bollette

Energia, Arera: In un anno +91% prezzo elettricità e +70,7% gas

La spesa per la bolletta dell’elettricità per la famiglia-tipo nell’anno scorrevole (cioè quello compreso tra il 1° ottobre 2021 e il 30 settembre 2022) sarà di circa 1071 euro, +91% rispetto ai 12 mesi precedenti. Nello stesso periodo, la spesa della famiglia tipo per la bolletta gas sarà di circa 1.696 euro, con una variazione del +70,7% rispetto ai 12 mesi equivalenti dell’anno precedente. Lo annuncia l’Arera, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, che dopo il via libera al decreto varato dal Governo per contenere i costi di luce e gas, ha diffuso una nota nella quale analizza non solo gli effetti in bolletta dell’attuale crisi, ma anche l’andamento dei mercati, soprattutto nel quadro di generale incertezza causato dalla guerra in Ucraina.

E se da un lato l’Arera approva i provvedimenti adottati dal Governo (che ha “sterilizzato gli aumenti per l’energia elettrica e il gas naturale, per il mercato tutelato e in parte anche per il mercato libero“), allo stesso tempo sottolinea come sia ancora “molto evidente” la differenza di spesa rispetto allo scorso anno. Il terzo trimestre 2022 per la famiglia tipo in tutela, “vedrà un lieve incremento per la bolletta dell’elettricità, +0,4%, mentre rimarrà stabile la bolletta gas, senza alcuna variazione“. Segno, ricorda l’Autorità, che “è stato mitigato l’impatto degli aumenti per utenti domestici e per le imprese“. Anche perché, “il quadro generale avrebbe determinato, in assenza di interventi, una variazione intorno al 45% della bolletta gas e al 15% di quella elettrica“.

Le disposizioni contenute nel decreto del Governo, assieme alla conferma della riduzione Iva sul gas al 5%, avranno un impatto positivo su 30 milioni di utenze domestiche e oltre 6 milioni di piccole imprese, artigiani e commercianti. L’Arera conferma anche il potenziamento dei bonus sociali elettricità e gas, “che anche per il terzo trimestre dell’anno consentiranno alle famiglie in condizioni di difficoltà economiche di pagare mediamente bollette non superiori a quelle precedenti l’ondata di aumenti“. Come previsto, e attraverso il finanziamento del Governo, sono confermate beneficiare dei bonus sociali le famiglie con un livello di Isee fino a 12mila euro. I bonus sono erogati direttamente in bolletta a tutte le famiglie aventi diritto, a condizione che abbiano un Isee valido ed entro la soglia indicata nell’anno 2022.

Il presidente del Consiglio Mario Draghi

Cdm approva misure contro il caro energia: esteso bonus bollette

Il terzo decreto Energia ora è completo. Con i correttivi approvati dal Consiglio dei ministri, le misure studiate dal governo per aiutare cittadini e filiera produttiva contro i rincari dei prodotti energetici e garantire la liquidità delle imprese che effettuano stoccaggio di gas naturale, sono pronte e operative. Le direttrici sono significative, innanzitutto perché allargano il raggio dei bonus per famiglie, imprese, negozi e pmi a tutti e tre i trimestri del 2022 (le soglie di reddito per accedere sono 8 mila euro per il primo, 12 mila per secondo e terzo). Poi c’è la conferma dell’annullamento fino a settembre delle aliquote relative agli oneri generali di sistema per le utenze domestiche e non domestiche in bassa tensione, oltre che per le utenze con potenza disponibile superiore a 16,5 kilowattora (negozi, pmi, attività artigianali, commerciali o professionali, capannoni e magazzini) o per usi di illuminazione pubblica o di ricariche pubbliche di veicoli elettrici. Inoltre, l’Iva è al 5% sulle somministrazioni di gas metano per usi civili e industriali e sono mantenute al livello del secondo trimestre le aliquote relative agli oneri generali di sistema per il gas naturale.

