

Il Piano nazionale Energia e Clima è stato trasmesso a Bruxelles nei tempi. Conferma gli obiettivi raggiunti nella prima proposta trasmessa a giugno 2023, superando in alcuni casi anche i target comunitari.
Si punta a installare 131 gigawatt di rinnovabili al 2030 e, per la prima volta, nel mix compare uno scenario sul nucleare: 8 gigawatt al 2050 che coprirebbero l’11% della richiesta nazionale.
Di “grande pragmatismo” parla il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, che superato “approcci velleitari del passato”. Il documento è condiviso “con i protagonisti della transizione”, spiega, pur non nascondendo i passi ancora necessari per colmare alcuni gap. Nessuna preclusione, assicura, sulle “grandi opportunità dello sviluppo di tutte le fonti “. Nel dossier infatti si traccia uno scenario per il nucleare da fissione nel medio termine (a partire dal 2035) ma anche da fusione (a ridosso del 2050), che, ribadisce il ministro, “ci fa guardare avanti a un futuro possibile”.
Per elaborare il Piano, il Mase ha lavorato con altri ministeri (l’Economia, le Infrastrutture, le Imprese, l’Università e l’Agricoltura), il supporto tecnico di Gse, di Rse per la simulazione degli scenari energetici e di Ispra per quelli emissivi, con il Politecnico di Torino e di Milano per la parte di ricerca e innovazione. Una nuova consultazione nel 2024, dopo quella già svolta nell’anno precedente, ha coinvolto 133 soggetti tra imprese, istituzioni, associazioni e singoli cittadini.
Nell’aggiornamento del Piano è stato seguito un approccio tecnologicamente neutro, che prevede una forte accelerazione su alcuni settori. Oltre alle fonti rinnovabili elettriche, si punta sulla produzione di combustibili rinnovabili come il biometano e l’idrogeno, insieme all’utilizzo di biocarburanti che già nel breve termine possono contribuire alla decarbonizzazione del parco auto esistente, diffusione di auto elettriche, riduzione della mobilità privata, cattura e stoccaggio di CO2, ristrutturazioni edilizie ed elettrificazione dei consumi finali, in particolare attraverso un crescente peso nel mix termico rinnovabile delle pompe di calore.
L’area con performance più alte è quella delle FER: dei 131 Gigawatt che dovranno essere installati al 2030, si prevede che quasi ottanta (79.2) deriveranno dal solare, 28.1 dall’eolico, 19.4 dall’idrico, 3.2 dalle bioenergie e 1 Gigawatt da fonte geotermica (quota quest’ultima che potrebbe anche aumentare al raggiungimento di un adeguato livello di maturità di alcune iniziative progettuali in via di sviluppo).
In ambito efficienza energetica, si registra una importante riduzione dei consumi di energia primaria e finale, ma per il raggiungimento degli obiettivi, innalzati in considerazione dello scenario di crescita del prodotto interno lordo, bisognerà continuare a lavorare. È traguardato invece l’obiettivo relativo ai risparmi annui cumulati nei consumi finali tramite regimi obbligatori di efficienza.
Per quanto riguarda le emissioni e gli assorbimenti di gas serra, l’Italia prevede di superare l’obiettivo del ‘FitFor55’ sugli impianti industriali vincolati dalla normativa Ets, arrivando al -66% rispetto ai livelli del 2005 (obbiettivo UE, -62%).
Anche nei settori “non-ETS” (civile, trasporti e agricoltura) si registra un miglioramento degli indicatori emissivi e per raggiungere i target europei, ad oggi considerati nel dossier “ancora troppo sfidanti”, sarà necessario profondere ulteriori energie.
Sul fronte della sicurezza energetica, si registra una netta riduzione della dipendenza da altri Paesi favorita dalle azioni di diversificazione dell’approvvigionamento e dall’avvenuta pianificazione di nuove infrastrutture e interconnessioni.
Per quanto riguarda la dimensione del Mercato interno dell’energia, si prevede di potenziare le interconnessioni elettriche e il market coupling con gli altri Stati membri e di sviluppare nuove connessioni per il trasporto di gas rinnovabili, rafforzando il ruolo dell’Italia come hub energetico europeo e corridoio di approvvigionamento delle rinnovabili dell’area mediterranea.
