Via libera definitivo alla Manovra 2024. Meloni: “Al centro famiglie, lavoro e imprese”

Con il via libera della Camera (200 voti favorevoli, 112 no e 3 astenuti), la legge di Bilancio 2024 è stata definitivamente approvata dal Parlamento. Dall’energia al Ponte sullo Stretto, alla lotta all’inflazione, sono diversi i temi trattati dal testo da circa 24 miliardi di euro.

Soddisfatta la premier, Giorgia Meloni: “Ringrazio a nome mio e del governo i parlamentari di maggioranza di Senato e Camera per il sostegno e la compattezza dimostrati. Un segnale positivo per una Manovra importante, che mette al centro le famiglie, il lavoro e le imprese. In linea con i principi che guidano la nostra azione e con il programma che gli italiani hanno votato“, scrive su Facebook. Aggiungendo che “questa volta la Manovra viene approvata senza il voto di fiducia. Ringrazio per questo anche le opposizioni che, pur nel forte contrasto sui temi, hanno contribuito allo svolgimento del dibattito. E ora avanti con determinazione, coraggio e responsabilità”. Anche per Giancarlo Giorgettibene il sì alla manovra. Proseguiamo su un percorso di prudenza, responsabilità e fiducia. Avanti così“, commenta il ministro dell’Economia dopo il voto.

Ecco, di seguito, alcuni dei punti principali della manovra 2024.

BONUS ELETTRICO – Proroga del bonus sociale elettrico anche per i mesi di gennaio, febbraio e marzo 2024. La copertura di spesa è di 200 milioni, che saranno trasferiti alla Cassa per i servizi energetici e ambientali. CARO SPESA – Contro l’inflazione dei beni di prima necessità, il provvedimento prevede nuove risorse per la carta ‘Dedicata a te’ per chi ha un Isee pari o inferiore a 15mila euro. Il Fondo viene rifinanziato nel 2024 con 600 milioni di euro. Inoltre, “in considerazione del permanere di condizioni di disagio sociale ed economico”, il Fondo per la distribuzione di generi alimentari alle persone indigenti viene inoltre incrementato di 50 milioni di euro.

PONTE SULLO STRETTO – E’ di 11,6 miliardi di euro la dotazione per la realizzazione del collegamento stabile tra Calabria e Sicilia. La cifra è pluriennale e copre l’arco temporale tra il 2024 e il 2032. Di queste risorse 9,3 miliardi arriveranno dal bilancio pubblico, mentre 2,3 miliardi dal Fondo di sviluppo e coesione: 1,6 miliardi dagli stanziamenti previsti inizialmente per la Sicilia e la Calabria e 718 milioni dai ministeri.

ASSICURAZIONI CONTRO EVENTI CALAMITOSI – Le imprese sono tenute a stipulare, entro il 31 dicembre 2024, contratti assicurativi a copertura dei danni agli immobili direttamente cagionati da calamità naturali e catastrofi su territorio nazionale, come i terremoti, le alluvioni, le eruzioni vulcaniche, i fenomeni di bradisismo, le frane, le inondazioni e le esondazioni. L’eventuale scoperto o franchigia nei contratti per “l’adempimento dell’obbligo di assicurazione” non potrà essere superiore al 15% del danno. Il rifiuto o l’elusione dell’obbligo a contrarre l’assicurazione è punito con una multa da 200mila a un milione di euro, irrogate tramite Ivass.

VULNERABILITA’ SISMICA EDIFICI PUBBLICI – E’ istituito, presso il Mef, per poi essere trasferito al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, un Fondo per il finanziamento di un ‘Programma di mitigazione strutturale della vulnerabilità sismica degli edifici pubblici’, con una dotazione con una dotazione totale di 285 milioni, di cui 45 per il 2024, poi 60 milioni per ciascuno degli anni 2025, 2026, 2027 e 2028.

RICOSTRUZIONI POST CALAMITA’ – L’articolo 72 è dedicato alle misure per garantire la prosecuzione delle attività amministrative delle strutture commissariali e degli uffici speciali per la ricostruzione. Tra queste ci sono la la proroga dei contratti stipulati dai comuni del cratere sismico del 2009, in deroga alla normativa vigente in materia di vincoli alle assunzioni a tempo determinato presso le Amministrazioni Pubbliche, l’autorizzazione di spesa è incrementata di 1,4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025. Inoltre, il termine di scadenza dello stato di emergenza per gli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012 viene prorogato, per le regioni Lombardia ed Emilia-Romagna, al 31 dicembre 2024 ed è autorizzata la spesa di 12,2 milioni per il 2024 per le spese relative al funzionamento, all’assistenza tecnica, all’assistenza alla popolazione, al contributo di autonoma sistemazione e a interventi sostitutivi per gli eventi sismici che hanno colpito i territori dell’Emilia-Romagna nel 2012.

SOSTEGNO A PMI ORTOFRUTTICOLE – L’Ismea è autorizzato a erogare prestiti cambiari in favore delle Pmi agricole del settore ortofrutticolo per un massimo pari al 50% dell’ammontare dei ricavi registrati nel 2022 dall’impresa richiedente e, comunque, non superiore a 30mila euro, con inizio del rimborso dopo 24 mesi dalla data di erogazione e durata fino a 5 anni.

EMERGENZE AGRICOLTURA – Per le situazioni di crisi di mercato nel settore agricolo, agroalimentare, zootecnico e della pesca generate da eventi non prevedibili, è istituito presso il Masaf un Fondo per la gestione delle emergenze finalizzato a sostenere gli investimenti delle imprese che operano in questi settori, con una dotazione totale di 270 milioni di euro, suddivisi in 90 milioni per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026.

