INFOGRAFICA INTERATTIVA Stoccaggio gas, Italia in risalita a 66,6% e media Ue a 63,6%

Nella mappa INTERATTIVA di GEA vengono mostrati i prezzi medi del carburante regione per regione. Si può scegliere quale tipologia di carburante visualizzare e fare così un confronto tra le varie regioni. I dati sono quelli del Ministero delle imprese e del Made in Italy che vengono rilasciati ogni giorno. L’Alto Adige resta la zona più cara d’Italia con la benzina a 1,951 euro/litro, mentre i prezzi più bassi per la benzina sono sempre nelle Marche, stabili a 1,888 euro/litro.

Tags:
, ,

Ue, De Meo (FI): “Su Transizione eco e digitale non si torna indietro, ma meno ideologia”

Abbiamo una linea tracciata, che non può essere cancellata. Parlo di sfide come le transizioni verde e digitale, che devono però essere riviste alla luce di ciò che è accaduto e che ha avuto un impatto su tutte le dinamiche del Pianeta. Quindi, dobbiamo insistere ma con un ambientalismo che non diventi ideologico, con il pragmatismo, perché la sostenibilità ambientale venga declinata anche da un punto di vista sociale, economico e produttivo”. Lo dice l’eurodeputato di FI, Salvatore De Meo, al #GeaTalk. La sfida è “rendere la nostra Europa sempre più autonoma e competitiva: solo in questo modo saremo in grado di poter essere seduti al tavolo che conta, alla pari e non in maniera subalterna rispetto ad altri continenti – aggiunge -. Perciò non possiamo non guardare a tutto ciò che riguarda l’autonomia alimentare e l’autonomia energetica, conservando le nostre prerogative e i nostri valori”.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Stoccaggio gas, Italia in risalita a 64,89% e media Ue a 62,32%

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA viene mostrato l’aggiornamento degli stoccaggi di gas nei Paesi dell’Ue. Secondo la piattaforma Gie Agsi-Aggregated Gas Storage Inventory (aggiornata al 30 aprile), l’Italia cresce ancora e raggiunge quota 64,89%, mentre la media Ue è in risalita a 62,32%. Agli ultimi posti ancora Polonia e Croazia, mentre in testa c’è sempre il Portogallo, in aumento a 91,68%.

Tags:
, ,
parlamento ue

L’Eurocamera dà il via libera al nuovo regolamento sugli imballaggi

Si chiude il discorso su uno dei dossier divenuto simbolo della progressiva erosione del sostegno al Green Deal europeo, almeno in Italia. Nell’ultima sessione plenaria della legislatura, l’Eurocamera dà la propria benedizione con 476 voti a favore, 129 contrari e 24 astenuti, al regolamento Ue sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggi. Un provvedimento che “difende l’eccellenza italiana“, rivendica la relatrice del testo, la democratica Patrizia Toia. Di tutt’altro avviso la Confederazione Italiana Agricoltori (Cia), che auspica “una soluzione più equa” con il prossimo Parlamento. Contraria anche la Lega con il segretario, e vicepremier, Matteo Salvini che parla di un “danno alle imprese italiane“.

Le norme, frutto del sudatissimo accordo provvisorio raggiunto lo scorso 4 marzo con il Consiglio dell’Ue, introducono obiettivi di riduzione degli imballaggi del 5 per cento entro il 2030, del 10 per cento entro il 2035 e del 15 per cento entro il 2040. E impongono ai Paesi europei di ridurre in particolare i rifiuti di imballaggio in plastica. A partire dal 2030, saranno vietati diversi tipi di imballaggi di plastica monouso, tra cui gli imballaggi per frutta e verdura fresche non trasformate, per i cibi e le bevande consumati in bar e ristoranti e per le monoporzioni (ad esempio condimenti, salse, panna da caffè e zucchero). Il divieto si applicherà anche ai piccoli imballaggi monouso utilizzati negli alberghi e le borse di plastica in materiale ultraleggero al di sotto dei 15 micron. Per evitare effetti nocivi sulla salute, il testo vieta l’utilizzo dei cosiddetti “inquinanti eterni“, ovvero le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), al di sopra di determinate soglie negli imballaggi a contatto con prodotti alimentari.

