Crisi frena transizione: ma nucleare e carbone preoccupano italiani

Far di necessità virtù. Questo il mantra del governo italiano e delle istituzioni europee per contrastare gli effetti della crisi energetica scatenata dall’invasione russa in Ucraina. Misure emergenziali, certo, che però rischiano di fare rallentare il percorso di transizione ecologica del pianeta. La riattivazione delle centrali a carbone è in effetti un pugno in un occhio al processo di decarbonizzazione e suona quasi come una beffa all’Onu e alla sua Agenda 2030. Tuttavia ogni possibile soluzione deve essere contemplata in questo periodo storico. Anzi, per dirla con la presidente della Commissione Ue, va trovato “un equilibrio” e “non è detto che prenderemo la direzione giusta”. Secondo Ursula von der Leyen, “dobbiamo assicurarci di approfittare di questa crisi per avanzare nella transizione energetica, senza tornare ai combustibili fossili inquinanti“. D’altronde lo stesso concetto di sostenibilità impone di trovare un equilibrio tra il rispetto dell’ambiente e lo sviluppo umano. E al momento non c’è sviluppo senza energia.

IN EUROPA

Mentre i Paesi del Centro-Europa revocano le restrizioni sulla produzione di energia da carbone (Olanda) o aumentano la capacità produttiva delle centrali in attività (Germania e Austria), l’Italia, per voce del ministro alla Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha già escluso la possibilità di riattivare gli impianti chiusi. La soluzione individuata è quella di aumentare il ricorso a quelle in attività, “per un periodo transitorio”, giocando sul fatto che il Paese non sforerà comunque la quota Ue del 55% di decarbonizzazione.

NUCLEARE SI, NUCLEARE NO

Ad ogni modo, la stessa Commissione europea, nel piano ‘RePower EU‘ aveva messo in conto la possibilità di utilizzare la risorsa carbone “più a lungo, in casi di straordinaria necessità. Non solo: Bruxelles non ha nemmeno chiuso al dossier nucleare per aggiustare i mix energetici. Per quanto riguarda l’Italia, i due referendum sul ritorno al nucleare parlano chiaro ma il ministro Cingolani aveva chiesto un cambio di paradigma. Perché se è pur vero che “i referendum si rispettano”, è altrettanto vero che la tecnologia può far compiere al settore passi da gigante e restituire un “nucleare moderno” (ovvero più sicuro e pulito) grazie a ricerca e sviluppo. La parte difficile resta quella di convincere gli italiani.

IL SONDAGGIO

Secondo una ricerca Changes Unipol-Ipsos, il possibile ricorso al nucleare (23%) e il rischio di non dare priorità alla transizione verso le rinnovabili (15%) sono le due principali preoccupazioni degli italiani oltre al caro-energia e all’aumento vertiginoso dei prezzi. Il nucleare è indicato dal 48% tra le principali preoccupazioni e, nel 23% dei casi, come prima minaccia in assoluto, mentre il rischio che non venga data priorità alla transizione energetica e alle fonti rinnovabili raggiunge quota 54% tra i fattori più preoccupanti, sebbene solo il 15% lo indichi come timore principale. I segmenti di popolazione più anziana (i baby boomers, tra 57 e 74 anni) e i più giovani (la Generazione Z, tra 16 e 26 anni) mostrano una maggior sensibilità verso il possibile ricorso al nucleare, visto come minaccia principale rispettivamente nel 24% e nel 25% dei casi. Generazione Z e Millennials (tra 27 e 40 anni) manifestano invece una maggior propensione verso il timore di un rallentamento della transizione alle rinnovabili (nel 17% dei casi).

La possibilità di ricorrere all’energia da centrali nucleari anche in Italia raccoglie soltanto il 15% di consensi, ma il favore sale a quasi 1 italiano su 2 (45%) nel caso si utilizzassero tecnologie e modalità di gestione dell’energia nucleare più sicure di quelle attuali. Il 42% si dichiara invece contrario, o per la convinzione che ci siano più rischi che vantaggi (28%) oppure per una questione legata alla non convenienza di costi (14%).

Anche la riattivazione o l’apertura di centrali a carbone è fonte di preoccupazione per il 43% degli italiani ed è la principale preoccupazione per 1 italiano su 10, ma questo timore raddoppia tra chi vive in prossimità di queste centrali (18% vs 9%). Secondo il sondaggio Unipol-Ipsos, minore inquietudine destano la costruzione o l’aumento di produzione dei rigassificatori e la costruzione di nuovi gasdotti, indicati entrambi soltanto dal 4% degli intervistati come maggiore minaccia.

