In Ue è emergenza incendi, ma cala il numero di vigili del fuoco occupati

L’emergenza incendi cresce, ma i vigili del fuoco diminuiscono. La gestione dei disastri naturali che si stanno intensificando in questo 2023 dalle temperature record diventa ancora più preoccupante alla luce del quadro tracciato da Eurostat sull’occupazione 2022 dei professionisti della lotta anti-incendio. Perché in un solo anno – tra il 2021 e il 2022 – in tutta l’Unione Europea sono diminuiti di oltre 5 mila unità i vigili del fuoco, con un forte calo registrato in 10 Paesi membri che ha trascinato verso il basso la media dei Ventisette.

La denuncia arriva dalla Confederazione europea dei sindacati (Etuc): “I tagli hanno inciso sulla capacità dell’Europa di far fronte agli incendi causati dall’estate più calda mai registrata”. Più di un terzo dei Paesi membri Ue non ha ritenuto necessario mantenere quantomeno stabile il livello di vigili del fuoco arruolati – Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Lettonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Svezia e Ungheria – e questo ha avuto un impatto su tutta l’Unione: la diminuzione generale si attesta al -1,5%, ovvero 5.288 professionisti in meno. Tra il 2021 e il 2022 i tagli percentuali più consistenti si sono verificati in Slovacchia (-30%), Bulgaria (-22) e Portogallo (-21), ma in doppia cifra sono andati anche Belgio (-19), Romania (-15), Lettonia (-14) e Francia (-12). In termini assoluti invece è la Francia il membro Ue con il record negativo (-5.446), seguita da Romania (-4.250), Portogallo (-2.907) e Slovacchia (-2.702), con altri tre Paesi in deficit di oltre mille unità: Germania (-1.821), Belgio (-1.787) e Bulgaria (1.768).

A nulla sono valsi gli sforzi degli altri 12 Paesi membri Ue (per Austria, Danimarca, Irlanda, Lussemburgo e Malta non ci sono dati disponibili) nell’aumentare i propri organici di vigili del fuoco. A trainare l’occupazione 2022 per la lotta anti-incendi in questa stagione estiva sono stati i Paesi mediterranei – Grecia (+6.900), Spagna (+5.233) e Italia (+2.004) – con il contributo di Repubblica Ceca (+1.578) e Lituania (+1.049), oltre a Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Paesi Bassi e Polonia. Come sottolinea Eurostat, nel 2022 c’erano 359.780 vigili del fuoco professionisti nell’Ue, pari allo 0,2 per cento dell’occupazione totale: Grecia, Estonia e Cipro hanno registrato la quota più alta nell’occupazione nazionale (oltre lo 0,4 per cento), mentre Paesi Bassi e Francia hanno registrato le quote più basse intorno allo 0,1. Ma è chiara la preoccupazione dell’Etuc, relativa alla proposta di riforma del patto di stabilità: “Ulteriori tagli se l’Ue reintrodurrà le regole dell’austerità a gennaio“. In questo scenario “l’importo che i Paesi saranno costretti a tagliare dai bilanci nazionali il prossimo anno per rispettare le nuove regole” sarebbe pari a quello necessario per pagare lo stipendio di “oltre un milione di lavoratori del settore pubblico”.

Durissima la reazione della segretaria generale dell’Etuc, Esther Lynch – “tagliare il numero dei vigili del fuoco nel bel mezzo di una crisi climatica è una ricetta per il disastro” – in particolare sulla prospettiva di una austerità 2.0: “Tutti i Paesi dovrebbero investire nei loro servizi antincendio e in altri servizi pubblici per far fronte all’aumento del carico che sarà loro imposto dal cambiamento climatico”, ma sembra evidente che “gli investimenti sono già insufficienti e temo che potrebbero arrivare altri tagli se l’Ue reintrodurrà le regole dell’austerità il prossimo anno”. Critiche dai sindacati europei sono rivolte anche all’indirizzo del commissario europeo per la Gestione delle crisi, Janez Lenarčič: “Siamo preoccupati di sentire che non riesce a trovare il tempo per incontrare i rappresentanti dei vigili del fuoco della Federazione sindacale europea dei servizi pubblici per discutere degli incendi”.