Senza contare che è prevista un’ulteriore riduzione degli oneri di sistema per il settore del gas, con particolare riferimento agli scaglioni di consumo fino a 5mila metri cubi all’anno, oltre a un contributo per il contenimento dei prezzi del gas da parte dei soggetti titolari di contratti pluriennali di importazione di gas naturale. E ancora, c’è il via libera al prestito di 4 miliardi al Gestore dei servizi energetici (Gse) per l’acquisto di gas naturale finalizzato agli stoccaggi (ad oggi sono vicini al 60%, ma a Palazzo Chigi sono ottimisti sull’obiettivo di portarli al 90 entro novembre). Tutto ciò è stato possibile grazie a un altro passaggio importante in Cdm: l’approvazione dell’assestamento di bilancio per il 2022. “Doveva essere approvato entro oggi“, spiega al termine della riunione Mario Draghi. Sottolineando che “il terzo trimestre per le bollette comincia domani, quindi, in mancanza di questa operazione ci sarebbe stato un disastro: i cittadini avrebbero ricevuto bollette senza agevolazioni, con rincari fino al 35-40%“.

In questo contesto si innesta anche la parte più ‘politica’ del discorso del premier, finito al centro di una polemica con epicentro i Cinquestelle, Beppe Grillo e Giuseppe Conte, proprio mentre era al Vertice Nato di Madrid, subito dopo il Consiglio europeo della scorsa settimana e il G7 di Elmau, dove ha strappato l’impegno dell’Ue ad arrivare a un tetto massimo sul prezzo del gas, come effetto domino del price cap sul petrolio, fortemente voluto dal presidente Usa, Joe Biden. Dalla Spagna, però, Draghi è rientrato con un giorno d’anticipo (e in mattinata ha visto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Quirinale), anche se nega il nesso con le polemiche per le presunte richieste avanzate al Garante M5S di rimuovere il leader. Assestamento di bilancio e bollette spiegano “perché sono rientrato a Roma ieri notte e l’ultima seduta del vertice Nato è stata validamente presidiata dal ministro Guerini“. La sua opinione è che la bolla sia destinata a sgonfiarsi: “Abbiamo davanti molte sfide: dalla guerra in Ucraina al Pnrr, ai rincari energetici, alla siccità. Sono convinto che potremo superare queste sfide se sapremo mostrare la stessa convinzione che abbiamo mostrato in questi mesi di governo“.

Per inciso, Draghi dice chiaro e tondo che l’esecutivo “non rischia, sono ancora ottimista” ma senza Cinquestelle “non si fa“: ricorda che “lo dissi già dalle consultazioni” e poi “il governo valuta il contributo che il Movimento ha dato all’azione di governo: troppo per accontentarsi di un appoggio esterno“. Polemica chiusa? Nei prossimi giorni il premier e Conte si sentiranno e si vedranno, il confronto lo dirà.

Nel frattempo le sfide internazionali continuano a premiare l’Italia. Come conferma il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, al termine della missione in Ue al Consiglio su energia e ambiente. I ministri hanno raggiunto un accordo che impegnerà i Paesi dell’Unione a produrre almeno il 40% di energia da fonti rinnovabili entro il 2030 e di realizzare interventi di efficientamento, che permettano di ridurre il consumo di energia del 9% rispetto ai livelli previsti nel 2030. Inoltre, per l’automotive, nonostante la conferma del phase-out per i motori a combustione interna dal 2035, è stata raggiunta un’apertura importante per l’utilizzo di carburanti sintetici a impatto ambientale zero. “Le scelte che sono state prese vanno nell’auspicata direzione di una transizione ecologica rapida ma che non lascia nessuno indietro“, sottolinea il responsabile del Mite. Motivo in più per riportare la calma nella politica italiana. La partita è nella fase decisiva, ogni soffio di vento interno può tramutarsi in tornado a livello internazionale. Un rischio che il nostro Paese, in questa fase, proprio non può permettersi di correre.

Cingolani: “Transizione ecologica rapida, ma senza lasciare indietro nessuno”

Il percorso verso la transizione energetica, in Italia, procede nonostante la crisi legata alle forniture di gas e petrolio e la riattivazione delle miniere di carbone. Il Consiglio europeo su energia e ambiente si è concluso con risultati che lasciano ben sperare. Al rientro dalla sua missione in Lussemburgo, il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani ripercorre le tappe più salienti toccate nel corso dell’incontro. Lo fa, innanzi tutto, con una breve ma trasparente introduzione: “Questi due giorni di lavori hanno dimostrato ancora una volta che stiamo mettendo in atto molte iniziative e stiamo facendo qualcosa di unico al mondo. Le scelte che sono state prese vanno nell’auspicata direzione di una transizione ecologica rapida ma che non lascia nessuno indietro”.