(Photo credits: Oliver Berg / dpa / AFP)

Gas e tensioni in maggioranza, giorni caldi per il governo

Si vive un giorno alla volta. La settimana più calda della stagione politica – e non per questioni meteorologiche – deve essere vissuta per forza così: tra una maggioranza che non riesce a trovare la quadra sulla Risoluzione che oggi dovrà essere votata in Senato, dopo le comunicazioni del premier, Mario Draghi, in vista del Consiglio Ue del 23-24 giugno, e un razionamento dei flussi di gas deciso unilateralmente dalla Russia, con conseguente aumento dei prezzi di mercato.

L’unico imperativo per il governo è non fermare i motori in attesa che si sciolgano i nodi sulle volontà del Movimento 5 Stelle, che vive ore di turbolenza per lo scontro interno tra Luigi Di Maio, che rivendica l’atlantismo e l’appartenenza all’Ue, e Giuseppe Conte, che disconosce le voci di corridoio sulla linea che avrebbe voluto far imporre dai suoi emissari in Parlamento sullo stop all’invio di armi all’Ucraina. Addirittura con evocazioni di espulsioni (per il ministro degli Esteri) e scissioni nel gruppo parlamentare più nutrito della legislatura.

Anche se la mediazione tra le varie forze che sostengono l’esecutivo va per le lunghe, il mood che circola in queste ore è che una soluzione si possa trovare. Anche a ridosso dell’intervento di Draghi nell’aula di Palazzo Madama, ma che consenta comunque di lasciare l’agibilità politica a Palazzo Chigi nella situazione delicata in cui si trova il Paese. Perché dal sostegno all’Ucraina l’Italia non recederà in nessun modo, al massimo l’ipotesi è quella di un impegno a informare le Camere passo dopo passo, ad ogni decisione che verrà presa nei consessi internazionali. Anche sull’invio di materiale militare per consentire a Kiev la difesa dei propri territori dall’invasore russo.

A proposito di Mosca, dopo i tagli alle forniture di gas dei giorni scorsi (per i quali sono stati addotte motivazioni tecniche di rotture agli impianti senza possibilità di riparazioni veloci, perché le sanzioni impedirebbero l’approvvigionamento dei pezzi di ricambio), ad oggi non sono state comunicate variazioni sul trend. Ovvero, i flussi sono ancora irregolari anche se al momento non ci sono segnali di allarme sugli stoccaggi. Che, certo, stanno procedendo più lentamente di prima, ma comunque non si sono fermati. Del resto, lo stesso ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, in più occasioni, ha sempre spiegato che la luce rossa si accenderebbe solo nel caso in cui ci fosse uno stop totale prima della fine dell’anno. E comunque ha garantito, anche nelle ultime ore, che dopo l’attento monitoraggio dell’andamento delle entrate di gas nei siti di stoccaggio italiani, si deciderà come muoversi.

In poche parole, l’Italia vuole capire se si tratta di una “rappresaglia” della Russia (copyright del responsabile del Mite) o un reale intoppo tecnico che sarà risolto in tempi non eccessivamente lunghi.

Sulla strategia avranno un peso anche le conclusioni dell’incontro in programma oggi al ministero della Transizione ecologica, dove si riunirà il Comitato di monitoraggio sui flussi di gas, al quale prenderanno parte anche Arera, Snam (impegnata nell’acquisto delle due navi Fsru per la rigassificazione) e Terna, il gestore delle reti per la trasmissione di energia elettrica in Europa, che ha anche il polso della situazione sulle richieste di nuovi impianti di fonti rinnovabili. Piccolo spoiler: i dati sono sempre più positivi.

Domani, invece, Cingolani incontrerà i player, tra i quali ovviamente Eni ed Enel. Tirate le somme, con Draghi e gli altri ministri competenti il governo deciderà come muoversi.

Proprio domani il premier, se tutto filerà liscio oggi in Senato, riferirà anche alla Camera sul prossimo Consiglio europeo, nel quale tornerà a chiedere (con molta più forza di prima, anche in virtù dei tagli russi) il price cap Ue.

Tenendo presente che il piano di diversificazione delle fonti di approvvigionamento continua a ritmo spedito, anche se le nuove partnership non potranno incidere a pieno regime prima del prossimo anno, lo scenario italiano appare delicato. Ma almeno il pericolo di un’allerta massima non sembra essere all’ordine del giorno. 

inquinamento aria

Migliorare la qualità dell’aria con enzimi ‘mangia-carbonio’

Un filtro capace di ridurre il monossido di carbonio nei processi industriali. Un composto pensato per catturare CO dai camini delle nostre case. O sensori sempre più precisi nell’identificare il gas tossico nei luoghi chiusi grazie a un enzima sintetico. Sono tutti dispositivi che ancora non esistono. Ma la strada per il trasferimento tecnologico è ora virtualmente aperta, grazie alla scoperta – condotta dai ricercatori e dalle ricercatrici dell’università di Milano-Bicocca, insieme all’università della Calabria e all’università svedese di Lund – dei dettagli del funzionamento di particolari enzimi in grado di “consumare” monossido di carbonio, gas altamente tossico per l’uomo che contribuisce ad aumentare l’effetto serra.