Inoltre, il Pniec dà priorità agli obbiettivi nazionali di Ricerca, Sviluppo e Innovazione per accelerare l’introduzione sul mercato di quelle tecnologie necessarie a centrare i target definiti dal Green Deal nonché rafforzare la competitività dell’industria nazionale.
Una sezione specifica è dedicata ai lavori della “Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile”, che ha sviluppato delle ipotesi di scenario in cui si dimostra da un punto di vista tecnico-scientifico la convenienza energetica ed economica di avere una quota di produzione nucleare, in sinergia e a supporto delle rinnovabili e delle altre forme di produzione di energia a basse emissioni. Secondo le ipotesi di scenario sviluppate, il nucleare da fissione, e nel lungo termine da fusione, potrebbero fornire al 2050 circa l’11% dell’energia elettrica totale richiesta – con una possibile proiezione verso il 22%.
A giugno l’inflazione resta sostanzialmente stabile, con l’indice nazionale dei prezzi al consumo che, al lordo dei tabacchi, fa un piccolo scatto in avanti dello 0,1%, mentre su base mensile resta allo 0,8%, in tendenza con maggio. A certificarlo sono i dati dell’Istat, ponendo sul piatto alcuni dettagli su andamenti contrapposti. Rallentano, infatti, i prezzi dei beni alimentari non lavorati, che passano da +2,2% a +0,4%. Si attenua ancora la flessione dei prezzi degli energetici non regolamentati, che fanno uno switch da -13,5% a -10,3 percento. Di contro, accelerano i beni alimentari lavorati, passando da +1,8 a +2,2 percento.
Anche l’inflazione di fondo resta stabile al +2% a giugno, al netto di energetici e alimentari freschi, passando da +2% a +1,9% al netto dei soli energetici. Entrando ancora nel dettaglio dell’analisi Istat, l’istituto rileva che i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona rallentano su base tendenziale (da +1,8% a +1,4%), come anche quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +2,5% a +2,1%). “Il processo di rientro dei prezzi si stabilizza ma restano alcune tensioni sugli energetici“, avvisa Confesercenti, che invita a “mantenere un adeguato livello di guardia per evitare di essere colti alla sprovvista“.
Dall’Istituto nazionale di statistica arrivano anche altri report di cui tenere conto, quelli sull’industria. Ad aprile, infatti, la stima sul fatturato, al netto dei fattori stagionali, aumenta dello 0,8% sia in valore che in volume, anche se fa registrare una lieve flessione su quello estero (-0,6%). Mentre su base annua, c’è un calo del 2%, di cui l’1,7 sul mercato interno e il 2,5 su quello estero. Crescono, però, i volumi (+0,5%).
Non va meglio con l’indagine rapida sull’attività delle grandi imprese industriali del centro studi Confindustria. Perché a giugno di quest’anno registra una produzione stabile sui livelli del mese precedente per oltre la metà delle aziende (per 53,9% degli associati la produzione rimarrà invariata dal 48,8% della rilevazione di maggio), ma aumenta il rischio percepito di un peggioramento, con un 12,7 percento di imprese che prospettano una contrazione. In calo anche la percentuale di aziende che invece si aspettano un miglioramento: 33,4% (in precedenza era del 45).
Previsioni poco rassicuranti anche quelle della Banca d’Italia. I dati dell’Indagine sulle imprese industriali e dei servizi di Palazzo Koch rivelano che per il 2024 “le imprese prefigurano un lieve incremento del volume delle vendite (0,2% nel complesso; 1,0 nella manifattura e -0,6 nei servizi)“, con un aumento dei prezzi rallentato, tendenzialmente del 2,3 percento. Quello che preoccupa è invece l’espansione degli investimenti, che “proseguirebbe a un ritmo inferiore al 2023 (0,8%)”. Numeri che fanno il paio con quelli delle vendite 2023 che, nel complesso delle imprese dell’Industria in senso stretto (almeno 20 addetti), sono diminuite dell’1,4% a prezzi costanti, secondo il documento di Bankitalia. Campanelli d’allarme da non sottovalutare.