Per quanto riguarda il pacchetto ‘Fit for 55‘ è stato concordato l’orientamento generale sul testo di due direttive cruciali: ‘Fonti Rinnovabili’ ed ‘Efficienza Energetica’. I ministri hanno raggiunto un accordo che impegnerà i Paesi dell’Unione a produrre almeno il 40% di energia da fonti rinnovabili entro il 2030 e di realizzare interventi di efficientamento, che permettano di ridurre il consumo di energia del 9% rispetto ai livelli previsti nel 2030.

Ridurre le emissioni è anche il motivo per cui c’è stata la conferma del phase-out per i motori a benzina e diesel entro il 2035. Una misura che, nonostante risulti appropriata per l’obiettivo di riduzione delle emissioni, preoccupa, non poco, il Paese a livello di posti di lavoro. Tuttavia, Cingolani assicura: “Per il settore automotive sono stati raggiunti importanti risultati per assicurare una transizione verso una mobilità a zero emissioni sostenibile sia dal punto di vista tecnico che socio-economico”. Infatti, in tale ambito l’Italia ha ottenuto un percorso di transizione senza strappi per garantire l’eccellenza italiana delle piccole produzioni di automobili e furgoni. “È stata inoltre raggiunta un’apertura importante per l’utilizzo di carburanti sintetici a impatto ambientale zero (o comunque molto basso) che consentono la riduzione sostanziale della Co2 anche utilizzando motori tradizionali”, la sottolineatura.

Questa soluzione ripristina il principio della neutralità tecnologica del pacchetto normativo garantendo che tutte le tecnologie possano contribuire al processo di decarbonizzazione a tutela dei paesi e le fasce più deboli che potrebbero non essere in grado di completare la transizione alla mobilità elettrica entro la data prevista, garantendo comunque la decarbonizzazione.

nucleare

Nucleare di quarta generazione, Dodaro (Enea): “Strada giusta ma ancora lunga”

Più sostenibile, sicuro, resistente alla proliferazione e economico, o quantomeno non più costoso rispetto a oggi. Sono le promettenti caratteristiche del cosiddetto nucleare di quarta generazione, una tecnologia sulla quale ha dichiarato più volte di voler puntare lo stesso ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani.

Se le prime tre generazioni di reattori presentano una filosofia simile e derivano da progetti nati alla fine degli anni 40 e poi affinati per migliorarne efficienza e sicurezza, la quarta generazione promette di superare alcune delle principali criticità collegate alla produzione di energia nucleare. Dispositivi come i reattori veloci refrigerati a piombo (LFR), sui quali già da più di 20 anni sta lavorando Enea, rappresentano la quasi esclusività delle attività di ricerca e sviluppo nel settore in Italia. A delinearne i potenziali vantaggi parlando con Gea è Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento Fusione e Tecnologie per la sicurezza Nucleare Enea. “Il nucleare di quarta generazione non utilizza uranio-235 bensì uranio naturale che non viene trasformato in rifiuto radioattivo. Si può così arrivare a eliminare il 99% di quelle che sono chiamate volgarmente scorie radioattive”, spiega innanzitutto. A questo aspetto ne è legato un altro molto importante, quello della resistenza alla proliferazione degli armamenti nucleari visto che “diventerebbe inutile recuperare l’uranio-235 a partire dall’uranio naturale presente nel combustibile per realizzare ordigni: è un aspetto cruciale a livello di sicurezza”, ricorda Dodaro. Sicurezza che riguarda anche i reattori, dotati di sistemi passivi basati su leggi fisiche e non sull’intervento dell’uomo o sulla disponibilità di energia elettrica, capaci di attivarsi in automatico in caso di incidente. Un’altra Chernobyl, insomma, non sarebbe più possibile: il reattore tende spontaneamente a una condizione stabile e sicura. Infine, l’efficienza. L’esponente di Enea prova a esemplificare i vantaggi attraverso semplici numeri. “Con un reattore di quarta generazione raffreddato a metallo liquido, se il nocciolo produce 1.000 di energia, 400 vanno in corrente elettrica, 250 si possono sfruttare per altri scopi come generare idrogeno o il teleriscaldamento, e solo 350 viene disperso nell’ambiente. Con i reattori attuali invece tutto ciò che non diventa energia elettrica viene perso”.