L’enzima studiato è il MoCu CO deidrogenasi, un catalizzatore presente in alcuni batteri del suolo capace di sequestrare monossido di carbonio (CO) dall’atmosfera. Si tratta di batteri che, letteralmente, “vivono di aria”, come spiega Anna Rovaletti, ricercatrice all’Università di Milano-Bicocca, “e utilizzano il monossido di carbonio come fonte di energia”. Per fare ciò, grazie alla presenza di questo particolare enzima, ossidano spontaneamente la CO trasformandola in CO2, “L’anidride carbonica, però, non ritorna in atmosfera” continua Anna Rovaletti, “perché viene utilizzata dagli stessi batteri per crescere”.

È un processo naturale molto vantaggioso per l’uomo, perché contribuisce a rendere l’aria respirabile. Anche in modo indiretto, “perché una minore concentrazione di CO nell’atmosfera” continua infatti Anna Rovaletti, “permette ai radicali ossidanti di ‘concentrarsi’ soprattutto nell’attività di ossidazione del metano”, con effetti importanti sul clima.

Ma quindi, perché non utilizzare il processo attivato da questo enzima, oppure replicarlo sinteticamente, per amplificare il suo effetto positivo per la qualità dell’aria? Fino ad oggi mancava un tassello importante sul suo funzionamento. “Ci siamo interessati a questo enzima, che contiene molibdeno e rame, perché è l’unico capace di ossidare il monossido di carbonio in presenza di ossigeno, e quindi a contatto con l’aria” spiega Anna Rovaletti, “a differenza, per esempio, di un altro metalloenzima (questa volta contenente nichel e ferro) che lavora invece in condizioni anaerobiche”, e che quindi, così come si presenta nella sua forma naturale, non avrebbe un futuro applicativo nell’attività di mitigazione dei cambiamenti climatici.

Lo studio dell’enzima MoCu CO deidrogenasi inizia nel 2002, quando viene individuata per la prima volta la sua struttura. Da allora sono stati ipotizzati molti diversi meccanismi di funzionamento, “ma si tratta di un processo molto complicato da studiare dal punto di vista sperimentale” spiega Anna Rovaletti, che invece è chimica teorica. “Rispetto agli studi teorici che potevano avvenire dieci anni fa” dice, “abbiamo avuto notevoli vantaggi dal punto di vista della potenza di calcolo. Per arrivare al risultato abbiamo utilizzato un modello molto grande, capace di lavorare in maniera accurata sulla sezione dell’enzima dove avviene la trasformazione della CO”. La strada, insomma, è aperta.

Russia taglia ancora i flussi gas. Governo pronto ad attivare ‘scudi’

La strategia russa di ridurre i flussi di gas verso l’Europa continua. Anzi, diventa sempre più ampia. Perché stavolta il taglio delle forniture comunicato a Eni è del 50% a fronte di una richiesta giornaliera di circa 63 milioni di metri cubi. Peggio dell’Italia è andata alla Francia, che ha smesso di ricevere il gas da Mosca dallo scorso 15 giugno, secondo quanto riferito dall’operatore del sistema di trasporto transalpino, Grtgaz. Senza contare che negli ultimi giorni il gigante russo Gazprom ha ridotto notevolmente le sue forniture a quasi tutti i Paesi europei: la Germania attraverso il gasdotto Nord Stream 1. A Parigi, comunque, non è scattato ancora l’allarme perché le scorte francesi sono piene al 56%, rispetto all’abituale 50% nello stesso periodo. Al momento resta sotto controllo, assicura l’Ue, anche perché in estate i consumi scendono, ma i tagli arrivano proprio quando i Paesi devono riempire le proprie riserve almeno all’80%.

Per quanto riguarda l’Italia, gli stoccaggi sono al 52 percento e la situazione è sotto costante monitoraggio da parte del ministero della Transizione ecologica. Che settimana prossima tirerà le somme di questo taglio e prenderà le contromisure del caso. “Sono già pronte”, ha assicurato il ministro Roberto Cingolani, che lavorerà al tavolo per l’emergenza. Tra le risposte che il governo potrebbe dare c’è quella di un allungamento dei tempi per il phase-out dal carbone, oltre a un aumento delle percentuali di risparmio del gas. Ma il vero obiettivo, esplicitato chiaramente dallo stesso Cingolani durante il question time in Senato, giovedì scorso, è quello di aumentare la produzione nazionale, sfruttando molto di più i giacimenti nel suolo italiano, abbandonati circa vent’anni fa con una strategia che oggi ci consegna questo quadro: “Siamo passati da una produzione pari al 20% del fabbisogno, nel 2000, al 3-4% nel 2022, che non è coinciso con una riduzione assoluta del gas né un beneficio ambientale, ma solo con un aumento delle importazioni” e dei costi, ripete come un mantra il responsabile del Mite.