“Siamo interconnessi, è come se il mondo fosse un villaggio, fondamentalmente. Quindi, se si guarda all’attualità internazionale, oggi abbiamo purtroppo il protrarsi della guerra tra Ucraina e Russia. A ciò si aggiungono i nuovi problemi del conflitto in Palestina, a causa del quale, da gennaio 2024, la principale via di comunicazione tra Asia ed Europa è soggetta a molti problemi sul Mar Rosso”. Lo dice a Gea Fadel al Faraj, executive vice president marketing di Q8 Petroleum International, a margine di un evento organizzato dal gruppo a Roma sulle Smart City.
“E questo ha di fatto inasprito l’intera situazione energetica – spiega -, creando molte crisi economiche ed estrema volatilità. Ciò ha messo in evidenza due fattori cruciali: la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e l’accessibilità economica dell’energia. Sono i due nodi che dobbiamo affrontare insieme alla spinta principale dell’Unione Europea: la decarbonizzazione”.
“Bisogna assicurarsi di fornire prodotti sostenibili ai consumatori, perché noi dobbiamo essere sostenibili e dobbiamo avere una gamma di prodotti che possiamo fornire loro, e dal canto nostro dobbiamo decarbonizzare le nostre operazioni, quindi quando si sommano i due aspetti, quello che dobbiamo fornire sono prodotti sostenibili, per cui diventiamo un fornitore di servizi multi-hub”. Lo dice a Gea Fadel al Faraj, executive vice president marketing di Q8 Petroleum International, a margine di un evento organizzato dal gruppo a Roma sulle Smart City.
“Viene naturale usare la mobilità come servizio. È questo che stiamo cercando. Ma l’aspetto cruciale da parte nostra è che abbiamo una grande società madre in Kuwait, con la nostra compagnia petrolifera nazionale, che può virtualmente garantire la sicurezza degli approvvigionamenti nel bacino del Mediterraneo”, precisa.
E’ considerata una delle fonti di energia pulita più promettenti per il futuro, ma non sempre l’idrogeno verde – cioè prodotto a partire da fonti rinnovabili – è in grado di azzerare o quasi le emissioni di CO2.
A rivelarlo è una ricerca pubblicata su Nature Energy da Kiane de Kleijne della Radboud University e della Eindhoven University of Technology. “Se si calcola l’intero ciclo di vita della produzione e del trasporto dell’idrogeno verde, i guadagni in termini di CO2 risparmiata possono essere deludenti. Tuttavia, se l’idrogeno verde viene prodotto da elettricità molto pulita e a livello locale, può davvero contribuire a ridurre le emissioni”, spiega la ricercatrice.
L’Unione europea punta a produrre 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde e a importarne altri 10 milioni entro il 2030. Merito, dice la scienziata, della sua “versatilità” e delle “sue numerose applicazioni. Ma purtroppo prevedo ancora alcuni ostacoli sulla strada”. Ostacoli che vanno ricercati nell’intero ciclo di vita di questa forma di energia per determinarne l’impatto ambientale globale in tutte le sue fasi.
Per oltre un migliaio di progetti di idrogeno verde, De Kleijne ha calcolato le emissioni di gas serra associate alla produzione, compresa quella, ad esempio, di pannelli solari, turbine eoliche e batterie per la fornitura di energia, nonché il trasporto tramite condutture o navi. L’idrogeno verde viene prodotto scindendo l’acqua in ossigeno e idrogeno in un elettrolizzatore utilizzando elettricità verde e può poi essere utilizzato come materia prima o come combustibile. Quello ricavato dal gas naturale è già ampiamente utilizzato come materia prima, ad esempio nell’industria chimica per produrre metanolo e ammoniaca per i fertilizzanti.
Il vantaggio dell’idrogeno verde è che quando si scinde l’acqua, oltre all’idrogeno, viene rilasciato solo ossigeno e niente CO2. “Tuttavia, ciò richiede grandi quantità di energia verde”, afferma la ricercatrice. “È possibile ridurre le emissioni solo se si utilizza energia verde, come quella eolica o solare. Ma anche in questo caso, le emissioni derivanti dalla produzione di turbine eoliche e pannelli solari si sommano notevolmente. Se si considera l’intero ciclo di vita in questo modo, l’idrogeno verde spesso, ma certamente non sempre, porta a un aumento di CO2″. I guadagni di CO2 sono di solito maggiori quando si utilizza l’energia eolica piuttosto che quella solare. La situazione migliorerà ulteriormente in futuro, poiché verrà utilizzata una maggiore quantità di energia rinnovabile per produrre, ad esempio, le turbine eoliche, i pannelli solari e l’acciaio per l’elettrolizzatore, dice la scienziata.