Non è però tutto oro quel che luccica. C’è un grande ostacolo da superare per arrivare a utilizzare su larga scala sistemi nucleari di quarta generazione. “La difficoltà principale è gestire il metallo liquido che deve muoversi e assorbire calore dal nocciolo del reattore – afferma Dodaro -. Il piombo liquido è dieci volte più denso dell’acqua ed è quindi impossibile movimentarlo con i sistemi tradizionali. Occorre trovare un modo per gestire la parte termofluidodinamica del reattore”. I costi invece non rappresentano un problema, quantomeno se rapportati a quanto si spende oggi per produrre energia nucleare. “Bisogna considerare il costo del kilowattora di energia, comprendendo sia la spesa per la costruzione dell’impianto sia i costi successivi per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi e quelli per lo smantellamento del reattore una volta finito il suo ciclo di vita – afferma Dodaro -. Un reattore di quarta generazione ha un costo di costruzione dell’impianto simile a uno di terza, ma avrà costi decisamente minori legati ai rifiuti e allo smantellamento, visto che ha dimensioni minori rispetto a uno di terza. Il costo finale sarà, se non più basso, almeno uguale a quello attuale”.

Nonostante negli ultimi tempi il dibattito sul nucleare si sia riacceso, complice anche la crisi energetica generata dal conflitto russo-ucraino, la strada per gli impianti ‘generation four’ è ancora piuttosto lunga. Secondo Dodaro, “bisognerà attendere il 2035 per i prototipi più consolidati di quarta generazione ‘classica’, e almeno il 2040 per vedere questi impianti pienamente operativi. Ci sono però progetti per reattori di taglia più piccola, come quelli su cui stiamo lavorando con al strat-up newcleo, che hanno orizzonti temporali più brevi e potrebbero concretizzarsi già attorno al 2030”.

(Photo credits: Sameer Al-DOUMY / AFP)

iaea

Crescono gli investimenti globali in energia nucleare

A oltre 36 anni dal disastro di Chernobyl, punto di svolta nella storia dell’energia nucleare, sono 441 i reattori in funzione nel mondo, secondo gli ultimi dati forniti dal Power Reactor Informations System dell’Iaea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Il numero di reattori attivi nel mondo è sempre cresciuto dagli anni 50 fino al 1989, quando se ne contavano 420. Da allora il dato è rimasto pressoché stabile, anche se va considerato che attualmente risultano 53 i reattori in fase di costruzione. Ma la frenata alla costruzione di nuovi impianti alla fine degli anni 80 porta a un quadro dove l’età media dei reattori in funzione supera i 30 anni. Attualmente il paese con più impianti sono gli Stati Uniti (93), seguiti da Francia (56) e Cina (55), anche se il “gigante” asiatico vanta 15 reattori in fase di costruzione. Stringendo il campo alla sola Europa, dopo la Francia ci sono Regno Unito (11), quindi Belgio e Spagna (7 per entrambi).

Ma quanto incide la produzione nucleare sul fabbisogno globale di energia? Circa il 10%, secondo i dati dell’Agenzia internazionale dell’energia. Si tratta della quarta fonte dopo carbone (36,7%), gas (23,5%) e idroelettrico (16%). Nel 2020 le centrali nucleari nel mondo hanno fornito 2553 TWh di elettricità, in calo rispetto ai 2657 TWh del 2019. Ma la tendenza ad abbandonare questa fonte per puntare maggiormente sulle rinnovabile risulta chiara se si pensa che nel 1996 era nucleare il 17,5% dell’energia prodotta in tutto il mondo. Com’è facilmente intuibile, l’incidenza dell’atomo varia parecchio da zona a zona. Ad esempio, secondo i dati Eurostat nel 2020 circa il 25% dell’energia prodotta in Ue è arrivata dalle centrali nucleari. Dato che sale al 34,3% se si tolgono dal mazzo i Paesi che, come l’Italia, non utilizzano l’atomo. Il primato è della Francia, che trae dal nucleare circa due terzi della propria energia.

