Dodici Paesi Ue non raggiungeranno i target climatici al 2030: Italia e Germania maglia nera

L’azione degli stati membri dell’Ue per mitigare le emissioni climalteranti non è sufficiente a conseguire gli obiettivi dell’Unione Europea in materia di protezione del clima e l’Italia è tra i Paesi con i risultati peggiori. È quanto emerge dall’ultimo studio di Transport & Environment, l’organizzazione ambientalista indipendente europea. Senza un’azione immediata, dodici Paesi dell’Ue non conseguiranno gli obiettivi climatici nazionali previsti dall’Effort Sharing Regulation (ESR), mentre altri sette rischiano di non raggiungere la piena compliance. Germania e Italia sono i due Paesi con i risultati peggiori in termini assoluti, mentre la Francia raggiungerà l’obiettivo ma con un margine molto stretto, tanto che qualsiasi passo indietro nelle politiche, o un inverno molto freddo che spinga ad aumentare il consumo di energia, potrebbero mettere a rischio il conseguimento dei suoi obiettivi. “C’è ancora tempo per correggere le politiche governative e raggiungere gli obiettivi al 2030 – commenta T&E – ma serve maggiore impegno”.

ITALIA E GERMANIA MANCHERANNO I TARGET. Lo studio presentato oggi evidenzia come Germania e Italia mancheranno i loro obiettivi climatici con uno scarto sostanziale (rispettivamente 10 e 7,7 punti percentuali). Di conseguenza, potrebbero consumare tutto il surplus di crediti disponibili per gli altri Paesi. La Germania da sola avrà bisogno del 70% dei crediti disponibili. Gli altri Paesi non conformi con gli obiettivi di riduzione delle emissioni si ritroveranno senza crediti da acquistare. Una situazione, questa, che potrebbe dare adito a contenziosi legali. Se le quote dovessero essere scambiate a 129 euro (il prezzo del carbonio previsto da Bloomberg nei settori ETS al 2030), l’Italia, con un deficit di 120 milioni di crediti, dovrà pagare 15,5 miliardi di euro ai Paesi che avranno accumulato crediti di emissione. La Germania potrebbe fare anche peggio, accumulando un debito di 16,2 miliardi. Ma i due Paesi possono ancora raggiungere i loro obiettivi, implementando nuove misure per aumentare la diffusione di veicoli elettrici, aumentare l’efficienza nel settore residenziale e altro ancora.

I Paesi che non raggiungono gli obiettivi possono acquistare crediti da quelli che li raggiungono. Il prezzo dei crediti viene deciso bilateralmente tra i Paesi. Ma T&E avverte che, senza un’azione immediata, ci sarà una scarsità di crediti, dovuta al fatto che saranno troppi i Paesi che falliranno nel ridurre le loro emissioni in linea con i target assegnati su base nazionale. Questo potrebbe portare, nel 2030, a un’asta al rialzo per i crediti, con conseguente aumento dei prezzi.

Andrea Boraschi, direttore dell’ufficio italiano di T&E, spiega: “L’ammontare delle sanzioni che i Paesi potrebbero dover pagare nel 2030 è impressionante. Gli stati membri si trovano di fronte a una scelta chiara: pagare miliardi per il loro debito di carbonio o implementare nuove politiche, che migliorino la vita dei loro cittadini e li proteggano dalle conseguenze del cambiamento climatico. Ci sono ancora sei anni per correggere la rotta. Chiediamo alla nuova Commissione di riunire un gruppo d’azione, in cui vengano proposte misure come gli obiettivi di elettrificazione a livello europeo per le auto aziendali e in cui i Paesi ritardatari ricevano le indicazioni necessarie”.  “La cosa più preoccupante che emerge dalla nostra analisi – ha concluso Boraschi – è che la Germania e l’Italia si accingono a divorare tutti i crediti disponibili nell’UE. Questo avrà ricadute economiche molto concrete; per l’Italia sarebbe un colpo durissimo, vista la precarietà delle nostre finanze e l’enorme debito pubblico”.

IN SPAGNA, GRECIA E POLONIA I MIGLIORI RISULTATI. I Paesi che secondo lo studio di T&E stanno ottenendo i migliori risultati in termini assoluti – quindi con il maggior surplus di crediti – sono la Spagna, la Grecia e la Polonia. La Spagna potrebbe superare di 7 punti percentuali il suo obiettivo per il 2030. Se così fosse, il governo spagnolo, scambiando i suoi crediti di emissione, riceverebbe 10 miliardi circa dai Paesi che non sono in regola. I piani presentati da Francia, Paesi Bassi e Belgio sono appena sufficienti per raggiungere il loro obiettivo, ma qualsiasi passo indietro nelle politiche rischierebbe di far arretrare anche questi stati tra quelli inadempienti, avverte T&E.