Gozzi: “Italia deve pretendere da Ue cambio indirizzo su politiche industriali”

Gli anni da cui veniamo, per quanto riguarda le scelte europee sull’industria, sono stati molto difficili. Un’Europa tutta concentrata sulla finanza, sulla disciplina fiscale, sul cambiamento climatico è sembrata non avere alcuna attenzione né passione per l’industria manifatturiera e in particolare per quella di base”. Lo diceva il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, nella relazione all’Assemblea annuale di Federacciai, tenutasi a Milano il 10 maggio scorso, spiegando che si tratta di “un’impostazione per così dire nordica, di Paesi ormai senza industria, in particolare Olanda e Danimarca, che importano tutto, che per questo declinano spesso un mercatismo estremista e che sono ideologicamente votati a politiche di transizione energetica estreme”. Gozzi parlava di “pregiudizio anti industriale”, e ora difende le sue parole dalle critiche in un intervento su Il Riformista: “Le critiche vanno sempre considerate con attenzione e umiltà ma in questo caso ho ragione io: i miei quindici anni di attività industriali in Belgio, vicino a Bruxelles, alla Commissione Europea e alla sua burocrazia guardiana (alla quale purtroppo gli italiani partecipano poco e male) mi hanno dato una sensibilità e un fiuto per ciò che bolle in pentola a Berlaymont che raramente mi fanno sbagliare”.

A sostegno della sua tesi, Gozzi porta un’intervista realizzata da ‘L’Echo’, il giornale economico belga, a Pierre Régibeau, ex braccio destro della VicePresidente e Commissaria europea alla concorrenza la danese Margrethe Vestager. “I contenuti dell’intervista – scrive il presidente di Federacciai -, nella loro radicalità mercatista, ecologista e antindustriale sono emblematici dell’atteggiamento che ho denunciato nella mia relazione, un atteggiamento nel quale un liberismo estremo (mercatista appunto) si intreccia ad un ecologismo acritico e a una visione tutta finanziaria e antindustriale o a-industriale dell’economia”.

Gozzi conclude spiegando che “l’Europa non è più il centro del mondo ma, purtroppo, un continente demograficamente e economicamente in declino. In famiglia, da noi, si dice che l’arroganza è sempre un peccato ma che nel business è un peccato mortale. Purtroppo questo adagio pare essere ignorato a Bruxelles e dintorni dove si decide il futuro dell’Europa. Rileggendo questa intervista, due insegnamenti bisogna trarre. Il primo è che il sistema industriale nel suo complesso non è stato capace di fare sentire sufficientemente la sua voce. E ciò non deve più succedere, tanto più che i prossimi anni saranno decisivi per le sorti della manifattura europea impegnata nella colossale sfida della decarbonizzazione; il secondo è che bisogna mandare a Bruxelles i migliori. L’Italia deve presidiare con forza le Direzioni e deve pretendere un cambio di indirizzo europeo sulle politiche industriali. Questo oggi significa costituire un grande fondo europeo per la transizione industriale e per la decarbonizzazione dell’industria di base”.

Il Green Deal non si può fare senza Cina: lo studio dell’Europarlamento

Il Green Deal europeo non può fare a meno della Cina. Il cambio di paradigma operato dalla Commissione von der Leyen produce una dipendenza, tutta nuova, da cui sottrarsi non appare possibile. Perché la repubblica popolare è troppo presente in quei settori e in quei mercati di cui l’Ue è povera eppur tanto, troppo bisognosa. Per fare della transizione verde servono terre rare, ma pure metalli quali niobio e tantalio, “essenziali per l’industria della difesa e l’energia rinnovabile in tutto il mondo”, rileva un’analisi del centro studi e ricerche del Parlamento europeo. Queste risorse sono tutte in mano cinese.

Considerando l’agenda politica europea e il contesto geopolitico internazionale, “gli impegni di neutralità climatica dell’Ue e le risposte degli Stati membri ai rischi sollevati dall’invasione russa dell’Ucraina hanno contribuito a una crescente domanda di tali metalli che dovrebbe continuare a medio termine”. Nel 2020, si ricorda nel documento, la Commissione europea ha stimato che la domanda di elementi di terre rare utilizzati nei magneti permanenti aumenterebbe di dieci volte entro il 2050. Con la Cina e le sue industrie a farla da padrone per una politica ponderata che ha permesso di conquistare vantaggio.