GARANZIE GREEN – Sace è abilitata a rilasciare, fino al 31 dicembre 2029, garanzie connesse a investimenti nei settori delle infrastrutture, anche a carattere sociale, dei servizi pubblici locali, dell’industria e ai processi di transizione verso un’economia pulita e circolare e la mobilità sostenibile, l’adattamento ai cambiamenti climatici e la mitigazione dei loro effetti, la sostenibilità e la resilienza ambientale o climatica e l’innovazione industriale, tecnologica e digitale delle imprese. Lo prevede la bozza della legge di Bilancio. Le garanzie sono concesse per una durata massima di 25 anni e per una percentuale massima di copertura non eccedente il 70 per cento, ovvero il 60 per cento, ove rilasciate in relazione a fideiussioni, garanzie e altri impegni di firma, che le imprese sono tenute a prestare per l’esecuzione di appalti pubblici e l’erogazione degli anticipi contrattuali ai sensi della pertinente normativa di settore, ovvero il 50 per cento nel caso di esposizioni di rango subordinato.

Tra mercato elettrico e pacchetto gas si chiude il semestre di presidenza spagnola dell’Ue

Materie critiche, riforma del mercato elettrico e pacchetto per decarbonizzare il mercato del gas. La Spagna chiuderà il prossimo 31 dicembre il suo semestre di presidenza alla guida dell’Ue dopo aver portato a traguardo oltre 50 accordi politici e anche molti dossier legislativi cruciali per la competitività economica e per la transizione energetica, molti dei quali arrivati sul filo di lana.

Dalla reindustrializzazione alla transizione energetica, dalla giustizia sociale ed economica all’unità dell’Unione sui dossier sul clima. Quattro in tutto le priorità che dallo scorso primo luglio fino al 31 dicembre hanno segnato la presidenza spagnola, alla guida dell’Ue per la quinta volta dopo il 1989, il 1995, il 2002 e il 2010. Oltre 50 gli accordi politici raggiunti, con circa 150 file da completare sotto la prossima presidenza belga che avrà il compito di traghettare le istituzioni di Bruxelles verso le elezioni europee in programma nei ventisette Paesi dal 6 al 9 giugno.

Ultimo, ma non meno importante, lo scorso 14 dicembre la presidenza spagnola del Consiglio ha raggiunto un accordo con l’Europarlamento sulla tanto attesa riforma del mercato elettrico, proposta dalla Commissione europea lo scorso 14 marzo, dopo un’intensa crisi energetica che ha messo alla prova i governi europei fortemente dipendenti dal gas russo. La riforma del mercato elettrico è anche il primo dei tre pilastri del Piano industriale per il Green Deal che ha caratterizzato la sfida della reindustrializzazione della Commissione europea. Madrid ha contribuito a trovare l’intesa anche sulla prima legge sulle materie prime critiche (ovvero il secondo pilastro), mentre progressi sono stati compiuti anche sul terzo pilastro, ovvero il Net-Zero Industry Act, su cui ora sarà la presidenza belga ad avviare il negoziato a tre tra Parlamento e Consiglio (mediato dalla Commissione europea) per cercare di raggiungere un accordo.

Intesa a dicembre, poi, sul pacchetto per decarbonizzare le reti esistenti del gas per introdurre l’idrogeno nel mercato, facilitare l’accesso dei gas rinnovabili (come il biometano, l’idrogeno o il metano sintetico) e a basso contenuto di carbonio (low carbon) e migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento in Ue, proposto dalla Commissione a dicembre 2021. Il pacchetto di decarbonizzazione del mercato del gas è anche l’ancoraggio normativo con cui l’Unione europea intende rendere permanente il meccanismo di acquisti congiunti di gas, introdotto durante la crisi energetica, che diventerà su base volontaria.

Sul fronte ambientale, negli ultimi sei mesi di presidenza Madrid ha contribuito a trovare un accordo sulla revisione della direttiva sulla prestazione energetica degli edifici (Energy Performance of Building Directive), la cosiddetta direttiva case green tanto criticata in Italia e proposta dall’Esecutivo comunitario a dicembre 2021 per alzare gli standard energetici del parco immobiliare dell’Ue, dal momento che gli edifici sono responsabili di circa il 40% del consumo energetico europeo e del 36% delle emissioni di CO2. Accordo anche su uno dei dossier diventati più controversi negli ultimi mesi dell’agenda verde dell’Ue, la proposta di regolamento sul ripristino della natura avanzata dalla Commissione europea a giugno 2022 e al centro di critiche da parte del centrodestra europeo intenzionato a cavalcare l’onda di risentimento degli agricoltori contro i piani verdi di Bruxelles. La prima legge Ue sulla natura è anche uno dei pilastri chiave della Strategia europea per la biodiversità, che allineerà l’Unione europea agli impegni assunti con l’accordo di Kunming-Montreal sulla biodiversità nel 2022.

Spetterà, invece, alla presidenza belga raggiungere un accordo con l’Eurocamera sul nuovo regolamento sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio, su cui gli Stati membri hanno raggiunto un accordo lo scorso 18 dicembre per aprire i negoziati (con il voto contrario dell’Italia). La presidenza belga ha fissato la transizione verde e giusta tra le sei priorità del suo semestre, promettendo che “lavorerà per proteggere meglio i cittadini europei, rafforzare la nostra cooperazione e preparare il nostro futuro condiviso. Si concentrerà su sei aree tematiche e presterà particolare attenzione al mantenimento del nostro fermo sostegno all’Ucraina”.