REVISIONE DEL PNIEC ITALIANO. Secondo T&E il PNIEC (Piano Nazionale per l’Energia e il Clima) italiano, rispetto alla prima formulazione presentata alla Commissione, ha bisogno di radicali revisioni e in particolare di politiche stabili per accelerare l’elettrificazione dei trasporti su strada, a partire dalle auto aziendali; di un meccanismo di credito per l’elettricità rinnovabile nei trasporti; di un taglio radicale ai 22,5 miliardi di euro di sussidi ambientalmente dannosi, che l’Italia ancora elargisce alterando i prezzi di mercato a favore delle tecnologie fossili.

EMISSIONI NEI SETTORI ESR DIMINUIRANNO DEL 35,5% NEL 2030 ANZICHE’ DEL 40%. In base all’ESR, gli stati membri devono raggiungere gli obiettivi climatici per cinque settori chiave: trasporti stradali, edifici, piccola industria, rifiuti e agricoltura. Gli obiettivi sono stati definiti in base al PIL del Paese, con i Paesi più ricchi che devono raggiungere obiettivi di riduzione delle emissioni più elevati. L’obiettivo generale per l’UE è di -40% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 2005) in tutti e cinque i settori. I Paesi devono presentare i Piani Nazionali per l’Energia e il Clima che illustrano come intendono raggiungere l’obiettivo entro il 30 giugno. T&E ha analizzato le bozze dei PNIEC e le proiezioni più recenti per calcolare le riduzioni potenziali delle emissioni di tutti i 27 Paesi dell’UE. Aggregando i piani nazionali presentati dai Paesi, si prevede che le emissioni nei settori ESR diminuiranno solo del 35,5% nel 2030 (rispetto al 2005). Si tratta di 4,5 punti percentuali in meno rispetto all’obiettivo UE del -40%.

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auto e furgoni

Vendite auto ibride continuano a crescere in Europa, ma immatricolazioni in calo

Le vendite di modelli di auto ibridi continuano a crescere in Europa a maggio, mentre tutte le altre motorizzazioni diminuiscono. Lo rilevano i dati pubblicati da Acea, che certificano come il mercato europeo nel suo complesso sia sceso del 3% su base annua, con forti cali in Italia (-6,6%) e Germania (-4,3%) in particolare.

Le auto a benzina (-5,6% su base annua) e diesel (-11,4%) rappresentano ora meno della metà delle vendite nel continente, secondo le statistiche mensili pubblicate dall’Associazione dei costruttori di automobili. D’altra parte, le auto ibride (benzina e diesel, che non possono essere collegate a un punto di ricarica) continuano ad aumentare, rappresentando il 29,9% delle vendite a maggio (+16,2%), con buone vendite in particolare in Francia e Spagna.

Le auto elettriche continuano a ristagnare, con un calo del 12% su base annua. La loro quota di mercato si ferma al 12,5% a maggio, rispetto al 14,6% per l’intero 2023. Nei principali mercati, le vendite di auto elettriche aumentano solo in Francia e Belgio, mentre continuano a diminuire in Germania, dove i bonus per l’acquisto sono aboliti alla fine del 2023. Le vendite del leader del settore, Tesla, sono diminuite del 10,2% nei primi cinque mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2023.

Mentre l’Ue prevede di vietare la vendita di auto a combustione entro il 2035, le vendite sono rallentate dalla mancanza di modelli accessibili. Tuttavia, secondo l’Acea, tra gennaio e maggio 2024 sono state vendute più di 550.000 auto elettriche, con un aumento del 2% rispetto allo stesso periodo del 2023. Le vendite di auto ibride plug-in (auto che possono essere collegate alla presa di corrente) continuano a diminuire (-14,7%) e ora rappresentano solo il 6,5% del mercato.

Tra i gruppi automobilistici, Volkswagen (+1,6%) ha resistito alla flessione del mercato grazie alle buone vendite di Skoda e Cupra, che hanno compensato il calo di Audi. Il numero due Stellantis è sceso del 6,9% rispetto all’anno precedente, con un calo delle vendite di Peugeot e Opel, non compensato dall’aumento delle vendite di Citroën.

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Corte dei conti: “Dei fondi Ue gran parte è debito, la responsabilità dell’Italia è più complessa”

Dalla Corte dei Conti arriva la ‘certificazione’ che gli impegni dell’Italia nel rapporto con l’Ue diventano sempre più stringenti. I magistrati contabili, nella Relazione annuale sul tema, infatti, mettono nero su bianco che il nostro Paese “impegna una responsabilità finanziaria più complessa rispetto al passato nel prelevamento e nell’impiego dei fondi europei, poiché una parte significativa di essi costituisce debito pubblico“.