Quello sugli imballaggi è stato finora uno degli atti legislativi europei più sensibili per il governo e per diversi gruppi d’interesse italiani, con una forte pressione delle delegazioni italiane sia all’Eurocamera sia al Consiglio per ridiscutere in particolare gli obiettivi di riciclo e riuso. Una contrapposizione superata nel testo finale, con la facoltà per gli Stati membri di concedere deroghe agli operatori dei settori coinvolti se i singoli materiali di imballaggio abbiano superato di almeno il 5 per cento gli obiettivi di riciclo definiti da Bruxelles. Non solo: l’Italia ha ottenuto l’esclusione dagli obblighi di riuso del take away, del cartone, di bevande come latte e altre altamente deperibili, vini e altre bevande alcoliche, oltre ad una deroga orizzontale per i materiali di imballaggio. A patto ancora che ci siano alti tassi di riciclo.

L’approvazione definitiva del regolamento imballaggi è una buona notizia per l’Europa e per l’Italia”, che “concilia gli obiettivi ambientali con gli interessi dell’economia“, ha esultato la dem Patrizia Toia, rivendicando il ruolo svolto per “difendere e valorizzare l’eccellenza dell’industria italiana del riciclo e le filiere di materiali sostenibili“. Una vittoria immediatamente ridimensionata dal presidente nazionale di Cia, Cristiano Fini: pur ammettendo che sul regolamento “c’è stato un grande lavoro di tutto il sistema Italia“, Fini denuncia la criticità del divieto di utilizzo degli imballaggi monouso in plastica per frutta e verdura sotto 1,5 kg, che “non supporta il settore né sul fronte delle spese né sulla garanzia di una migliore conservazione del prodotto, oltre che rispetto all’obiettivo del contrasto allo spreco alimentare”.

Sul piede di guerra la Lega, l’unico partito italiano che anche oggi si è opposto in blocco – così come il gruppo politico europeo a cui appartiene, Identità e Democrazia – all’approvazione del regolamento. Secondo l’eurodeputata del Carroccio Silvia Sardone le nuove norme sugli imballaggi rimangono “fortemente penalizzanti per le imprese italiane” e fanno parte di quei “provvedimenti ideologici green con cui l’Ue ha caratterizzato questo mandato, tra ecofollie e danni gravi a interi settori“. Si accoda il segretario, e vicepremier, Matteo Salvini, secondo cui il regolamento “danneggia le imprese italiane, aumentando burocrazia e costi“.

Prima di essere pubblicato sulla Gazzetta ufficiale Ue ed entrare in vigore, l’accordo dovrà essere approvato formalmente a maggioranza qualificata dagli Stati membri nel Consiglio dell’Ue.

Patto di stabilità, via libera dal Parlamento europeo. M5s: “Sfiduciato Giorgetti”

Spazio agli investimenti per la transizione verde e digitale, con la possibilità di non conteggiare ai fini del calcolo del deficit lo sforzo pubblico di spesa. Una flessibilità a cui fa da contraltare un percorso di risanamento dei conti serrato, preciso e non semplice per Paesi come l’Italia dall’elevato debito pubblico. L’Aula del Parlamento europeo vara la riforma del Patto di stabilità, confermando l’accordo inter-istituzionale raggiunto a febbraio. Un esito atteso, che non registra sorprese.

Le soglie di riferimento classiche non cambiano. Restano i tetti del 3% nel rapporto deficit/Prodotto interno lordo e del 60% nel rapporto debito/Pil perché incardinate nei trattati sul funzionamento dell’Ue. Cambia però il modo di considerarle. Al fine di garantire consolidamento di bilancio i Paesi con un rapporto debito/Pil superiore al 90% dovranno ridurre ogni anno questo rapporto dell’1%, mentre per i Paesi con un deficit/Pil tra il 60% e il 90% dovranno tagliarlo di uno 0,5% l’anno. L’Italia dovrà dunque ridurre di un punto percentuale l’anno il proprio debito, al pari di Belgio, Francia, Grecia, Portogallo, Spagna. Non solo. Come tutti l’Italia dovrà ridurre anche il deficit, perché passa l’altra cosiddetta salvaguardia, che prevede di creare margini di spesa preventivi. L’accordo prevede che anche chi non sfora il tetto del 3% deficit/Pil debba comunque ridurlo, per creare uno spazio dell’1,5% così da essere pronti in caso di shock, senza dover mettere sotto pressione i conti.