All’ultimo Consiglio Ue Energia, la ministra belga per la Transizione ecologica, Tinne van der Straeten, si è detta pronta a finalizzare i testi a livello tecnico, ma anche a lavorare sull’agenda strategica della prossima Commissione Europea che si insedierà il prossimo anno. Ha anticipato agli omologhi che in termini di energia, i prossimi sei mesi si concentreranno sulla “finalizzazione dell’agenda legislativa in corso”, sulla promozione delle infrastrutture energetiche sostenibili, sul fornire a tutti energia rinnovabile offshore. Focus in particolare sull’idrogeno e il commercio internazionale, inquadrandosi bene nei piani della Commissione europea di lanciare nel 2024 una seconda asta attraverso la Banca europea dell’idrogeno. Alla presidenza belga alla guida dell’Ue spetterà anche il compito di portare avanti le discussioni tra gli Stati membri sul target climatico intermedio al 2040, una volta che la proposta di Bruxelles sarà sul tavolo (per ora è in programma il 6 febbraio).

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Eolico offshore, Mamone (Aero): “Pronti investimenti per 25mld. Meloni sblocchi iter”

La partita delle rinnovabili non è solo una questione di tutela dell’ambiente. Sulle fonti alternative si può costruire un nuovo modello economico, che coniughi la protezione della biodiversità con il processo di decarbonizzazione delle imprese, il rilancio del Pil e l’aumento dell’occupazione. Il mondo produttivo è pronto, ma serve uno scatto da parte delle istituzioni per sciogliere le catene di una tecnologia ad alto potenziale. Lo spiega a GEA Fulvio Mamone Capria, presidente di Aero, acronimo di Associazione delle energie rinnovabili offshore.

Presidente, secondo Aero, cos’è che la politica deve ancora capire sull’eolico offshore?
Questa politica, soprattutto di centrodestra, ha la straordinaria opportunità di creare un’industria energetica sostenibile, che rientra pienamente nella sovranità nazionale. L’intento è dare la possibilità all’Italia di essere leader nel Mediterraneo e non trovarsi dietro Francia, Spagna e altri Paesi alleati per costruire una supply chain nazionale.

La vostra associazione nasce proprio per dare quell’impulso, giusto?
I fondatori di Aero sono 13 imprese che vanno dagli operatori del settore delle rinnovabili ai grandi gruppi della supply chain, come Saipem. a quelli della logistica portuale e navale. come Msc Sicilia e Isla. In pochi mesi abbiamo raddoppiato il numero dei soci andando a rappresentare oggi quasi il 50% degli operatori per lo sviluppo dell’eolico offshore, nonché moltissime aziende di questa grande supply chain italiana attraverso la quale realizzeremmo i progetti nazionali, tutelando l’ambiente marino e trovandoci in una condizione paesaggistica non impattante.

Quali sono i vostri progetti?
Abbiamo le grandi capacità di chi più di 60 anni fa iniziato a lavorare nell’oil&gas offshore. Queste medie imprese italiane, lavorando per l’offshore del Mare del nord, sono pronte a scommettere sul futuro del Paese, offrendo le loro migliori esperienze lavorative nell’eolico offshore italiano. È uno scenario dove si possono creare decine di migliaia di posti di lavoro, tenendo presente i 70 e più progetti presentati al Mase per ottenerne l’autorizzazione. Progetti che superano la capacità di connessione richiesta a Terna di oltre 100 Gw e questo dimostra che l’Italia può affermarsi con queste nuove tecnologie in uno scenario che farà in modo di allineare il nostro paese ai più grandi Stati europei che puntano a rispettare gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030.

Andando sul concreto, a quanto ammontano le vostre previsioni di investimento?
Soltanto con 8 Gw al 2030 stimiamo di investire oltre 25 miliardi di euro. Otto gigawatt che sono un dodicesimo del potenziale dei progetti presentati, con una produzione al 2030 di 25,5 Twh, pari al 7% del fabbisogno elettrico nazionale, e una diminuzione di 13mila tonnellate di Co2 e di quasi 2,2 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. In vista delle decine di migliaia di posti di lavoro che potrebbero crearsi, l’associazione, dal 2024, avvierà dei corsi di formazione professionale, anche in collaborazione con il centro Elis, per preparare quelle figure super specializzate che nei primi anni si occuperanno della fase di permitting e supporto alla logistica portuale e successivamente alla vera e propria fase di costruzione dei floaters galleggianti e del posizionamento degli aerogeneratori di oltre 15 Megawatt che dovranno essere posizionati nelle aree portuali che speriamo, come noi chiediamo al Parlamento, che siano più di due come già indicato dal governo nel decreto legge Energia.

Investimenti diversi dal Pnrr, giusto?
Questi investimenti non intaccano i fondi del Pnrr, perché ci troviamo difronte a una sfida di medio e lungo periodo che inizierà oggi e ci vedrà impegnati almeno fino al 2050, con l’ambizione di diventare noi italiani i fornitori di esperienze, manodopera e capacità organizzativa nello sviluppo dell’eolico offshore degli altri Paesi che si affacciano nella regione mediterranea.

Cosa dovrebbero fare, dunque, le istituzioni?
Chiediamo con estrema urgenza che venga emanato il Fer2 per dare immediato sostegno con i giusti incentivi al settore dell’eolico offshore, nonché chiarire con il Mit, d’intesa con il Mase, l’importante scenario della pianificazione degli spazi marittimi. Questo tema andrà a incidere anche nelle Zone economiche esclusive, dove servirà tutta la capacità del nostro ministero degli Esteri per garantire un equilibrio negli spazi marittimi in acque internazionali.

