contenti. Ad esempio, il settore agricolo, che nei mesi scorsi ha protestato anche contro questo accordo. “Ai nostri agricoltori: vi abbiamo ascoltato, abbiamo ascoltato le vostre preoccupazioni e stiamo agendo di conseguenza“, ha detto von der Leyen. “L’accordo protegge 350 indicazioni geografiche dell’Ue. Inoltre, i nostri standard sanitari e alimentari europei rimangono intoccabili. Questa è la realtà, la realtà di un accordo che farà risparmiare alle aziende dell’Ue 4 miliardi di euro di dazi all’esportazione all’anno, espandendo al contempo i nostri mercati e aprendo nuove opportunità di crescita e posti di lavoro da entrambe le parti“, ha illustrato.

Prima di ripartire, von der Leyen ha scritto in un post su X di essere “desiderosa discuterne con i Paesi dell’Ue”. Ed è questo il lavoro che la attende a Bruxelles: vedersela con il Parlamento europeo e con i Paesi membri. In particolare con il presidente francese Emmanuel Macron, che ha definito l’accordo “inaccettabile”. E a Parigi si aggiungono Polonia, Belgio, Irlanda, Lussemburgo. Per quanto riguarda l’Italia, Palazzo Chigi ha precisato che “il governo italiano ritiene che non vi siano le condizioni per sottoscrivere l’attuale testo dell’Accordo di associazione Ue-Mercosur e che la firma possa avvenire solo a condizione di adeguate tutele e compensazioni in caso di squilibri per il settore agricolo“.

Intanto oggi un alto funzionario Ue ha precisato che il testo è “il miglior risultato possibile. Ora è nostro compito spiegare esattamente cosa significa” e “non può essere cambiato“. Ma “si tratta di un accordo nuovo di zecca” mentre “l’unico testo che conoscono” i Paesi contrari è quello del 2019. I nodi si potranno iniziare a sciogliere solo dalla settimana prossima, con la pubblicazione degli elementi dell’intesa. Per ora partirà la revisione legale del testo e poi la traduzione in tutte le lingue ufficiali dell’Ue. A seguire la Commissione lo presenterà al Parlamento e ai governi degli Stati membri dell’Ue per l’approvazione.

Von der leyen

Accordo Mercosur in vista: Von der Leyen a Montevideo. No della Francia, i dubbi dell’Italia

L’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e i membri fondatori del Mercosur – Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay – potrebbe concludersi venerdì. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, con il commissario al Commercio e alla sicurezza economica, Maros Sefcovic, è oggi atterrata a Montevideo, in Uruguay, annunciando che “il traguardo è in vista”. Nella capitale sudamericana, von der Leyen incontrerà il presidente, Luis Lacalle Pou, e venerdì parteciperà al meeting dei leader del Mercosur. “Abbiamo la possibilità di creare un mercato di 700 milioni di persone. Entrambe le regioni ne trarranno beneficio”, ha sottolineato. “Stiamo entrando nel rettilineo finale”, ha aggiunto Sefcovic.

I negoziati Ue-Mercosur sono iniziati nel 2000 e hanno avuto diverse fasi. Il 28 giugno 2019 le due parti hanno raggiunto un’intesa politica per un accordo commerciale, ma il processo è stato poi riaperto per affrontare gli impegni di sostenibilità; a gennaio 2023, le parti hanno concordato una tabella di marcia per la prima metà dell’anno per negoziare uno strumento aggiuntivo rispetto agli impegni assunti nell’ambito del capitolo commercio e sviluppo sostenibile del pilastro commerciale.

Ma “nonostante i progressi compiuti, non sono riuscite a firmare un accordo finale al vertice del Mercosur di dicembre 2023 a causa della forte resistenza espressa dall’ex presidente argentino Alberto Fernández e dal presidente francese Emmanuel Macron”, come ha scritto il relatore permanente per il Mercosur, l’eurodeputato popolare spagnolo, Gabriel Mato. E i colloqui dunque sono proseguiti con una nuova scadenza fissata per la fine del 2024.

