Trump a ruota libera a Davos: “Ue ci tratta male, la Fed tagli i tassi e l’Opec i prezzi”

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ancora contro l’Unione Europea. Durante un discorso da remoto al World Economic Forum di Davos, in Svizzera, ha definito la relazione commerciale tra le due entità “iniqua” e “molto ingiusta“. Nel senso che “dal punto di vista dell’America, l’Ue ci tratta in modo molto, molto ingiusto, molto male“. Trump ha ribadito le sue critiche a Bruxelles, lamentandosi delle difficoltà imposte a chi cerca di portare prodotti sul mercato europeo, pur evidenziando che, secondo lui, l’Unione Europea non ha alcun problema a vendere i suoi beni negli Stati Uniti. “Rendono molto difficile portare prodotti in Europa, e tuttavia si aspettano di vendere e vendono i loro prodotti negli Stati Uniti. Quindi abbiamo, sapete, centinaia di miliardi di dollari di deficit con l’Ue, e nessuno ne è contento. E faremo qualcosa al riguardo“, ha affermato il presidente, aggiungendo che in Europa “non prendono i nostri prodotti agricoli e non prendono le nostre auto, eppure ce ne mandano milioni. Impongono tariffe su cose che vogliamo fare. Abbiamo delle lamentele molto grandi con l’Ue“. Trump ha poi continuato a spingere perché i processi decisionali vengano accelerati. “Vogliono essere in grado di competere meglio, e non puoi competere quando non puoi superare il processo di approvazione più velocemente. Non c’è motivo per cui non possa andare più veloce. Sto cercando di essere costruttivo, perché amo l’Europa“, ha dichiarato.

Oltre alle questioni commerciali, Trump ha affrontato un altro tema caldo durante il suo intervento, ossia la politica monetaria della Federal Reserve. Pur non citando direttamente la Fed, Trump ha chiarito la sua intenzione di far abbassare i tassi di interesse, dichiarando: “Pretenderò che i tassi di interesse scendano immediatamente. E allo stesso modo, dovrebbero scendere in tutto il mondo. I tassi di interesse dovrebbero seguirci ovunque“. Un modo, secondo il presidente Usa, per mettersi alle spalle “la peggiore crisi inflazionistica della storia moderna, e tassi di interesse alle stelle per i nostri cittadini e persino per tutto il mondo. I prezzi dei prodotti alimentari e di quasi ogni altra cosa conosciuta dall’umanità sono andati alle stelle“, ha concluso Trump, anticipando una politica economica volta a ridurre i costi per i cittadini americani e rafforzare l’economia globale. Un obiettivo che non potrà passare dal raffreddamento dei prezzi petroliferi: “Chiederò all’Arabia Saudita e all’Opec di ridurre il costo del petrolio. Dovete abbassarlo“.

Effetto Trump su petrolio e Gnl: il greggio cala, il gas ritorna a 50 euro

Il giorno il giuramento di Trump e il giorno dopo le promesse del neo presidente degli Stati Uniti su petrolio e gas – “trivelleremo, baby, trivelleremo” e “esporteremo il nostro gas in tutto il mondo” – i mercati navigano a vista. Greggio e gas prendono direzioni opposte, ma il sottofondo non è dei più accomodanti. C’è come la sensazione che tutto possa succedere.

I contratti futures sul petrolio Brent hanno registrato oscillazioni intorno ai 79 dollari al barile, in calo dell’1% dopo la discesa di ieri, a seguito dell’annuncio di Trump riguardo l’intenzione di aumentare la produzione di petrolio e gas negli Stati Uniti, dichiarando un’emergenza nazionale. Un’importante misura proposta da Trump prevede l’introduzione di tariffe del 25% sulle importazioni provenienti da Canada e Messico, che entreranno in vigore il 1° febbraio. Questa proposta ha contribuito a smorzare le aspettative di un rallentamento nelle politiche commerciali, ma la decisione di rimandare l’introduzione di imposte sulle importazioni cinesi ha mantenuto i mercati in un’incertezza relativa. Oltre alle tariffe commerciali, gli investitori seguono con attenzione anche la possibilità che l’amministrazione Trump imponga nuove sanzioni contro importanti esportatori di petrolio come Russia, Iran e Venezuela. Parallelamente, comunque, un calo del rischio geopolitico ha contribuito a contenere le oscillazioni dei prezzi, soprattutto dopo il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, che ha portato a un accordo sul rilascio degli ostaggi.