I numeri sembrano quindi raccontare un progressivo abbandono del nucleare, ma in realtà il trend potrebbe invertirsi nei prossimi anni a causa di due fattori: la spinta di paesi ‘affamati’ di energia come Cina e India e l’evoluzione tecnologica che sembra poter portare a reattori più sicuri, efficienti e puliti come quelli di quarta generazione. Per non parlare delle potenzialità racchiuse nella fusione, che promette di produrre energia senza scorie, emissioni nocive e rischi di incidenti disastrosi per l’ambiente. Il combinato disposto di tutto ciò porta a prevedere una crescita degli investimenti sul nucleare. Rystad Energy, società indipendente di ricerca energetica e business intelligence con sede a Oslo, ha stimato che le spese per il nucleare ammonteranno a 45 miliardi di dollari nel 2022 e 46 miliardi nel 2023, rispetto ai 44 miliardi di dollari del 2021. Una crescita dunque contenuta, ma che potrebbe accelerare non di poco negli anni successivi. Pechino infatti sta pianificando almeno 150 nuovi reattori nucleari nei prossimi 15 anni, con un esborso stimato di 440 miliardi di dollari. Mentre Nuova Dehli ha annunciato l’obiettivo di triplicare la produzione annuale di energia nucleare nei prossimi 10 anni.

(Photo credits: ALEX HALADA / AFP)

In Europa è battaglia per l’inserimento in tassonomia ‘verde’

Nucleare o non nucleare nel mix energetico del futuro dell’Ue. La necessità di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili importati dalla Russia, costringe l’Unione Europea a ripensare le sue forniture di energia, soprattutto nel caso del gas naturale come fonte di transizione nel passaggio dal carbone alle energie rinnovabili. Da Mosca arriva oltre il 40% del gas importato in Ue e Bruxelles ha lasciato ai governi carta bianca su quando e come liberarsi dalle forniture di idrocarburi russi, dando il suo ok all’idea di prolungare – se pure “di poco” – l’uso delle centrali a carbone o del nucleare per la produzione di energia elettrica, evitando di ricorrere al gas come ponte di transizione.

La crisi dei prezzi del gas che va avanti dall’autunno ha rilanciato il fronte di chi vede nell’energia nucleare la migliore alternativa, nel breve periodo, al gas russo. L’Ue punta sulle energie rinnovabili, che ora sono più economiche e prive di carbonio ma non c’è ancora produzione su larga scala che consenta di affidarvisi completamente. Quindi Bruxelles è alla ricerca di una fonte più “stabile” per l’energia e guarda all’atomo. L’energia elettrica prodotta da centrali nucleari non produce emissioni di CO2 ed è questo il motivo per cui diversi Stati membri – e la stessa Commissione europea – continuano a sostenerne l’inclusione nel proprio mix energetico.

Sebbene sia una fonte energetica “pulita” perché a basse emissioni, gli Stati che la impiegano devono convivere con lo smaltimento di scorie e rifiuti radioattivi che restano sui territori per decenni. L’Italia, ad esempio, attraverso un referendum ha deciso di abbandonare la produzione di energia elettrica dal nucleare nel 1987, e ancora oggi sconta di non aver costruito un centro nazionale per lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti radioattivi.

In Europa c’è chi, come la Germania e l’Austria, hanno scelto di prolungare temporaneamente l’uso del carbone per ridurre la dipendenza da Mosca, chi, come la Francia o il Belgio, rilanciano la costruzione di nuovi reattori nucleari per la propria sicurezza energetica o ritardano la chiusura degli impianti esistenti. Il dibattito è più vivo che mai, dal momento che le istituzioni europee dovranno decidere nelle prossime settimane se inserire l’energia dell’atomo, insieme al gas naturale, nella lista delle attività economiche classificate come sostenibili, la cosiddetta Tassonomia verde dell’Ue. Un insieme di criteri comuni per mobilitare grandi somme di capitale (provenienti in particolare dal settore privato) in attività che possano contribuire ai suoi obiettivi climatici e ambientali.