Proprio Macron, nonostante la crisi interna politica, oggi ha voluto ribadire a von der Leyen che l’accordo “è inaccettabile così com’è”. A favore sono invece Germania e Spagna. Per l’Italia, il vicepremier Antonio Tajani ha affermato: “Noi siamo favorevoli all’accordo con il Mercosur, però bisogna correggere alcuni punti che riguardano i temi agricoli”. E, oggi, il vicepremier Matteo Salvini, da Bruxelles, ha evidenziato di essere “particolarmente attento alle richieste degli agricoltori” che “dicono no a questo accordo che rischia di mettere in ginocchio interi comparti del settore agricolo”. Dunque, “dato che è fermo da anni, non per caso, sarebbe giusto che lo rimanesse ancora”. Invece, secondo l’eurodeputato socialista tedesco Bernd Lange, presidente della commissione per il commercio internazionale, “le conseguenze complessive di un mancato accordo probabilmente supererebbero di gran lunga le carenze di un accordo imperfetto” e per il relatore Mato “l’eliminazione del 91% delle tariffe aprirebbe opportunità senza precedenti per le aziende europee, con vantaggi per settori chiave come l’automotive, la farmaceutica e l’agricoltura”.

L’accordo eliminerebbe gradualmente i dazi sul 91% delle esportazioni di beni dell’Ue verso il Mercosur, compresi prodotti industriali e alimentari, e sul 92% delle esportazioni del Mercosur verso l’Ue. “Le importazioni agricole sensibili sarebbero controllate”, “l’accordo sottolineerebbe elevati standard sanitari e fitosanitari” e “proteggerebbe circa 350 delle indicazioni geografiche (IG) dell’Ue sul mercato del Mercosur”, ha ricordato l’Eurocamera. Se concluso, l’accordo sarà prima sottoposto a revisione legale e poi tradotto in tutte le lingue ufficiali dell’Ue. A seguire, la Commissione lo presenterà al Parlamento e ai governi degli Stati membri dell’Ue per incassare la loro approvazione

Confronto di un’ora al Colle fra Meloni e Mattarella: Ue, Manovra e post Fitto nel ‘menù’

Un incontro programmato da tempo, come ce ne sono tanti nel corso di una legislatura. Stavolta, però, il timing del pranzo di lavoro di mercoledì al Quirinale tra il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e la premier, Giorgia Meloni, crea particolare attenzione. Non foss’altro per il timing, visto che solo poche ore prima, in commissione Bilancio al Senato, il governo era andato sotto sull’emendamento della Lega sulla riduzione del Canone Rai, bocciato con i voti di Forza Italia che si sono sommati a quelli delle opposizioni.

La notizia trapela il giorno dopo del faccia a faccia, che fonti del Colle confermano specificando che si è svolto “in un clima cordiale e collaborativo”. Nulla che possa far scattare campanelli di allarme, dunque: questo è il senso. Tesi corroborata anche da fonti di Palazzo Chigi, che smentiscono l’ipotesi che sia collegato alle tensioni parlamentari nella maggioranza.

I temi che Mattarella e Meloni trattano, comunque, sono di grande importanza. Messo in calendario la scorsa settimana, l’incontro avviene dopo l’intervento della presidente del Consiglio ai Med Dialogues. Innanzitutto è l’occasione per confrontarsi sulle ultime missioni internazionali in cui sono stati impegnati: il capo dello Stato in Cina, tra Pechino, Hangzhou e Canton; la premier al G20 in Brasile e a seguire in visita in Argentina. Altre volte era capitato, ma senza il clamore delle cronache, fanno notare dalle parti del governo.

Il capo del governo e il presidente della Repubblica discutono anche di altre questioni di primo piano. Come la legge di Bilancio, che sta compiendo i primi passi nell’iter parlamentare che dovrà portare all’approvazione del testo necessariamente entro il prossimo 31 dicembre. Al momento la fase è quella della scrematura degli emendamenti presentati dalle forze politiche, i cosiddetti segnalati e ‘super segnalati’, per provare ad asciugare più possibile i tesi e consentire un percorso con meno ostacoli, dunque tempi più rapidi.

Mattarella e Meloni, ovviamente, affrontano anche questioni di politica estera, a partire dalle vicende legate all’Unione europea, con il via libera alla nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen, di cui fa parte anche Raffaele Fitto, come vicepresidente esecutivo con deleghe di peso come agricoltura, pesca, economia del mare, trasporti e turismo: materie strategiche per l’Italia. Il nuovo incarico dell’esponente di FdI porta inevitabilmente ad aprire il capitolo del governo, nel quale Fitto finora ha avuto la responsabilità di guidare le politiche del Pnrr, della coesione, del Sud e degli affari Ue, e che ora dovrà rimettere nelle mani della presidente del Consiglio per trasferirsi a Bruxelles. Il ragionamento sul nome del sostituto sono in corso, così come a Palazzo Chigi si riflette sulla redistribuzione delle deleghe. I tempi non sono ‘emergenziali’, ma la decisione va presa in tempi abbastanza rapidi.