Sul fronte del gas naturale, i prezzi in Europa sono tornati con un balzo di quasi il 3% fino a 50 euro per megawattora. I flussi di gas naturale russo attraverso l’Ucraina sono stati interrotti all’inizio dell’anno, dopo che i due governi non sono riusciti a raggiungere un accordo, ma sebbene l’International Energy Agency abbia osservato che questa interruzione non rappresenti un rischio immediato per la sicurezza dell’approvvigionamento dell’Ue, si prevede un aumento delle importazioni di Gnl in Europa, con stime che indicano un incremento di oltre il 15% nel 2025. Attualmente, i livelli di stoccaggio del gas dell’Ue si aggirano intorno al 60% della capacità totale, con gli esperti che suggeriscono che la situazione potrebbe comportare una maggiore dipendenza dalle importazioni di Gnl nei prossimi anni. Anche perché, come ha riportato Bloomberg, Trump ha invitato l’Europa ad acquistare il suo gas, o saranno dazi.
Sul fronte americano, va infine specificato, che per i trader la revoca della moratoria sulle nuove licenze per le esportazioni di gas naturale liquefatto potrebbe aprire la strada a nuovi permessi, con un impatto potenzialmente positivo sulla domanda di Gnl da parte dell’Europa e dell’Asia. Magari a prezzi più bassi.

 

Energia, Tajani sigla accordo con Tunisia. 21/1 Roma riunione per corridoio idrogeno

Va avanti spedito il lavoro del governo per diversificare le fonti e i partner di approvvigionamento energetico. Antonio Tajani chiude alla Farnesina due accordi con l’omologo tunisino Mohammed Ali Nafti, anche nel campo della transizione energetica.

Il 21 gennaio Roma ospita a Villa Madama la riunione per il progetto del corridoio Mediterraneo dell’idrogeno, che prevede la costruzione di una rete di gasdotti tra l’Europa e l’Africa interamente dedicata al trasporto dell’idrogeno. Un progetto al quale partecipano, oltre all’Italia e alla Tunisia, anche la Germania, l’Austria e l’Algeria.

In queste ore in bilico tra la tregua e la guerra nel Medio Oriente, Tajani assicura che la Farnesina lavorerà sempre per perché “il Mediterraneo si trasformi in un mare di commercio e sviluppo e non di morte”. L’Italia vuole essere il ponte non solo geografico ma anche economico e politico tra l’Africa e l’Europa e, ricorda il vicepremier, “abbiamo deciso di rafforzare la collaborazione anche per far sì che la Tunisia possa essere interlocutore primario dell’Ue”. Il Paese è infatti uno dei principali del Piano Mattei.

Negli ultimi due anni i legami tra Roma e Tunisi sono cresciuti: “I nostri accordi sono un modello anche per il resto del continente africano”, scandisce il ministro degli Esteri. Con l’intesa per l’energia (“settore cruciale e ricco di potenzialità”) vengono firmati oggi anche un accordo per la conversione delle patenti (“molto atteso anche da tanti tunisini che vivono in Italia”) e una dichiarazione congiunta per un finanziamento per il triennio 2025-2027 di progetti di cooperazione fino a 400 milioni. “Raddoppiamo gli impegni – rivendica Tajani – a conferma della volontà di essere sempre di più al fianco di Tunisi e della sua crescita”.

Iniziamo il 2025 con nuove idee, molto importanti, che vanno nella direzione che vogliamo, una cooperazione a 360 gradi”, fa sapere Nafti, che spiega come gli accordi firmati oggi riflettano una “visione strategica, ma anche la volontà di garantire un’integrazione migliore con questo Paese amico“.

Al momento, l’Italia è il secondo partner commerciale della Tunisia, con un interscambio di sette miliardi e nel Paese operano mille imprese italiane. Una delle principali è Snam, che gestisce la partita del SoutH2 Corridor insieme TAG, GCA e bayernets. La rete comprende circa 3.300 chilometri di condotte e diverse centinaia di megawatt di capacità di compressione, destinati a diventare assets strategici per il passaggio e l’utilizzo di idrogeno entro il 2030. Lo sviluppo del corridoio fa parte della European Hydrogen Backbone e sarà fondamentale per la creazione di una spina dorsale dell’idrogeno interconnessa e diversificata nel sud e nel centro dell’Europa. Con una capacità di importazione di idrogeno di 4 Mtpa dall’Africa del Nord, il corridoio potrebbe coprire oltre il 40% dell’obiettivo complessivo di importazione fissato dal Piano REPowerEU. Il 22 gennaio, a Milano, Snam presenterà il Piano Strategico 2025-2029 e il SouthH2 Corridor sarà uno dei suoi progetti portanti.

Tra l’Italia e la Tunisia si sta costruendo però anche un vero e proprio “ponte energetico“, Elmed, che metterà in collegamento i sistemi elettrici. Il progetto nasce dalla sinergia e dalla cooperazione tra Terna e Steg, le società che gestiscono le reti elettriche dei due Paesi. Sarà la prima interconnessione in corrente continua tra l’Europa e l’Africa. Un’opera che, grazie alla bidirezionalità dei flussi, garantirà importanti benefici elettrici e ambientali. L’elettrodotto si snoderà tra la stazione elettrica di Partanna, in Sicilia, e quella di Mlaabi, nella penisola tunisina di Capo Bon, per una lunghezza complessiva di circa 220 chilometri (di cui circa 200 chilometri in cavo sottomarino), con una potenza di 600 megawatt e una profondità massima di circa 800 metri, raggiunti lungo il Canale di Sicilia.