Nel corso della prossima sessione plenaria che si terrà a Strasburgo dal 4 al 7 luglio, il Parlamento europeo si esprimerà su una risoluzione contro l’inserimento dell’energia nucleare e del gas naturale nella tassonomia. Il secondo atto delegato del regolamento della Commissione – quello che riguarda il nucleare e il gas – è stato adottato lo scorso 2 febbraio e presentato ai due co-legislatori di Parlamento e Consiglio per il voto decisivo.

Secondo la proposta della Commissione, per essere inseriti nella lista verde dell’Ue, i permessi per la costruzione di nuovi impianti nucleari non potranno essere rilasciati dopo il 2045 dagli Stati membri, mentre per estendere la vita degli impianti esistenti i permessi dovranno essere rilasciati entro il 2040. Le centrali serviranno per la produzione di elettricità o calore e anche la produzione di idrogeno, ma per poter costruire nuove centrali, gli Stati saranno vincolati a creare un fondo per la gestione dei rifiuti radioattivi e lo smantellamento degli impianti a fine vita. I governi dovranno mettere a punto un piano per fare entrare in funzione, al più tardi entro il 2050, un impianto a livello nazionale per lo smaltimento di rifiuti altamente radioattivi, sul quale riferiranno ogni 5 anni alla Commissione Ue.

Alla plenaria dell’Europarlamento servirà la maggioranza assoluta per opporsi al nucleare e al gas in tassonomia (353 voti). Molto più facile da raggiungere rispetto alla maggioranza rafforzata (20 su 27 Stati) che servirebbe in Consiglio. È proprio in Consiglio dove una maggioranza neanche si cerca ed è qui che è possibile osservare quanto sia cambiato l’approccio degli Stati membri negli ultimi mesi in relazione alla tassonomia, condizionato prima dall’aumento dei prezzi del gas e dell’energia e poi dalla guerra, che ha ricordato quanto l’Ue sia dipendente energeticamente da Stati terzi. A marzo di un anno fa c’erano solo Francia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Ungheria, Slovenia e Polonia dichiaratamente a favore del nucleare nella tassonomia, oggi se ne contano oltre dieci con Bulgaria, Croazia, Finlandia, Romania, Slovacchia ma anche i Paesi Bassi. Poco si dice, però, di quanto l’atomo renda l’Unione dipendente dalla Russia, dal momento che nel 2020 il 26% dell’uranio arricchito (usato nella produzione di energia nucleare) era importato proprio da Mosca.

atomo

Italia senza energia atomica, ma Enea è leader nella ricerca applicata

Anche se l’Italia ha detto di fatto addio all’energia nucleare con i referendum del 1987, il nostro Paese rimane un punto di riferimento internazionale a livello di ricerca sull’atomo. La testimonianza più chiara arriva da Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile al centro di importanti progetti di ricerca e sviluppo sul nucleare di quarta generazione. Lo scorso dicembre è stato rinnovato il Consorzio Falcon (Fostering Alfred Construction) con Ansaldo Nucleare e Istituto di Ricerca Nucleare della Romania per realizzare un dimostratore di reattore a piombo di media taglia di IV generazione, il primo in Europa. Un’altra collaborazione al via in questo periodo coinvolge uno spin-off del Cern e riguarda reattori cosiddetti ADS (Accelerator Driven System) cioè ‘sistemi guidati da un acceleratore’ di protoni. Impianti che garantirebbero un livello di sicurezza molto maggiore visto che il reattore si spegnerebbe subito in caso di blackout elettrico, l’incubo peggiore per una centrale nucleare. “Questo tipo di reattore funziona ad acqua e sta a metà strada tra terza e quarta generazione, ma permette comunque di ridurre di molto il carico di rifiuti pericolosi”, spiega, parlando con GEA, Alessandro Dodaro, direttore del Dipartimento Fusione e Tecnologie per la sicurezza Nucleare Enea. A marzo, inoltre, Enea ha siglato un accordo con la startup newcleo che prevede la realizzazione di Advanced Modular Reactors di piccole dimensioni raffreddati al piombo invece che ad acqua. L’obiettivo, ambizioso, della società è di sviluppare i primi prototipi entro sette anni e quindi di commercializzare i nuovi reattori per sostituire quelli oggi in funzione, di seconda e terza generazione. Un progetto che sta attirando le attenzioni di molti investitori, come testimoniano i 300 milioni di capitale raccolti a metà giugno coinvolgendo realtà di primissimo piano come Exor e Azimut. Enea in questa partita metterà in campo infrastrutture, know-how e professionalità del suo Centro Ricerche del Brasimone (Bologna), potendo anche implementate nuove strutture e laboratori con investimenti attorno ai 50 milioni di parte di newcleo e l’assunzione di diversi ingegneri. “È un progetto in cui io e tutta Enea crediamo molto – conferma Dodaro -. Vogliamo sviluppare un dimostratore di un reattore nucleare che però non è nucleare: non ci sarà alcun isotopo radioattivo e le funzioni del nocciolo saranno svolte da resistenze elettriche. Di fatto, noi costruiremo uno ‘scaldabagno’ ma non a acqua, bensì a piombo per dare la possibilità a newcleo di realizzare in Regno Unito e Francia i primi due prototipi di reattori al piombo di piccole dimensioni”.