Ma non solo. La produzione di idrogeno produce le emissioni più basse nei luoghi in cui c’è molto sole o vento, come il Brasile o l’Africa. L’aspetto negativo è che l’idrogeno deve essere trasportato in Europa. Si tratta di un’operazione tecnologicamente impegnativa e che può creare molte emissioni aggiuntive.
Per De Kleijne, quindi, sarebbe scorretto affermare che questa forma di energia molto promettente sia net zero. “Esaminando le emissioni nell’intero ciclo di vita – conclude – possiamo cercare il compromesso migliore tra le tecnologie e identificare i punti in cui è possibile apportare miglioramenti nella catena”.
Nasce l’Accademia solare europea – la European Solar Academy – che nei prossimi tre anni formerà in tutta l’Unione europea 100mila lavoratori specializzati nel settore del fotovoltaico. Varata dalla Commissione europea, è la prima di una serie di accademie dell’Ue che saranno istituite nell’ambito del Net-Zero Industry Act (Nzia, la legge sull’industria a zero emissioni nette) affinché l’Unione disponga delle competenze necessarie lungo le catene di valore delle tecnologie a zero emissioni. “Il ruolo delle accademie Nzia è quello di sviluppare contenuti e programmi di apprendimento insieme all’industria, per garantire competenze e forza lavoro sufficienti nella catena del valore”, ha puntualizzato l’esecutivo Ue.
Tutto parte dai target che i Ventisette si sono dati: in base alla revisione della direttiva sulle energie rinnovabili, infatti, l’Ue ha posto l’obiettivo del 43,5% – auspicabilmente da arrotondare al 45% – per la quota di energia rinnovabile entro il 2030. E, nell’ambito del piano RePowerEu, a maggio 2022, la Commissione ha adottato una strategia per l’energia solare che punta a raggiungere oltre 320 GW di capacità fotovoltaica solare entro il 2025 e quasi 600 GW entro il 2030. Ma per tradurre in realtà questi numeri e percentuali, secondo Bruxelles è necessario promuovere la produzione di tecnologie a zero emissioni in Europa a sostegno della transizione energetica pulita. E, per tale scopo, l’Unione ha introdotto il Net-Zero Industry Act (Nzia), con l’obiettivo di creare condizioni migliori per la realizzazione di progetti a zero emissioni in Europa e attrarre investimenti, così che la capacità produttiva strategica complessiva di tecnologie a zero emissioni dell’Unione si avvicini o raggiunga almeno il 40% del fabbisogno dell’Unione entro il 2030.
In questo contesto, secondo le stime di Bruxelles, per fare in modo che l’Ue possa raggiungere i suoi obiettivi in materia di energie rinnovabili, garantendo allo stesso tempo la competitività industriale, saranno necessari nel settore della produzione del solare fotovoltaico circa 66mila lavoratori qualificati entro il 2030. Ed è qui che entra in campo la Solar Academy, che mira a formare 100 mila lavoratori nella catena del valore del solare fotovoltaico nei prossimi tre anni, per colmare l’attuale carenza di manodopera e di competenze nel settore.
Partendo dal modello della European Battery Academy (l’Accademia delle batterie), lanciata nel 2022 per la catena di valore delle batterie, “la Solar Academy progetterà i contenuti di apprendimento, insieme all’industria e alle parti interessate della catena di valore del solare fotovoltaico”, e “svilupperà anche credenziali di apprendimento, che certificheranno le competenze acquisite dai partecipanti ai corsi di formazione, favorendo così la mobilità della forza lavoro nel mercato unico”, ha precisato la Commissione.
La realizzazione dei programmi verrà fatta tramite partner locali, come erogatori di formazione professionale e didattica, imprese, Università o altri erogatori di istruzione e formazione con i quali l’Accademia firmerà un contratto per la realizzazione dei suoi programmi. Il lancio dell’Accademia solare europea è sostenuto dalla Commissione con 9 milioni di euro del Programma per il mercato unico e il progetto sarà realizzato dall’Istituto europeo per l’innovazione e la tecnologia (Eit) attraverso la sua comunità della conoscenza e dell’innovazione, Eit Innoenergy.