C’è ancora tanta burocrazia davanti a voi, però.
Facciamo un appello a Giorgia Meloni: chiediamo al presidente del Consiglio di individuare una figura di coordinamento delle diverse criticità che coinvolgono i diversi ministeri, affinché si riducano i tempi di una regolamentazione un po’ confusa e si dia il via ad una grande operazione di made in Italy che potrà portare lustro nel mondo al nostro Paese, al fine di potenziare quella cooperazione tra istituzioni pubbliche e mondo delle imprese che già in altri ambiti ha portato sviluppo e benessere alla nazione e ai suoi cittadini.

Per il mondo produttivo che opportunità offre questa tecnologia?
Il potenziale dell’energia prodotta da impianti di eolico offshore non solo andrà a rafforzar la capacità di trasmissione dell’energia nazionale, ma potrà consentire, soprattutto nelle aree industriali, di favorire la produzione di idrogeno verde per decarbonizzare industrie ad alto impatto ambientale che rischiano di non centrare gli obiettivi di transizione energetiche europei rispettando l’ambiente. Inoltre, si avrebbero costi che possono essere competitivi sull’energia, ma soprattutto il fiore all’occhiello è la produzione di energia verde rinnovabile al 100%. Questo vale per i prodotti Made in Italy, che potrebbero fregiarsi della produzione green per essere competitivi sui mercati internazionali, dove l’unica sfida con i grandi della Terra si gioca sulla qualità e sulla produzione verde.

Raddoppiata l’installazione impianti solari in Italia: ingresso nella top 3 europea

Nel 2023 l’energia solare nell’Unione Europea ha registrato un altro record, raggiungendo 55,9 GW installati, una crescita del 40% rispetto all’anno precedente e addirittura un raddoppio del mercato in soli due anni. Un risultato che vede per il terzo anno consecutivo il settore del Vecchio Continente superare il picco precedente, mantenendo un costante trend di crescita annuale di almeno il 40%. I numeri escono dall’ultimo European Market Outlook di SolarPower Europe, l’associazione che rappresenta gli operatori fotovoltaici.

A livello di singoli Paesi, la Germania riemerge come il principale mercato solare, installando 14,1 GW e superando il record italiano stabilito nel lontano 2012. A seguire, la Spagna con 8,2 GW e, in una sorprendente ascesa, l’Italia entra nella top 3 con l’installazione di 4,8 GW. La Polonia (4,6 GW) e i Paesi Bassi (4,1 GW) chiudono la top 5, mentre la Francia esse dalle migliori cinque proprio a causa dell’eccezionale performance italiana. Nel dettaglio, ben 20 Stati membri dell’UE hanno sperimentato il loro miglior anno solare nel 2023 e 25 hanno installato più energia solare rispetto all’anno precedente. Salgono a 14 i Paesi che hanno superato la soglia di 1 GW di installazioni annuali, contrapponendosi ai 10 del 2022, spiega il report.

L’analisi di SolarPower Europe sottolinea che l’Italia è stata uno dei protagonisti di questa crescita, con un aumento significativo da 2,5 GW nel 2022 a notevoli 4,9 GW nel 2023. Questo exploit, quasi il doppio delle installazioni dell’anno precedente. Non tutto però è filato liscio. Il segmento residenziale, tradizionalmente un motore trainante del mercato grazie agli incentivi Superbonus, ha subito una flessione. Le installazioni residenziali sono scese da un picco di 200 MW a marzo a 153 MW a ottobre, anche se mantengono una significativa quota di circa il 40% nella crescita complessiva. E’ il settore C&I (commercio e industria) ad aver assunto un ruolo preponderante, contribuendo con circa il 43% della capacità installata nel 2023. Una tendenza che suggerisce una trasformazione nella dinamica di crescita del mercato solare italiano. E guardando al futuro, le prospettive prevedono un ulteriore aumento della capacità solare, passando da 29,5 GW nel 2023 a 56,7 GW nel 2027, con un tasso medio di crescita annua dell’18% nettamente superiore alla media europea.

Infatti “secondo il nostro scenario medio – sottolinea l’European Market Outlook di SolarPower Europe – il solare continuerà la sua traiettoria ascendente nel 2024, raggiungendo i 62 GW ma con un aumento annuo dell’11%. Questo tasso di crescita moderato è influenzato da una diminuzione della domanda residenziale, che era aumentata nei due anni precedenti a causa della crisi energetica. Allo stesso tempo, si prevede che i miglioramenti legislativi richiederanno 1 o 2 anni o più prima che gli impatti sugli sviluppi di impianti di pubblica utilità possano diventare evidenti. La nostra ricerca – prosegue il report – mostra che l’energia solare su tetto dominerà il mercato, anche se evolverà gradualmente nei prossimi 4 anni”.

C’è poi un ultimo aspetto non incoraggiante per l’Europa, sottolineato dall’associazione europea del fotovoltaico. Mentre la produzione di celle solari e moduli ha registrato un incremento significativo nel 2023, con un aumento del 59% rispetto al 2022, si evidenzia che meno del 2% della domanda europea di energia solare potrebbe essere soddisfatto dalla produzione europea di solare fotovoltaico. Questo solleva interrogativi sulle dinamiche della produzione e sulla dipendenza dal mercato globale per soddisfare la crescente domanda di energia solare nell’Unione Europea.