La firma dell’accordo intergovernativo di oggi sulla transizione energetica, sulla realizzazione del cavo di interconnessione elettrica tra i due paesi e sulla possibilità per le imprese italiane di investire nelle energie rinnovabili in Tunisia, “segna una tappa fondamentale nella costruzione di un nuovo modello di cooperazione”, osserva Antonio Gozzi, special advisor di Confindustria con delega all’autonomia strategica europea, piano Mattei e competitività e Presidente di Interconnector Energy Italia. Interconnector è il Consorzio italiano che si occupa di realizzazione e finanziamento di infrastrutture di interconnessione con l’estero: “Abbiamo lavorato a stretto contatto con la Farnesina, il Ministero dell’Energia, la task force di Palazzo Chigi per il Piano Mattei, l’Ambasciata italiana a Tunisi e con il governo tunisino per portare a compimento questo progetto – afferma -. Si aprono ora interessanti opportunità per l’impegno e il coinvolgimento delle imprese italiane nel contesto più ampio del Piano Mattei“.

Il 2025 è l’anno dei record per il nucleare. Pechino si candida a superpotenza mondiale

L’elettricità generata dal nucleare raggiungerà un livello record nel 2025, rappresentando poco meno del 10% della produzione globale, ma il suo centro geografico si sta spostando verso la Cina a scapito di vecchi Paesi nucleari come gli Stati Uniti e la Francia. E’ quanto emerge dal nuovo rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia, ‘The Path to a New Era for Nuclear Energy’, che mostra il nuovo slancio del nucleare sotto forma di nuove politiche, progetti, investimenti e progressi tecnologici, come i piccoli reattori modulari (SMR).

In tutto il mondo sono in costruzione oltre 70 gigawatt di nuova capacità nucleare, uno dei livelli più alti degli ultimi 30 anni. La produzione di energia nucleare, che ha il vantaggio di essere “stabile e flessibile”, ammontava a 2.742 TWh nel 2023 e ha raggiunto i 2.843 TWh nel 2024. Entro il 2025 dovrebbe arrivare a circa 2.900 TWh.
Questa crescita è guidata dall’elettrificazione delle applicazioni, dall’industria al condizionamento dell’aria, dai veicoli elettrici ai data center, in un contesto di crescita dell’intelligenza artificiale, sottolinea l’Aie. Nel 2023 erano in funzione più di 410 reattori in oltre 30 Paesi. “Stiamo entrando in una nuova era per l’energia nucleare”, spiega Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Aie, in un’intervista all’AFP. “Quest’anno, nel 2025, la produzione di energia nucleare sarà la più alta della storia”.

Dopo anni di declino a seguito dell’incidente di Fukushima in Giappone nel 2011, causato da uno tsunami, la ripresa è guidata dalla Cina. Dei 52 reattori la cui costruzione è iniziata in tutto il mondo dal 2017, 25 sono di progettazione cinese. D’altro canto, Paesi come gli Stati Uniti e la Francia stanno prendendo tempo a causa degli alti costi di sviluppo delle centrali. “La geografia globale dell’industria nucleare sta cambiando”, sottolinea Birol, che ricorda che “dal 1970, l’industria nucleare globale è stata guidata da Stati Uniti ed Europa”.

In Europa, il 35% dell’elettricità proveniva dal nucleare negli anni ’90, rispetto a meno del 25% di oggi, e tra dieci anni questa cifra scenderà a meno del 15%. La situazione è simile negli Stati Uniti. “L’industria nucleare sta dando risultati insufficienti in questi Paesi”, dice il direttore dell’Aie. “I progetti sono in media in ritardo di sette anni rispetto alla tabella di marcia e i costi sono 2,5 volte superiori a quelli originariamente previsti. Tra cinque anni, la Cina supererà gli Stati Uniti e l’Unione Europea per diventare la prima potenza nucleare mondiale”.

L’altro problema riguarda le fonti di approvvigionamento dell’industria, che sono troppo concentrate. Oltre il 99% della capacità di arricchimento è attualmente detenuto da quattro società: China National Nuclear Corporation (CNNC) (15%), la russa Rosatom (40%), Urenco (un consorzio britannico-tedesco-olandese, 33%) e la francese Orano (12%). “La Russia da sola rappresenta il 40% della capacità di arricchimento mondiale, il che rappresenta una grande sfida”, avverte Fatih Birol.