Il primo passo è quello di rivedere il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee. Senza questo step sarà impossibile riattivare le trivelle, che tornano centrali in questa fase storica: “E’ scoppiata una guerra che ha cambiato completamente il panorama mondiale dell’energia”, avvisa infatti Cingolani. Confermando comunque “la rotta della decarbonizzazione al 55%”. Sul punto il ministro incassa il sì di Federpetroli, ma anche del segretario generale della Uiltec, Paolo Pirani.

Oltre alla strategia interna, però, il governo spinge sull’acceleratore anche in Europa per arrivare a un’intesa sul tetto massimo al prezzo del gas. Il premier Mario Draghi, alla luce dei tagli operati da Gazprom, ha fatto capire chiaramente che al prossimo Consiglio Ue del 23 e 24 giugno i partner dovranno discutere seriamente del price cap. Anche perché l’aumento dei prezzi del gas sta creando notevoli difficoltà agli stoccaggi. Secondo diversi analisti è una diretta conseguenza del calo delle forniture: ad esempio il gas naturale in Europa, il Ttf di Amsterdam, è balzato a circa 130 euro per megawattora, contro circa 100 euro di mercoledì scorso. Un anno fa, di questi tempi, era a 30 euro. Ma Vladimir Putin fa finta di nulla. Anzi, rimpalla le responsabilità cercando di ‘spostarle’ dal suo Paese, che a febbraio ha iniziato l’invasione dell’Ucraina terremotando i mercati mondiali. E’ stata “una politica energetica fallimentare” a far lievitare i prezzi dell’energia in Europa perché “la Russia non ha nulla a che vedere” con questo, ha detto il responsabile del Cremlino all’Economic Forum di San Pietroburgo.

Tra gli altri effetti della guerra, tra l’altro, c’è la crisi alimentare alle porte per il blocco del grano nei porti ucraini. Anche in questo caso Putin respinge le accuse. L’unica novità, sebbene parziale, è una timida apertura all’appello delle Nazioni Unite al dialogo sulla sicurezza alimentare. Ma, leggendo attentamente tra le righe, il suo assenso è condizionato al fatto che il fulcro del dialogo sia “la creazione di condizioni normali per la logistica, la finanza e il trasporto per aumentare le esportazioni russe di cibo e fertilizzanti”. Come rivelato da Draghi a Kiev, Putin ha rifiutato la Risoluzione Onu per far partire le navi cariche di grano e cereali che sono vitali per diversi Paesi poveri del mondo, Africa in primis.

Infine, in questo scenario, c’è anche un’altra preoccupazione a cui il governo deve dare risposta. Perché il rincaro dei carburanti torna a mordere la carne viva di cittadini e imprese, con cifre oltre i 2 euro al self per il gasolio. Dalla Lega arriva la richiesta di confermare il taglio delle accise di 25 centesimi e Matteo Salvini si aspetta il decreto entro la fine di giugno. Ma una proroga delle misure di contenimento è attesa un po’ da tutte le forze politiche. E il governo non dovrebbe tirarsi indietro. La fase è cruciale, dunque, ogni errore può essere pagato a caro prezzo. E non metaforicamente.

bollette

Prezzi alle stelle e bollette da capogiro strozzano le famiglie

L’Italia ha sete di acqua e fame di energia. Due necessità che rischiano di pesare non poco sui bilanci delle imprese. Anche perché una si lega all’altra, dato che la mancanza d’acqua sta spegnendo le centrali idroelettriche, vanto e orgoglio nazionale in questi tempi di vacche magre. E se l’industria è affannata con bollette da capogiro, non va meglio al terziario. L’Osservatorio di Confcommercio stima che tra gennaio e aprile 2022 il prezzo delle offerte elettriche sia salito mediamente del 61%, quelle relative al gas del 21%. Tra aprile 2021 e aprile 2022 i valori sono addirittura a tripla cifra, passando da +110% a +140%. Il conto energetico è insomma sempre più salato per le imprese del commercio, della ristorazione, dei trasporti e del turismo. Secondo Confcommercio, nel 2022 la spesa in carburante per gli autotrasportatori si dovrebbe collocare sui 37 miliardi di euro, ovvero +7 miliardi rispetto al 2021.