La Corte riconosce, comunque, il peso della situazione geopolitica attuale, resa incerta dai vari scenari di guerra che si sono aperti, tanto nel cuore del Vecchio continente, con l’aggressione russa in Ucraina, quanto nel vicino Medio Oriente, con il conflitto tra Israele e Palestina. Fattori esterni alla volontà dell’Italia e dell’Unione europea, ma che inevitabilmente dispiegano effetti negativi sulle nostre economie. Ragion per cui, scrive la Corte dei Conti, “malgrado l’imponente sforzo di fiscal policy del Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, le nuove emergenze geopolitiche e le pressioni inflazionistiche sopraggiunte hanno sottoposto a tensioni il bilancio dell’Unione europea, imponendo rilevanti correzioni per il reperimento e la destinazione di nuove risorse, con un conseguente ripensamento delle priorità“.

La proposta di revisione che ha ricevuto il via libera dal Consiglio Ue dello scorso mese di febbraio, porta in pancia un aumento del bilancio di circa 64,6 miliardi: si tratta di finanziamenti aggiuntivi, che rendono “l’obiettivo di una strutturale flessibilità, fondamentale per rispondere agli imprevisti e rivedere rapidamente le priorità di spesa“. Ma non c’è solo il Pnrr a pesare nel conteggio, perché “nei rapporti finanziari tra l’Italia e l’Unione europea permane la centralità delle politiche strutturali e di coesione socioeconomica, la cui dotazione per il ciclo di programmazione 2014-2020 è di 197,9 miliardi (64,5 a valere sul bilancio europeo e 133,4 su quello nazionale)“, mentre “per i fondi Fesr e Fse-Iog, la dotazione ammonta (dicembre 2023) a 64,4 miliardi, di cui 14,4 sull’iniziativa React-Eu“.

I magistrati contabili, inoltre, annotano che “a fronte di un totale programmato di 64,4 miliardi (di cui 47,9 di risorse Ue), la spesa certificata alla Commissione europea, sia a fine dicembre 2022 che a dicembre 2023, raggiunge rispettivamente 35 miliardi (di cui 28 cofinanziamento Ue) e 42,5 miliardi (il cofinanziamento Ue è 34,2). Considerando soltanto la quota di risorse unionali, al 31 dicembre 2023 il rapporto tra cofinanziamento certificato e risorse programmate si attesta al 71,4%“. Nel conteggio ci sono anche le politiche agricole, ovviamente. “Nel 2022 (ultimo anno del periodo transitorio seguito al ciclo di programmazione 2014-2020), su una produzione agricola europea pari a circa 537,5 miliardi di valore, la produzione italiana si attesta a 71,5, collocandosi al terzo posto fra gli Stati membri, preceduta da Francia (97,1 miliardi) e Germania (76,2) – si legge ancora nel documento -. Nonostante la crescita del prodotto rispetto al periodo pandemico, permane l’andamento in calo dei livelli occupazionali, con un numero di occupati agricoli diminuito del 2,8% nell’ultimo decennio, a fronte di un incremento del 3,1 riscontrato per tutti i settori“.

La Corte, poi, segnala che sul fronte delle irregolarità e frodi a danno del bilancio europeosi conferma la tendenza in crescita delle segnalazioni, dai 424 casi del 2022 (per 47 milioni da recuperare) ai 448 del 2023 (per 58,1 milioni)“.

Restano in tema, dal fronte pratico c’è anche un altro evento da segnalare. Perché fino a giovedì prossimo, 20 giugno, sarà presente a Roma una delegazione della Commissione Ue, per una serie di incontri che serviranno ad approfondire le prossime tappe del Pnrr. Ovviamente, ci sarà un focus dedicato alle misure strategiche del Piano, così come sul RePowerEu, il capitolo aggiuntivo del Next Generation Eu per far fronte alla crisi energetica. Durante queste giornate sarà passato al vaglio lo stato di avanzamento delle riforme e degli investimenti, da un lato, e la messa a terra delle risorse finanziarie e agli obiettivi inseriti nella sesta e settima rata, dall’altro.

A fare gli onori di casa sarà il ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, che si avvarrà del coordinamento dalla struttura di missione Pnrr e vedrà la partecipazione attiva dei ministeri e delle istituzioni. Le riunioni si svolgeranno nella modalità degli incontri istituzionali di alto livello e in tavoli di lavoro tecnico-tematici con tutte le Amministrazioni. Tutti player e fattori strategici soprattutto in vista della presentazione della richiesta di pagamento della sesta rata, che allo stato attuale si trova alla fase di verifica e rendicontazione.