L’industria nucleare si sta evolvendo anche con l’emergere di piccoli reattori modulari (SMR), progettati per alimentare siti industriali o produrre calore. Ed è questa la strada che sta cercando di intraprendere anche l’Italia. “I piccoli reattori modulari sono in fase di sviluppo in tutto il mondo, in Cina, Europa, Stati Uniti e Canada”, afferma Fatih Birol. Tra 15 anni, il loro costo “sarà competitivo con l’eolico offshore e i grandi progetti idroelettrici”. “Uno dei motivi del crescente interesse per l’SMR è legato al fabbisogno energetico delle aziende tecnologiche, in particolare di quelle che si occupano di intelligenza artificiale e di centri dati”, che hanno bisogno di elettricità 24 ore su 24, 7 giorni su 7, spiega Birol.

L’Aie propone tre scenari per i prossimi anni, che prevedono tutti un aumento della capacità nucleare mondiale. La capacità globale potrebbe aumentare di oltre il 50% fino a quasi 650 GW entro il 2050, o addirittura raddoppiare con un intervento governativo più incisivo, o superare i 1.000 GW. L’Agenzia
sottolinea che dal 1971 il nucleare ha permesso di evitare 72 gigatonnellate (Gt) di emissioni di CO2 evitando l’uso di carbone, gas naturale o petrolio. Ha inoltre migliorato la sicurezza energetica di molti Paesi, riducendo la loro dipendenza dai combustibili fossili. “Il contributo principale alle emissioni nette zero verrà dall’energia solare, eolica, idroelettrica e geotermica”, afferma Birol. “Ma sarà anche importante utilizzare l’energia nucleare per avere un percorso efficace dal punto di vista dei costi” verso questo obiettivo.

Governo lavora su dossier energia. Meloni ad Abu Dhabi, Pichetto sigla intesa con Arabia

Con lo stop delle forniture di gas russo da Gazprom e i prezzi alle stelle, il governo lavora sul dossier energia, con lo sguardo rivolto ancora più a Est. Gilberto Pichetto firma a Riad un memorandum quinquennale con l’Arabia Saudita per rafforzare la cooperazione su transizione e sicurezza degli approvvigionamenti, prima di accompagnare Giorgia Meloni ad Abu Dhabi, dove domani e il 16 gennaio parteciperà al World Future Energy Summit.

E’ la terza visita della premier negli Emirati Arabi Uniti dall’inizio del mandato, dopo la bilaterale di marzo 2023 e la partecipazione alla COP28 di Dubai a dicembre 2023. Nel frattempo, le relazioni tra Italia ed Emirati sono cresciute. L’energia è un tassello cruciale della cooperazione, con un approccio alla transizione che più volte la premier ha definito “pragmatico“, ispirato al principio di neutralità tecnologica. Al summit della Sustainability Week Meloni interverrà al segmento di alto livello concentrandosi, secondo quanto filtra da fonti diplomatiche, sulla strategicità delle interconnessioni per la transizione energetica ribadendo che “l’obiettivo dell’Italia è diventare lo snodo per i flussi energetici tra l’Europa e l’Africa“. Un traguardo a cui il Governo sta lavorando da più fronti, con l’attuazione del Piano Mattei e di diversi progetti infrastrutturali, come l’elettrodotto sottomarino Elmed tra Italia e Tunisia. A margine del suo intervento, il Presidente del Consiglio assisterà alla firma di un’intesa quadro per lo sviluppo di una nuova infrastruttura di produzione e distribuzione di energia verde. Con Meloni e Pichetto, sarà ad Abu Dhabi anche il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida.

La premier incontrerà ancora anche il presidente, Mohamed bin Zayed, per discutere di come sviluppare ulteriormente gli investimenti reciproci nei settori più innovativi e ad alto valore aggiunto. In agenda ci sono anche i nodi internazionali, dall’Ucraina al Medio Oriente. Meloni e bin Zayed approfondiranno le possibilità di rafforzare la cooperazione italo-emiratina nel quadro del Piano Mattei e del Processo di Roma su migrazioni e sviluppo. Gli EAU sono stati i primi a contribuire al fondo fiduciario multi-donatore creato dall’Italia presso la Banca Africana di Sviluppo.

Il memorandum firmato da Pichetto in Arabia Saudita si concentra invece sulle energie rinnovabili, la riduzione delle emissioni di metano, le interconnessioni elettriche, l’idrogeno rinnovabile e a basse emissioni, i suoi derivati di natura rinnovabile e low-carbon come l’ammoniaca, i sistemi di cattura, stoccaggio e utilizzo della CO2.  Per il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica l’Italia “consolida il suo ruolo di hub energetico e ponte tra Europa e Africa, con partenariati reciprocamente vantaggiosi basati sul ruolo strategico delle energie rinnovabili e dell’idrogeno”. L’Italia punta a essere un punto di ingresso dell’idrogeno e derivati nel mercato europeo “molto più vicino, competitivo e strategico di altre alternative sul Mare del Nord”, spiega Pichetto, annunciando un “immediato e concreto” seguito operativo del MoU con la decisione di indicare un rappresentante permanente del Ministero dell’Ambiente presso l’International Energy Forum (IEF). Un’intesa che, assicura, è “un punto di partenza e non di arrivo“, uno strumento quadro da utilizzare per rafforzare i rapporti tra i nostri Paesi e, attraverso l’Italia, tra l’Arabia Saudita e l’Europa.