Il periodo di consolidamento viene fissato in quattro anni, con piani che ogni Stato membro dovrà presentare entro il 20 settembre 2024 . Questa traiettoria di rientro potrà essere però estesa fino a un massimo di sette anni, previa richiesta da parte gli Stati membri. La concessione di più tempo per ridurre il debito è condizionata a un piano di riforme e investimenti atti a migliorare potenziale di crescita e capacità di resistenza agli shock. Riforme e investimenti, nello specifico devono affrontano le priorità comuni dell’Ue, vale a dire transizione verde e digitale, sicurezza energetica, rafforzamento della competitivitàe, ove necessario, lo sviluppo di capacità di difesa”. I governi, nel presentare i loro piani, dovranno spiegare come saranno effettuati gli investimenti nei settori prioritari dell’Ue delle transizioni climatiche e digitali, della sicurezza energetica e della difesa.

Aver raggiunto questo compromesso è molto positivo”, sottolinea Paolo Gentiloni, commissario per l’Economia. “C’è uno spazio di investimenti molto maggiore per le priorità dell’Unione europea”, vale a dire la doppia transizione. Insomma, “le nuove regole migliorano quelle attuali”.

Non sono di questo avviso però gli europarlamentari italiani. Nessuna delegazione vota a favore del nuovo Patto. Il Pd si astiene, “immagino più per ragioni di politica interna”, commenta Gentiloni. Gli esponenti dei partiti di maggioranza si astengono, salvo respingere la mozione che chiedeva di respingere l’accordo inter-istituzionale e affossare di fatto il nuovo patto. Democratici e 5 Stelle chiedono la testa del ministro dell’Economia. Con la loro astensione di FdI, Lega e FIsfiduciano di fatto il ministro Giorgetti che lo aveva negoziato in Europa”, incalza Mario Furore (M5S), mentre il capo delegazione dei dem, Brando Benifei, invita lo stesso Giorgetti a “trarre le conclusioni del caso”.

Tra luci e ombre l’ultimo atto del Parlamento Ue è sul Green Deal

Il Parlamento europeo il 25 aprile saluta baracca e burattini dopo cinque anni di lavoro non proprio facili. Al netto degli errori che sono stati commessi, va dato atto a Ursula von der Leyen a Roberta Metsola (e prima di lei al compianto David Sassoli) e a Charles Michel di essere incappati nel periodo peggiore degli ultimi decenni: una pandemia, due guerre e mezza non sono poca roba da gestire e, soprattutto, sono ostacoli lungo la via di una ricostruzione dell’Europa.

Si poteva fare meglio? Sì. Si poteva fare peggio? Anche. L’accusa che viene rivolta con maggiore insistenza a Commissione e Parlamento è di aver radicalizzato la lotta al cambiamento climatico e il contrasto al riscaldamento del pianeta. Il Green Deal, partito da presupposti nobilissimi, è andato in crisi quando è diventato la summa di provvedimenti estremi, poco in linea con la realtà di un’economia in crisi. Fatto salvo il concetto che la transizione ecologica è ineludibile, accettata la conseguenza che abbia costi molto alti da sostenere, il tutto si è inceppato quando da Frans Timmermans in giù è diventata una questione ideologica. E si è acceso lo scontro con governi e aziende: l’auto elettrica, le case green, il packaging, fino alla nuova Pac sono diventati motivi di scontro e non più di confronto. La marcia dei trattori su Bruxelles è un po’ il simbolo di un disagio latente, che ha finito per coinvolgere la pancia del popolo.

Uno studio di Copernicus racconta che l’Europa si è ‘inquinata’ più degli altri continenti. Persino più di Cina e India, che non sono proprio sensibilissime sull’argomento: e le varie Cop di questi anni ne sono la prova provata. Sarà per questo che gli ultimi atti dell’attuale Parlamento Ue saranno dedicati alla votazioni di quattro provvedimenti legati al Green Deal, per fare in modo che chi subentrerà ( o continuerà) dopo le elezioni dell’8-9 giugno abbia una base dalla quale partire. Si tratta del regolamento Ecodesign (Espr) e delle direttive Corporate social due diligence (Csddd), Ambient air quality and cleaner air for Europe e Packaging and packaging waste. Vedremo cosa ne uscirà, nella speranza che a vincere sia sempre il buonsenso.