La Cina beneficia di un controllo schiacciante dell’estrazione e della lavorazione delle terre rare, un’industria considerata di grande importanza strategica”. Per l’Unione europea “evitare ogni cooperazione con aziende legate alla Cina potrebbe rivelarsi impossibile in un settore dominato in modo schiacciante dalla Cina”. L’unica strada percorribile, per non ritrovarsi tra le braccia del Dragone, è scegliere con cura gli investimenti e i partner. Si tratterebbe di procedere ad uno ‘screening’ delle imprese, della loro partecipazione azionaria asiatica e i lori rapporti con la Repubblica popolare cinese, presente anche nell’unico polo di lavorazione delle terre rare su suolo europeo.

L’Ue è in ritardo. Ha avviato una transizione senza essere pronta. “Gli Stati membri dell’Ue non dispongono di miniere di terre rare attive, mentre allo stesso tempo importanti progetti di estrazione di terre rare al di fuori della Cina, come quelli in Groenlandia, non sono ancora diventati operativi”. Inoltre, “anche la capacità di trasformazione europea è limitata, poiché è in gran parte concentrata in un unico impianto, vale a dire lo stabilimento Silmet in Estonia”. Ma di proprietà extra-Ue. Silmet a è di proprietà della Neo Performance Materials Corp (Npm), azienda canadese con sede a Toronto. Principale azionista di Npm è l’azienda australiana Hastings Technology Metals Ltd, attiva nel settore delle terre rare. “Wyloo Metals, di proprietà del fondo di investimento Tattarang, ha finanziato Hastings per l’acquisizione di Npm”. In questo gioco di acquisizioni e partecipazioni, “Tattarang è ancora di proprietà della famiglia dell’imprenditore minerario australiano Andrew Forrest, i cui legami con la Cina sono particolarmente estesi”. In particolare “la sua attività principale, Fortescue Metals Group, estrae ed esporta minerale di ferro in Cina, che è il mercato principale dell’azienda per questo prodotto. Forrest è stato ripetutamente collegato ai tentativi del partito-stato cinese di influenzare la politica del suo paese d’origine”.

Il dominio cinese su terre rare, niobio e tantalio si spiega anche con una politica avviata con largo anticipo, mirata e finalizzata a conquistare vantaggi. In aggiunta al suo controllo sulle risorse di terre rare, ricorda il documento, “ la Cina ha ripetutamente cercato di ottenere il controllo di importanti giacimenti all’estero, una strategia coerente con il desiderio di mantenere la leva finanziaria che la Cina ha sfruttato per fini politici controversi”. Oltre al pieno controllo della catena di approvvigionamento della Cina, il predominio del mercato globale delle terre rare “significa che il Paese può scegliere di assumere una posizione ostile nel raggiungimento degli obiettivi politici”, come dimostrato dagli eventi del 2010, quando il governo cinese ha imposto quote di esportazione al Giappone e ha interrotto le esportazioni poiché ha chiesto il rilascio di un capitano cinese detenuto per aver pescato in acque che la Cina rivendica come proprie. Se è vero che “nel 2023 i resoconti dei media hanno affermato che il governo stava prendendo in considerazione un divieto di esportazione di terre rare”, Green Deal e transizione verde europea passano per la Cina.

L’Italia ha presentato all’Ue la proposta di revisione del Pnrr

Ora è ufficiale: è stata presentata alla Commissione europea la proposta di modifica complessiva del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che include anche il nuovo capitolo REPowerEU. La proposta sarà valutata nei prossimi mesi dalla Commissione europea in base al Regolamento sul dispositivo per la ripresa e resilienza. Lo annuncia una nota del ministero per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnnr, ma la conferma arriva anche dalla Commissione Europea.

Secondo Bruxelles, il capitolo REPowerEU proposto dall’Italia per il proprio piano per la ripresa (Pnrr) “comprende varie riforme, tra cui lo sviluppo delle energie rinnovabili, il potenziamento delle competenze verdi sia nel settore pubblico che in quello privato, la lotta ai sussidi dannosi per l’ambiente e il miglioramento della produzione di biometano”. Previste anche tre aree principali comprendenti diversi investimenti, in particolare legati al potenziamento delle reti energetiche, all’efficienza energetica e alle filiere strategiche.

Il Governo italiano chiede a Bruxelles di rivedere 144 azioni di investimento e riforme per digitalizzazione e competitività, transizione ecologica, mobilità sostenibile, istruzione e la ricerca, inclusione e coesione, salute. La Commissione valuterà ora se il piano modificato soddisfa ancora i criteri previsti, e in caso proporrà la Consiglio una proposta di esecuzione, per cui il Consiglio avrà fino a quattro settimane per esprimersi.