Cop28, raggiunto “storico” accordo. Neutralità dal carbonio dal 2050

Un accordo “storico”, “guidato dalla scienza”, “equo” e raggiunto grazie “allo spirito di collaborazione” di tutte le parti. È “orgoglioso” Sultan Al Jaber, presidente emiratino della Cop28, nell’annunciare che alla fine l’intesa è stata trovata e che a Dubai si è seguita la “stella polare” per trovare una nuova strada comune per combattere il riscaldamento globale. Un accordo, ha spiegato in seduta plenaria, che per la prima volta cita esplicitamente i combustibili fossili, anche se la parola “uscita” è stata sostituita da “transizione”.

“Transitare dai combustibili fossili” e accelerare l’azione “in questo decennio cruciale, al fine di raggiungere la neutralità delle emissioni di carbonio entro il 2050,  in linea con le raccomandazioni scientifiche” è quanto prevede l’accordo, che esclude quindi l’uscita da petrolio, gas e carbone, ma punta a un percorso più lento verso l’eliminazione di queste fonti di energia inquinanti, proprio come richiesto dai Paesi produttori, guidati dall’Arabia Saudita. Passa quindi la linea più morbida, ma si riconosce “la necessità di riduzioni forti, rapide e sostenute delle emissioni di gas a effetto serra, coerenti con le traiettorie di 1,5°C, e invita le Parti a contribuire ai successivi sforzi globali”. 

Il documento propone la triplicazione delle energie rinnovabili entro il 2030, lo sviluppo dell’energia nucleare e dell’idrogeno “a basse emissioni di carbonio”, nonché le incipienti tecnologie di cattura del carbonio favorite dai Paesi produttori di petrolio. Una fonte vicina alla presidenza emiratina ritiene che il testo sia stato finemente “calibrato” per cercare di conciliare i punti di vista opposti, e in particolare per evitare che l’Arabia Saudita lo bloccasse. Pur lasciando deliberatamente un po’ di ambiguità nella formulazione, in modo che ci sia qualcosa per tutti…

Transizione in “modo giusto, ordinato ed equo” significa assicurare un ritmo diverso per i vari Paesi, a seconda delle loro esigenze di sviluppo e della loro responsabilità storica nel riscaldamento globale.

“Dal profondo del mio cuore – ha detto Al Jaber – grazie. Siamo arrivati molto lontano insieme in poco tempo, abbiamo lavorato duramente perché ci fosse un futuro migliore per il pianeta e dovremmo essere orgogliosi di questo accordo storico”. “Il mio Paese”, cioè gli Emirati Arabi Uniti, ha aggiunto, “è orgoglioso del ruolo che ha avuto nell’aiutarvi ad andare avanti”. “Ora, però – è l’invito – dobbiamo agire, perché siamo ciò che facciamo, non ciò che diciamo”.

“Che vi piaccia o no, l’eliminazione dei combustibili fossili è inevitabile. Speriamo che non arrivi troppo tardi”, ribadisce su X il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres. Per la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, l’accordo è “una buona notizia per il mondo intero” perché consentirà di accelerare “la transizione verso un’economia più pulita e più sana”. Soddisfatto anche l’invisto Usa per il Clima, John Kerry, secondo cui il via libera al testo è “motivo di ottimismo” in un mondo pieno di conflitti.

Anche il nostro Paese guarda all’accordo con il sorriso. “L’intesa raggiunta a Dubai – dice il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin – tiene conto di tutti gli aspetti più rilevanti dell’accordo di Parigi e delle istanze, profondamente diverse tra loro, dei vari Stati, che tuttavia riconoscono un terreno e un obiettivo comune, con la guida della scienza. Per questo, riteniamo il compromesso raggiunto come bilanciato e accettabile per questa fase storica, caratterizzata da forti tensioni internazionali che pesano sul processo di transizione. L’Italia, nella cornice dell’impegno europeo, è stata impegnata e determinata fino all’ultimo per il miglior risultato possibile”.

La sicurezza energetica dell’Italia e dell’Europa passa attraverso la decarbonizzazione

Sicurezza energetica e politica climatica vanno di pari passo, quindi per andare più veloci in termini di sicurezza l’Ue deve andare più spedita anche in termini di decarbonizzazione. E’ chiaro il monito che ha lanciato Matthew Baldwin, direttore generale aggiunto della DG ENER della Commissione europea, nel suo intervento alla decima edizione dell’evento ‘How can we govern Europe?’, organizzato da Withub con la direzione editoriale di Eunews e GEA, che si è tenuto a Bruxelles, presso la residenza dell’ambasciatore d’Italia in Belgio.

L’ultimo panel della giornata di confronto è stato dedicato alla ‘Sicurezza energetica: ridotta la dipendenza dalla Russia, l’Ue è in grado di puntare all’autonomia con fonti rinnovabili?’. Dalla domanda lo spunto per riflettere sugli ultimi due anni che hanno messo alla prova l’Unione europea tra tagli alle forniture di gas da parte della Russia e la necessità di rendersi autonoma (o quasi) dal punto di vista energetico. “Siamo a un punto migliore rispetto a come eravamo un anno fa, ma la crisi ci può colpire ancora”, ha sentenziato, snocciolando i numeri che testimoniano che l’Ue e l’Italia hanno superato o almeno stanno superando la crisi. Come Unione europea “abbiamo deciso rapidamente” di ridurre, nell’ottica di abbandonare totalmente, “la dipendenza dai combustibili fossili russi” attraverso il piano ‘REPowerEu’.