Ue, Procaccini (Fdi): “Indipendenza politica strettamente legata a transizione ecologica”

Sul Green Deal “ci vuole il contrario di quello che è stato fatto. Non è semplice, mi rendo conto. Mi rendo altresì conto che l’obiettivo sia certamente quello. Credo che si debba prendere coscienza del fatto che c’è anche un tema di indipendenza politica che è strettamente collegato alla transizione ecologica. Attenzione, perché la transizione ecologica se la facciamo soltanto noi e non siamo in grado di condizionare gli altri, rischiamo di avere risultati velleitari in termini di protezione dell’ambiente e nello stesso tempo rischiamo di condizionare pesantemente non soltanto la produzione economica, ma anche le ricadute sociali e le ricadute sull’ambiente stesso”. Così Nicola Procaccini, presidente del gruppo dei Conservatori riformisti europei e responsabile del dipartimento Ambiente e energia di Fratelli d’Italia, durante #GeaTalk.

Tags:
, ,

Procaccini: “Serve una nuova Europa. Draghi? Meglio presidente del Consiglio”

Io ho la sensazione che saranno le elezioni europee più partecipate di sempre”. Nicola Procaccini, presidente dei Conservatori e Riformisti europei, responsabile del dipartimento Ambiente ed energia di Fratelli d’Italia, motiva la sua convinzione con una ragione di “politica domestica, perché si tratta di una sorta di tagliando per il governo” e una di natura “contenutistica, perché c’è sempre più una presa di coscienza di quanto possano contare le decisioni di Bruxelles sulle nostre vite”. Fatta questa premessa, Procaccini – ospite di GeaTalk, il format video di GEA, – smonta nella sua veste di eurodeputato quanto è stato fatto nell’ultimo quinquennio, pur riconoscendo l’impatto tremendo della pandemia e di due guerre: “Sicuramente non mancano le giustificazioni ma il giudizio resta critico proprio per la gestione di queste guerre e per il Green Deal, condizionato da un furore ideologico che si è rivelato dannoso”. L’esempio è quello delle materie prime per la transizione energetica, ma anche della gestione dei migranti: “Se ci fosse stato un po’ più di realismo, un po’ più di pragmatismo nei lavori della Commissione europea in questi cinque anni, diversi problemi che oggi abbiamo di fronte sarebbero meno paurosi e meno gravi di quanto lo siano”.

Bocciata quindi Ursula von der Leyen, che però è in sintonia con la premier Giorgia Meloni, il futuro potrebbe esse Mario Draghi. Il nome è molto in voga in queste settimane anche se pare raccolga consensi unanimi in Italia: “Non è stato detto che siamo contrari, è stato detto che al momento è prematuro parlarne e che al netto dell’autorevolezza di Draghi bisogna vedere quale sarà il ruolo. Perché ci sono ruoli più o meno politici”, il distinguo di Procaccini. Che si concretizza in una poltrona diversa da quella immaginata di successore di von der Leyen: “La mia sensazione è che la sua figura sia più collocabile nel Consiglio europeo che non nella Commissione europea, francamente non riesco a pensarlo in quel ruolo”.

Il 10 giugno l’Europa potrebbe avere connotazioni profondamente diverse da oggi. “Il mio pensiero desideroso è chiaramente che si sposti un po’ più a destra il punto di equilibrio, che si possa tornare all’Europa confederale che era stata immaginata quando è nata l’Unione Europea – confessa l’esponente di FdI -. Quindi tutto il contrario del super Stato federalista che invece altri sostengono legittimamente. Noi questo non lo condividiamo e quindi speriamo che possa emergere una una posizione politica che torni a essere quella di un’alleanza di nazioni. Che fanno poche cose insieme, ma serie e importanti”. Il traino è quello della presidente del Consiglio: “Giorgia Meloni è probabilmente l’unica capace di parlare con tutti al Consiglio Europeo, perché non ha la puzza sotto il naso che hanno altri, non dà le patenti ai governi democraticamente eletti, ragiona con tutti in maniera serena, aperta e paritaria e questo le consente sicuramente di avere una influenza certificata anche oggi dal Time, che la la definisce una delle persone più più influenti del pianeta”.