Scatta l’ora X per il von der Leyen 2: il voto tra le divisioni nei gruppi

Scocca alle 12 di mercoledì l’ora X per la Commissione europea: la plenaria del Parlamento europeo voterà il collegio dei 26 commissari del secondo esecutivo guidato dalla tedesca Ursula von der Leyen. A poche ore dal verdetto, quello che appare chiaro è che la maggioranza centrista – Popolari (Ppe), Socialisti (S&D) e Liberali (Renew Europe) – terrà, ma riportando le ferite di alcune defezioni non insignificanti. E spaccati appaiono anche i Verdi e i Conservatori e riformisti (Ecr), dove i meloniani sosterranno il nuovo Collegio. No netto, invece, dalle opposizioni di estrema destra e sinistra radicale.

È arrivato il momento di iniziare a lavorare, per questo il Ppe sosterrà il Collegio e voterà a favore”, ha dichiarato Manfred Weber, presidente del Ppe. Ma il suo partito – che esprime von der Leyen e Metsola e che conta 13 commissari nel collegio – dovrebbe veder una trentina di voti contrari al nuovo collegio: i 22 eletti col Partido popular spagnolo, i cinque sloveni dell’Sds e, forse, anche i sei Républicains francesi. Schierati per il sì i 9 deputati di Forza Italia. Fibrillazione in casa S&D che deciderà stasera la posizione definitiva ma che sa già di non avere i 13 deputati francesi. In bilico sono i 14 dell’Spd tedesca, così come indecisi sono belgi e olandesi. Della delegazione italiana di 21 deputati, al momento sembra che possano esserci dei contrari tra gli indipendenti. Malumori si registrano anche tra le fila di Renew che potrebbe vedersi dimagrire nell’appoggio a von der Leyen di una decina di astensioni. Spaccati quasi a metà sono i Verdi. Il co-capogruppo Bas Eickhout ha detto di aspettarsi che “una piccola maggioranza” a sostegno a von der Leyen bis, come già a luglio. Contro saranno gli altri, compresi i 4 italiani, che non hanno digerito la vice presidenza esecutiva della Commissione in mano a Raffaele Fitto dell’Ecr. E proprio dalle fila dei Conservatori arriverà il sì dai deputati di Fratelli d’Italia – che con 24 deputati è la delegazione più nutrita del gruppo – insieme ai fiamminghi di N-Va e i cechi di Ods (3 seggi ciascuno). A opporsi saranno invece i 20 eletti polacchi del PiS. All’opposizione ci saranno invece il gruppo della sinistra radicale (The Left), che ospita i due eletti di Sinistra italiana in quota Avs e gli otto del M5s, e quelli dell’estrema destra, i Patrioti per l’Europa (PfE), dove siedono gli otto leghisti, e i sovranisti dell’Esn.

Nel voto di mercoledì, la presidente della Commissione dovrà ottenere la maggioranza semplice dei voti espressi: se tutti e 720 i deputati saranno presenti, il numero sarà fissato a 361. Al momento attuale, sembra che von der Leyen non riuscirà a ripetere il risultato di luglio, quando aveva raccolto 401 consensi. In quell’occasione, la sua rielezione era stata assicurata dal sostegno di buona parte dei Verdi, che avevano compensato le defezioni nei tre gruppi centristi, e dal no di altre delegazioni che domani voteranno “sì”, come quella di FdI. Nel luglio del 2019, von der Leyen fu eletta presidente con 383 voti, appena nove in più della maggioranza assoluta dell’epoca: salvata da tre partiti nazionalisti e populisti, il PiS polacco, il Fidesz ungherese e il M5s italiano, che domani si esprimeranno contro al bis. Per l’intero collegio, a novembre 2019, i voti a favore furono 461, i contrari 157 e gli astenuti 89.

Si rafforza asse Italia-Germania. Urso: “Dazi Usa? Serve una politica industriale europea”

(Foto: Mimit)

Un anno fa la firma del Piano d’azione italo-tedesco, oggi il primo forum interministeriale inquadra il campo di azione e i target da raggiungere. La missione a Berlino del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, rafforza la cooperazione con Roma, come testimonia la dichiarazione congiunta al termine dei lavori con il vicecancelliere e ministro dell’Economia e dell’Azione Climatica della Germania, Robert Habeck. La parola d’ordine è competitività, che l’Europa deve assolutamente ritrovare, colmando anche un forte ritardo. E’ necessario, soprattutto adesso che la situazione geopolitica continua a essere instabile, con le guerre in Ucraina e Medio Oriente, e gli Usa che si apprestano cambiare non solo Amministrazione, col passaggio da Joe Biden a Donald Trump, ma soprattutto approccio alla politica industriale. I dazi verso l’Europa annunciati dal tycoon in campagna elettorale sono un tema più che mai stringente.