Siamo passati da circa 155 miliardi di metri cubi di gas nel 2021 a 40 miliardi di metri cubi ora” di forniture dal Cremlino. Non solo. La strategia europea punta sul risparmio dei consumi (e l’Italia – ha Baldwin – è riuscita ad andare oltre il target di taglio ai consumi del 18%) e sulla spinta sulle rinnovabili. “Nel 2023 l’Ue si aspetta di installare 70 GigaWatt di capacità rinnovabile, solare ed eolica. L’Italia dovrebbe raddoppiare la capacità installata rispetto all’anno precedente”, ha aggiunto.

Durante la crisi energetica anche Eni si è mossa come azienda e come sistema Paese nel quadro della decisione dell’Ue di ridurre ed eliminare la dipendenza dai combustibili fossili russi. “L’italia in questo è stata un campione, ha portato a termine nel più breve tempo possibile rispetto ad altri Paesi ed è stato fatto grazie a una già esistente diversificazione delle rotte”, ha dichiarato Luca Giansanti, responsabile degli Affari governativi europei di Eni, precisando che il nostro Paese “ha la fortuna di avere gasdotti e di aver deciso di potenziare la capacità di rigassificazione”. A detta di Stefano Verrecchia, rappresentante permanente aggiunto dell’Italia presso l’Ue, durante la crisi l’Italia è stata capace “di rispondere all’emergenza ma come Paese abbiamo sempre cercato di avere un atteggiamento realistico nella transizione, tenendo conto anche della dimensione sociale“, ha aggiunto, sottolineando la necessità di “una soluzione finanziaria importante” per affrontare la transizione.

Nel contesto di riduzione rapida delle emissioni, il rischio, secondo l’eurodeputata del Movimento 5 Stelle, Tiziana Beghin, è quello di “sostituire” la dipendenza dell’Ue dalle forniture russe “con altre dipendenza con partner che non sempre sono partner stabili”, ha detto. “Siamo in un periodo storico in cui si sono verificate condizioni critiche contemporaneamente Con il piano per l’indipendenza energetica ‘RepowerEu e il price cap per il gas siamo riusciti a tenere basso il prezzo dell’energia, ma ancora oggi è doppio rispetto ai livelli pre-crisi e questo crea distorsioni molto elevate”.

Al centro del confronto non solo le rinnovabili, ma anche altre fonti energetiche a zero emissioni, come il nucleare, che dividono l’Ue. Dal Green Deal in poi l’Ue “ha declinato una strategia di decarbonizzazione, e in questo quadro il nucleare c’è ma come scelta dei singoli stati membri e non dell’Ue. Da Bruxelles c’è un impegno soprattutto nel campo della ricerca”, ha ricordato l’eurodeputata del Partito democratico, Patrizia Toia. In tempi recenti è nato in Ue “un nuovo interesse nel nucleare di nuova generazione, per i cosiddetti piccoli reattori nucleari”, ha detto, ricordando che al Parlamento europeo di Strasburgo la prossima settimana si voterà una relazione di iniziativa sui piccoli reattori modulari. La relazione è stata votata nelle scorse settimane in commissione Itre e Toia ha ricordato che la delegazione italiana nel gruppo S&D “non ha votato a favore”.

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Energia, niente proroga del mercato tutelato ma prezzi calmierati per 4,5 milioni di famiglie

Anche con la fine del mercato tutelato, per 4,5 milioni di famiglie italiane considerate ‘vulnerabili’ i prezzi della bolletta dell’energia elettrica resteranno calmierati. Lo ha deciso il Consiglio dei Ministri con il via libera alla nuova disposizione normativa sul mercato tutelato nel settore della fornitura di energia elettrica. La decisione, spiega Palazzo Chini, “è in linea con gli impegni assunti nell’ambito della terza rata del Pnrr, e si è resa necessaria per garantire un graduale e informato passaggio al mercato libero”.

La liberalizzazione del mercato è , infatti, prevista dal Legge n. 124 del 2017 e dagli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza previsti nel 2021 come condizione per il pagamento della terza rata. Per le altre famiglie, attualmente nel mercato tutelato e corrispondenti a circa quattro milioni e mezzo di utenze, vengono introdotte misure per assicurare “la massima informazione e le migliori condizioni nel passaggio al mercato libero dell’energia elettrica”, che già riguarda complessivamente circa 21 milioni di famiglie.

Il governo, con l’approvazione in Cdm del decreto Energia, punta così a disciplinare il passaggio graduale al mercato libero dei nove milioni di utenze domestiche che ancora usufruiscono di quello tutelato, “rafforzando al contempo – spiega in una nota – gli strumenti finalizzati a prevenire ingiustificati aumenti dei prezzi e possibili alterazioni delle condizioni di fornitura di energia elettrica”.

Limitatamente alla fornitura di energia elettrica in favore delle famiglie non vulnerabili, entro il 10 gennaio 2024 saranno individuati gli operatori economici che subentreranno nella fornitura.

Gli utenti interessati dal passaggio, inoltre, saranno destinatari di una specifica campagna informativa, nonché i principali beneficiari di “una costante attività di monitoraggio sulle attività degli operatori e sull’andamento dei prezzi definita da Arera in collaborazione con il ministero dell’Ambiente e della Scurezza energetica e con il coinvolgimento delle associazioni dei consumatori maggiormente rappresentative”.

Nel decreto appena approvato, vengono, inoltre, introdotte delle semplificazioni relativamente al trasferimento della domiciliazione bancaria per il pagamento delle bollette, di cui viene prevista l’emissione con cadenza necessariamente bimestrale, ferma restando, spiega ancora Palazzo Chigi, “la libertà dell’utente di scegliere un fornitore diverso da quello assegnato all’esito delle procedure competitive e una differente modalità di pagamento”.