Ok finale del Consiglio Ue alla legge sul ripristino della natura

Ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell’Ue entro il 2030 e tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050. E’ l’obiettivo della legge sul ripristino della natura – la prima nel suo genere – adottata, dopo mesi di stallo, dai ministri dell’Ambiente dell’Ue riuniti in Consiglio, a Lussemburgo. A favore sono stati 20 Paesi (Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Danimarca, Germania, Estonia, Irlanda, Grecia, Spagna, Francia, Cipro, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Austria, Portogallo, Romania, Slovenia, Slovacchia), 6 i contrari (Italia, Polonia, Ungheria, Svezia, Finlandia, Paesi Bassi) e una astensione (Belgio). Decisiva per lo sblocco è stata l’Austria che, cambiando posizione, ha permesso il raggiungimento dei 15 Paesi che rappresentano il 65% della popolazione europea, come stabilito dai Trattati. “I paesi Ue hanno detto la loro ultima parola: la legge sul ripristino della natura è stata adottata! Questa è la decisione giusta ed è ciò che i cittadini, gli scienziati e l’industria continuano a chiedere. Siamo ancora sulla buona strada per invertire la perdita di biodiversità, iniziamo ora a lavorare insieme e dimostriamo che l’Ue è ancora all’avanguardia“, ha commentato il commissario europeo all’Ambiente, Virginijus Sinkevicius, dopo l’approvazione.

Questa legge mira a mettere in atto misure per ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marittime dell’Ue entro il 2030 e tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050; stabilisce obiettivi e obblighi specifici e giuridicamente vincolanti per il ripristino della natura in ciascuno degli ecosistemi elencati, da quelli terrestri a quelli marini, d’acqua dolce e urbani; e mira a mitigare il cambiamento climatico e gli effetti dei disastri naturali, aiutando l’Ue a rispettare i suoi impegni ambientali internazionali e a ripristinare la natura europea. Il regolamento impone agli Stati membri di stabilire e attuare misure per ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marittime dell’Ue entro il 2030 e copre una serie di ecosistemi terrestri, costieri e d’acqua dolce, forestali, agricoli e urbani, comprese le zone umide, le praterie, le foreste, i fiumi e i laghi, nonché gli ecosistemi marini, comprese le fanerogame marine e i letti di spugne e coralli. Fino al 2030, gli Stati membri daranno priorità ai siti Natura 2000 nell’attuazione delle misure di ripristino. Sugli habitat ritenuti in cattive condizioni, come elencati nel regolamento, gli Stati membri adotteranno misure per ripristinare: almeno il 30% entro il 2030, almeno il 60% entro il 2040, almeno il 90% entro il 2050. “Gli Stati membri si impegneranno per prevenire un deterioramento significativo delle aree che hanno raggiunto buone condizioni grazie al ripristino e ospitano gli habitat terrestri e marini elencati nel regolamento“, ha evidenziato ancora il Consiglio.

Il Consiglio ha poi sottolineato come, negli ultimi decenni, l’abbondanza e la diversità degli insetti impollinatori selvatici in Europa siano diminuite drasticamente. Per affrontare questo problema, il regolamento introduce requisiti specifici per misure volte a invertire il declino delle popolazioni di impollinatori entro il 2030 al più tardi. Gli Stati membri metteranno anche in atto misure volte a migliorare due di questi tre indicatori: “la popolazione di farfalle delle praterie, lo stock di carbonio organico nei terreni minerali delle terre coltivate e la quota di terreni agricoli con caratteristiche paesaggistiche ad elevata diversità“. Altre misure sono “l’aumento della popolazione di uccelli forestali e la garanzia che non vi sia alcuna perdita netta negli spazi verdi urbani e nella copertura delle chiome degli alberi fino alla fine del 2030“. Inoltre, gli Stati membri metteranno in atto misure volte a ripristinare le torbiere prosciugate e a contribuire a piantare almeno tre miliardi di alberi in più entro il 2030 a livello di Ue. Per trasformare almeno 25 mila km di fiumi in fiumi liberi entro il 2030, gli Stati membri adotteranno misure per rimuovere le barriere antropiche alla connettività delle acque di superficie. Infine, secondo le nuove regole, gli Stati membri devono pianificare in anticipo e presentare alla Commissione piani nazionali di ripristino, mostrando come raggiungeranno gli obiettivi. Devono inoltre monitorare e riferire sui propri progressi, sulla base di indicatori di biodiversità a livello dell’Ue.

Con l’ultimo sì di oggi dato dai Paesi Ue, il regolamento verrà pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Ue ed entrerà in vigore, diventando direttamente applicabile in tutti gli Stati membri. Entro il 2033, la Commissione esaminerà l’applicazione del regolamento e i suoi impatti sui settori agricolo, della pesca e forestale, nonché i suoi effetti socioeconomici più ampi. Soddisfazione è stata espressa dal Wwf Ue che via X ha scritto: “Abbiamo la legge europea sul ripristino della natura! Gli Stati membri hanno appena adottato una legge rivoluzionaria per gli ecosistemi degradati dell’Europa. È una grande vittoria per la natura, i cittadini e l’economia dell’Ue”. Di “enorme passo avanti nella tutela dell’ambiente e di uno strumento cruciale per ridurre” ha parlato anche Cetaf, la rete europea di collezioni biologiche e geologiche, principale voce in Europa per la tassonomia e la biologia sistematica.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Stoccaggio gas, Italia sale oltre 77% e media Ue a 72%

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA viene mostrato l’aggiornamento degli stoccaggi di gas nei Paesi dell’Ue. Secondo la piattaforma Gie Agsi-Aggregated Gas Storage Inventory (aggiornata al 15 giugno), l’Italia sale oltre quota 78%, mentre la media Ue aumenta a 73,18%. Agli ultimi posti Lettonia e Croazia, mentre in testa rimane il Portogallo, in aumento a 94,72%.