Non sarà certo la prima volta, ricorda proprio Urso, citando la prima presidenza Trump, poi la successiva Biden: “E’ chiaro a tutti che dobbiamo fare una politica positiva nei confronti degli Stati Uniti, che è il nostro principale alleato anche dal punto di vista economico, per fare in Europa una saggia, significativa, responsabile comune politica industriale che si fondi sull’autonomia strategica, a cominciare dall’energia, per poi giungere anche, come necessario, alla tutela nelle regole del Wto da chi fa concorrenza sleale”. La parola d’ordine è agire insieme.

In questo senso l’Ue ha una carta da giocarsi: l’avvio della nuova Commissione a guida di Ursula von der Leyen. “Bisogna puntare con ambizione sullo sviluppo tecnologico, come l’Intelligenza artificiale, a partire dall’energia, anche con un mercato comune energetico, con tutto quello che può garantire l’autonomia del Continente e del sistema industriale”, dice Urso. Habeck ascolta e condivide, in particolare quando il responsabile del Mimit parla del report di Mario Draghi, “che noi tutti condividiamo appieno”, augurandosi, “anche a fronte del dinamismo di altri attori globali come Cina e Usa”, una “azione comune tra le due grandi politiche industriali d’Europa per indirizzare la nuova Commissione sulla strada della competitività”. Sul fronte degli investimenti, che l’ex premier calcola in circa 800 miliardi in più all’anno per i prossimi 10 anni solo per recuperare il gap, alla necessità di favorire l’ingresso di capitali privati nei progetti. In questo senso diventa, dunque, fondamentale un’opera di “semplificazione e sburocratizzazione” in Europa.

“Serve mettere in campo una politica industriale, capace di riportare il nostro sistema al centro delle grandi catene produttive globali, così come indicato nei report Draghi e Letta, investire sulle nuove tecnologie, restituire competitività alle imprese, tutelare il lavoro europeo”, ripete Urso anche nella nota congiunta con il collega tedesco. Per questo la cooperazione in campo industriale tra Italia e Germania è “assolutamente strategica”. Ad esempio con il non-paper sull’automotive che sarà presentato al Consiglio Competitività dell’Ue giovedì prossimo, 28 novembre, cui ha aderito anche la Polonia. “È necessario rivedere con realismo le regole del Cbam e realizzare un piano automotive europeo che metta in campo anche risorse comuni per sostenere gli investimenti delle imprese con una visione di piena neutralità tecnologica al fine di raggiungere davvero la autonomia strategica del Continente nella twin transition”, aggiunge il ministro italiano.

Allo stesso tempo occorre una nuova visione sul comparto siderurgico e chimico, come sostenuto anche al Trilateral Business Forum di giovedì e venerdì scorsi, a Parigi, tra le confindustrie di Italia, Germania e Francia.

In questo senso, il Piano d’azione tra Roma e Berlino è ad ampio raggio e prevede una cooperazione rafforzata in diversi settori della politica industriale, dello spazio, delle tecnologie digitali e green. I gruppi di lavoro già composti sono un’ottima base di partenza per le proposte. Ad esempio, su politica industriale ed energia “è stata definita un’agenda comune per la prossima Commissione Ue, affrontando temi come il sostegno alle pmi e la semplificazione normativa, attraverso “reality checks”, e la rimozione delle barriere ai servizi transfrontalieri”, mettono in chiaro i due ministri. Ancora, il fulcro della collaborazione su ‘digitalizzazione e Industria 4.0’ è “lo sviluppo di ecosistemi decentralizzati per la produzione intelligente e il rafforzamento della posizione italiana nell’iniziativa Manufacturing-X” con la partecipazione italiana alla Fiera di Hannover 2025 “tra le priorità”. Infine, sullo spazio i due Paesi hanno lavorato “per garantire che la legislazione europea rifletta gli interessi degli Stati membri, promuovendo la competitività del settore e la sovranità strategica” e “la cooperazione sul programma Iris2 è stata parte integrante delle attività”. La partita è, dunque, aperta. Ma perché abbia successo serve l’Europa. Unita anche negli obiettivi, possibilmente.