Pellegrino (A.R.T.E.): Non vedo impatto positivo sulle bollette con il Pun zonale

Da gennaio il mercato elettrico italiano ha inizio il percorso per abbandonare il Pun, introdotto per uniformare il prezzo dell’energia in tutto il paese, in favore di un sistema che suddividerà l’Italia in 7 zone geografiche per le quali sarà definito il cosiddetto Pun Zonale. Le nuove tariffe in teoria terranno conto delle specificità delle diverse zone, ma è “ancora presto per fare una valutazione visto che entrerà in vigore in maniera definitiva nel corso dell’anno. Quello che si può dire è che l’obiettivo è quello di cercare di aumentare l’efficienza e premiare le Regioni che punteranno a sfruttare maggiormente le risorse rinnovabili che potranno avere ricadute anche sull’economia locale. Lato consumatori, la previsione è che il costo della bolletta non ne sarà impattato positivamente”, dice a GEA Diego Pellegrino, portavoce di A.R.T.E., Associazione Reseller e trader dell’energia.

Tecnicamente come influisce il Pun sui prezzi in bolletta?
“A stabilire il prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica sono le operazioni di compravendita tra produttori e fornitori di energia, e le sue oscillazioni sono un fattore determinante per calcolare i costi finali dell’energia in bolletta. Nei periodi in cui il Pun aumenta i costi in bolletta tendono naturalmente a salire, e viceversa. Ovviamente, se il consumatore finale ha optato per un’offerta con la componente energetica a prezzo indicizzato questa subirà variazioni, in meno o in aumento, in base al valore del Pun, se diversamente il prezzo dell’energia in bolletta è fisso resterà invariato per il tempo stabilito dal contratto sottoscritto”.

Qual è stato l’andamento del Pun nel corso degli ultimi 20 anni?
“Un primo spartiacque nell’andamento del prezzo dell’energia, e conseguentemente anche del PUN, è il 2008. Fino a quell’anno il costo della componente energetica è cresciuto costantemente, a fronte dello sviluppo economico globale. È intervenuta la crisi dei mutui subprime del 2008 a far invertire improvvisamente questa tendenza, con un crollo vero e proprio registrato nel 2009. La decrescita è continuata sostanzialmente anche negli anni successivi per il rallentamento della produzione dovuta alla crisi economica fino, tra alti e bassi, al 2017, anno in cui il prezzo dell’energia elettrica ha ripreso a salire anche a fronte del mancato apporto del nucleare francese e l’intenso freddo invernale. Da questo si capisce quanto il Pun sia sensibile alle crisi geopolitiche e economiche, ed è per questo motivo che gli ultimi anni sono stati segnati da oscillazioni profonde, soprattutto perché le area di maggiore produzione energetica globale, come la Russia e il Medio Oriente, sono tuttora interessati da gravi crisi conflittuali”.

In attesa degli effetti del Pun zonale, quali sono le previsioni per il 2025?
R. “Le previsioni per il Pun 2025 sono ancora piuttosto complesse a fronte di molte variabili difficilmente prevedibili. I prezzi all’ingrosso dell’energia potrebbero avere un incremento nell’ordine del 10% circa rispetto agli attuali. Tra le variabili che potrebbero portare ad un ulteriore rialzo abbiamo eventuali tensioni geopolitiche, un aumento della domanda energetica, le fluttuazioni dei prezzi delle materie prime, che relativamente alla produzione a supporto per la tecnologia rinnovabile, potrebbero influenzare significativamente i costi finali dell’energia, come gli stessi investimenti sempre nelle fonti rinnovabili, che a regime porteranno ad una riduzione del costo dei prezzi all’ingrosso, ma che all’inizio potrebbero fare aumentare i costi per i consumatori. Infine, le politiche governative e le regolamentazioni, dove eventuali ulteriori incentivi per le energie rinnovabili, o le tasse sul carbonio o sussidi per determinati tipi di produzione energetica potranno influenzare il prezzo finale dell’elettricità per i consumatori”.

Zanardi (Assofond): “Situazione mai vista, crollo ordini e rincari energia”

Bollette in salita, imprese in difficoltà. Soprattutto le cosiddette energivore, come le fonderie. Fabio Zanardi, presidente di Assofond, è preoccupato: “L’impatto dei rincari energetici è immediato, come quelle che stiamo vivendo adesso. Vanno in presa diretta con la marginalità del mese corrente. I costi li vedi nel mese in corso con i termini di pagamento”, spiega a GEA.

Come reagisce l’impresa?