Sul tema ‘verde’ e sulla gestione economica di questo passaggio ormai ineludibile, Procaccini calca la mano, per il futuro ci vuole “il contrario di quanto è stato fatto” e sottolinea che “se la transizione ecologica la facciamo soltanto noi e non siamo in grado di condizionare gli altri, rischiamo di avere risultati velleitari in termini di protezione dell’ambiente e nello stesso tempo rischiamo di condizionare pesantemente non soltanto la produzione economica, ma anche le ricadute sociali e le ricadute sull’ambiente stesso”. Per le case green auspica “buon senso” e lo motiva, l’eurodeputato di Fratelli d’Italia: “Sono obiettivi così utopistici che lasciano un po’ il tempo che trovano. Noi portiamo – e chissà per quanti anni porteremo – sulla pelle i segni del Superbonus 110% che ci ha consentito di ristrutturare e quindi rendere più performanti in termini energetici meno del 10% del numero di abitazioni che si dovrebbe adeguare secondo la Direttiva Case Green. Questo l’abbiamo fatto ad un costo che graverà sui nostri figli e sui figli dei nostri figli”. Più o meno è lo stesso disagio creato dalla nuova Pac, che ha provocato la protesta dei trattori e ha messo a ferro e fuoco Bruxelles: “Da questo radicalismo ideologico di cui Timmermans è stato forse il massimo rappresentante ne sono derivate regolamenti e direttive che più o meno con cadenza trimestrale-quadrimestrale avevano come obiettivo quello di colpire i lavoratori della natura, quindi agricoltori, allevatori, pescatori. È un atroce paradosso”, denuncia Procaccini.

Paradossale, dice, è anche quanto successo alla National Conservative Conference, fermata a Bruxelles da un intervento della polizia. “E’ stata una scena surreale“, confessa Procaccini. “E’ arrivata la polizia ha cercato di sgomberare una sala dove c’erano peraltro cardinali, intellettuali. Questo racconta di un clima bruttarello che spero non non degeneri ulteriormente perché anche in Italia ci sono più o meno quelle stesse sensazioni. Mi riferisco agli scontri all’università, che ci sia un estremismo a sinistra che stia sempre più montando e secondo me dovrebbe preoccuparci“.

Tags:
, ,

Bruxelles accende i riflettori sul Superbonus

Bruxelles accende i riflettori sul Superbonus.

Se da una parte il ministro dell’Economia Giorgetti è impegnato ad affrontare le sfide che il vasto investimento sulla misura ha prodotto, creando una sorta di ‘voragine’ finanziaria, con la conseguente scelta di eliminare ogni forma di sconto in fattura e cessione del credito (seguita da un dietrofront per avere dimenticato di esonerare le zone colpite dai terremoti), dall’altra l’Europa ha deciso di intervenire avviando una serie di controlli, coinvolgendo ben quattro istituzioni comunitarie: Corte dei Conti UE, Procura UE, Direzione Generale Affari Economici e finanziari della Commissione UE e l’ufficio UE per la lotta antifrode.

“Le Istituzioni europee, insieme a Guardia di Finanza, Enea, Ministero dell’Ambiente e Ragioneria Generale dello Stato – sostiene Rosa Santoriello, consigliera d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – stanno avviando un rigoroso piano di controllo sul Superbonus 110% italiano, concentrato sulle spese e sui risultati ottenuti attraverso ispezioni dirette su quasi 60mila cantieri”.

La Commissione europea con il nuovo decreto PNRR, ha deciso di far luce sui 14 miliardi stanziati dall’Enea per l’efficientamento energetico e sui 4 miliardi del Fondo complementare. Controlli finalizzati a garantire la trasparenza e l’efficace impiego dei finanziamenti.

“Il PNRR prevede di finanziare interventi di efficientamento energetico – conclude Santoriello – su edifici residenziali per un totale di 13,9 miliardi di euro, con l’obiettivo di ristrutturare e riqualificare energeticamente 35,8 milioni di metri quadrati entro la fine del 2025”.