PREZZI ALLE STELLE

La congiuntura è stata confermata proprio oggi dall’Istat, nel suo bollettino su commercio estero e prezzi all’import. Il dato che balza all’occhio è ovviamente quello relativo ai beni energetici e ai prodotti petroliferi. Ad aprile la crescita dell’export (+1,5%) interessa tutti i i raggruppamenti principali di industrie, a eccezione dei beni intermedi (-0,3%). L’aumento è dovuto principalmente all’incremento delle vendite di energia (+18%) e beni di consumo non durevoli (+2%). La crescita su base mensile dell’import (+7,0%) riguarda tutti i raggruppamenti, a esclusione dei beni di consumo durevoli (-2,8%), ed è spiegata per la metà dall’aumento degli acquisti di energia (+18,1%). Per quanto riguarda i prezzi all’importazione, incrementi tendenziali sono stati rilevati in quasi tutti i settori manifatturieri, e i più elevati interessano fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (+56,4% area euro, +54,8% area non euro).

CONTI IN TASCA

Gli effetti si vedono non solo nel manifatturiero. I dati del terziario che arrivano dall’Osservatorio di Confcommercio parlano chiaro: solo ad aprile i costi dell’elettricità sono aumentati tra il 50% e l’80%. Fa riflettere il conto medio di un albergo tipo, che quest’anno potrebbe dover affrontare spese per 137mila euro per la corrente (+76% rispetto al 2021) e 6mila euro per il gas, ma anche quello di un ristorante (per la corrente 18mila euro, +57%, per il gas circa 10mila euro), mentre per un negozio alimentare la corrente passerà da 23mila a 40mila euro (+70%) e per un bar il conto annuale aumenterà del 54%. Per i negozi non alimentari il rincaro, stima Confcommercio può arrivare addirittura all’87%. Calcolatrice alla mano, i vari comparti del terziario sono chiamati a far fronte a un aggravio di spesa di 27 miliardi, oltre il doppio del 2021 (11 miliardi). Numeri pesantissimi che testimoniano ulteriormente, qualora ce ne fosse bisogno, il momento di sofferenza delle imprese. Nel confronto tra aprile 2021 e aprile 2022, la bolletta annuale di elettricità e gas è aumentata considerevolmente per tutti i principali comparti del terziario: settore alberghiero a +68mila euro per l’elettricità e +13mila per il gas, ristoranti a +9mila euro e + 5mila.

Confcommercio rimarca anche il “pesantissimo balzo” per le famiglie, con tariffe più che raddoppiate dal 2021: la spesa media annuale di un nucleo tipo – con consumo annuo di 2.700 kWh – sarà di 1.116 euro (ovvero più del doppio rispetto ai 540 euro dell’anno scorso). Per quanto riguarda invece i consumi annui di gas (circa 1.400 metri cubi) la spesa sarà di 1.731 euro, ovvero +703 euro rispetto al 2021 (era a quota 1.028).

DEFICIT DA 9 MLD IN UN MESE

La ‘fame di energia’ costa dunque cara, ma l’Italia non è sazia. Anzi. Secondo l’Istat, ad aprile 2022 il deficit energetico raggiunge i 9,111 miliardi (era 2,849 miliardi un anno prima), mentre da gennaio, proprio per effetto dei forti rialzi dei valori medi unitari all’import di gas, greggio e prodotti della raffinazione, raggiunge quasi i 31 miliardi.

paolo gallo

Italgas sempre più sostenibile: nel piano -34% emissioni al 2028

Nei prossimi anni, il Gruppo Italgas continuerà a giocare un ruolo di primo piano nel raggiungimento dei target climatici Ue attraverso iniziative di efficientamento energetico e di digitalizzazione e ottimizzazione del sistema di controllo. L’amministratore delegato Paolo Gallo – nel corso della presentazione del Piano Strategico 2022-2028 – ha dettato la linea relativa alle prospettive future del Gruppo: “In uno scenario europeo che ha nel REPowerEU la nuova stella polare per rafforzare la resilienza del sistema energetico e accelerare la transizione ecologica, Italgas può cogliere i frutti di una visione che aveva individuato nelle reti digitali, flessibili e intelligenti come principali abilitatori della decarbonizzazione dei consumi”.

Al fine di favorire il processo di decarbonizzazione, la società ha esteso al 2028 il target di riduzione dei consumi energetici netti rispetto al 2020, portandolo a -27% e ponendosi un nuovo target di -33% al 2030. Il raggiungimento di tali obiettivi contempla le iniziative sostenibili e di digitalizzazione e ottimizzazione del sistema di controllo. Inoltre, grazie al miglioramento della rete, all’azione capillare di ricerca delle dispersioni e alla pianificazione mirata degli investimenti, Italgas prevede di ridurre del 34% le emissioni climalteranti al 2028 e del 42% al 2030. Infine, tramite un’intensificazione dell’engagement con i propri fornitori, il Gruppo auspica a un calo delle emissioni di gas a effetto serra del 30% al 2028 e del 33% al 2030 rispetto al 2024.