Tags:
, ,

La tabella di marcia Ue per trasporti navali più green: svolta per il 2024

Meno CO2, meno metano, meno protossido di azoto, e più alimentazione sostenibile. La nuova mobilità pulita dell’Ue per il mare è prevista per il 2024. Queste sono le scadenze fissate dalla commissione europea nella sua tabella di marcia per nuove regole in fatto di trasporti sull’acqua. Tre gli ambiti di intervento. Il primo riguarda l’anidride carbonica. La Commissione si prepara ad adottare diversi atti delegati e di esecuzione entro la fine del 2023 al fine di consentire l’inclusione tempestiva del settore del trasporto marittimo nel sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (Ets) a partire dal 1° gennaio 2024.

Per quanto riguarda metano (CH4) e protossido di azoto (N2O), altri gas a effetto serra a cui l’Ue intende mettere freno e tetti di emissione, la Commissione europea adotterà atti delegati per tenerne conto e includerli nel sistema di contabilizzazione entro l’1 ottobre 2023. Queste almeno le intenzione, secondo quanto dichiarato da Frans Timmermans, il vicepresidente esecutivo responsabile per il Green Deal, rispondendo a un’interrogazione parlamentare in materia.

All’abbattimento dei gas clima-alteranti prodotti dalle flotte passeggeri e merci, si aggiunge anche misure per trazione pulita delle imbarcazioni. Il 23 marzo di quest’anno è stato raggiunto l’accordo sulla cosiddetta ‘FuelEU Maritime’, la proposta di regolamento per introdurre motori di nuova generazione alimentati da combustibili ‘green’. L’obiettivo è far sì che l’intensità di gas a effetto serra dei combustibili utilizzati dal settore marittimo diminuisca gradualmente nel tempo, dal 2% nel 2025 fino all’80% entro il 2050. In tal senso “la Commissione si sta preparando all’attuazione del regolamento FuelEU Maritime”, assicura ancora il commissario responsabile per il Green Deal. L’obiettivo del collegio è “pubblicare gli atti delegati e di esecuzione pertinenti nel 2024”. Le elezioni europee, con il rinnovo del Parlamento e l’insediamento del nuovo collegio dei commissari, non dovrebbero dunque incidere sulla tabella di marcia per una mobilità marittima sostenibile.

Tags:
, ,

Firmato Memorandum Ue-Tunisia: fra i cinque pilastri la transizione energetica green

A Tunisi l’Unione Europea e la Tunisia, concordando di attuare il pacchetto di partenariato globale annunciato congiuntamente l’11 giugno 2023, hanno firmato il memorandum d’intesa che copre cinque pilastri: stabilità macroeconomica, commercio e investimenti, transizione energetica verde, contatti interpersonali e migrazione. Sarà attuato attraverso i vari filoni di cooperazione tra l’Unione europea e la Tunisia, seguendo i regolamenti e le procedure applicabili. Presenti alla firma la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni e il presidente del Consiglio olandese Mark Rutte, insieme al Presidente della Tunisia Kaïs Saied. Per quanto riguarda l’energia, il partenariato energetico aiuterà la Tunisia nella transizione verso l’energia verde, riducendo i costi e creando il quadro per il commercio delle energie rinnovabili e l’integrazione con il mercato dell’Ue.

La Tunisia e l’Unione Europea sono consapevoli del potenziale della Tunisia nel campo delle energie rinnovabili e, nell’interesse comune di garantire una maggiore sicurezza della produzione e dell’approvvigionamento energetico tra le due parti, stanno lavorando per concludere un partenariato strategico nel settore dell’energia, rafforzando così la crescita verde e la creazione di posti di lavoro“, si legge nel capitolo sulla transizione energetica verde. L’impegno delle due parti si basa sull’attuazione degli impegni assunti nell’ambito dell’Accordo di Parigi, in particolare sul contributo e la strategia nazionale di Tunisi “per uno sviluppo a zero emissioni di carbonio e resiliente al clima entro il 2050, nei settori della mitigazione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici“. Tra gli obiettivi c’è il rafforzamento della “produzione di idrogeno rinnovabile e dei suoi derivati“, della cooperazione “sulle catene di approvvigionamento per le tecnologie energetiche pulite e la produzione di energia in modo reciprocamente vantaggioso“. Questi obiettivi “richiedono la mobilitazione su larga scala di strumenti finanziari mirati, comprese le garanzie, accompagnati da riforme adeguate che portino a un quadro normativo favorevole, trasparente, stabile e prevedibile, per attrarre gli investimenti e lo sviluppo commerciale nel settore delle energie rinnovabili in Tunisia“, in vista della firma dell’accordo sulla sovvenzione concessa nell’ambito dello Strumento europeo di interconnessione da 307 milioni di euro e dell’introduzione del meccanismo di aggiustamento delle frontiere per il carbonio (Cbam). Le parti hanno concordato che l’attuazione del partenariato “dovrebbe basarsi su una tabella di marcia elaborata congiuntamente“, per aiutare la Tunisia a produrre energia rinnovabile, “migliorando le prestazioni dei servizi pubblici e delle imprese pubbliche attive nel settore energetico, semplificando le procedure amministrative, mettendo in atto gli strumenti e i regolamenti necessari per integrare la Tunisia nel commercio internazionale di energia rinnovabile e più in generale, riformando il quadro normativo del settore energetico“.