“L’incremento della produzione di energia solare fotovoltaica in Europa è fondamentale per la nostra sicurezza energetica, competitività e resilienza. Il lancio odierno della Solar Academy dimostra che la Commissione è impegnata a ridurre le emissioni e a creare posti di lavoro di qualità nell’Ue”, ha commentato il commissario europeo al Mercato interno, Thierry Breton. “Il lancio dell’Accademia prima ancora dell’entrata in vigore della legge sull’industria a zero emissioni contribuirà a colmare l’urgente carenza di competenze nel settore fotovoltaico europeo – circa 66 mila lavoratori solo per la produzione – e a formare una nuova generazione di lavoratori per la nostra industria solare, in linea con il nostro obiettivo di produrre entro il 2030 almeno il 40% del nostro fabbisogno di tecnologia a zero emissioni”, ha sottolineato Breton.
Con l’ordinanza n.15178 del 2024, la Corte di Cassazione fa retromarcia sul suo orientamento riguardante l’omessa comunicazione all’Enea relativa alla fine dei lavori di riqualificazione energetica, determinando che tale omissione comporta la perdita della detrazione. “S’impone così maggiore attenzione alla tempistica della comunicazione per non perdere il diritto alle detrazioni fiscali. Tuttavia – sottolinea Salvatore Baldino, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – avvalersi della remissione in bonis offre una via per sanare eventuali tardività, a patto di rispettare le condizioni e i termini stabiliti dalla normativa”.
Per evitare la decadenza della detrazione in caso di comunicazione tardiva, è possibile utilizzare lo strumento della remissione in bonis previsto dall’art.2, comma 1 del D.L. n.16/2012. “Lo strumento consente di conservare il diritto alla detrazione se la comunicazione all’Enea viene effettuata entro i termini di presentazione della prima dichiarazione utile accompagnata dal pagamento di una sanzione minima di 250 euro. È importante – aggiunge Baldino – che il versamento della sanzione non utilizzi crediti fiscali in compensazione e la violazione non sia stata ancora rilevata, né siano state iniziate verifiche o accertamenti”. Secondo l’esperto “vi sono due interpretazioni del termine per la remissione in bonis”. La prima è restrittiva: “se il termine di 90 giorni dalla fine dei lavori scade, ad esempio, il 1° ottobre 2024, il contribuente ha solo 14 giorni per regolarizzare”. In alternativa “potrebbe riferirsi alla dichiarazione dei redditi in cui deve essere indicata la prima quota di detrazione”.
Secondo un nuovo rapporto del World Economic Forum, pubblicato oggi, la transizione energetica globale verso un sistema energetico più equo, sicuro e sostenibile continua a progredire, ma ha perso slancio di fronte alla crescente incertezza a livello mondiale. Mentre 107 dei 120 Paesi presi in esame nel rapporto hanno dimostrato di aver compiuto progressi nel loro percorso di transizione energetica nell’ultimo decennio, il ritmo complessivo della transizione è rallentato e il bilanciamento delle sue diverse sfaccettature rimane una sfida fondamentale. La volatilità economica, l’acuirsi delle tensioni geopolitiche e i cambiamenti tecnologici hanno avuto un impatto, complicandone la velocità e la traiettoria. C’è tuttavia qualche motivo di ottimismo, con l’aumento degli investimenti globali nelle energie rinnovabili e la crescita significativa dei risultati della transizione energetica nell’Africa sub-sahariana nell’ultimo decennio. E a fare dei passi indietro è l’Italia che, a causa della sua dipendenza dal gas, scende al 41esimo posto dell’Energy Transition Index (ETI).
La 14esima edizione annuale del rapporto del Forum, Fostering Effective Energy Transition 2024, pubblicato in collaborazione con Accenture, utilizza l’Energy Transition Index (ETI) per valutare 120 Paesi in base alle prestazioni dei loro attuali sistemi energetici, con particolare attenzione al bilanciamento tra equità, sostenibilità ambientale e sicurezza energetica, e alla loro preparazione alla transizione. La novità di quest’anno è rappresentata dai “percorsi personalizzati” che analizzano le caratteristiche specifiche di ogni Paese, tra cui il livello di reddito e le risorse energetiche locali, per fornire raccomandazioni specifiche per ogni regione.