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Contromossa della Cina dopo dazi su auto elettriche: “Inchiesta anti dumping su importazione di carne suina europea”

La Cina ha annunciato lunedì di aver avviato un’indagine antidumping sulle importazioni di carne suina e prodotti derivati dall’Unione Europea. Il ministero del Commercio “ha avviato un’indagine antidumping sulle importazioni di carne di maiale e prodotti derivati dall’Unione Europea”, ha dichiarato in un comunicato.

L’annuncio arriva nel contesto di crescenti tensioni commerciali tra Cina e Unione Europea. La scorsa settimana l’Ue ha dichiarato che avrebbe imposto ulteriori dazi doganali sulle importazioni di veicoli elettrici cinesi a partire dal mese prossimo, a seguito di un’indagine antisovvenzioni avviata nel settembre 2023. I veicoli prodotti nelle fabbriche cinesi sono stati finora tassati nell’Ue con un’aliquota del 10%. Bruxelles prevede di aggiungere dazi compensativi del 17,4% per il produttore cinese BYD, del 20% per Geely e del 38,1% per SAIC, al termine di quasi nove mesi di indagine.

Pechino ha immediatamente denunciato il “comportamento puramente protezionistico” degli europei, avvertendo che avrebbe preso “tutte le misure per difendere fermamente i suoi diritti legittimi”. A gennaio aveva già aperto un’indagine antidumping sui brandy europei, compreso il cognac francese. Avviata in seguito a un reclamo dei professionisti cinesi del settore alcolico, questa procedura è vista dagli osservatori anche come una misura di ritorsione nei confronti dell’indagine europea sui sussidi alle auto elettriche prodotte in Cina, ampiamente sostenuta dalla Francia.

Contestualmente, il Paese asiatico ha reagito con forza alla dichiarazione finale del G7, definendola “piena di arroganza, pregiudizi e bugie”. I leader riuniti a Borgo Egnazia hanno espresso la loro “preoccupazione per le politiche e le pratiche non di mercato” che stanno portando a “conseguenze globali, distorsioni del mercato e dannose sovraccapacità in un numero crescente di settori”. Il G7 ha inoltre esortato Pechino ad “astenersi da misure di controllo delle esportazioni, in particolare sui minerali critici, che potrebbero generare interruzioni significative nella catena di approvvigionamento globale”, dal momento che il Paese impone restrizioni alle esportazioni di minerali cruciali per settori come i veicoli elettrici e le telecomunicazioni.

In Ue è fast charge solo una stazione di ricarica per auto elettriche pubblica su 8

Un nuovo rapporto Acea, l’organizzazione dei produttori auto della Ue, fa luce “sull’urgente necessità di aumentare la diffusione delle infrastrutture per le auto elettriche in Europa per evitare battute d’arresto nella decarbonizzazione“. Ci sono poco più di 630.000 punti di ricarica in tutta l’Ue, ma i caricabatterie standard AC (corrente alternativa) con capacità inferiori a 22 kW costituiscono più di sette caricabatterie su otto nell’Ue. I caricabatterie rapidi DC (corrente continua) in grado di fornire più di 22 kW di elettricità rappresentano solo circa il 13,5% del totale. I caricabatterie CA vengono utilizzati prevalentemente per applicazioni di ricarica più lente, rendendoli ideali per case, luoghi di lavoro e aree pubbliche come supermercati e strutture ricreative. I caricabatterie CC sono progettati appositamente per la ricarica rapida, spesso presenti lungo le autostrade e le principali autostrade, facilitando opzioni di ricarica rapida per i conducenti che intraprendono lunghi viaggi.

La mancanza di una solida rete di infrastrutture di ricarica è un fattore ben noto che scoraggia gli acquirenti di veicoli dall’optare per modelli elettrici, un fenomeno comune noto come ansia da autonomia“, sottolinea Acea. “Se vogliamo convincere gli europei a passare ai veicoli elettrici, la ricarica dovrebbe essere semplice come lo è oggi il rifornimento di carburante”, afferma il direttore generale di Acea, Sigrid de Vries. “Le persone hanno bisogno di un facile accesso ai caricabatterie nel loro ambiente quotidiano e questi punti di ricarica dovrebbero essere rapidi e facili da usare, senza dover attendere in lunghe code”. Una fitta rete di caricabatterie rapidi Dc pubblici è fondamentale per facilitare i viaggi a lunga distanza e mitigare l’ansia da autonomia. In particolare, avvantaggiano sostanzialmente le persone che potrebbero non essere in grado di permettersi o non avere accesso a strutture di ricarica private.