“Ogni fonderia sta variando le scelte commerciali o alzando i prezzi o perdendo marginalità, con un impatto sulla competitività e sulla solidità delle imprese. Aggiungo che il tutto si inserisce in un contesto di mercato ai minimi storici dal 2009. Una situazione paradossale, mai vista prima: ordini bassi, lunghe chiusure, cassa integrazione e costi in continuo aumento”.

Perché dice “situazione mai vista prima”?

“Di solito quando cala il mercato, calano i costi, ma ora non è così. Anche le materie prime restano alte per le sanzioni alla Russia, così come il costo del lavoro è più alto in seguito all’impatto inflattivo e al rinnovo dei contratti. Bisogna dunque lavorare sul prezzo, a causa della grande capacità disponibile, per restare sul mercato”.

Quando è iniziato il calo del giro d’affari?

“Abbiamo iniziato a calare, come settore, a metà 2023 con una riduzione degli ordini e il processo non si è mai fermato nel 2024. Ora il 2025 presenta una piattezza come il 2024. Così la maggior parte delle fonderie ha dovuto fare ricorso alla cassa integrazione”.

Come si può reagire e ripartire?

“Abbiamo dei punti di forza: sul fronte ambientale, ad esempio, le fonderie italiane sono le migliori del mondo. Se il Green deal è una cosa seria, l’Europa non può non affidarsi alle fonderie italiane. Continuiamo a investire nella transizione 5.0, che è stata sbloccata e migliorata. Poi c’è l’Energy Release che dovrebbe partire e potrebbe calmierare i costi energetici, anche se il provvedimento chiede impegni stringenti sulle rinnovabili… capiremo. Ma la vera speranza è la fine del conflitto ucraino con una ripresa degli investimenti su costruzioni, movimento terra ed edilizia che trascina tutta la meccanica. Abbiamo tutti i settori, diversi dal trasporto, che oggi sono in una fase di stallo senza speranza e con la fine della guerra potrebbero risollevarsi”.

Se non calano i prezzi energetici, che succede?

“Dal punto di vista industriale è auspicabile avere prezzi energetici paragonabili al resto del mondo. Se saremo costretti al Gnl d’oltreoceano costantemente, avremo sempre un gap competitivo e saremmo costretti a ridimensionarci nel lungo termine come industria pesante”.

Le rinnovabili possono risolvere il problema costi?

“Le rinnovabili non sono sufficienti, ci vorrebbe una fortissima spinta sull’eolico. Stiamo andando veloci sul solare che però non dà il fabbisogno che serve, anche perché la spinta alla mobilità elettrica richiede un maggiore fabbisogno elettrico. Ma anche l’eolico non sarebbe sufficiente. Per cui bisogna decidere se sdoganare il gas come vettore energetico della transizione, per poterlo utilizzare senza troppe restrizioni legate alla tassonomia europea, oppure torniamo a parlare di nucleare ma in maniera concreta”.

E il Green Deal?

“Ecco, come dicevo, non va mollato. Per noi fonderie è un importante vantaggio competitivi. Senza Green deal abbiamo fatto investimenti nella tutela dell’ambiente che non hanno paragoni nel resto del mondo. Usiamo dunque il Green deal con coscienza e non smontiamolo, perché allora saremmo sopraffatti dal resto del mondo, che avrebbe un vantaggio economico e monetario”.

La Bce preoccupata per i nuovi aumenti del gas: +17,7% da ottobre

L’Unione europea e la sua eurozona ripiombano nell’incubo caro-bollette e caro-energia. Lo stop al contratto che permetteva al gas russo di transitare nell’Ue attraverso l’Ucraina non è solo fonte di tensioni politiche tra Kiev e Bratislava ma pure motivo di preoccupazione per la Banca centrale europea, che inizia a guardare con rinnovato assillo ai listini del gas. “Dalla riunione del Consiglio direttivo di ottobre i prezzi del gas europeo sono aumentati del 17,7%, spinti sia da fattori di domanda che di offerta”, rileva il bollettino economico mensile della Bce. “Dal lato dell’offerta – si precisa – l’aumento può essere in gran parte attribuito all’imminente scadenza dell’accordo di transito del gas tra Ucraina e Russia alla fine del 2024”.

Il bollettino nel complesso è un insieme di avvertimenti e richiami non proprio nuovi: tensioni geopolitiche, incertezze che possono incidere sui ritmi di crescita, gli interrogativi legati al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, l’invito alle riforme per i governi dell’eurozona. L’unico elemento certamente nuovo e più di stretta attualità è l’attenzione prestata ai prezzi dell’energia. Anche perché l’andamento spazza via tutti i calcoli condotti a Francoforte fin qui. I miglioramenti, per quanto prudenti, attesi per il nuovo anno erano auspicati “sulla base delle ipotesi di calo dei prezzi del petrolio e del gas” che non ci sono più.