Raddoppia anche l’impegno verso il business dell’efficienza energetica. Il nuovo Piano, infatti, assegna 340 milioni di euro allo sviluppo delle ESCO (interventi finalizzati a migliorare l’efficienza energetica) del Gruppo. “Tramite questo investimento, quasi il doppio rispetto al precedente piano, intendiamo dar vita a uno dei principali player a livello nazionale, con focus su innovazione e digitalizzazione, contribuendo al consolidamento di un settore ancora molto frammentato”, ha garantito Gallo. L’innovazione si conferma, dunque, il principale driver di crescita di Italgas.

L’investimento complessivo, mirato anche e soprattutto all’innovazione, sarà pari a 8,6 miliardi di euro, un aumento di 0,7 miliardi di euro rispetto al precedente. “La quota più rilevante – ha puntualizzato l’ad Gallo – è ancora una volta destinata all’estensione, trasformazione digitale e repurposing del network di distribuzione al fine di creare per tempo le condizioni per un utilizzo diffuso dei nuovi gas, come biometano, idrogeno verde e metano sintetico, che presto dovremo accogliere nelle nostre reti in quantità crescenti”.

draghi

Draghi: “Lavoriamo con Israele su risorse gas Mediterraneo orientale”

Innovazione, sostenibilità, agricoltura ma soprattutto energia. Questi i temi principali toccati dal presidente del Consiglio Mario Draghi durante l’incontro a Tel Aviv con il primo ministro israeliano, Naftali Bennett. La collaborazione Italia-Israele, negli ultimi anni, si sta rafforzando sempre di più e l’unione tra i due Paesi è ancora più forte in questo momento di profonda crisi energetica. “Stiamo lavorando insieme nell’utilizzo delle risorse di gas del Mediterraneo orientale e per lo sviluppo di energia rinnovabile“, dichiara il premier in un punto stampa congiunto. Anche perché l’obiettivo primario è quello di “ridurre la nostra dipendenza dal gas russo e accelerare la transizione energetica verso gli obiettivi climatici che ci siamo dati“.

Ringraziando il Governo israeliano per il suo sforzo di mediazione in questa emergenza, Draghi sottolinea che “con il primo ministro Bennett si è discusso anche delle crisi internazionali in corso e in particolare della guerra in Ucraina”, aggiungendo poi che, in ogni caso, “l’Italia continuerà a sostenere in maniera convinta l’Ucraina e il suo desiderio di far parte dell’Unione europea”.

Tra le crisi provocate dal conflitto, anche quella relativa al blocco del grano nei porti del Mar Nero che rischia di far scoppiare una vera e propria catastrofe alimentare. Il premier non ha dubbi sul da farsi: “Dobbiamo operare con la massima urgenza dei corridoi sicuri per il trasporto del grano. Abbiamo pochissimo tempo, perché tra poche settimane il nuovo raccolto sarà pronto e potrebbe essere impossibile conservarlo“.

Gas, Draghi in Israele e Palestina per consolidare Italia hub Ue

La strategia energetica italiana passa anche da Israele. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, è a Tel Aviv, dove ha incontrato il presidente dello Stato di Israele, Isaac Herzog, prima di intervenire al Tempio Italiano di Gerusalemme, dove ha garantito che “il governo è impegnato a rafforzare la memoria della Shoah e a contrastare le discriminazioni di ogni tipo contro gli ebrei“, perché “in momenti di crisi, di incertezza, di guerra, come quello che stiamo vivendo, è ancora più importante opporsi con fermezza all’uso politico dell’odio“.

Il premier, poi, ha fatto visita al Museo di arte ebraica ‘Umberto Nahon’ e alla Sinagoga italiana, incontrando i rappresentanti della comunità italiana e ponendo la firma firma sul Libro d’onore. Infine, per la prima giornata di visita diplomatica ha avuto un incontro alla Knesset con il ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid, che lo accoglie con un tweet, che inizia con una frase in italiano: “Buonasera primo ministro e benvenuto in Israele“. Poi un messaggio, nella sua lingua madre, dal contenuto più che benaugurante: “Italia e Israele intrattengono rapporti lunghi e cordiali e di cooperazione economica, di sicurezza e culturale – scrive Lapid -. Continueremo a lavorare insieme per rafforzare e approfondire le relazioni tra i nostri Paesi“.