Nel pilastro sull’economia e commercio sono incluse anche agricoltura, economia circolare e transizione digitale. “Le parti si adoperano per rafforzare il loro partenariato nel campo della gestione sostenibile dell’acqua al fine di garantire l’accesso ad acqua potabile di qualità, di adoperarsi per un’irrigazione agricola sostenibile, anche attraverso l’uso di acqua non convenzionale (acqua piovana, acqua salmastra e acque reflue trattate) e di sviluppare infrastrutture strategiche per la gestione e il trasferimento dell’acqua“, si legge nel test. La cooperazione si basa sull’agricoltura sostenibile, la resilienza dei sistemi alimentari e sicurezza alimentare, “anche a vantaggio del rafforzamento dei sistemi cerealicoli e di alcuni prodotti agricoli, in particolare nell’ambito di negoziati da concordare“. Sul piano dell’economia circolare, Ue e Tunisia “si adoperano per rafforzare la loro cooperazione nella transizione verso un’economia circolare a basse emissioni di carbonio basata sull’uso efficiente delle risorse“, che comprenderà “la gestione sostenibile dei rifiuti, anche attraverso partenariati pubblico-privato“. Infine sulla transizione digitale le due parti hanno concordato di rafforzare “le capacità, la cooperazione tecnologica, il finanziamento e i progetti comuni“. Tra i progetti di cooperazione c’è quello del cavo digitale sottomarino ‘Medusa’ per la connessione ad alta velocità, ma anche la possibilità di rendere la Tunisia un “hub per la fornitura di connettività Internet ad altre parti del continente africano“. Sarà analizzata la possibilità che il Paese partecipi al Programma Europa Digitale e, “più in generale, a qualsiasi iniziativa europea nel campo dell’innovazione e della digitalizzazione“.

Verso la Cop28 tra rinnovabili ed efficienza: l’Ue spinge su obiettivi globali

(Photocredit: AFP)

Triplicare il tasso globale di diffusione di energie rinnovabili e raddoppiare il tasso globale di efficienza energetica entro il 2030. Prende forma la strategia per la transizione energetica, con impegni comuni, che l’Unione europea punterà a concretizzare alla prossima Conferenza sul clima delle Nazioni Unite, la Cop28 che si terrà a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre.

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, aveva annunciato nei mesi scorsi che l’Ue avrebbe sostenuto obiettivi globali per l’efficienza energetica e le energie rinnovabili. Nei giorni scorsi sono stati i commissari per l’energia, Kadri Simson, e il vicepresidente per il Green Deal, Frans Timmermans, a chiarire in cosa consisterà l’iniziativa che Bruxelles promuoverà. Simson ha spiegato che l’idea è quella di proporre sul fronte delle energie pulite un impegno volontario e non vincolante a triplicare il tasso globale di diffusione delle energie rinnovabili entro il 2030. Sul fronte del taglio ai consumi di energia Bruxelles proporrà di “raddoppiare il tasso globale di miglioramenti dell’efficienza energetica in questo decennio rispetto al decennio precedente”.

Impegni globali, anche se non vincolanti, che dovrebbero rispecchiare a pieno gli obiettivi energetici dell’Ue al 2030, tanto sul fronte dell’efficienza che delle rinnovabili. Di recente, nel quadro del pacchetto sul clima ‘Fit for 55’ l’Unione europea ha rivisto al rialzo i target per entrambi gli obiettivi attraverso la revisione della direttiva sull’efficienza energetica e sulle energie rinnovabili (entrambe del 2018): un aumento della quota di energie rinnovabili nel consumo finale di energia dell’Ue al 42,5 per cento entro il 2030, con l’idea di ‘impegnarsi’ a raggiungere il 45 per cento (con un ulteriore aumento indicativo del 2,5 per cento che però non è vincolante); fissando l’obiettivo di ridurre collettivamente il consumo finale di energia dell’11,7 per cento nel 2030, rispetto alle previsioni formulate nel 2020.