Nel bollettino economico non si fa riferimento a fenomeni speculativi, ci si limita a notare una fluttuazione verso l’alto di listini che potrebbero avere ripercussioni serie per l’economia e la produttività dei Paesi Ue con la moneta unica. Nuovi aumenti delle bollette rischiano di incidere negativamente sui consumi delle famiglie, così come sui costi di produzione industriale. Senza contare il rischio di nuove spirali inflattive.

La presidente della Bce, Christine Lagarde, nel discorso di inizio anno, ha chiarito come il 2025 voglia essere l’anno in cui l’inflazione si stabilizzi al 2 per cento, obiettivo che può essere rimesso in discussione sulla scia dell’impennata dei prezzi del gas. Non sorprende dunque l’attenzione della Bce per l’evoluzione sul mercato del gas, su cui grava anche un inverno più rigido delle attese e rinnovabili che le attese invece le hanno tradite.

Dal lato della domanda, la riduzione della produzione di parchi eolici a novembre in Europa ha portato a una maggiore dipendenza dalla generazione di energia a gas”, continua il bollettino economico. “Ciò, unito al freddo, ha ridotto significativamente i livelli di stoccaggio del gas in tutta Europa, contribuendo ulteriormente all’aumento dei prezzi del gas”.

Per quanto riguarda il differenziale sui titoli di Stato tedeschi, il bollettino sottolinea come “è divenuto positivo, per la prima volta dal 2016, mentre l’annuncio di elezioni anticipate in Germania non ha avuto un effetto rilevante. Variazioni di maggiore rilievo sono state osservate per il rendimento dei titoli di Stato decennali francesi, aumentato di circa 5 punti base, in un contesto caratterizzato dall’incertezza sulle prospettive di bilancio del paese, e che ha ampliato di 30 punti base il differenziale rispetto al tasso OIS a dieci anni. Gli effetti di propagazione in Grecia, Spagna, Italia e Portogallo sono stati comunque limitati, grazie a un migliore clima di fiducia che ha caratterizzato le attese relative al bilancio in alcuni di questi paesi. Nel complesso, il differenziale tra il rendimento dei titoli di Stato e il tasso OIS si è ridotto di 9 punti base per l’Italia, ampliandosi invece di 4 e 6 punti base, rispettivamente, per Portogallo e Spagna“.

Dal Primo gennaio addio agli incentivi per le nuove caldaie a combustibili fossili

Sono vietati dal primo gennaio 2025 gli incentivi finanziari per l’installazione di impianti autonomi a combustibile fossile: una delle tappe della direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia (Epbd) verso l’eliminazione graduale delle caldaie a combustibili fossili entro il 2040. Lo scorso ottobre, la Commissione europea aveva pubblicato il primo di una serie di documenti di orientamento per supportare i Paesi dell’Unione nel recepimento e nell’attuazione della direttiva nel diritto nazionale e per chiarire il requisito di interrompere, al più tardi dal primo gennaio 2025, qualsiasi incentivo finanziario per l’installazione di nuove caldaie autonome alimentate da combustibili fossili.

In particolare, il documento specifica le nozioni di “caldaia autonome alimentata da combustibili fossili” e di “sistema di riscaldamento ibrido”, nonché di “installazione” e “incentivi finanziari”. Ad esempio, “non possono essere forniti sussidi, prestiti agevolati o incentivi fiscali, come aliquote fiscali ridotte, per l’acquisto, l’assemblaggio e la messa in funzione di nuove caldaie autonome alimentate a gas naturale, petrolio o carbone, indipendentemente dal fatto che l’installazione faccia parte o meno di un progetto di ristrutturazione. Nessun ente pubblico a livello nazionale, regionale o locale fornirà sostegno economico e/o sostegno tramite risorse pubbliche ad acquirenti, installatori e terze parti per l’installazione di tali caldaie”, si legge. Per la Direzione generale per l’Energia della Commissione europea lo stop agli incentivi agli impianti autonomi a combustibile fossile è una misura della direttiva sulla prestazione energetica nell’edilizia che “avvicina l’Ue al raggiungimento di un parco immobiliare completamente decarbonizzato entro il 2050”.

Oltre allo stop a questo tipo di sostegni, però, il documento di guida della Commissione delinea anche forme di incentivi che possono continuare. Ad esempio, “i sistemi di riscaldamento ibridi che combinano una caldaia con un generatore di calore che utilizza energia rinnovabile possono essere incentivati ​​solo se la quota di energia rinnovabile è considerevole; e l’incentivo fornito dovrebbe essere proporzionato alla quota rinnovabile. Inoltre, qualsiasi incentivo già approvato nell’ambito dei fondi Ue, il finanziamento dei costi aggiuntivi relativi alla transizione all’uso di gas rinnovabili in una caldaia, il sostegno per la manutenzione, la riparazione o la dismissione di caldaie a combustibili fossili o il sostegno al reddito per il riscaldamento con combustibili fossili possono essere mantenuti. Allo stesso modo, gli incentivi che sono già stati concessi a livello nazionale, regionale e/o locale e comunicati a un singolo beneficiario possono ancora essere erogati”, precisa la Dg Energia.