Entrando nel dettaglio, secondo il report Acea alla fine del 2023 in tutta l’Ue erano disponibili 632.423 punti di ricarica pubblici e circa 3 milioni di veicoli elettrici a batteria (BEV) in circolazione. Nel 2023 sono stati installati complessivamente circa 153.000 nuovi punti di ricarica pubblici. La Commissione europea chiede 3,5 milioni di punti di ricarica entro il 2030 per sostenere il livello di elettrificazione dei veicoli necessario per raggiungere la proposta riduzione del 55% di CO2 per le auto. Il raggiungimento di questo obiettivo richiederebbe l’installazione di quasi 2,9 milioni di punti di ricarica pubblici nei prossimi sette anni. Sono quasi 410.000 all’anno o 7.900 alla settimana.

Le proiezioni di Acea suggeriscono una domanda significativamente più elevata, stimando la necessità di 8,8 milioni di punti di ricarica entro il 2030. Per raggiungere questo obiettivo sarebbe necessario installare 1,4 milioni di caricabatterie all’anno o 22.438 a settimana. Negli ultimi sette anni, le vendite di Bev hanno più che triplicato la crescita della rete di punti di ricarica. Tra il 2017 e il 2023, le vendite di auto elettriche sono aumentate di oltre 18 volte, mentre il numero di stazioni di ricarica pubbliche nell’Ue è cresciuto solo di sei volte nello stesso periodo. Mentre alcuni paesi stanno facendo progressi in termini di sviluppo delle infrastrutture, la maggior parte è in ritardo. Infatti, solo tre paesi dell’Ue che coprono oltre il 20% della superficie dell’Unione Europea – Paesi Bassi, Francia e Germania – ospitano quasi i due terzi (61%) di tutti i punti di ricarica del continente. L’altro terzo (39%) di tutti i caricabatterie è distribuito in 24 Stati membri, coprendo quasi l’80% della superficie della regione. Esiste una forte correlazione tra la disponibilità dei punti di ricarica pubblici e le vendite di Bev. L’elenco dei primi cinque paesi con le maggiori vendite di veicoli elettrici è sostanzialmente simile a quello dei paesi con il maggior numero di caricabatterie: Germania, Francia, Paesi Bassi e Italia figurano in entrambi i primi cinque elenchi.

Anche la velocità di ricarica è un grosso problema in tutto il continente, poiché i caricabatterie veloci (con una capacità di oltre 22 kW) costituiscono una frazione del totale dell’Ue. Solo circa un caricabatterie su sette (13,5%) è in grado di effettuare una ricarica rapida. La maggior parte sono caricabatterie ‘normali’, con una capacità di 22 kW o inferiore (comprese molte prese di corrente comuni o da giardino a bassa capacità)“, sottolinea Acea.

Alla fine del 2023, nell’Ue c’erano 29 BEV per caricatore rapido e 53 Bev e ibridi plug-in (PHEV) per caricatore rapido. I governi di tutta l’Ue devono aumentare gli investimenti nelle infrastrutture di ricarica e dovrebbero attuare rapidamente il regolamento sulle infrastrutture per i combustibili alternativi (AFIR), tenendo presente che stabilisce solo requisiti minimi. Allo stesso tempo, l’Osservatorio europeo sui combustibili alternativi (EAFO) deve garantire un solido sistema di monitoraggio che incentivi gli Stati membri a implementare le infrastrutture più rapidamente.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Stoccaggio gas, Italia sale a 77,56%, media Ue 5 punti sotto

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA viene mostrato l’aggiornamento degli stoccaggi di gas nei Paesi dell’Ue. Secondo la piattaforma Gie Agsi-Aggregated Gas Storage Inventory (aggiornata all’11 giugno), l’Italia cresce ancora e si assesta a 77,56%, mentre la media Ue sale a 72,33%. Agli ultimi posti Lettonia e Croazia, mentre in testa c’è il Portogallo in crescita al 91,89%.

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Europee, cosa accade adesso: la timeline del Parlamento Ue

Dopo la chiusure delle urne in tutti i 27 Paesi europei, comincia la nuova legislatura a Bruxelles, che seguirà alcune tappe già fissate.

LA FORMAZIONE DEI GRUPPI POLITICI. In primo luogo, inizieranno i negoziati per la formazione dei gruppi politici che potrebbero proseguire fino alla prima sessione plenaria del nuovo Europarlamento. Ogni gruppo deve essere composto da almeno 23 deputati eletti in almeno un quarto degli Stati membri (ossia almeno sette). Per ottenere il riconoscimento ufficiale a partire dal 16 luglio, data della sessione costitutiva del Parlamento, i gruppi politici devono comunicare al Presidente il loro nome, la loro dichiarazione politica e la loro composizione entro il 15 luglio.