Giovedì si è aperto a Bruxelles il 7 ° incontro ministeriale sull’azione per il clima (MoCA) ospitato dall’Ue, dal Canada e dalla Cina, con la partecipazione dei ministri degli Stati del G20 e altre parti chiave dei negoziati sul clima delle Nazioni Unite. Ed è in questa occasione che il vicepresidente per il Green Deal, Frans Timmermans, ha fatto sapere di voler “contare sul sostegno di tutti per raggiungere questi obiettivi” e per renderli parte dei principali risultati della COP28. La ministeriale si è tenuta alla presenza del presidente designato della Cop28, Sultano Al Jaber, controverso per la sua posizione non solo da ministro dell’Industria e delle Tecnologie negli Emirati Arabi Uniti, ma soprattutto di amministratore delegato della compagnia petrolifera di Stato, la Abu Dhabi National Oil Company (Adnoc). Al-Jaber ha presentato un piano d’azione basato su quattro pilastri concentrandosi sulla riduzione della dipendenza dai combustibili fossili e sull’aumento della capacità delle energie rinnovabili e dell’idrogeno.

Oltre alla transizione, il grande tema al centro della prossima Conferenza sul clima delle Nazioni Unite sarà l’importanza di risolvere la questione del finanziamento della lotta ai cambiamenti climatici e la trasformazione dell’attuale architettura finanziaria e soluzioni per mobilitare capitali privati ​​su larga scala verso azione per il clima.

Tags:
, ,

Il 15 luglio è la Giornata europea delle vittime della crisi climatica

Una giornata europea per ricordare le vittime del cambiamento climatico non solo in Europa, ma nel mondo. Ricorrerà il 15 luglio di ogni anno: oggi rappresentanti delle tre istituzioni comunitarie – il vicepresidente per il Green Deal, Frans Timmermans, a nome della Commissione europea; la ministra spagnola per la transizione, Teresa Ribera, a nome del Consiglio Ue; e l’eurodeputato vicepresidente dell’Eurocamera, Marc Angel, a nome del Parlamento europeo – hanno siglato una dichiarazione congiunta che istituisce la Giornata commemorativa, sotto l’egida delle Nazioni Unite.

Il ‘perché’ della scelta del 15 luglio è stata spiegata da Timmermans nel corso della cerimonia. A metà luglio di due anni fa, nel 2021, in particolare quattro Paesi europei – Belgio, nella regione della Vallonia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi – sono stati travolti da pesanti inondazioni, che hanno provocato la morte di almeno 200 persone. Questa giornata commemorativa annuale – ha spiegato ancora Timmermans – “è stata un momento di riflessione sul bilancio umano della crisi climatica e un’opportunità per discutere azioni per migliorare la nostra resilienza al cambiamento climatico”. Ha poi precisato che sarà una “giornata europea ma è una giornata per ricordare le vittime di ogni parte del mondo”.

“Sappiamo cosa fare e abbiamo gli strumenti per farlo, ma i leader devono agire e devono farlo adesso. Fare tutto il possibile per rispondere alla minaccia del cambiamento climatico”, ha incalzato Selwin Hart, consigliere speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per l’azione per il clima e la transizione giusta, intervenendo alla cerimonia, facendo le veci del segretario, Antonio Guterres.

La giornata annuale servirà a commemorare le vittime in Europa e nel mondo e a sensibilizzare sui passi concreti che le persone possono intraprendere al loro livello per aiutare a prevenire i disastri e per essere meglio preparati e rispondere ai disastri climatici. La cerimonia è stata accompagnata da un’esibizione musicale che include una parte del Rain Requiem del compositore Jef Neve e dello scrittore David Van Reybrouck, il loro tributo a coloro che hanno perso la vita nelle inondazioni del 2021. In occasione della prima Giornata annuale dell’Ue per le vittime della crisi climatica globale, il prossimo sabato, Timmermans visiterà i siti in Belgio, Paesi Bassi e Germania colpiti dalle inondazioni del 2021 e incontrerà i cittadini e la comunità locale rappresentanti.