Allargando il campo, la direttiva Epbd stabilisce come l’Ue può raggiungere un parco immobiliare completamente decarbonizzato entro il 2050 tramite una serie di misure e, “quindi, ridurre le bollette energetiche per i cittadini europei potenziando strutturalmente la prestazione energetica degli edifici”. È entrata in vigore il 28 maggio 2024 con una scadenza di recepimento del 29 maggio 2026 per la maggior parte delle disposizioni anche se l’articolo (il 17(15)) sugli impianti autonomi a combustibili fossili aveva una scadenza di recepimento anticipata del primo gennaio 2025. “La Commissione sta lavorando a una serie di documenti di orientamento su altri elementi della direttiva Epbd aggiornata, con l’obiettivo di adottarli l’anno prossimo”, ha precisato l’esecutivo Ue.

La bolletta del gas tutelato sale ancora. Pichetto: “Rivedere price cap europeo”

Il mese di dicembre 2024 segna un nuovo aumento dei prezzi del gas in Italia, con il costo di riferimento per il cliente tipo che arriva a 125,22 centesimi di euro per metro cubo, in crescita del 2,5% rispetto a novembre. L’incremento è stato determinato dall’aumento dei prezzi all’ingrosso, un fattore che incide direttamente sulla spesa per la materia prima. La conferma arriva dall’Arera, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, che ha comunicato anche il valore della materia prima per il Servizio di Tutela della Vulnerabilità gas, che per dicembre 2024 si attesta a 47,59 euro/MWh. Attualmente, circa 2,36 milioni di clienti domestici usufruiscono di questo servizio di protezione, che in due mesi – tra novembre e dicembre – hanno visto la loro tariffa aumentare di ben oltre il 20%. In particolare, secondo Arera, la spesa per la materia prima gas naturale incide per il 42,98% del totale della bolletta, pari a 53,82 centesimi di euro. La spesa per il trasporto e la gestione del contatore, che copre la distribuzione, la misura e i servizi correlati, rappresenta il 22,4%, pari a 28,03 centesimi. Gli oneri di sistema e le imposte incidevano rispettivamente per il 2,35% e il 27,36%.

A complicare ulteriormente la situazione, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha sottolineato l’impatto dello stop al transito delle forniture di gas da parte di Gazprom attraverso l’Ucraina. Sebbene l’Italia abbia continuato a ricevere gas dalla Russia nel corso del 2024, Pichetto ha rassicurato sullo stoccaggio nazionale, che ha raggiunto l’80% della quota di dosaggio. “Abbiamo una decina di miliardi di metri cubi di disponibilità e riusciamo a far fronte al passaggio invernale“, ha dichiarato il ministro, facendo riferimento anche ai rifornimenti verso l’Austria attraverso il punto di Tarvisio.

Tuttavia, la principale preoccupazione resta l’incremento dei prezzi, legato non solo alla riduzione dei quantitativi di gas disponibili per l’Europa, ma anche ai possibili rischi di speculazione nel mercato spot. Pichetto ha suggerito che uno degli strumenti per contrastare tale fenomeno sia rappresentato dai contratti di lungo termine, che permettono una maggiore stabilità e protezione contro le fluttuazioni improvvise dei prezzi. Per quanto riguarda le soluzioni politiche, Pichetto a Radio Radicale ha sottolineato che “l’Unione europea dovrebbe, a questo punto, e lo abbiamo chiesto, rinnovare l’eventuale price cap, ma non a 180 euro come il precedente, ma a 50-60 euro – ha sottolineato il responsabile del Mase -. Questo significherebbe porre anche un freno a quelle operazioni puramente finanziari che non c’entrano niente con la materia prima, ma pesano sulle famiglie e sulle imprese“.

Intanto, l’eurodeputata Annalisa Corrado, responsabile Ambiente del Partito Democratico, in una nota sottolinea che “occorre proteggere in maniera strutturale e solida le fasce più fragili della popolazione, a partire dai consumatori cosiddetti ‘vulnerabili’, difendendoli dalle speculazioni di un mercato fuori controllo; occorre accelerare ogni azione possibile per far penetrare nelle bollette i benefici del basso costo delle rinnovabili, il modo più rapido ed efficace che abbiamo di correre ai ripari, abbassando la nostra dipendenza dal gas di qualunque provenienza, che rende elevati e instabili i costi. Torniamo a chiedere al Governo e a tutte le forze politiche di prendere in considerazione la nostra proposta di riforma dell’Acquirente Unico, che risponde in maniera strutturale a diverse delle problematiche qui illustrate, innanzitutto a immediata tutela dei consumatori vulnerabili“, conclude la nota della Corrado.