LA PRIMA SESSIONE PLENARIA. Si terrà tra il 16 e il 19 luglio la prima sessione plenaria costitutiva del nuovo Parlamento europeo, che aprirà formalmente la legislatura. I deputati eletti si riuniranno a Strasburgo per eleggere il presidente, 14 vicepresidenti e 5 questori. Sarà messa ai voti anche la composizione numerica delle commissioni permanenti e delle sottocommissioni del Parlamento. È probabile che, oltre alla composizione numerica, venga decisa anche la composizione nominale delle commissioni. Dopo la sessione costitutiva, tutte le commissioni si riuniranno per eleggere i rispettivi presidenti e vicepresidenti (Ufficio di presidenza).

ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA. Dopo la costituzione del Parlamento, i deputati dovranno eleggere chi guiderà la nuova Commissione europea e prenderà, quindi il posto, di Ursula von der Leyen. L’elezione potrebbe avvenire durante la sessione plenaria (16-19 luglio) o in quella successiva la pausa estiva (16-19 settembre). La decisione finale sul calendario preciso sarà presa dalla Conferenza dei presidenti (presidente del Parlamento europeo più capigruppo). In passato, quando le elezioni si sono svolte a maggio (come nel 2019), sono state organizzate due sessioni plenarie a luglio: la prima dedicata alla costituzione del nuovo Parlamento e all’elezione di presidente, vicepresidenti e questori, la seconda dedicata all’elezione del presidente della Commissione.

Il candidato proposto dal Consiglio europeo presenta al Parlamento il proprio programma politico per la legislatura. Questa dichiarazione è poi seguita da una discussione. Il Parlamento elegge il presidente della Commissione a maggioranza dei deputati che lo compongono (361 su un totale di 720). Il voto è a scrutinio segreto.

Se il candidato non ottiene la maggioranza richiesta, il presidente del Parlamento invita il Consiglio europeo a proporre, entro un mese, un altro candidato da eleggere seguendo la stessa procedura.

AUDIZIONE DEI COMMISSARI DESIGNATI. La procedura prevede che, insieme al presidente della Commissione, il Consiglio europeo nomini anche i commissari designati, a cui viene assegnato uno specifico portafoglio. Le commissioni del Parlamento, ciascuna in base al rispettivo ambito di competenza, esaminano i commissari designati in una serie di audizioni pubbliche, prima di votare in plenaria sulla nomina dell’intero collegio. Le audizioni possono cominciare solo dopo che la commissione giuridica ha confermato per iscritto l’assenza di qualsiasi conflitto di interessi.

Il commissario designato è invitato a comparire dinanzi alla o alle commissioni parlamentari competenti per il suo portafoglio per un’audizione di tre ore, che viene trasmessa in diretta streaming. Il candidato effettua un discorso di apertura di massimo 15 minuti, dopodiché risponde alle domande dei deputati.

La commissione o le commissioni competenti devono completare la valutazione di un commissario designato entro 24 ore dall’audizione. Per farlo, devono riunirsi a porte chiuse il prima possibile. Entro 24 ore dal completamento della valutazione, la lettera viene trasmessa alla Conferenza dei presidenti di commissione per essere esaminata. Il Presidente della Commissione tiene conto dei risultati delle audizioni e delle consultazioni con i gruppi politici del Parlamento. Dopodiché, presenta la sua squadra e le sue priorità politiche nel corso di una sessione plenaria. Dopo una discussione, i deputati decidono, a maggioranza semplice dei voti espressi, se approvare la nomina del nuovo collegio dei commissari per un mandato di cinque anni.

Europee, dal Recovery al nuovo Patto di stabilità: i 5 anni economici della legislatura

Recovery fund, revisione del Patto di stabilità e crescita, riforma della Politica agricola comune (Pac). Sono alcuni dei grandi dossier economici che il Parlamento europeo ha affrontato, insieme alle altre istituzioni comunitarie, Consiglio e Commissione, in questi 5 anni di legislatura al termine. “Nel 2020, i negoziatori del Parlamento sono riusciti a ottenere per l’Ue il più grande pacchetto finanziario di sempre per far fronte alle conseguenze della pandemia di Covid-19 e finanziare una nuova generazione di programmi dell’Ue per il periodo 2021-2027”, ha sottolineato il Parlamento europeo rispetto al Recovery fund in una serie di schede con cui tira le somme del lavoro fatto.