“Dobbiamo garantire che la transizione energetica sia equa, sia nelle economie emergenti che in quelle sviluppate“, ha dichiarato Roberto Bocca, responsabile del Centro per l’energia e i materiali del World Economic Forum. “Trasformare il modo in cui produciamo e consumiamo energia è fondamentale per il successo. Dobbiamo agire con urgenza su tre leve fondamentali per la transizione energetica: riformare l’attuale sistema energetico per ridurne le emissioni, implementare soluzioni energetiche pulite su scala e ridurre l’intensità energetica per unità di Pil“.
L’Europa continua a guidare la classifica ETI, con la top 10 per il 2024 composta interamente da Paesi di questa regione. Svezia (1) e Danimarca (2) sono in cima alla classifica, essendosi entrambe posizionate tra i primi tre Paesi ogni anno nell’ultimo decennio. Seguono Finlandia (3), Svizzera (4) e Francia (5). Questi Paesi beneficiano di un elevato impegno politico, di forti investimenti in ricerca e sviluppo, di una maggiore adozione di energia pulita – accelerata dalla situazione geopolitica regionale, dalle politiche di efficienza energetica e dalla determinazione del prezzo del carbonio. La Francia è una nuova entrata nella top five, con recenti misure di efficienza energetica che hanno ridotto l’intensità energetica nell’ultimo anno. Tra le economie del G20, la Germania (11), il Brasile (12), il Regno Unito (13), la Cina (17) e gli Stati Uniti (19) si aggiungono alla Francia nella top 20 dell’ETI, insieme ai nuovi entrati Lettonia (15) e Cile (20), sostenuti dall’aumento della capacità di energia rinnovabile.
La Cina e il Brasile hanno compiuto progressi significativi negli ultimi anni, soprattutto grazie agli sforzi a lungo termine per aumentare la quota di energia pulita e migliorare l’affidabilità della rete. L’impegno costante del Brasile nel settore dell’energia idroelettrica e dei biocarburanti, i recenti progressi nel settore dell’energia solare e le iniziative volte a creare nuove opportunità sono stati fondamentali per attrarre investimenti. Nel 2023, anche la Cina ha aumentato in modo significativo la sua capacità di produzione di energia rinnovabile e ha continuato a crescere e a investire nella sua capacità produttiva in tecnologie pulite come batterie per veicoli elettrici, pannelli solari, turbine eoliche e altre tecnologie critiche. La Cina, insieme agli Stati Uniti e all’India, è anche leader nello sviluppo di nuove soluzioni e tecnologie energetiche.
Il divario nei punteggi complessivi dell’ETI si è ridotto tra le economie avanzate e quelle in via di sviluppo e il “centro di gravità” della transizione si sta spostando verso i Paesi in via di sviluppo. Tuttavia, gli investimenti in energia pulita continuano a concentrarsi nelle economie avanzate e in Cina. Ciò sottolinea la necessità di un sostegno finanziario da parte dei Paesi avanzati per facilitare una transizione energetica equa nei Paesi emergenti e in via di sviluppo e di una politica lungimirante in tutti i Paesi per favorire condizioni di investimento davvero favorevoli. Poiché non esiste una soluzione universale, le politiche potrebbero essere adattate alle esigenze specifiche di ciascun Paese, in base a fattori quali il livello di reddito, le risorse e le esigenze energetiche nazionali e il contesto regionale.
“L’Indice della transizione energetica di quest’anno trasmette un messaggio chiaro: è necessario agire con urgenza. I responsabili delle decisioni a livello globale devono compiere passi coraggiosi per recuperare lo slancio nella transizione verso un futuro energetico equo, sicuro e sostenibile. Questo è fondamentale per le persone, per le intere economie e per la lotta ai cambiamenti climatici“, ha dichiarato Espen Mehlum, responsabile dell’Energy Transition Intelligence and Regional Acceleration del World Economic Forum.
L’Italia è in forte ritardo nello sviluppo dell’eolico a mare e a terra rispetto al resto d’Europa. Nonostante le grandi potenzialità del suo territorio, la Penisola è ben lontana dai due leader europei del settore, Germania e Paesi Bassi. A fare un punto in occasione del Global Wind Day è Legambiente, che incrociando i dati di windeurope.org e altre fonti, traccia un quadro di sintesi nel nuovo report sull’eolico ‘Finalmente offshore’.