Tags:
,
energia

Il Parlamento Ue approva le riforme del mercato elettrico e del gas

Un voto a larghissima maggioranza, che sancisce il via libera definitivo del Parlamento Europeo a un pacchetto di riforme cruciali per il futuro energetico a medio e lungo termine dell’Unione Europea. Gli eurodeputati hanno approvato in sessione plenaria quattro file del pacchetto per la riforma del mercato elettrico e dell’energia (ciascuno con oltre 400 voti a favore), confermando le intese raggiunte a dicembre 2023 con il Consiglio dell’Ue sul mercato elettrico e sulla decarbonizzazione del mercato del gas. Ora si attende solo il timbro finale dei 27 governi Ue, prima dell’entrata in vigore di tutta la legislazione.

L’elemento centrale della riforma del mercato elettrico è l’introduzione di strumenti di finanziamento per le energie rinnovabili e a zero emissioni di carbonio, compreso il nucleare, rendendo i prezzi dell’elettricità meno dipendenti dalla volatilità di quelli dei combustibili fossili. Il sostegno pubblico diretto alla produzione di energia elettrica rinnovabile (eolica, solare, idroelettrica senza serbatorio, geotermica) e da nucleare avverrà attraverso un contratto per differenza a due vie, in cui ai produttori viene pagato un prezzo di esercizio fisso per la loro elettricità, indipendentemente dal prezzo nei mercati dell’energia a breve termine. Il Consiglio avrà il potere di dichiarare una crisi dei prezzi (su proposta della Commissione), in base al prezzo medio dell’elettricità all’ingrosso o a un forte aumento dei prezzi al dettaglio dell’elettricità: in caso di crisi i prezzi possono essere fissati fino al 70 per cento del consumo di elettricità per le piccole e medie imprese e fino all’80 per cento per le famiglie.

Sui meccanismi di capacità (strumenti di incentivi alla generazione a disposizione degli Stati membri per contrastare potenziali carenze di elettricità) gli Stati membri possono sostenere finanziariamente le strutture per la fornitura di capacità, trasformandoli da una soluzione di emergenza a una componente strutturale dell’approvvigionamento energetico. Rimane fino alla fine del 2028 l’eccezione del finanziamento alle centrali elettriche a carbone o a gas già in funzione che emettono emissioni superiori allo standard di emissione (più di 550 g di CO2 per KWh). Sul fronte dei consumatori, ci sarà libera scelta di stipulare contratti a prezzo fisso (con durata minima di un anno) o contratti a prezzo flessibile, e soprattutto viene introdotto il divieto di interruzione della corrente per le persone colpite dalla povertà energetica.

Per quanto riguarda la decarbonizzazione del mercato del gas, il punto centrale riguarda la creazione di un modello di mercato per l’idrogeno in Europa con regole per l’accesso alle infrastrutture, la separazione della produzione e delle attività di trasporto e la fissazione delle tariffe. È prevista a partire da quest’anno – ma pienamente operativa dal 2027 – una nuova entità europea indipendente che riunirà gli operatori delle reti a idrogeno (Ennoh) accanto alle altre due strutture esistenti per il gas (Entsog) e l’elettricità (Entsoe). Diventerà permanente, ma su base volontaria, il meccanismo di acquisti congiunti di gas introdotto durante la crisi energetica, mentre l’idrogeno sarà incluso sotto forma di progetto pilota quinquennale per riunire la domanda e l’offerta e per garantire trasparenza di mercato nell’ambito della Banca europea dell’idrogeno.

È il 2049 la data per lo stop ai contratti a lungo termine per il gas fossile non abbattuto, ovvero le cui emissioni di gas serra non sono state lavorate per essere eliminate attraverso tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio, in vista degli obiettivi di emissioni nette zero emissioni nell’Ue alla metà del secolo. Resta la possibilità di contratti fornitura a breve termine (inferiori a un anno) perché sono considerati importanti per la sicurezza dell’approvvigionamento e per ragioni di liquidità del mercato. In linea con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili russi, sarà introdotto un meccanismo che consente agli Stati membri di limitare le offerte anticipate per la capacità di accesso alla rete e ai terminali per il gas naturale e il Gnl provenienti da Russia e Bielorussia.