Nucleare, presidente AIN: E’ energia più pulita e sicura. Ma servono infrastrutture

Nel mondo si torna a parlare di nucleare. Questa volta nella strategia ambientale, di decarbonizzazione necessaria a contenere il riscaldamento globale del Pianeta. Se in Italia siamo in grado di reggere una pianificazione, nonostante due referendum contrari e quasi quarant’anni di stop alle attività, è grazie alle tantissime imprese della Penisola che hanno continuato a occuparsene all’estero. “Sa quanta gente ci lavora in Italia? Ci sono cento industrie nucleari, sono quelle che hanno salvato il nostro parco nucleare”, spiega Stefano Monti, presidente dell’AIN (Associazione Italiana Nucleare).

Non è paradossale che se ne parli in ottica ecologica?

“No, il nucleare è un’energia pulita. Le emissioni di Co2 sono fra le più basse di tutte le possibili sorgenti, abbiamo un record di sicurezza che non ha nessuno. Se si considera tutta l’energia prodotta, il nucleare è quello che ha meno morti. Per il carbone muoiono cinquecentomila persone all’anno nel mondo. E poi attenzione, quando si parla di sicurezza, si parla di fatalità”.

Cioè del rischio di un’altra Fukushima?

“A Fukushima i morti li hanno fatti il terremoto e lo tsunami. Per colpa della centrale nucleare non è morto nessuno, perché le persone sono state rilocate. C’è stato senza dubbio un impatto, perché 150mila persone hanno dovuto abbandonare la loro casa, muoversi altrove per evitare la contaminazione. In questa maniera però non è morto nessuno per l’incidente. Nel Vajont invece sono morte quasi duemila persone in una notte. E c’è un incidente in un impianto idroelettrico cinese che ha fatto 20mila morti. Anche considerando Fukushima, il nucleare dimostra di essere più sicuro rispetto ad altri. Parliamo di reattori che sono ordini di grandezza più sicuri di Fukushima, che è stato progettato negli anni Cinquanta-Sessanta e in terza generazione tra il Novanta e il Duemila, in tutti questi anni le tecnologie sono avanzate. Non sottostimiamo la rilocazione di 150mila persone, ma così facendo non ci sono stati morti, vogliamo adottare una tecnologia ben superiore, che resista a uno tsunami eccezionale”.

Il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto, ha citato uno studio che parla di un ritorno sull’economia italiana da 45 miliardi e 42mila posti di lavoro. Sono numeri attendibili?

“Sono numeri attendibili. Bisogna poi concretizzarli nella situazione del nostro Paese. Possono diventare reali se iniziamo l’implementazione del nucleare il prima possibile. Diventeranno reali quando si creeranno le condizioni perché un’utility possa prendere la decisione di realizzare un impianto nucleare e vederne l’efficacia sul territorio e sull’economia. Ci sono metodi ben consolidati per fare queste valutazioni di impatto sull’economia e sulla forza lavoro, ma per poter concretizzare è ora di mettere a terra le cose concrete da fare”.

Quali sono le cose da mettere a terra?

“Sono condizioni indipendenti dalle tecnologie. Qualsiasi tecnologia richiede che vengano sviluppate le tecnologie materiali e immateriali nel rispetto dei più alti standard di sicurezza e di salvaguardia, perché bisogna difendersi dai problemi di non proliferazione. Sono quelle infrastrutture che l’International Atomic Energy Agency ha individuato in un milestone approach che accompagna i Paesi che intendono introdurre il nucleare nel proprio mix energetico e vanno sviluppati in maniera armonica durante il progetto. Sono 19, tra queste la legislazione, la regolamentazione di sicurezza e salvaguardia e poi l’infrastruttura principe, cioè le risorse umane. Ci vogliono risorse umane in tutti i campi”.

In quanto tempo in Italia potrebbe iniziare a funzionare una centrale?

“Io chiedo sempre alla politica di dirci quali sono i suoi tempi, quando ha bisogno di avere energia nucleare in quantità apprezzabile dal punto di vista della decarbonizzazione e della sicurezza degli approvvigionamenti. Invece di buttare sempre il cuore oltre l’ostacolo e affaticarlo per nulla, cerchiamo di mettere in fila le cose da fare in maniera che a un certo punto avremo le condizioni per poter produrre in quantità. Ovviamente al 2025 è impossibile. Ma ci reattori già molto avanzati”.

E’ la terza generazione?

“Questa questione delle generazioni è molto ‘misleading’, molto legata alla commercializzazione. Parliamo dei reattori esistenti che sono i più avanzati del mercato, collaudati, provati e operati, connessi alla rete per anni. Questi reattori, volendo si possono comprare oggi. Una utility può comprarla oggi? A mio parere no, perché mancano le infrastrutture di base”.

I tempi per costruirli quali sarebbero?

“Per mettere assieme un programma nucleare, che preveda le infrastrutture di base, la realizzazione di un impianto e la connessione in rete, un periodo di tempo dell’ordine di 10 anni è ragionevole. Lo hanno fatto gli emirati Arabi partendo da zero”.

Per i piccoli reattori di cui parla il governo invece?

“Quanto agli Smr, la Francia, che è il Paese più avanzato da questo punto di vista, ha detto che di quelli ne avrà uno all’orizzonte nel 2030-2032, dunque è ragionevole per noi averlo nel 2035. Ma servono sempre le infrastrutture. Poi se il reattore è piccolo probabilmente si riescono a trovare schemi di finanziamento più semplici. I possibili finanziatori aumentano e i tempi di realizzazione di riducono”.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Energia, come è cambiato il prezzo della luce

Nell’infografica interattiva di GEA si mostra la composizione del prezzo della luce per famiglia tipo con consumo annuo di 2.700 kWh, nei diversi trimestri dal 2020 al III trimestre 2023. Cliccando sulle singole barre si vede il prezzo in centesimo di euro a kWh per capitolo di spesa (energia, trasporto, oneri di sistema e imposte).