Oggi, invece, è in agenda il vertice tra Draghi e il primo ministro, Naftali Bennett, poi il trasferimento a Ramallah, per il summit con primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, cui seguirà la cerimonia di firma delle intese bilaterali tra Italia e Palestina. Tra gli obiettivi della missione diplomatica c’è sicuramente il rilancio del progetto del gasdotto che potrebbe portare nuove, importanti forniture dal maxi-giacimento Leviathan in Europa, tramite un’infrastruttura che trasporti il Gnl dalle acque a largo di Israele. Si tratta di un patrimonio di gas naturale liquefatto di circa 600 miliardi di metri cubi: se ci fosse l’accordo, l’Italia – ma anche il Vecchio continente – riuscirebbe nel doppio colpo di incrementare la politica di diversificazione delle fonti energetiche, ma soprattutto darebbe un segnale fortissimo alla Russia, che l’operazione di chiusura delle forniture da Mosca sarebbe prossima a completarsi.

C’è ancora molto da lavorare, però, perché non è affatto risolto uno dei problemi più pesanti da sostenere. Il gasdotto EastMed, che ad oggi rimane ancora sulla carta, con i suoi 5 milioni di dollari circa di costi, ma soprattutto un progetto che stenta a decollare, perché prevede un passaggio per Cipro e Grecia. Molto dipenderà anche dall’atteggiamento che assumerà la Commissione europea, tant’è vero che la presidente Ursula von der Leyen è sbarcata in Israele per discutere di “energia e sicurezza alimentare, intensificando la cooperazione in materia di ricerca, salute e clima“. Sull’opera, comunque, rimangono le riserve (per usare un eufemismo) della Turchia. E anche degli Stati Uniti. Una partita non facile, dunque, che Draghi sta provando a giocare con il suo peso istituzionale. Perché il tempo delle scelte è adesso.

Edilizia, arriva Gbc Condomini: riqualificazione rispettando sostenibilità

Venerdì prossimo, 17 giugno, a partire dalle ore 10, presso Palazzo Visconti, a Milano, Green Building Council Italia presenterà Gbc Condomini, il nuovo protocollo per la riqualificazione, l’esercizio e la manutenzione degli edifici. Una data che vuole cambiare l’approccio di operatori delle filiere edili ed immobiliari, nei confronti di efficienza energetica, sicurezza e comfort abitativo, per il benessere della persona e dell’ambiente. Sarà un evento in modalità blended (in presenza e in remoto su piattaforma digitale), per il lancio di uno strumento fondamentale per tutti coloro che si occupano di edilizia e di sostenibilità, pensato per essere applicato non solo ad edifici residenziali esistenti, ma anche a supporto di processi di rendicontazione, a favore della trasparenza e della riduzione del rischio finanziario delle operazioni immobiliari. “Il protocollo energetico-ambientale Gbc Condomini è un sistema di certificazione (rating system) fortemente innovativo, che include anche l’attenzione ai processi di miglioramento sismico oltre ai classici aspetti di efficienza energetica e ambientale dopo oltre tre anni di test e grazie all’eccellente lavoro dei nostri Soci più qualificati, siamo orgogliosi di poter lanciare questa prima edizione“, spiega Marco Mari, presidente di Gbc Italia. “Un importante sistema di garanzia della corretta progettazione ed esecuzione dell’opera, anche nei processi di rendicontazione finanziati con bonus e superbonus edilizi“.

All’evento, che sarà aperto proprio da Mari e da Massimiliano Mandarini, segretario Chapter Lombardia di Gbc Italia, prenderanno parte anche esponenti delle istituzioni, come l’europarlamentare e membro della commissione per l’Ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare del Parlamento Ue, Eleonora Evi, il presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, l’assessore al Bilancio e Patrimonio immobiliare del Comune di Milano, Emmanuel Conte, il commissario straordinario del governo per la ricostruzione post Sisma del 2016, Giovanni Legnini, e l’assessore alla Casa e housing sociale della Regione Lombardia, Alessandro Mattinzoli. “Gbc Condomini è uno strumento imprescindibile nei casi di Riqualificazione, Conduzione e Manutenzione degli edifici esistenti adibiti a residenza multipla, assimilabili ai ‘condomini’, che amplia la famiglia dei protocolli energetico-ambientali Gbc – sottolinea ancora Mari -. Mediante una struttura particolarmente snella e operativa, Gbc Condomini permette di certificare e garantire il valore di mercato dell’immobile anche nei casi di miglioramento parziale delle prestazioni degli edifici“.

Il vero obiettivo “è vincere la sfida dell’edilizia moderna e sostenibile, attraverso la riqualificazione del patrimonio edilizio, anche nella fase gestionale degli edifici. Un protocollo che si rivolge a tecnici e operatori di settore, ma anche ai privati e agli enti o società pubbliche proprietarie di immobili, alle compagnie di assicurazione e alle banche per i loro patrimoni immobiliari, alle cooperative abitative e di social housing, nonché all’ente normatore e al mondo della finanza, che avranno a disposizione uno strumento col quale valutare le potenzialità di un intervento e a lavori ultimati avere una certificazione terza dei miglioramenti prestazionali attesi. Come di consueto, saranno presentati dei casi studio per dare immediato e concreto riscontro dell’applicazione Gbc Condomini“, conclude Mari.