Tra gli undici paesi Ue in cui è diffuso l’eolico offshore, l’Italia è quartultima in classifica con appena 30 MW di capacità installata totale ben lontana dal ritmo dettato ad oggi da Germania con 8.536 MW (di capacità installata totale) e dai Paesi Bassi (4.739 MW), seguiti da Danimarca (2.652 MW), Belgio (2.261 MW), Francia (842 MW), Svezia (192 MW), Finlandia (71 MW). Peggio dell’Italia fanno solo Irlanda (25 MW), Portogallo (25 MW) e Spagna (7 MW). Così se in Europa la capacità installata di eolico offshore totale è pari ad oggi a 19,38 GW (poco più del 30% del totale mondiale), l’Italia contribuisce a questo quadro complessivo solo con lo 0,05% del totale, con l’installazione di appena 30 MW del parco Beleolico nearshore di Taranto, il più grande del Mediterraneo ma ad oggi l’unico realizzato in Italia e inaugurato ad aprile 2022 dopo un iter lungo 14 anni.
Per Legambiente lo stallo dell’Italia sull’eolico offshore è “preoccupante” visto che il potenziale teorico di diffusione dell’eolico galleggiante in Italia è stimato in 207,3 GW, che corrisponde a più del 60% del potenziale complessivo di energia rinnovabile nel Paese. Inoltre, grazie alle caratteristiche morfologiche e alla conformazione dei fondali marini, secondo il Global Wind Energy Council, “l’Italia potrebbe essere il terzo mercato al mondo per potenziale di sviluppo dell’eolico offshore galleggiante. Senza contare che nei territori c’è un fermento che fatica a vedere la luce: a marzo 2024 sono 90 i GW di richieste di connessione alla rete elettrica per l’eolico offshore”. Sicilia, Puglia e Sardegna coprono oltre il 77% delle richieste di connessione, con rispettivamente 39, 38 e 31 richieste. Ben 87 i progetti di eolico offshore in Italia, per un totale di oltre 76 GW, stando al portale delle Valutazioni e Autorizzazioni Ambientali del Mase. Sardegna, Puglia e Sicilia le regioni maggiormente interessate, rispettivamente con 24, 22 e 22 progetti.
Il via libera del Mase al decreto aree idonee per gli impianti rinnovabili, dice Stefano Ciafani presidente nazionale di Legambiente, “è un grave errore” perché “lascia carta bianca alle Regioni nella selezione delle aree idonee, di quelle non idonee e di quelle ordinarie. Risultato: il quadro autorizzativo per le rinnovabili diventa ancor più complicato, senza una cornice di principi omogenei”.
Il Paese, ricorda Ciafani, “ha bisogno di scelte politiche energetiche ed interventi coraggiosi che facilitino le rinnovabili e l’eolico offshore che può diventare un settore chiave per l’economia italiana e per la transizione energetica”. E per farlo l’Italia “deve puntare sulle fonti pulite aggiornando in modo ambizioso il Pniec che dovrà essere consegnato a Bruxelles il 30 giugno e abbattendo i tanti ostacoli che rallentano lo sviluppo sulle rinnovabili”.
Per Legambiente “le basse performance dell’Italia sono legate alla “corsa ad ostacoli” che le rinnovabili sono costrette ad affrontare tra ritardi, lungaggini burocratiche, iter autorizzativi troppo lenti e farraginosi, norme obsolete, conflitti territoriali, ostracismi dei ministeri (in primis come quello della Cultura) e ritardi della Presidenza del Consiglio”. A pesare anche politiche energetiche sulle rinnovabili “poco coraggiose insieme a obiettivi poco ambiziosi al 2030 contenuti nella bozza del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima 2023 e che vedrà la sua stesura finale a fine giugno”. Inoltre l’Italia è uno dei pochi Paesi a non aver ancora adottato una pianificazione dello spazio marittimo, che dopo una bozza di proposta è ancora oggi in discussione. I ritardi su questo fronte hanno portato la Commissione europea ad annunciare la seconda fase della procedura di infrazione contro l’Italia per la mancata approvazione dei suoi piani di gestione dello spazio marittimo.