Nucleare, sindaco Trino: “Deposito scorie è necessario, noi pronti ad accoglierlo”

Poco meno di 7mila abitanti, proprio dove inizia la provincia di Vercelli. Non lontano dal capoluogo piemontese, ma vicino alle colline del Monferrato. Trino è uno di quei comuni come ce ne sono tanti, da nord a sud, ma la sua storia è di quelle che si fa ricordare. Qui, a metà degli anni ’60 del secolo scorso, entrò in servizio una delle quattro centrali nucleari italiane, la Enrico Fermi. Attiva fino al 1987 – quindi poco dopo il disastro di Chernobyl – fu chiusa dopo il referendum con cui gli italiani dissero ‘no’ a questa forma di energia. Alla fine degli anni ’90 la proprietà della centrale fu trasferita a Sogin, con il compito di bonificare l’area e procedere allo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Da allora sono successe molte cose, ma l’Italia non ha ancora un deposito nazionale destinato alle scorie, cioè un’infrastruttura ambientale di superficie in cui mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi prodotti in Italia, sia quelli relativi alle vecchie centrali ormai dismesse sia quelli prodotti, ad esempio, dal mondo sanitario.

E Trino che ruolo ha? Nel decreto Energia approvato una manciata di giorni fa dal governo è stata introdotta una norma che permette ai siti militari e ai comuni di autocandidarsi come sede del deposito. Già, perché nessuna delle aree idonee individuate da Sogin ha dato la propria disponibilità. E Trino non è stato nemmeno considerato adatto. Ora, però, il sindaco Daniele Pane (FdI) si dice pronto a rimettersi in gioco e apre a questa possibilità perché, dice a GEA, “c’è un problema serio e va risolto”.

Sindaco, nonostante le critiche ricevute da più fronti, lei vorrebbe rilanciare Trino come sede del deposito nazionale delle scorie. Perché lo fa?
“Per due motivi molto semplici, innanzitutto il deposito unico nazionale è necessario a tutta Italia, è un obbligo previsto dalla normativa europea, e in particolare è indispensabile per noi che tra Trino e Saluggia deteniamo la maggior quantità di radioattività italiana lungo il Po. Da lì vanno spostati subito. Il secondo motivo è determinato dal fatto che nessuno dei siti attualmente individuati si è dato disponibile e quindi rischiamo di trasformare i depositi temporanei in definitivi lì dove sono”.

Crede che il provvedimento del governo sia stato fatto proprio per agevolare la sua posizione?
“Assolutamente no, credo semplicemente che questo governo, come tutti gli altri che l’hanno preceduto, si sia accorto che senza la condivisione con i territori sarà impossibile realizzare il deposito e quindi aprono a questa possibilità, un po’ come avvenuto in Spagna dove è stata fatta una gara pubblica. Sono certo che non sarò l’unico a darsi disponibile quando e se la norma verrà approvata anche dal Parlamento”.

Il governatore Alberto Cirio dice che il Piemonte ha già fatto la sua parte e quindi è contrario a ospitare il futuro deposito. Come gli risponde?
“Guardi, io la vedo un po’ come è stato per i vaccini anti Covid: credo nella scienza e nella tecnologia. Rispetto il presidente Cirio, un grande uomo che ha saputo guidare la Regione egregiamente in un momento difficilissimo, ma su questa partita ci troviamo in disaccordo. Il ‘Not in my backyard’ oppure quell’“abbiamo già dato” non fanno parte del mio vocabolario. C’è un problema, anche serio, va risolto e io farò la mia parte per mettere in sicurezza i miei cittadini, la mia famiglia e il futuro della mia città. Al presidente e ai media mi permetto di suggerire di incontrare e parlare con chi di impresa e scienza si occupa di continuo: le università piemontesi e le associazioni industriali e vedere loro cosa ne pensano”.

Quali sono i prossimi passaggi che intende fare in merito al deposito delle scorie?
R. “Come dicevo, se e solo se dopo la pubblicazione della Cnai nessuno dei territori dovesse darsi disponibile e se il decreto verrà convertito in legge, discuteremo del tema in Consiglio comunale e daremo ampia informazione imparziale alla cittadinanza, organizzando incontri pubblici per chiarire ai cittadini tutti gli aspetti relativi a cosa sarà il deposito. A quel punto se il Consiglio mi autorizzerà a presentare l’autocandidatura lo farò e attenderemo le valutazioni degli esperti e dei ministeri. Come vede, ci sono ancora molti ‘se’ al momento, è ancora tutto prematuro. Vedremo”.

Alla Cop28, 22 Paesi hanno chiesto di triplicare l’energia nucleare entro al 2050. Qual è la sua posizione in merito a questo?
“Personalmente sono sempre stato a favore del nucleare, manifestando il mio pensiero in molte occasioni anche pubbliche, ma da ben prima che tornasse centrale nel dibattito. Mi davano del matto anche allora, era il 2009/2010, come fanno ora per il deposito… Ora si sta dicendo a livello mondiale che non si potrà mai decarbonizzare il mondo senza il contributo del nucleare… quello che dicevo 14 anni fa… vedremo come andrà per il deposito, ma spero di non dover aspettare altri 14 anni. Serve per la sicurezza di tutti, e siamo già terribilmente in ritardo”.