Clima, Ocse lancia nuovo Forum. Franco: Accelerare rinnovabili

Energia, crisi alimentare e tutela dell’ambiente: sono i temi, oltre al Fisco e alla crescita, al centro della riunione del Consiglio ministeriale dell’Ocse che si è conclusa ieri. La Presidenza di turno tocca all’Italia, infatti è il ministro dell’Economia, Daniele Franco, a presentarsi alla conferenza finale assieme al segretario generale, Mathias Cormann. Entrambi sottolineano l’unità di intenti e vedute dei Paesi membri nella condanna all’aggressione russa ai danni dell’Ucraina, esprimendo massima solidarietà alla popolazione e l’impegno per la ricostruzione una volta che le armi avranno taciuto. Nell’attesa bisogna continuare, anzi migliorare gli sforzi per contrastare il cambiamento climatico, che rischia di avere ricadute rovinose sulla crescita.

Ecco perché l’Ocse ha dato il via libera al nuovo Forum inclusivo sulle politiche per la mitigazione degli effetti dell’uso del carbone. “Nel corso di questa ministeriale è stato fatto un grande passo avanti negli sforzi per garantire azioni più ambiziose sul climate change“, annuncia Cormann. Sottolineando che la discussione è stata animata dalla “necessità di condividere le migliori pratiche per raggiungere le emissioni zero, sperando che siano prese decisioni migliori a livello mondiale“. Del resto “il mondo ha bisogno di azioni più efficaci” per “ridurre le emissioni globali e non fare semplicemente un passaggio delle attività da una parte all’altra del mondo“. In poche parole una delocalizzazione delle produzioni più inquinanti da un emisfero all’altro: tanto il prodotto finale non cambierebbe.

Un monito ribadito anche da Franco: “E’ importante che la liberalizzazione del commercio vada di pari passo con la tutela dell’ambiente“. Sottolineando l’importanza della cooperazione internazionale “per coinvolgere il maggior numero di Paesi possibile, anche al di là dei membri dell’Ocse, che sono numerosi e importanti“, visto che “la maggior parte delle emissioni inquinanti avvengono in altre nazioni“. Dunque, resta centrale la transizione ecologica: “C’è stato uno scambio molto proficuo sulle possibili modalità per nuove prospettive – ammette il ministro italiano -. La guerra in Ucraina ha imposto di utilizzare ancora di più il carbone nel breve termine, invece bisogna accelerare lo sviluppo di fonti rinnovabili, perché dobbiamo compensare le missioni extra che siamo producendo“.

Il responsabile del Mef ha battuto molto anche sul tasto dolente delle tonnellate di grano ferme nei porti ucraini a causa della guerra scatenata da Mosca: “Dobbiamo poterle sbloccare“, perché “le conseguenze provocate dalla guerra hanno ulteriormente esacerbato le difficoltà che già esistevano a causa dell’inflazione” e “questo ha contribuito a produrre un rallentamento della crescita, oltre alle interruzioni nella catena dei rifornimenti“. Ragion per cui nella ministeriale Ocse “si è deciso di offrire un ampio sostegno, soprattutto verso quei cittadini più vulnerabili delle nostre società e i Paesi più vulnerabili: si tratta di un elemento molto importante, visto che riguardava appunto il rifornimento di cibo e di materie prime, che mette a repentaglio la vita delle persone“.

Tra i continenti più a rischio in questo scenario c’è sicuramente l’Africa. Ma non solo con la chiave di lettura della crisi alimentare: “E’ importante sostenere le soluzioni per le priorità africane” come quella di “avere accesso ai servizi dell’energia e infrastrutture energetiche” oltre a “garantire una fornitura energetica affidabile” alle popolazioni. Se non ci sarà un cambio di rotta potrebbero sorgere altre “difficoltà” e “nuove guerre civili“.

All’Ocse c’è spazio anche per parlare di inflazione, con l’auspicio del ministro dell’Economia che si “eviti di introdurre in questo contesto delle tensioni non necessarie“, affidando un messaggio alle banche centrali: “Devono cercare di scegliere una traiettoria che tenga in considerazione i fattori alla base dell’aumento del tasso di inflazione“. Considerando anche il contestuale rialzo dei tassi di interessi della Bce, anche se “pienamente è atteso, un po’ un ritorno alla normalità“, a patto che “la proiezione di questo aumento, e la tempistica, avvenga senza tensioni, senza shock“. Perché “quando l’inflazione dipende molto dagli shock, per quanto concerne l’offerta, l’aumento dei tassi di interesse sono meno importanti“. La guardia, comunque, vista l’incertezza della fase storica deve rimanere alta.