Tags:
,
parlamento ue

C’è l’ok del Parlamento Ue alla legge sulla natura. Timmermans: “Troveremo un compromesso”

C’è chi la chiama legge storica e chi ne denuncia i limiti. Ad ogni modo, sembra certo che la proposta di Legge sul ripristino della natura, la prima in trent’anni di vita dell’Ue, avrà un futuro che prenderà forma dopo i negoziati interistituzionali. L’Europarlamento riunito in plenaria a Strasburgo ha adottato con 336 voti a favore, 300 contrari e 13 astensioni il suo mandato politico sulla legge ed è pronto ad avviare i negoziati con gli Stati membri. Il primo via libera a Strasburgo è arrivato dopo un voto serratissimo e dopo che gli eurodeputati hanno bocciato (con 312 voti a favore, 324 contrari e 12 astenuti) la mozione per rigettare l’intero provvedimento.

La Legge è diventata nei mesi scorsi il simbolo di uno scontro politico nella storica maggioranza che nel 2019 ha sostenuto la Commissione a guida Ursula von der Leyen e l’anticipazione di come potrebbe cambiare l’equilibrio politico alle prossime elezioni di giugno 2024, con il Ppe spostato più a destra. Come previsto, il Partito popolare europeo (Ppe) ha votato a maggioranza contro il testo, con soli 21 eurodeputati dissidenti (nessun italiano) che hanno votato a favore e due astenuti. Il Ppe ha votato contro insieme alle destre dei Conservatori e riformisti (di cui fa parte la delegazione di Fratelli d’Italia) di cui soli 5 deputati hanno votato a favore e di Identità e Democrazia (di cui fa parte la Lega) che ha votato compatta contro. A sostenere la proposta i Socialdemocratici, i Verdi, la sinistra radicale e la maggioranza dei liberali di Renew Europe, di cui solo 20 eurodeputati (nessun italiano) ha votato contro.

Il testo adottato ricalca nei fatti la posizione negoziale che ha adattato il Consiglio Ue lo scorso 20 giugno, che a sua volta ha ammorbidito la proposta della Commissione Ue di giugno 2022. I deputati hanno sostenuto la proposta della Commissione di mettere in atto misure di ripristino entro il 2030 che coprano almeno il 20 per cento di tutte le aree terrestri e marittime dell’Unione europea, ma che la legge si applicherà solo quando la Commissione avrà fornito dati sulle condizioni necessarie per garantire la sicurezza alimentare a lungo termine e quando i paesi dell’Ue avranno quantificato l’area che deve essere ripristinata per raggiungere gli obiettivi di ripristino per ciascun tipo di habitat. Il Parlamento prevede inoltre la possibilità di posticipare gli obiettivi in ​​presenza di conseguenze socioeconomiche eccezionali.

Come nella posizione degli Stati membri Ue, entro 12 mesi dall’entrata in vigore del regolamento, la Commissione dovrebbe valutare l’eventuale divario tra le esigenze finanziarie per il ripristino e i finanziamenti dell’UE disponibili e proporre eventualmente una soluzione con uno strumento finanziario dedicato. La Commissione europea “è pronta ad aiutare a trovare un compromesso” tra co-legislatori sulla legge sul ripristino della natura. “Dobbiamo lavorare insieme sul contenuto della proposta”, ha dichiarato il vicepresidente per il Green Deal, Frans Timmermans, subito dopo il voto, dichiarandosi disponibile a lavorare a un compromesso anche con il Ppe. Riguardo al contenuto della proposta, ha assicurato “abbiamo preso in considerazione le grandi differenze dei vari Stati membri e permettiamo ai vari Paesi di prendere misure per aiutare il ripristino della natura. Quello che chiediamo agli Stati è di fare davvero uno sforzo per andare in questa direzione e credo che questo sia il modo giusto di andare avanti, trovare la giusta combinazione per il ripristino della natura e tutelare le attività economiche in queste aree da ripristinare”. La proposta di regolamento presentata dalla Commissione europea nel quadro del suo Green Deal europeo a giugno 2022 combina un obiettivo generale per il ripristino a lungo termine della natura nelle zone terrestri e marine dell’Ue con obiettivi di ripristino vincolanti per habitat e specie specifici, andando a coprire almeno il 20 per cento delle aree terrestri e marine dell’Unione entro il 2030 e tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050.