DALLA PANDEMIA ALLA GUERRA IN UCRAINA. Il più grande Parlamento al mondo ha dovuto affrontare, insieme a Consiglio e Commissione, un periodo di crisi – pandemia e guerra – che ha spinto i Ventisette e le istituzioni comunitarie a fare i conti con le proprie capacità. In questo contesto, la Camera ha ricordato che, per sostenere ulteriormente l’Ucraina, rafforzare l’autonomia industriale dell’Ue e finanziare la politica migratoria, i deputati hanno chiesto e ottenuto una revisione intermedia e un aumento del bilancio a lungo termine. E ha specificato che, oltre al bilancio a lungo termine dell’Unione e al dispositivo per la ripresa e la resilienza, lo strumento per la ripresa del valore di 750 miliardi di euro che fa parte di NextGenerationEu (Recovery), sono state adottate, e poi integrate nel RePowerEu, misure a sostegno delle regioni e delle persone vulnerabili, come il Fondo per una transizione giusta e il Fondo sociale per il clima, per accelerare la transizione verso la neutralità climatica e ridurre la dipendenza dall’energia russa. “Il Parlamento è anche riuscito a far approvare una tabella di marcia giuridicamente vincolante per l’introduzione di nuove risorse proprie a copertura del rimborso dei prestiti assunti per NextGenerationEu”, ha precisato il Parlamento.

OBIETTIVI CLIMATICI E DIGITALI. Nel 2023, infatti, i deputati hanno sostenuto l’introduzione di 3 nuove fonti per il bilancio: le entrate previste nel sistema di scambio di quote di emissione, quelle del meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere e gli utili delle imprese. In quanto autorità di bilancio, il Parlamento esamina le spese che incidono sul bilancio e i piani nazionali per la ripresa finanziati con il dispositivo per la ripresa e la resilienza. Per poter ricevere finanziamenti dall’Ue, gli Stati devono rispettare gli obiettivi climatici e digitali, lo Stato di diritto e i valori fondamentali dell’Unione. In caso contrario, il Parlamento può fare pressione sulla Commissione affinché trattenga i pagamenti nell’ambito del meccanismo sulla “condizionalità dello Stato di diritto”. E questo è stato il caso per l’Ungheria: il Parlamento ha contestato lo sblocco da parte della Commissione di 10,2 miliardi di euro di fondi di coesione dell’Ue per Budapest.

FOCUS SUL LAVORO. Sul fronte delle retribuzioni, in questi 5 anni i deputati europei “hanno negoziato con gli Stati membri l’introduzione di salari minimi nazionali e una legge per garantire in tutta l’Ue la parità di retribuzione tra uomini e donne per lo stesso lavoro” e hanno approvato “una normativa che mira ad assicurare giustizia sociale e dignità ai lavoratori dei fornitori di servizi che operano tramite piattaforme digitali e a porre fine al falso lavoro autonomo”. In questo campo, i deputati hanno chiesto agli Stati di rafforzare i programmi di reddito minimo e di vietare lo sfruttamento dei tirocinanti. Per quanto riguarda il lavoro nel settore creativo e culturale, poi, i deputati hanno chiesto nel 2023 una nuova legislazione Ue sullo status sociale e sulle condizioni di lavoro degli artisti e degli altri professionisti che lavorano nella cultura. Dall’Aula in questi anni è uscito anche un divieto assoluto ai prodotti realizzati con il lavoro forzato, sia all’interno che all’esterno dell’Ue, obbligando il ritiro di questi oggetti dal mercato, e norme per introdurre requisiti di trasparenza per i servizi di affitto a breve termine. “Il Parlamento ha anche adottato nuove regole per le operazioni finanziarie in criptovalute, così che queste possano essere tracciate allo stesso modo dei trasferimenti di denaro tradizionali”, ha proseguito il Parlamento.

PIANO INDUSTRIALE EUROPEO. A febbraio 2023, l’Aula ha poi votato a favore dell’istituzione di un nuovo Piano industriale per l’Ue per consolidare e trasferire le capacità di produzione industriale in Europa e norme per riformare il mercato dell’elettricità e proteggere i consumatori da impennate dei prezzi, per la decarbonizzazione del mercato del gas, per sostenere l’approvvigionamento sufficiente di materie prime rare nell’Ue, e la legge sull’industria a zero emissioni. “Questo ‘pacchetto competitività’ dovrebbe favorire la produzione di tecnologie energetiche pulite e aiutare le industrie dell’Ue a creare posti di lavoro di alta qualità e a stimolare la crescita economica per raggiungere gli obiettivi del Green deal”, ha commentato il Parlamento. Infine, nell’ultima plenaria della IX legislatura, il Parlamento ha approvato la riforma della governance economica nell’Ue (il nuovo Patto di stabilità e crescita), “con l’obiettivo di rendere le norme più chiare, più favorevoli agli investimenti e più adattabili alla situazione di ciascun Paese” nel rientro dei livelli di debito, e ha dato l’ok alla revisione della politica agricola comune (Pac) “per alleggerire gli oneri amministrativi degli agricoltori dell’Ue e introdurre una maggiore flessibilità”.