Enea però vanta anche una tradizione pluridecennale nel campo della fusione nucleare, la cosiddetta ‘energia delle stelle‘ che, spiega Dodaro, ci “renderà indipendenti dai combustibili e sarà pulita e sicura”. Al Dipartimento Fusione e Sicurezza Nucleare Enea lavorano quasi 500 fra ricercatori e tecnologi nei Centri di ricerca di Brasimone e Frascati. “Oggi c’è un grande interesse dal punto di vista industriale per la fusione”, dice Dodaro. I numeri mostrano che nel maggior progetto internazionale sulla fusione, cioè ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) le imprese italiane hanno vinto quasi 2 miliardi di euro di commesse: meglio di noi soltanto la Francia. “Le competenze sul nucleare erano un fiore all’occhiello per l’Italia già quando avevamo le centrali. Fortunatamente dopo il referendum del 1987 le competenze italiane sul nucleare non sono andate perdute e sono state reinvestite in altri ambiti. L’Enea rappresenta un esempio piuttosto chiaro di questa capacità”. Prova ne sia che di recente a Brasimone la ricerca sulla fusione ha dato il la a due nuovi filoni: la produzione di radiofarmaci, con la prospettiva di realizzare un Polo Nazionale per la medicina nucleare e lo sviluppo di tecnologie avanzate per il monitoraggio e la sicurezza/difesa del territorio.

La Nato si allinea al Green Deal Ue, verso la neutralità climatica al 2050

Ridurre le emissioni di gas serra civili e militari di almeno il 45% entro il 2030, per arrivare alla neutralità climatica entro la metà del secolo. La Nato si allinea agli obiettivi ‘verdi’ del Green Deal europeo e ha annunciato martedì (28 giugno) i primi target di riduzione delle emissioni di gas serra dell’Alleanza Atlantica che oggi conta 30 Paesi membri.

Ad annunciarli dal palco di Madrid, dove fino al 30 giugno è in corso il Vertice Nato, è il segretario generale Jens Stoltenberg, avvertendo del fatto che “non sarà facile, ma si può fare“. Spiega di aver “condotto analisi approfondite su come farlo” e una grande parte di questo percorso sarà la transizione verso l’indipendenza dai combustibili fossili, di cui oggi sono dipendenti la gran parte dei Paesi che ne fanno parte. “Tutti i nostri Paesi alleati si già sono impegnati a ridurre le proprie emissioni per essere in linea con gli obiettivi del Patto di Parigi”. L’adattamento delle loro forze armate “contribuirà a questo” obiettivo, inclusa una tecnologia più verde, come le energie rinnovabili, “i combustibili sintetici rispettosi del clima e soluzioni più efficienti dal punto di vista energetico“, ha menzionato.

Alla tre giorni di vertice di Madrid, l’Alleanza Atlantica aggiornerà il suo ‘Strategic Concept’, il programma di azione aggiornato l’ultima volta dieci anni fa, che guarderà al prossimo decennio della Nato fondandosi sul concetto di ‘Resilienza’, che questa volta riguarderà anche la resilienza ai cambiamenti climatici, considerandoli “un moltiplicatore di crisi“. Stoltenberg ha spiegato che il documento definirà il cambiamento climatico come “una sfida decisiva nel tempo, che per gli alleati significherà tre cose: “aumentare la nostra comprensione, adattare le nostre alleanze e ridurre le nostre emissioni“.