Con l’adozione del mandato negoziale da parte dell’Eurocamera, ora possono iniziare i negoziati tra Parlamento e Consiglio. Gli Stati membri Ue hanno adottato la loro posizione lo scorso 20 giugno: 20 Stati membri su 27 hanno sostenuto il mandato, con Italia, Finlandia, Polonia, Paesi Bassi e Svezia che hanno votato contro e Austria e Belgio che hanno deciso di astenersi. “Siamo delusi dall’esito del voto sulla Legge sul ripristino della natura, nonostante le obiezioni e le perplessità di tre commissioni parlamentari. Temiamo che questa legge sia controproducente e abbia conseguenze sociali ed economiche significative”, ha commentato in un tweet il Partito popolare europeo (Ppe) dopo l’adozione in plenaria e dopo aver trasformato il voto di oggi in uno scontro politico con i gruppi con cui ha costruito la maggioranza Ursula. In conferenza stampa dopo il voto il leader Ppe, Manfred Weber, ha avvertito del fatto che per il via libera definitivo, una volta che sarà trovato l’accordo, servirà anche l’ok del Ppe. “Il risultato finale ha bisogno di una maggioranza quindi è bene che ora tutti facciano attenzione al contenuto”, ha detto. Durante il negoziato interparlamentare il Ppe si era ritirato dai colloqui con gli altri gruppi. “La democrazia si è espressa e quindi il Ppe tornerà al tavolo dei negoziati e contribuirà al risultato finale. Bisogna guardare al contenuto uscito oggi ed è quello che dovrà essere difeso dal team negoziale del Parlamento”, ha assicurato.

Dall’Europarlamento via libera alla riforma ‘green’ dei trasporti: colonnine ogni 60 km

Avanti con auto e camion elettrici, grazie al piano per l’intensificazione della rete dei punti di ricarica su strade e autostrade d’Europa. L’Aula del Parlamento europeo, a grande maggioranza (514 voti favorevoli, 52 contrari e 74 astensioni), stabilisce che entro il 2026 le colonnine elettriche per le autovetture, con una potenza minima di 400 kW, siano installate almeno ogni 60 chilometri lungo i principali corridoi della reti TEN-T (i grandi assi di mobilità inter-europei) e che la potenza della rete aumenti a 600 kW entro il 2028. Per l’Italia vuol dire investire nel corridoio Scandinavia-Mediterraneo (Palermo-Catania-Reggio Calabria-Salerno-Caserta-Frosinone-Roma-Arezzo-Firenze-Bologna-Reggio Emilia-Mantova-Verona-Trento-Bolzano) e nel corridoio Mediterraneo (La Spezia-Genoa-Cuneo-Torino-Modena-Venezia-Palmanova).

Per autocarri e autobus sono previste stazioni di ricarica ogni 120 chilometri. Queste stazioni dovrebbero essere installate su metà delle strade principali dell’Ue entro il 2028 e con una potenza di uscita da 1.400 kW a 2.800 kW a seconda della strada. I Paesi Ue devono garantire che, entro il 2031, le stazioni di rifornimento di idrogeno lungo la rete centrale TEN-T siano distribuite almeno ogni 200 chilometri.

Il Parlamento europeo stabilisce anche le modalità di pagamento. Chi è al volante di una quattro ruote pulita dovrà poter pagare con facilità presso tutti i punti di ricarica, con carte di pagamento o dispositivi contactless e senza necessità di abbonamento. Quanto ai listini, il prezzo alla colonnina dovrà essere indicato per kWh, kg o per minuto/sessione. Entro il 2027, poi, la Commissione dovrà creare una ‘banca dati’ dell’Ue sui carburanti alternativi per fornire ai consumatori informazioni sulla disponibilità, sui tempi di attesa o sui prezzi nelle diverse stazioni.

Il voto di Strasburgo riguarda un elemento del Fit for 55, il pacchetto di ampio respiro per politiche di contrasto ai cambiamenti climatici. Soddisfatto il relatore del testo, il socialdemocratico bulgaro Petar Vitanov. “L’utilizzo di soluzioni energetiche più sostenibili, rinnovabili ed efficienti nel settore dei trasporti – dice – contribuirà a ridurre le emissioni di gas serra e l’inquinamento atmosferico, a migliorare la qualità della vita dei cittadini e a creare nuovi posti di lavoro di alta qualità”. Non solo. “Le nuove norme – aggiunge – contribuiranno inoltre a diffondere un maggior numero di infrastrutture di ricarica e a renderle facili da usare come le stazioni di servizio tradizionali”.

Tags:
,