Sulla riduzione delle emissioni, il segretario Nato presenterà ai Paesi alleati in questi giorni la prima metodologia per calcolare le emissioni di gas serra, sia civili che militari, provenienti dalla Nato. Comprensiva di un indicatore su “cosa contare e come contarlo”, e “lo renderò disponibile a tutti gli alleati per fare in modo che possano calcolare il loro impatto ambientale delle emissioni che vengono prodotte”. Partendo dal presupposto che tutto ciò che può essere quantificato”, come le emissioni di gas a effetto serra “può essere anche ridotto.

Stoltenberg ha parlato della necessità di riduzione dell’uso dei combustibili fossili anche in chiave strategica. La guerra in Ucraina “mostra i rischi di essere troppo dipendenti da materie prime che sono importati da regimi autoritari” e il modo con cui Mosca usa il gas come arma ci rende chiaro che dobbiamo “bisogna abbandonare presto il petrolio e il gas russi“, ha detto mettendo in guardia sul fatto che “non dobbiamo però finire per dipendere da un altro regime autoritario“. Il riferimento esplicito è proprio alla Cina da cui arrivano “molte materie prime che sono necessarie alle tecnologie verdi“. Imperativo per l’Unione europea come anche per la NATO “diversificare fonti e fornitori” di energia.

(Photo credits: JAVIER SORIANO / AFP)

G7, tre pilastri per Club del clima internazionale entro fine 2022

Un circolo per nulla esclusivo, ma aperto a tutti i Paesi del mondo. Entro la fine dell’anno” sarà istituito un “Club del clima” internazionale, “aperto e cooperativo, per spingere il percorso verso la neutralità climatica entro il 2050. È questa la volontà messa nero su bianco in un allegato specifico alle conclusioni del vertice del G7 a Schloss Elmau, in Baviera. Un Club che sostenga “l’effettiva attuazione” dell’Accordo di Parigi, considerato che al momento “né l’ambizione climatica globale né l’attuazione sono sufficienti” per raggiungerne gli obiettivi, notano “con preoccupazione” i leader del Gruppo dei Sette (Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti).

Il Club del clima internazionale si baserà su tre pilastri. Il primo riguarda la promozione delle politiche di mitigazione “per ridurre l’intensità delle emissioni delle economie partecipanti nel percorso verso la neutralità climatica“: le politiche e i risultati saranno resi “coerenti con le nostre ambizioni“, saranno rafforzati “i meccanismi di misurazione e rendicontazione delle emissioni” e contrastata la “rilocalizzazione delle emissioni di carbonio a livello internazionale“. In parallelo, il secondo pilastro pone l’obiettivo di “trasformare congiuntamente le industrie per accelerare la decarbonizzazione“, anche a partire dai target dell’Agenda per la decarbonizzazione industriale, del Patto d’azione per l’idrogeno e dell’espansione dei mercati per i prodotti industriali verdi.

Infine, la terza gamba del Club del clima internazionale è il rafforzamento dell’ambizione internazionale a “sbloccare i benefici socio-economici della cooperazione per il clima e promuovere una giusta transizione energetica“. Partnenariati e cooperazione internazionale serviranno a mobilitare il sostegno e l’assistenza ai Paesi in via di sviluppo, non solo per la decarbonizzazione dell’energia e dei settori industriali, ma anche per la trasparenza, la capacità tecnica, lo sviluppo e la diffusione del trasferimento tecnologico, “a seconda del loro livello di ambizione climatica“, si legge nell’allegato firmato dai leader del G7.

Il Club del Clima, “in quanto forum intergovernativo ad alta ambizione“, avrà una natura “inclusiva e aperta a tutti i Paesi del mondo che si impegnano ad attuare ‘pienamente’ l’Accordo di Parigi e le relative decisioni, in particolare il Patto per il Clima di Glasgow. “Invitiamo i partner, compresi i principali emettitori, i membri del G20 e altre economie emergenti e in via di sviluppo, a intensificare le discussioni e le consultazioni con noi su questo tema“, è l’invito finale dei sette ‘Grandi’ della Terra, che designeranno ciascuno il proprio ministro competente “per sviluppare termini di riferimento completi, raggiungendo partner interessati e ambiziosi“, negli ultimi sei mesi del 2022.

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